Da Fiumicino la denuncia delle associazioni dilettantistiche dopo la chiusura delle palestre scolastiche alle attività motorie che si svolgono in orario pomeridiano-serale, stabilita con un decreto del sindaco. Per i rappresentanti delle associazioni, pronti a fare ricorso al Tar, “il danno sociale, educativo e formativo tra i cittadini di tutte le fasce di età sarà enorme”.
“La decisione dell’ex senatore Esterino Montino è un atto inopportuno – scrivono in una nota i docenti di educazione fisica Nando Bonessio e Silvana Meli – che non persegue in alcun modo le finalità che espone nel testo Decreto, ossia ‘contenere l’epidemia da Covid-19 e tutelare la salute degli studenti di Fiumicino impedendo che estranei frequentino i locali scolastici‘. È imbarazzante che il Sindaco non tenga nemmeno in considerazione che i frequentatori delle attività sportive che si organizzano nel pomeriggio nelle scuole sono gli stessi alunni della mattina e i loro familiari. Il messaggio che ne deriva, rivolto ai cittadini, è che vi sia un pericolo impossibile da gestire e per il quale bisogna solo vietare o impedire qualsiasi attività sociale”, proseguono.
“Ci chiediamo, – incalzano, – se il Sindaco o il suo staff siano a conoscenza che in Italia tutte le attività sportive, all’aperto e nelle palestre, sono state autorizzate alla riapertura con Decreto del Presidente del Consiglio, del Presidente della Regione Lazio, e con le linee guida e i protocolli di sicurezza stabiliti dalle Federazioni Sportive e dagli Enti di Promozione in accordo con il ministro dello Sport Spadafora e il Comitato Tecnico scientifico. Ma non solo: anche la stessa ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina ha dichiarato la necessità che le strutture sportive scolastiche rimangano aperte al pomeriggio per le attività sportive delle ASD. Invitiamo il Sindaco a documentarsi, a partire da quanto si legge sul sito del Miur”.
“Montino, con questo assurdo Decreto, blocca il Servizio Sociale Sportivo pubblico perché, è bene precisarlo, le Associazioni Sportive organizzano le attività sportive a quote di frequenza calmierate per nome e per conto dell’Amministrazione Comunale. Il danno sociale, educativo e formativo tra i cittadini di tutte le fasce di età sarà enorme, – sottolineano Bonessio e Meli, – e gli unici che trarranno beneficio da questa scelta irrazionale saranno i gestori delle palestre e dei circoli sportivi privati. Ciò che andrà irrimediabilmente perduto è il grande lavoro di coesione sociale e di continuità didattica che le associazioni svolgono organizzando attività agonistiche per i giovani, di mantenimento, di prevenzione e ricreative per adulti e anziani.
Il gruppo di ragazzi che quest’anno non potrà più svolgere lo sport preferito e non ritroverà il proprio istruttore è una piccola comunità sociale che sarà lasciata allo sbando, senza riferimenti, e che il prossimo anno difficilmente si ritroverà. Ultima considerazione, ma non per importanza, è la perdita di reddito per decine di operatori sportivi che con la loro professionalità riescono ad assicurare un servizio alla cittadinanza e un minimo salariale. Se ne era accorto anche il Ministro Spadafora che, durante il lockdown, ha fatto in modo che per 4 mesi gli operatori avessero garantito dal Governo un minimo reddito mensile. È evidente come, per il Sindaco Montino, questo problema non esista.
Per tutti i motivi appena elencati, siamo perciò noi a chiedergli di ritirare immediatamente il decreto con cui si ordina la chiusura pomeridiana-serale di tutte le palestre scolastiche di Fiumicino e di procedere immediatamente a realizzare ‘Protocolli di sicurezza aggiuntivi tra le Istituzioni Scolastiche e le ASD’ al fine di garantire veramente la sicurezza di tutti coloro che devono poter usare le strutture sportive pubbliche della collettività. In caso contrario, – concludono Bonessio e Meli, – saremo a fianco delle associazioni in tutte le loro battaglie sino all’eventuale presentazione al Tar di un ricorso che chieda l’immediato annullamento del provvedimento”.
Contro il razzismo
Presentato a Roma l’Osservatorio sulle discriminazioni nello sport. Il servizio di Elena Fiorani.
