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Il korfball e la parità di genere: storia, regole e curiosità dello sport che punta alle Olimpiadi


Tutti in campo con il korfball

È uno sport olandese simile al basket, noto soprattutto per la sua parità di genere. Infatti, in questo gioco, da sempre le squadre sono miste. La disciplina ha più di un secolo e si stima che sia praticato nel mondo da circa un milione di persone.

Negli ultimi anni stanno aumentando le competizioni sportive miste, in cui maschi e femmine gareggiano insieme. Succede perlopiù in gare a staffetta, verso le quali il Comitato Olimpico Internazionale si sta mostrando sempre più interessato, ma in cui di fatto i maschi gareggiano con i maschi e le femmine con le femmine. Ma ci sono anche casi in cui maschi e femmine gareggiano davvero insieme: per esempio nella vela, nel nuoto artistico, nel pattinaggio di figura o nel doppio misto del tennis.

È invece molto raro che maschi e femmine gareggino insieme in uno sport di squadra, una cosa che succede quasi solo nel korfball, una disciplina olandese che ha più di un secolo, pensata appositamente per squadre miste e di recente presentata dal New York Times come «uno degli sport meno conosciuti al mondo, ma anche fra i più progressisti».

Il korfball fu inventato nel 1902 da Nico Broekhuysen, un insegnante di Amsterdam alla ricerca di un gioco di squadra in cui alunni e alunne potessero competere insieme. Broekhuysen prese in parte ispirazione dal netball, una variante del basket pensata per essere meno fisica e meno di contatto rispetto alla pallacanestro tradizionale, e in parte da un gioco svedese con un grande anello messo sopra a un palo alto tre metri, anch’esso pensato perché maschi e femmine ci potessero giocare insieme.

Per il korfball (da “korf”, che in olandese vuol dire “cestino”) Broekhuysen sostituì anzitutto il grande anello con qualcosa di più simile a un canestro (cosa che rendeva più facile capire quando si faceva punto) e più in generale elaborò una versione semplificata dei giochi a cui si era ispirato, così da rendere il suo sport adatto anche ai bambini.

Nei Paesi Bassi e in Belgio il korfball ebbe subito buona diffusione: fu sport dimostrativo, con due sole squadre olandesi partecipanti, alle Olimpiadi del 1920 di Anversa, in Belgio, e otto anni dopo fu riproposto, sempre con squadre miste e di nuovo come sport dimostrativo e non ufficiale, anche ai Giochi di Amsterdam.

Si stima che il korfball, di cui esistono una settantina di federazioni nazionali, sia praticato nel mondo da circa un milione di persone, la maggior parte delle quali tra Belgio e Paesi Bassi, dove certi atleti arrivano anche a guadagnare oltre tremila euro al mese.

Si può praticare sia al chiuso che all’aperto (ne esiste anche una versione da spiaggia) e nella sua forma standard si gioca su campi rettangolari lunghi 40 metri e larghi 20. Si gioca in otto contro otto, con quattro giocatrici e quattro giocatori per squadra, e l’obiettivo è lanciare la palla nei due canestri, che stanno in cima a un palo, senza tabellone e a tre metri e mezzo d’altezza (quasi mezzo metro più in alto rispetto a quelli del basket). Nel korfball contemporaneo i canestri sono dei cilindri di plastica. La palla è simile a una da calcio o da pallavolo, più che a una da basket.

I punti nel korfball si chiamano gol e non esiste il tiro da tre né tantomeno da due: ogni gol vale sempre un punto. Un’altra differenza rispetto al basket è che i canestri non sono alla fine del campo ma più o meno a due terzi: si può quindi fare gol anche da dietro.

Il gioco prevede momenti ben codificati di attacco e di difesa, non si possono fare palleggi e chi ha la palla non può fare passi né dribblare: è insomma uno sport in cui l’obiettivo è smarcarsi per poi tirare con precisione, uno sport che — come scrive la Federazione italiana korfball, fondata nel 2003 — presuppone «un contatto fisico contenuto» e richiede «ampia destrezza e gioco di squadra».

