Giovani cooperatori: “partecipazione per uscire dalla crisi”

di Giovanna Carnevale

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DSCN1155[1]Partecipazione come elemento-chiave per perseguire l’innovazione e, attraverso la partecipazione stessa, “elevare l’impresa oltre le singole persone, applicando realmente la proprietà collettiva”.
Il modello partecipativo rappresenta nel mondo della cooperazione un punto di partenza imprescindibile per ideare un percorso di rinnovamento; quest’ultimo, a sua volta, permette l’affermazione all’interno del mercato con strumenti e principi diversi da quelli del capitalismo classico. L’obiettivo? “Colmare lo spazio vuoto tra il mondo produttivo e quello etico-responsabile” e non arrendersi allo smantellamento delle garanzie sociali.

A declinare in questi termini l’esigenza di innovazione della cooperazione sono i giovani che la scorsa settimana hanno preso parte alla seconda edizione di Woodcoop, un appuntamento annuale organizzato da Generazione Legacoop. Woodcoop 2015 ha coinvolto a Firenze cooperatori under 40 interessati a promuovere il modello e la cultura della cooperazione, oltre che ad approfondire tematiche legate al mondo del lavoro, alla produzione e alla legalità.

“La partecipazione è nel dna della cooperazione, anche se questo principio non sempre viene agito”, ha detto Stefano Frasi, responsabile dell’innovazione della cooperativa Koinè. Eppure, molto più che in altri tipi di impresa, le cooperative hanno l’obbligo di applicare in modo rigoroso il principio partecipativo, in modo tale da realizzare “l’autogestione dell’impresa da parte dei soci e l’auto-organizzazione dei lavoratori”.
Non è pensabile, ha continuato Frasi, lasciare l’applicazione del principio partecipativo alle singole soggettività; al contrario, bisogna estenderne la portata a tutti i livelli per garantire il carattere collettivo dell’impresa.

Si parte, allora, dall’elezione del consiglio d’amministrazione (che deve rappresentare non tanto il territorio in cui opera la cooperativa, ma soprattutto le varie tipologie di servizi che fornisce) alla partecipazione dei soci nelle decisioni di politica retributiva e nella stesura dei piani di investimenti.

Non solo: a ogni singolo componente della cooperativa deve essere garantita informazione (preventiva) e formazione, in un processo che si stratifica nel tempo e che non si esaurice, al contrario, in un singolo momento.
Se si pensa a un’azienda come composta da una testa (la direzione) e un corpo (i soci), dice Frasi, quello che bisogna perseguire “è un modello che renda la testa non autosufficiente dal corpo, e ponga tutti allo stesso livello di partecipazione”.

La realizzazione di un simile modello di impresa (che si distingue cioè dalle aziende “tradizionali” per la sua governance partecipativa) rappresenta il passaggio “da un’ottica individuale a una condivisa e collettiva”, come ha sottolineato Annalisa Casino, presidente della coop Eticae. Il principio di collaborazione, unito a quello di assunzione condivisa di responsabilità, può essere ben racchiuso nel termine “stewardship”, che nella sua applicazione all’interno della gestione delle cooperative conduce a un equilibrio dei poteri e all’affidamento alla leadership di una gestione etica dell’impresa.

Il principio di stewardship, ha detto Casino, è oggi particolarmente importante in quanto “risponde alla necessità del mondo produttivo di soddisfare i bisogni etici e di consumo critico”; esso permette alle imprese che lo mettono in pratica “una collocazione diversa sul mercato, dando un valore maggiore a ciò che viene fatto dentro l’organizzazione stessa, sia dal punto di vista della produzione, sia della governance aziendale”.

Inserite in un contesto globale e strettamente attuale, le imprese a gestione partecipata contengono in sé un altissimo potenziale, come spiegato anche dal giornalista e filosofo Roberto Ciccarelli: quello di proteggersi dalle “aggressioni sia del mercato sia dello Stato, che tassa i più deboli. Le forme di cooperazione e mutualismo possono costituire una resistenza alla dismissione del welfare e dare vita a una nuova forma di convivenza sociale”.

Già in altri Paesi europei come la Francia e il Belgio, ha continuato Ciccarellli, è in atto una riscoperta di quelle piccole e medie società di mutuo soccorso che si costituirono tra la fine dell’ Ottocento e l’inizio del Novecento.
Oggi queste ritornano all’attenzione come risposta a un’emergenza sociale europea, perchè in una società di capitalismo avanzato, il ricorso a uno spirito cooperativo consente di unire produzione e resistenza: non arrendersi alla perdita delle garanzie sociali ma, al tempo stesso, non rinunciare all’imprenditorialità.