È stata la sede dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali ad ospitare la firma del protocollo d’intesa con cui Unar, Uisp e Lunaria hanno sancito la nascita dell’Osservatorio Nazionale contro le discriminazioni nello sport. Una novità a livello europeo, dove non esiste un organismo in grado di monitorare e fornire un’analisi precisa sulle discriminazioni in ambito sportivo, in particolare quello amatoriale e dilettantistico.
Questo passo consentirà al nostro Paese di proporre strategie efficaci e all’avanguardia e, attraverso un’attività di sensibilizzazione e formazione, promuovere soprattutto nei giovani, la cultura del rispetto e dell’inclusione. Al lancio dell’iniziativa ha preso parte con un collegamento video anche Beatrice Ion, atleta paralimpica della nazionale di basket femminile, aggredita nei giorni passati con minacce e insulti razzisti.
Sport in ateneo
Il Comitato italiano paralimpico e l’Università della Basilicata hanno firmato un protocollo d’intesa per promuovere l’attività sportiva tra gli studenti con disabilità. L’obiettivo è sostenere programmi e progetti condivisi, a livello regionale e provinciale, attraverso una rete di collaborazioni territoriali per una promozione sportiva specifica e adeguata.
Uno degli obiettivi dell’accordo è di promuovere e sviluppare iniziative e progetti per “perseguire – è scritto nel documento – uno stato di salute incentrato sul modello bio-psico sociale dell’Icf (International Classification of Functioning, Disability and Health – Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) raccomandato dall’Oms, favorendo il massimo recupero e il mantenimento delle capacità residue della persona con disabilità”.
E’ previsto poi “l’avviamento e perfezionamento allo sport attraverso l’uso gratuito di spazi all’interno dell’Università, compresi quelli da adibire a sportello informativo, che devono essere agevolmente accessibili alle persone con disabilità e la cui disponibilità sarà fornita dall’Ateneo ogni qualvolta verrà richiesta dal Cip e rilasciata compatibilmente con le disponibilità e svolgimento delle attività di studio e formative dell’Ateneo”.
Il protocollo, hanno spiegato i rappresentanti dell’Ateneo lucano, rappresenta “un ulteriore impegno dell’Unibas nella formazione degli studenti con orientamento all’attività sportiva delle persone con disabilità che afferiscono all’ateneo. È un impegno anche di terza missione dell’ateneo nel favorire iniziative e sostenere programmi e progetti condivisi, sia a livello regionale che provinciale, attraverso una rete di collaborazioni territoriali per la promozione sportiva specifica e adeguata alle capacità di ciascun studente”.
Per il Cip, “da sempre l’Unibas ha dimostrato grande attenzione ai propri studenti con disabilità, stimolando scambi e sinergie con lo scopo di migliorare la qualificazione del diritto allo studio per gli studenti con disabilità. Il Cip, che il suo compito istituzionale è quello di favorire la diffusione e la pratica dello sport tra le persone con disabilità dando impulso a progetti di promozione e avviamento alla pratica sportiva paralimpica sul territorio nazionale”.
di Pierluigi Lantieri
Angel City
È il nome della squadra di calcio femminile di Los Angeles che coinvolgerà attrici e nomi di spicco di Hollywood, come la regista e produttrice Natalie Portman che ha dichiarato “Il calcio è uno sport di squadra straordinario, che assicura la socializzazione nel gruppo. Nessuna vince da sola. Il successo di una giocatrice è il successo della squadra”. Tra le fondatrici del team i nomi più noti del calcio femminile americano.
Si chiameranno Angel City Fc e, guidate dalla presidentessa onoraria Natalie Portman, attrice premio Oscar 2011 per «Il cigno nero», dal 2022 faranno crescere la lega di calcio femminile americana (NWSL, National Women’s Soccer League) a undici squadre, dopo che le ragazze dell’Fc Louisville si uniranno dalla prossima stagione alle dieci franchigie esistenti. Operazione ambiziosa, sportiva e di marketing, affidata al potere d’attrazione di Portman e della finanziatrice Kara Nortman (settore tecnologia), che hanno coinvolto nell’impresa l’imprenditrice Julie Uhrman (media e video game), che sarà presidente operativa del consorzio.