Nel korfball, ha scritto il New York Times, non sempre è facile trovare un equilibro tra giocatori e giocatrici e c’è inoltre chi lo ritiene comunque problematico, a livello di parità di genere, perché le dinamiche di gioco portano le femmine a marcare le femmine e i maschi a marcare i maschi. Allo stesso tempo, tuttavia, c’è chi ritiene che in questo modo lo sport raggiunga un giusto equilibrio. Il New York Times racconta inoltre come il korfball si stia evolvendo: un tempo i maschi si dedicavano soprattutto a fare punti e le femmine a fare assist, mentre ora i ruoli si stanno evolvendo e integrando sempre di più.

Così come molti altri sport minori e di nicchia, anche il korfball ha come obiettivo le Olimpiadi: dalla sua, rispetto a molti altri pretendenti, ha l’assoluta parità di genere. A suo sfavore gioca il fatto che continua a essere piuttosto seguito nei Paesi Bassi, dove certe partite arrivano ad avere alcune migliaia di spettatori, ma pochissimo altrove.

Dagli anni Ottanta è anche uno degli sport dei World Games, una manifestazione multisportiva e internazionale di discipline non olimpiche. Ogni quattro anni ci sono poi i Mondiali, la cui prossima edizione sarà nell’ottobre di quest’anno a Taiwan.

In bici contro l’inquinamento: la missione di “2 Italians Across the Us”


In bici contro l’inquinamento

Tremila km tra deserto e freddo: Pietro Franzese ed Emiliano Fava sono impegnati in «2 Italians Across the Us» per raccogliere fondi a favore dell’ambiente, attraverso un viaggio coast to coast da una parte all’altra degli State.

I dati parlano chiaro: l’Italia è il secondo paese consumatore di plastica in Europa. Ed è seconda all’Egitto per dispersione di plastica nel Mediterraneo. Intanto, ogni cittadino americano produce ogni anno 130 chili di rifiuti di plastica. Ora, i casi sono due: per sensibilizzare le persone su questa storia di inquinamento da plastica, o si va in Egitto o si sceglie di andare negli Usa. Pietro Franzese ed Emiliano Fava hanno scelto la seconda strada; andandosene negli Usa per realizzare «2 Italians Across the Us»: in bicicletta per 6mila chilometri, da una parte all’altra degli States. Da San Francisco (sono partiti lo scorso 19 gennaio all’ombra del Golden Gate) a Miami. Un viaggio nel nome della sensibilizzazione sull’impatto ambientale dell’inquinamento da plastica, raccogliendo fondi (su GoFundMe, finora sono stati raccolti 1.200 euro) a favore dell’associazione «Plastic free».

Ciclisti social
Dove sono arrivati in queste ore i due ciclisti ambientalisti? Sono a metà dell’opera, dopo aver percorso più di 3000 chilometri e con una tabella di marcia niente male: da 100 chilometri al giorno. Ma per sapere che cosa è accaduto in tutto questo tempo sarà meglio farselo raccontare dagli stessi protagonisti – del resto, oltre che ciclisti, il bresciano, ma salentino d’adozione Fava e il milanese Franzese sono degli abilissimi documentaristi social – i quali si trovano in queste ore in quel di Houston, nel Texas. «Nei primi dieci giorni abbiamo affrontato molto dislivello, poi il percorso è diventato più pianeggiante e di nuovo molti sali e scendi impegnativi tra El Paso, che supera i 1000 metri di altitudine, e Houston – raccontano -. Abbiamo percorso circa 3200 chilometri, con tappe di un centinaio al giorno, valutando condizioni di vento e strade».

“Il prezzo da pagare”: lo sport come strumento di emancipazione nel libro di Stefano Tamburini


Il prezzo da pagare

E’ il titolo del libro di Stefano Tamburini, con prefazione di Rosy Bindi. Il servizio di Elena Fiorani

Trenta ritratti di uomini e donne ribelli, dall’inizio del Novecento fino ad oggi, che hanno scelto lo sport come strumento di emancipazione e rivendicazione. Ogni tanto infatti, lo sport accelera, va più veloce della società annunciando importanti trasformazioni in arrivo. Ce lo ricordano nomi come Tommie Smith e John Carlos, con i loro pugni chiusi in alto nel guanto nero o, più recentemente, Asra Panahi, sedicenne nuotatrice iraniana che rifiuta di cantare un coro in onore dell’ayatollah e viene picchiata dalla «polizia morale». Il sottotitolo del libro, quando lo sport diventa lotta per i diritti umani e civili, illustra l’intento di recuperare queste vite esemplari per passarle alle prossime generazioni, e sostenere l’impegno di tutti per la difesa di diritti che sono stati conquistati con lotte impervie.

