Intervista integrale all’esperto di cultura pop Paolo Bassotti alla vigilia del festival di Sanremo 2017.
Podcast
GRSWEEK 4-5 febbraio 2017 – Nell’Italia di Sanremo
4 Febbraio 2017
Bentrovati all’ascolto del GRSWEEK da Fabio Piccolino
Il Festival di Sanremo è spesso lo specchio del presente dell’Italia: che piaccia o meno, offre uno sguardo sul nostro paese e sullo stato della sua offerta culturale.
Ma a che punto è l’Italia del 2017?
Un paese vecchio che ha paura di guardare al futuro, di sbilanciarsi, di perdere il suo fragile equilibrio.
Che guarda al nuovo con diffidenza, a distanza di sicurezza.
Sanremo diventa così un grande contenitore popolare che ha l’ambizione di piacere a tutti, unendo la tradizione da cui non si prescinde a cauti cambiamenti.
Cambiare: difficile immaginarlo in questa edizione 2017: Carlo Conti è alla terza conduzione di fila e sembra il padrone di casa perfetto per un immaginario immobile e rassicurante. Con lui c’è Maria De Filippi, la signora della televisione dei sentimenti artefatti e delle lacrime, dei talent mangiasogni e del gossip della gente comune. I due principali concorrenti televisivi uniti nel segno del nazional-popolare e quindi del successo senza scossoni, benedetto dalla satira di Maurizio Crozza, pungente all’apparenza ma innocua nella sostanza.
Annunciato da spot pubblicitari di dubbio gusto, Sanremo 2017 è in primis una gara canora anche se paradossalmente questo sembra essere un aspetto di secondo piano.
Tra i 22 artisti in gara abbondano quelli venuti direttamente dai talent show, assieme a quelli perfettamente a proprio agio con il palco dell’Ariston , oltre ai soliti e rari esperimenti di musicisti estranei al meccanismo Sanremo.
Ascoltiamo il parere di Paolo Bassotti, esperto di cultura pop:
[sonoro]
Il Festival della Canzone Italiana può ancora definirsi tale? Quella che va in scena è la rappresentazione dell’offerta musicale del paese o è solo una delle sue sfaccettature?
Per dimostrare che il festival non rappresentava in pieno la musica italiana, negli anni 80 nacque la contro-manifestazione Sanremo Rock in cui, nelle diverse edizioni, si esibirono molti musicisti fuori dal circuito dell’Ariston.
Oggi la musica cosiddetta indie non è più di nicchia ma punta al grande pubblico e lo conquista, come dimostrano gli exploit di artisti come Calcutta e The Giornalisti, o il boom della musica rap. Uno scollamento della realtà che coinvolge soprattutto i giovani, i veri consumatori culturali di questo paese.
Ai nostri Tommaso Zanello, in arte Piotta
[sonoro]
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E’ passato un anno dalla morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore universitario rapito, torturato e ucciso al Cairo. Ancora la verità è lontana, dopo mesi di depistaggi da parte del governo egiziano. Ma il dolore e il desiderio di giustizia crescono nel tempo tanto che in tutta Italia il 25 gennaio, giorno della sua scomparsa, sono state realizzate diverse manifestazioni e incontri per ricordarlo e chiede chiarezza sulla sua fine.
La morte di Regeni non parla solo del metodo intimidatorio del potere egiziano, ma anche della debolezza che spesso il governo italiano mostra in queste situazioni.
Accade che nel nostro Paese ci siano ragazzi e ragazze che partono per documentare la violenza dei regimi autoritari e aiutare le popolazioni colpite.
Giulio Regeni non è stato l’unico italiano ad essere stato lasciato solo; è accaduto anche a Giovanni Lo Porto, il cooperante ucciso in Pakistan da un attacco statunitense, per il quale il governo italiano non è riuscito ad avere informazioni e scuse adeguate dall’allora presidente Obama. Sentiamo la scheda di Giuseppe Manzo
Un morte dimenticata. Giovanni Lo Porto non è stato ucciso durante un attacco terroristico ma da un drone americano nel rifugio pakistano dove era tenuto in ostaggio. Sono passati due anni da quel 15 gennaio 2015 e il nostro Paese, tranne rare eccezioni, non mantiene viva la memoria del cooperante italiano. Durante il suo sequestro si levò la voce del Forum del Terzo settore. Gli Stati Uniti hanno ricompensato la famiglia con una donazione di oltre un milione di dollari ma Gvc Onlus, Ong con cui Lo Porto aveva lavorato ad Haiti, ha continuato a chiedere “giustizia” e a richiamare “ su questa metodologia offensiva dei droni di cui si sa forse troppo poco e quel poco non riceve la giusta attenzione”.
Per Lo Porto non ci furono funerali di Stato. A due anni di distanza la sua vicenda è stata dimenticata dalle nostre istituzioni e dall’opinione pubblica mentre l’anno scorso fu scoperta una targa alla London Metropolitan University dove aveva studiato. Eppure Giovanni era un cooperante italiano, un uomo di pace in tempo di guerra: una memoria da tenere viva.
Forti gli appelli al governo oltre che dalla famiglia, dal mondo politico, dalle associazioni, dalla magistratura affinchè si muova qualcosa, si faccia pressione sulle autorità egiziane, perchè gli assassini vengano scoperti e puniti. Il parere di Lorenzo Declich, autore del libro “Giulio Regeni le verità ignorate”
[sonoro]
Negli ultimi mesi grazie al lavoro della prpocura e la pressione dell’opinione e dei mezzi di informazione ci sono dei segnali di collaborazione ma non bastano. Come sottolinea ai nostri microfoni Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International.
[sonoro]
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