Della partita anche le attrici Eva Longoria, America Ferrera, Jennifer Gardner e Uzo Aduba, a garanzia del fatto che gli Angeli, una volta sbarcati nel magico mondo della NWSL, non passeranno inosservati. «È ora che le ragazze abbiano eroine e modelli di riferimento anche nell’enorme area di Los Angeles — ha spiegato Portman — Il team di Los Angeles avrà un enorme impatto nella nostra comunità». Nel gruppo delle fondatrici compaiono anche i nomi più clamorosi della storia recente del calcio americano donne, capace con la Nazionale Usa di conquistare quattro titoli mondiali sulle otto edizioni disputate dal 1991 all’anno scorso, quando Rapinoe & Co. trionfarono in Francia nell’estate dell’entusiasmante cavalcata fino ai quarti dell’Italia di Milena Bertolini.
Ed ecco, nella sfilata di cognomi che pare un album di figurine, Mia Hamm, Julie Foudy e Abby Wambach, celebre per essere corsa a baciare la moglie dell’epoca (Sarah Huffman) sugli spalti dopo un gol al Giappone nella finale 2015. Racconta Portman di essersi appassionata al calcio femminile per esperienza diretta: «Sono andata a vedere una partita della Nazionale Usa prima del Mondiale 2019 e me ne sono innamorata. È stata una rivoluzione sentire i miei figli chiedermi di indossare la maglia di Rapinoe e di Alex Morgan. Con noi c’era Becca Roux, direttore esecutivo dell’Associazione delle calciatrici americane e con lei ho cominciato a parlare di business».
Urban Award
Al via la quarta edizione del premio per la mobilità sostenibile, ideato da Viagginbici.com e organizzato con l’Anci, che mette in gara tutti i Comuni italiani per valorizzare le pratiche più virtuose sul tema. Il premio valuta anche le attività di comunicazione attuate dai Comuni con eventi volti a promuovere la mobilità integrata.
La pandemia, il lockdown e il conseguente distanziamento sociale hanno avuto un forte impatto sulla mobilità, che oggi più che mai deve essere ripensata e ripianificata. Una linea che da anni viene sostenuta da Urban Award, giunto quest’anno alla quarta edizione. Ideato da Ludovica Casellati, direttrice di Viagginbici.com e organizzato con Anci, Urban Award ha l’obiettivo di premiare i Comuni virtuosi e incentivare le amministrazioni a investire nel futuro, sostenendo i progetti legati alla bicicletta e alla mobilità sostenibile.
Le acque limpide di Venezia, le anatre che passeggiano con i loro piccoli nelle principali vie delle metropoli, il cielo limpido e libero dallo smog della Pianura Padana. Secondo uno studio pubblicato a maggio sulla rivista Nature le emissioni di gas serra nell’atmosfera sono diminuite nel mese di aprile, quando buona parte del mondo era in lockdown, del 17%. Una diminuzione particolarmente sensibile, meno 36%, si è notata nell’uso dei mezzi di trasporto su gomma, quindi nelle automobili, dato che i mezzi pesanti hanno continuato a muoversi. È decisamente improbabile che questo effetto continui anche nei prossimi mesi, anzi se nei mesi di chiusura si è notata una drastica diminuzione dell’inquinamento, la riapertura ha visto e vedrà sempre di più aumentare il numero di auto sulle strade.
La necessità di distanziamento riduce la possibilità di utilizzo dei mezzi pubblici e di conseguenza per spostarsi le persone inevitabilmente utilizzeranno l’auto, anche più di prima. Negli ultimi anni i Comuni hanno iniziato a investire in mobilità dolce. Urban Award intende far conoscere le soluzioni che le amministrazioni stanno programmando o realizzando per consentire ai cittadini e ai turisti di incrementare l’utilizzo di biciclette e trasporti integrati per i propri spostamenti. Il tutto per favorire la mobilità sostenibile in grado di diminuire l’impatto ambientale generato dai veicoli privati.