Sport, ambiente e educazione civica: presentato a Urbino il progetto “Pedaliamo in sicurezza”


“Pedaliamo in sicurezza”

Presentato il progetto che ad aprile e maggio coinvolgerà nove istituti scolastici e circa 400 bimbe e bimbi. In quattro comuni della provincia di Pesaro Urbino operatori sportivi affronteranno, attraverso il gioco, temi come l’educazione stradale, il rispetto per l’ambiente e la conoscenza e uso delle bici.

La scuola ciclismo Uisp Pedalo Sicuro ha sviluppato il progetto “Pedaliamo in sicurezza”: l’affiliata Uisp Pesaro Urbino ha coinvolto nove plessi scolastici con 400 alunni, nei comuni di Urbino, Petriano, Sassocorvaro Auditore e Montecalvo in Foglia. “Da 10 anni formiamo tecnici e organizziamo corsi di guida sicura per adulti, così abbiamo deciso di portare tali attività anche a scuola – ha spiegato Piergiorgio Guelpa, di Pedalo Sicuro, alla presentazione del progetto – Il programma si articolerà in quattro moduli, con attività sia in aula, sia fuori. Tratteremo di educazione stradale, rispetto per l’ambiente e conoscenza e uso delle bici, che spiegheremo attraverso il gioco. Al termine, consegneremo un attestato di partecipazione e un kit. Accanto ai nostri, saranno coinvolti altri trenta tecnici di ciclismo e agenti della polizia locale associata”.

Secondo Simone Ricciatti, presidente Uisp Marche, è “un progetto completo, che comprende ambiente, educazione civica, sport e divertimento e si connette alle nostre dinamiche. Da una ricerca fatta nel 2022 con Svimez, sono emersi dati drammatici su sedentarietà e obesità giovanile, quindi l’opportunità cade bene. E poi si tratta di coscienza ambientale, che si lega agli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu da noi perseguiti”.

Gli incontri si svolgeranno tra aprile e maggio e “tutte le attività saranno basate sul gioco educativo – spiega Piergiorgio Guelpa, responsabile Ciclismo Uisp Pesaro Urbino – con l’obiettivo di dare maggiore consapevolezza ai partecipanti e far conoscere loro le scuole di ciclismo dove praticare il nostro sport. Sono stati coinvolti diversi partner disposti a supportare il progetto, che prevede l’acquisto di alcune bici, del materiale necessario alla costruzione dei percorsi con giochi di abilità e dei kit contenenti l’attestato di partecipazione, la t-shirt e omaggi che verranno consegnati ai ragazzi e alle ragazze al termine dell’attività formativa”.

Saranno coinvolti nelle attività anche gli agenti di polizia locale, che illustreranno ai giovani ciclisti alcune norme del codice della strada, che poi gli istruttori faranno mettere in pratica fuori dall’aula. Alla presentazione del progetto hanno preso parte anche rappresentanti delle amministrazioni comunali: “Progetti del genere gratificano – afferma la vicesindaco di Urbino, Marianna Vetri – Ringrazio i sindaci, perché si sta muovendo qualcosa e le iniziative che passano per lo sport e per la valorizzazione del territorio vissuto in sicurezza tramite esso sono importanti. Grazie anche alle scuole, a Uisp, alla polizia locale associata e a tutti i sostenitori del progetto”.

Sport e riscatto sociale: da oggi su Rai Gulp “La storia di Tamina”, tredicenne afghana fuggita dai talebani


“Crush – La storia di Tamina”

Da oggi su Rai Gulp è disponibile la fiction sulla tredicenne afghana fuggita dal suo paese dopo il ritorno al potere dei talebani. Una vicenda di riscatto sociale e personale che comunica con il linguaggio dello sport più amato, il calcio.