Il Premio prenderà in considerazione i progetti appena approvati o in essere dalle amministrazioni pubbliche. Verranno prese in considerazione anche le attività di comunicazione e sensibilizzazione attuate dai Comuni attraverso eventi e iniziative volte a promuovere l’uso della mobilità integrata, come bici e mezzi pubblici oppure incentivazione all’utilizzo della mobilità dolce anche integrata con il trasporto pubblico locale per una riduzione dell’uso dell’auto privata. Il regolamento verrà pubblicato nel sito di Anci, dove si troverà anche l’application form da utilizzare per inviare la domanda di partecipazione. La candidatura dovrà essere presentata dal sindaco o da un suo delegato entro il 15 ottobre 2020 all’indirizzo
urban@viagginbici.com. La domanda di partecipazione dovrà contenere una descrizione del
progetto supportata da materiale fotografico o video, che consenta alla giuria di valutare l’effettivo beneficio che deriva alla città e ai cittadini dal progetto presentato.
“Giovinette. Le calciatrici che sfidarono il duce”
È il libro della giornalista Federica Seneghini, che racconta la storia di trenta ragazze tra i 15 e i 20 anni che nel 1933 fondarono la prima squadra di calcio femminile in Italia, contro il sessismo dell’epoca fascista. Gonne e maniche lunghe per dare calci al pallone e partite a porte chiuse: un’avventura di breve durata che merita di essere scoperta.
Una storia che rischiava di tramontare, persa negli almanacchi del calcio e della politica italiana, sepolta in quel ventennio fatto di restrizioni, regole e apparenze. E ora è tornata alla luce grazie al lavoro della giornalista del Corriere della Sera Federica Seneghini che in forma di romanzo la racconta nel libro Giovinette, le calciatrici che sfidarono il duce edito Solferino. Grazie a una minuziosa indagine storica, interviste ai parenti di quelle giocatrici e la consultazione di documenti e archivi si ripercorre il coraggio e l’intraprendenza di Rosetta, Giovanna, Lucchi e le altre durante decenni di discriminazione femminile.
«Tutto doveva essere fatto con moderazione, perché eravamo donne, si intende. E il regime aveva più volte detto che lo sport femminile doveva essere proprio così: moderato». E allora guai a scendere in campo con i pantaloncini: gonne e maniche lunghe per dare i calci al pallone. E una corsa lenta, moderata. Perché sia mai che le futuri madri d’Italia incorrano in infortuni o compromettano i loro organi riproduttivi. A dare il via a questo esperimento di “apertura” in un clima in cui anche i più autorevoli giornali sportivi guardavano con diffidenza al “giuoco del calcio” praticato da donne era stato Leandro Arpinati, il gerarca bolognese dello sport italiano. A capo del Coni e della Figc, Arpinati – appassionato di sport a tutto campo – aveva già aperto le porte alla pallacanestro femminile e ora aveva concesso l’autorizzazione alle “giovinette”. Ma, a patto che le ragazze giocassero a porte chiuse.
Il resto l’avevano fatto loro con la loro intraprendenza – moderata s’intende – e con il passaparola. Dimenticate dai giornali sportivi che se pur aperti avevano definito la diffusione del calcio femminile «non opportuna», le ragazze rilasciano interviste, diffondono comunicati stampa e in poco tempo diventano un caso milanese e nazionale. C’è Rosetta, con i suoi sedici anni e nell’animo il sacro fuoco del calcio. Giovanna, per cui l’avventura della squadra è anche un gesto politico. Marta, saggia e posata ma determinata a combattere per la libertà di giocare. E poi la coraggiosa Zanetti che dà il calcio d’inizio, la stratega Strigaro che scrive ai giornali, la caparbia Lucchi che stenta a vincere l’opposizione paterna. L’11 giugno del 1933 le giovinette riescono a giocare la prima e unica partita di calcio femminile d’Italia. Il loro sogno si scontra con la visione di Achille Storace, successore di Arpinati e fedelissimo del regime che a donne che scorrazzano per campi da calcio preferisce madri dedite a costruire le future generazioni di patrioti.
La squadra viene chiusa e l’impresa di Rosetta e le altre si perde nei campetti di periferie e nella tumultuosa storia italiana che ne seguì. Ma quelli sono anche gli anni di Ondina Valla, la prima donna italiana a vincere un oro olimpico negli 80 metri ostacoli. Erano i giochi di Hitler, quelli di Berlino del 1936. E i gerarchi, i maschilisti, non possono più negare che lo sport femminile esista e abbia un futuro. E proprio a Valla è dedicata una via del comune di Milano. Non sarebbe bello – chiede la giornalista Seneghini che ha ricostruito la vicenda – «che Milano, 90 anni dopo, le ricordasse intitolando loro una strada o un campo sportivo?». In occasione dei mondiali dello scorso anno, il calcio femminile è tornato a far parlare di sé portandosi dietro – 86 anni dopo – ancora le stesse anacronistiche obiezioni. Perché, come ha detto Marco Giani, ricercatore, membro della Società Italiana di Storia dello Sport e autore del saggio che fa da appendice al libro: «In un Paese sessista come l’Italia, il football rimane una questione di genere».
Agonismo come terapia
A Tirrenia, il campione paralimpico Daniele Cassioli organizza un campo estivo con 31 bambini ciechi e ipovedenti provenienti da tutta Italia. Il servizio di Elena Fiorani.
Nuoto, karate e sci nautico sono le passioni di Daniele Cassioli, atleta paralimpico, cieco dalla nascita, detentore dei record del mondo di ogni specialità dello sci nautico. Da domani al 30 luglio sarà a Tirrenia per un campo estivo dedicato ai piccoli non vedenti che vogliono cimentarsi in un’avventura sulle onde. Bambini e ragazzi, dai 5 ai 15 anni, che potranno vivere giornate intense, scandite da attività motorie e in acqua, giochi ed esercizi per stimolarli non solo dal punto di vista motorio ma anche sociale.
L’offerta sportiva è ampia: attività motoria di base, sci nautico, atletica, calcio, pattinaggio a rotelle, scherma, arrampicata. Secondo Cassioli l’apporto terapeutico dello sport ai bambini è molto poco trattato, lasciato alla buona volontà delle famiglie, spesso non adeguatamente informate. Questo passaggio, invece, dovrebbe essere automatico e promosso il più possibile
“Borse sport”
L’UsAcli di Bologna scende in campo contro la povertà educativa. Ad un anno dalla nascita le Borse sport hanno aiutato 50 famiglie in difficoltà a far praticare uno sport ai propri figli, anticipando la misura dei voucher sportivi, introdotta dalla Regione Emilia-Romagna. L’idea è nata dalla consapevolezza che di fronte alle difficoltà economiche, la prima rinuncia era quella della pratica sportiva.
Lo ricorda Filippo Diaco, membro di presidenza dell’Unione Sportiva Acli nazionale e presidente provinciale delle Acli di Bologna, nel corso di una conferenza stampa sull’iniziativa. “In questo anno, le Acli hanno permesso a quasi 50 famiglie di far praticare uno sport ai propri figli, gratuitamente”. Il presidente ha spiegato la genesi dell’idea. “L’idea ci è venuta perché, incontrando i cittadini nei nostri uffici di Caf e Patronato, ma anche dialogando con le famiglie i cui figli frequentano le attività di doposcuola e centri estivi delle Acli, regolarmente ci veniva detto che, di fronte alle difficoltà economiche, la prima rinuncia era quella della pratica sportiva”.
A oggi hanno aderito al progetto, oltre alla Reno Rugby, anche due società sportive che si occupano di calcio, la Idea Calcio 2000 e la Libertas Ghepard Calcio 1974. “Il progetto proseguirà, ampliandosi con l’adesione di nuove società sportive – continua Diaco –, dal momento che non si sovrappone ai benefit previsti dalla Regione. Gli inserimenti dei ragazzi avvengono sia su segnalazione dei servizi sociali dei Quartieri, sia attraverso una rete informale di associazioni e parrocchie”. Lo scopo indicato “non è soltanto quello di contrastare le conseguenze della fragilità economica delle famiglie, ma, in primo luogo, quelle della cosiddetta ‘povertà educativa’ ”. “Vogliamo sostenere le famiglie nel loro difficile compito educativo, soprattutto in questo momento”.
Muoviamoci a MoDo
Al via a Torino una campagna di comunicazione dell’amministrazione per promuovere nuove abitudini legate alla mobilità dolce. Si chiama MoDo e invita a scegliere modalità di trasporto alternative e sostenibili: in città, intanto, sono state adottate soluzioni che permettono una convivenza più sicura ed efficiente a ciclisti e automobilisti. Protagonisti dello spot gli Eugenio in Via Di Gioia.