Lo sport come strumento di integrazione e crescita personale è il tema al centro della serie “Crush – La storia di Tamina” che racconta la vicenda di riscatto sociale e personale di una ragazza afghana fuggita con la famiglia dal suo paese e rifugiatasi in Italia al momento del ritorno al potere dei talebani. In 8 episodi da 25 minuti e attraverso il linguaggio tipico delle serie kids & teen, la serie prodotta da Stand By Me in collaborazione con Rai Kids pone al centro della narrazione un personaggio femminile come quello di Tamina (Ludovica Porreca), una ragazza afghana di 13 anni con la passione per il calcio, che ha dovuto lasciare improvvisamente il suo Paese, la sua vita e la sua amica del cuore per ritrovarsi in un mondo lontano e diverso. Grazie allo sport, alle nuove amicizie e alla nuova scuola, Tamina avrà modo di rivendicare quei diritti che in Afghanistan le erano stati vietati e, allo stesso tempo, si troverà a fare i conti con un’altra cultura, sperimentando un modo di relazionarsi con gli altri – in particolare con i ragazzi – diverso da quello a cui era abituata.

Non solo: Tamina deve affrontare le prepotenze di un gruppo di bulli capeggiato da Frank (Manfredi Orfei Nones), che non vuole farla entrare nella squadra di calcio della scuola. Con la stessa tenacia e determinazione del suo idolo Farkhunda Muhtaj, capitana della nazionale di calcio femminile afghana di cui ha un poster nella sua cameretta, Tamina non si arrende e dopo inciampi, peripezie e ostacoli, riesce a formare una squadra mista di calcio, i “Golden Eagles”, composta dagli “esclusi” della scuola, ragazzi come lei che in un modo o nell’altro sono stati sradicati dalle proprie origini o che per qualche motivo non si sono mai sentiti accettati fino in fondo e sono alla ricerca del proprio posto nel mondo. In questo percorso Tamina scopre anche l’amore, quello per il suo compagno di scuola Roberto (Alessandro Giovanni Cartenì), e stringe nuove amicizie, come quella con Elena (Federica Pala), Marie Jeanne (Nathalie Gabrieli), Jacopo (Filippo Romano), Giorgia (Eleonora Simonelli) e Sabrina (Lucilla Caliciotti).

“Crush – La Storia di Tamina” fa parte della collana “Crush”, ideata da Simona Ercolani, che riflette sui cambiamenti profondi provocati nei preadolescenti dalla prima cotta, una vera tempesta emotiva e un’altalena di emozioni con cui si trovano a fare i conti mentre cercano di affermare la propria identità e conoscere sé stessi. La serie, già in anteprima su RaiPlay, andrà in onda anche su Rai Gulp da mercoledì 1 marzo tutti i giorni alle ore 14.10 e 19.10.

Sport senza barriere: Figc e Special Olympics Italia firmano protocollo d’intesa


Senza barriere

La pratica sportiva come moltiplicatore di opportunità, il calcio come strumento privilegiato per garantire diritti e favorire l’inclusione delle persone con disabilità intellettive e relazionali: sono questi i punti focali del protocollo d’intesa firmato tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio e Special Olympics Italia.

Un accordo che consentirà a Figc e Special Olympics di concordare specifiche collaborazioni per organizzare eventi sportivi e promozionali, con l’intento di condividere le proprie esperienze e di allargare sempre più il raggio d’azione delle rispettive attività.

Si rende così ufficiale un rapporto di collaborazione ventennale, sbocciato il 20 novembre 2002 in occasione della partita amichevole Italia–Turchia, durante la quale la Nazionale Italiana di calcio, per la prima volta nella sua storia, scese in campo con una maglia, quella di Special Olympics, a sostegno di una campagna di promozione sociale legata all’attività per le persone con disabilità intellettiva. Una condivisione di valori che si è tradotta, costantemente negli anni, nel sostegno alle attività di Special Olympics (in particolare, con il patrocinio della “European Football Week”, evento europeo dedicato al Calcio Unificato) e proseguito sino a oggi nel comune intento di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del rispetto della diversità.
La Figc, prima Federazione al mondo ad istituire nel 2019 una specifica Divisione per concorrere, attraverso la pratica sportiva, a migliorare la vita delle persone con disabilità intellettive, implementerà questa collaborazione con la Divisione Calcio Paralimpico e Sperimentale (DCPS), presieduta da Franco Carraro, che oggi annovera 105 società e più di 2000 calciatori tesserati.

Un forte messaggio che evidenzia l’obiettivo di questa convenzione è arrivato dal Presidente della Figc Gabriele Gravina: “Siamo felici di aver finalmente istituzionalizzato il rapporto con Special Olympics, una realtà che si è sempre distinta nelle azioni concrete a favore dell’inclusione sociale attraverso lo sport. La Figc è impegnata in questo campo con convinzione e responsabilità, siamo un’istituzione aperta a collaborazioni sinergiche che travalicano l’ambito federale perché crediamo fortemente nella straordinaria multidimensionalità del calcio. Grazie alla DCPS ci siamo messi a servizio della collettività per favorire la pratica del calcio al maggior numero di persone possibile, vogliamo abbattere tutte le barriere che impediscono ad una ragazza o a un ragazzo di vivere la propria passione”.

Soddisfazione e obiettivi condivisi dal Presidente della Divisione Calcio Paralimpica e Sperimentale, Franco Carraro: “Il protocollo che abbiamo appena siglato è un ulteriore passo per lo sviluppo della strategia della FIGC-DCPS, e moltiplicherà le opportunità che vengono offerte agli atleti con disabilità. Siamo davvero contenti di poter lavorare con Special Olympics, sicuri di proseguire un percorso innovativo, che creerà nuove modalità per la pratica dello sport senza barriere”.

Il Presidente di Special Olympics Italia, Angelo Moratti, ha sottolineato: “Non molti anni fa le persone con disabilità intellettive venivano esonerate dalla pratica sportiva. Oggi queste stesse persone possono avere accesso a ogni disciplina, possono gareggiare in eventi nazionali e mondiali. Sono diventati Atleti, protagonisti e promotori di un cambiamento che va oltre lo sport. Crediamo che da collaborazioni virtuose come questa possano nascere iniziative di interesse collettivo che contribuiscono in maniera concreta alla crescita del Paese ed alla promozione di un sistema sociale più inclusivo”.

Il protocollo di intesa tra la Federazione Italiana Giuoco Calcio e Special Olympics Italia si colloca proprio in questa direzione: favorire e accrescere le opportunità, connesse alla pratica del calcio, per gli atleti con disabilità intellettiva. E, allo stesso tempo, promuovere anche il Calcio Unificato, attraverso il quale calciatori con e senza disabilità intellettiva giocano insieme nella stessa squadra, per favorire l’inclusione sociale e la crescita culturale in grado di abbattere le barriere ancora oggi fortemente esistenti, quali stereotipi e pregiudizi.

Piano per lo Sport Sociale: aperte le iscrizioni per i 4 Avvisi pubblici


Promuoviamo lo sport

Aperte sul sito di Sport e Salute, le piattaforme per le candidature agli Avvisi pubblici “Inclusione”, “Quartieri”, “Carceri” e “Parchi”. Il Piano per lo Sport Sociale, promosso insieme al Ministro per lo Sport e i Giovani e al Dipartimento dello Sport, mira ad abbattere le barriere di accesso all’attività sportiva.

Un piano da 595 progetti finanziabili e destinato a 12mila tra ASD/SSD, Enti del Terzo Settore di ambito sportivo e Comuni che, a partire da oggi, avranno un mese di tempo per candidare il proprio progetto al link https://www.sportesalute.eu/sportditutti.html. Al link https://www.sportesalute.eu/primo-piano/4281-sport-di-tutti-piano-per-lo-sport-sociale.html trovate l’illustrazione dei quattro progetti. I progetti sono quattro: Inclusione (2,4 milioni), Quartieri (3,7 milioni), Sport nei Parchi (3,3 milioni) e per la prima volta Carceri (3 milioni). Si stima che in totale saranno coinvolte 12 mila associazioni sportive e potenzialmente oltre un milione di cittadini.