Dopo il lockdown le città hanno dovuto vivere grandi trasformazioni che hanno impattato sulla vita di tutti noi: il timore del virus e le disposizioni messe in campo per prevenirne la diffusione hanno contribuito, tra l’altro, a modificare il modo con cui utilizziamo spazi e servizi pubblici. Uno dei cambiamenti più rapidi e visibili è stato quello legato alla mobilità. Il rischio che la paura del contagio spingesse i torinesi a utilizzare quasi esclusivamente l’auto privata per i loro spostamenti era concreto, causando congestionamenti del traffico e disagi.
Anche grazie alle novità introdotte nel Codice della strada dal Decreto Rilancio del Governo, in città è stato possibile adottare nuove soluzioni che permettono una convivenza più sicura ed efficiente a ciclisti e automobilisti. Su 27 controviali la velocità è stata limitata a 20 km/h e in prossimità degli incroci semaforici sono state realizzate le ‘case’, aree presenti già in molte città del mondo, che consentono ai ciclisti di sostare davanti alle auto in attesa che scatti il verde, permettendo così una maggiore sicurezza nelle svolte e nelle ripartenze.
Novità importanti nella viabilità che – come tutte le innovazioni – hanno bisogno di essere spiegate e raccontate ai cittadini, per conoscerne utilizzo e opportunità. Urban Lab, che ha tra le sue finalità quella di raccontare ai cittadini la città che cambia, in questo momento delicato di trasformazioni urbane – non solo fisiche ma anche comportamentali – ha voluto provare a farlo attraverso l’iniziativa MODO – Mobilità Dolce a Torino, con una campagna di affissioni, un video e uno spot radio.
Lo spot video, realizzato per Urban Lab da aurora Meccanica, ricrea volutamente il contrasto tra un documentario “serio” sulla mobilità dolce e la voce fuori campo degli Eugenio in Via Di Gioia, gruppo musicale che, reduce dall’ultimo festival di Sanremo, sta riscuotendo sempre maggiore interesse tra il pubblico e la critica. Hanno realizzato un crowdfunding con i fan per piantare una foresta, il loro ultimo disco “Natura Viva” tratta le tematiche della relazione tra Uomo e Natura, sono una voce fresca, attenta alla sostenibilità e alle buone pratiche che invita a riflettere in modo spesso ironico, ma ricco di contenuto.
A canestro per i diritti
Alla ripresa del campionato, Marco Belinelli, cestista italiano impegnato negli Stati Uniti con i San Antonio Spurs, avrà sulla maglia la scritta “uguaglianza” al posto del nome. La decisione rientra nell’ambito di una iniziativa della NBA contro il razzismo. I giocatori internazionali potranno esprimere la parola o la frase anche nella lingua madre.
Come la maggior parte dei campionati professionistici, anche il campionato statunitense di pallacanestro è in procinto di riprendere. La data ufficiale è fissata per il 30 luglio, saranno disputate ad Orlando (Florida) 8 partite di stagione regolare più i playoff. L’eventuale ultima partita sarà disputata a metà settembre, e già ad inizio dicembre comincerà la prossima stagione cestistica. Tra un allenamento e l’altro la NBA ha affrontato e cercato di dare il proprio supporto alla questione, purtroppo strettamente attuale nel paese, del razzismo.
In sostanza la direzione centrale della NBA ha consentito ai propri giocatori di inserire, sulla maglia da gioco, una parola al posto del cognome. Marco Belinelli ha scelto la parola “uguaglianza”: “Ho scelto di utilizzare la parola uguaglianza. Perché siamo tutti uguali. La NBA ci ha consentito di utilizzare la lingua che preferivamo. Sono italiano e sono sempre stato orgoglioso di esserlo. Le immagini che abbiamo visto in TV, con quell’uomo ammazzato, fanno rabbrividire”. Ovviamente la notizia è stata ripresa, con ampio spazio, in tutti i principali quotidiani italiani e si tratta dell’ennesimo atto importante di Marco verso i problemi della comunità, senza dimenticare la cospicua donazione fatta, coinvolgendo il Sindacato dei giocatori NBA, in favore dell’Ospedale Maggiore di Bologna.