Calcio e diritti umani, in Arabia Saudita i Mondiali per club: la denuncia di Amnesty


Sbagliando non si impara

“La Fifa sta ancora una volta abbandonando la propria politica sui diritti umani”. Lo ha detto Steve Cockburn di Amnesty International sulla scelta dell’Arabia Saudita come come sede della prossima Coppa del Mondo di calcio per club.

Il capo della giustizia economica e sociale di Amnesty International, Steve Cockburn, afferma che è stata presa “senza alcuna considerazione della libertà di espressione, discriminazione o diritti dei lavoratori”. E ancora: “La Fifa ha ancora una volta ignorato l’atroce situazione dei
diritti umani dell’Arabia Saudita -ha detto Cockburn-. La Fifa sta ancora una volta abbandonando la propria politica sui diritti umani ed è complice del palese ‘sport washing”. Cockburn ha affermato che le autorità dell’Arabia Saudita hanno recentemente “intensificato la loro brutale repressione della libertà di espressione” e ha sottolineato che 81 persone sono state giustiziate in un solo giorno lo scorso anno.

Amnesty nella nota ha anche puntualizzato come la Fifa non abbia ancora raggiunto un accordo su un fondo di compensazione per i lavoratori
migranti in Qatar.

Calcio in Brasile: entra in vigore la nuova normativa antirazzista


“No” al razzismo allo stadio

Entra in vigore oggi, data di inizio della Copa do Brasil, la nuova normativa prevista dalla federazione calcistica brasiliana: sarà la prima al mondo ad applicare penalizzazioni in classifica in caso di razzismo all’interno di uno stadio.

È una decisione storica. La nuova normativa entrerà in vigore dal prossimo 22 febbraio, data di inizio della Copa do Brasil. La nota ufficiale recita: “Si ritiene gravissima l’infrazione di carattere discriminatorio praticata da dirigenti, rappresentanti e professionisti delle Società, atleti, tecnici, componenti della Commissione tecnica, tifosi e squadre arbitrali”. Una piena assunzione di responsabilità del mondo del calcio brasiliano. Non più solo parole, ma fatti. E fatti che potrebbero incidere sulla classifica finale delle competizioni. Un passo coraggioso che finora nessun organismo del calcio, nel mondo, aveva avuto la forza di intraprendere.

Ma il Presidente della CBF, da sempre impegnato nella lotta contro ogni forma di razzismo, precisa anche che la norma non si esaurirà nella sanzione sportiva: “il resoconto della partita”, afferma Rogèrio Caboclo “sarà trasmesso anche al Pubblico Ministero e alla Polizia Civile affinché il processo non avvenga solo in ambito sportivo e i trasgressori siano puniti anche dalla legge”.
I fenomeni discriminatori sono frequenti nel mondo del calcio e nel mondo sportivo in generale. Il calcio in particolare assorbe e ripropone le contraddizioni della società all’interno degli stadi, spesso amplificandole per l’enorme impatto mediatico che genera. E non è un caso che le curve, specie in Italia, siano diventate anche terreno di proselitismo politico di frange razziste, fasciste e xenofobe.
L’ aggettivo “gravissima” applicato dalla federazione brasiliana all’ “infrazione di carattere discriminatorio” assume un particolare rilievo culturale. Il calcio non può tollerare zone franche all’interno dei propri impianti se non rinnegando se stesso e i suoi valori. Lo sport è terreno di inclusione, e più forte in ambito sportivo deve essere il richiamo ai valori fondanti.
Non basta più una fascia sul braccio dei capitani con l’impegno contro ogni razzismo. Non basta ad eliminare il problema. Accanto alle campagne di sensibilizzazione occorrono strumenti in grado di perseguire i razzisti mascherati da tifosi per riconsegnare gli stadi a chi vuole davvero godere la bellezza di una partita.
È un tema centrale, insieme a quello della sostenibilità economica del movimento. Se il calcio vuole avere un futuro ha bisogno di eliminare le sue tossine. E tra le più insidiose ci sono quelle del razzismo.