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Calcio e ambiente: agli Europei Under 21 la campagna “Cleaner Air, Better Game”


Calcio in campo per l’ambiente

La Nazionale Under 21 di calcio promuove la campagna UEFA “Cleaner Air, Better Game”, lanciata in occasione del Campionato Europeo di Georgia e Romania. Gli Azzurrini hanno posato per uno scatto volto a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della raccolta differenziata e sugli effetti dannosi dell’inquinamento atmosferico sulla salute pubblica.

La campagna ‘Cleaner Air, Better Game’ (aria più pulita, gioco più bello), che ha ricevuto anche il sostegno della Commissione Europea, svolge un ruolo fondamentale nel promuovere un’azione collettiva per monitorare e ridurre le emissioni di anidride carbonica durante il Campionato Europeo Under 21. Attraverso la campagna, la UEFA invia infatti un messaggio forte alla comunità calcistica e non solo, cioè che un futuro più pulito non solo è auspicabile, ma anche realizzabile con l’azione e l’impegno collettivo.

Per tutta la durata del torneo, la UEFA, insieme alle federazioni georgiana e rumena, continuerà a dare priorità ai principi ambientali, sociali e di governance nelle operazioni dell’evento, in linea con l’approccio strategico delineato per il torneo. In questi giorni gli organizzatori, oltre ad aver introdotto contenitori per il riciclaggio e per sensibilizzare alla raccolta differenziata, stanno conducendo un’analisi sulla mobilità degli spettatori, monitorando attentamente le emissioni di carbonio dell’evento e riducendo al minimo l’uso di generatori per le trasmissioni televisive.

Sport e diritti umani: il sondaggio Amnesty sull’organizzazione dei grandi eventi sportivi


Diritti ai Mondiali

Dal sondaggio commissionato da Amnesty International a YouGov, ed effettuato in 15 stati, emerge che il 53 per cento degli intervistati ritiene che i diritti umani debbano essere un elemento fondamentale nelle decisioni sull’organizzazione dei grandi eventi sportivi.

Dopo le polemiche seguite all’assegnazione dei mondiali di calcio del 2018 alla Russia e di quelli del 2022 al Qatar, la Fifa si è dotata per la prima volta di criteri relativi ai diritti umani nell’assegnazione della competizione del 2026 a Canada, Messico e Usa. Tali criteri dovrebbero essere usati anche per i mondiali del 2030, ma si teme che la Fifa possa annacquarli o ignorarli in tale occasione.

La Fifa già dal 2017 aveva una sua politica in materia di diritti umani ma non ha mai effettuato adeguate valutazioni dei rischi per i diritti umani nell’assegnazione dei successivi tornei. Ad esempio, la Coppa del mondo per club è stata assegnata a Cina, Emirati Arabi Uniti, Marocco e Arabia Saudita senza procedure trasparenti e senza aver consultato la società civile. Vi sono state massicce violazioni dei diritti umani anche nel cotesto del mondiali del 2022 in Qatar, nonostante nel 2020 la Fifa avesse sviluppato una “strategia di sostenibilità” che comprendeva anche impegni sui diritti umani: centinaia di migliaia di lavoratori sono ancora privi di risarcimenti per le sofferenze patite durante l’organizzazione e lo svolgimento del torneo.

Candidature congiunte per l’organizzazione dei mondiali di calcio del 2030 sono attese, rispettivamente, da Spagna, Portogallo, Marocco e Ucraina e da Argentina, Cile, Paraguay e Uruguay. L’Arabia Saudita sta preparando la candidatura per il 2030 o per il 2034, con Egitto e Grecia come possibili partner. La decisione finale è attesa al Congresso della Fifa del 2024.

Lo Statuto della Fifa (articolo 3) e la Politica sui diritti umani (articoli 7 e 10) richiedono che l’organo di governo mondiale del calcio “rispetti” e “cerchi di promuovere” i diritti umani, identifichi e affronti l’impatto negativo sui diritti umani delle sue attività e dialoghi costruttivamente con le autorità e altri attori rilevanti per tener fede a tali responsabilità.

Nella sua politica sui diritti umani, la Fifa s’impegna anche a rispettare i diritti umani secondo quanto prevedono i Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Questi ultimi affermano che tutte le imprese devono applicare la diligenza dovuta in relazione a tutti gli aspetti delle loro attività. Se gravi pericoli per i diritti umani non potranno o non saranno prevenuti, l’impresa dovrà prendere tutte le misure necessarie per far cessare il loro impatto.

Vincere l’indifferenza: a Berlino i Giochi Mondiali estivi per atleti con disabilità intellettive



Giochi molto speciali

Si stanno svolgendo a Berlino i Giochi Mondiali estivi per atleti con disabilità intellettive, per vincere l’indifferenza. Il servizio di Elena Fiorani.

7mila giovani partecipanti provenienti da 190 Paesi, hanno sfilato sul prato dove l’Italia del calcio si laureò campione del mondo nel 2006. Adesso sono 97 gli azzurri in gara per guadagnarsi un titolo nei 26 sport di questi Special Olympic estivi. Fino a domenica sport e tanta voglia di mettersi in gioco grazie ad un’opportunità unica per sviluppare autonomia e piena coscienza delle proprie capacità e potenzialità. Grandi eventi come questo servono a far conoscere una realtà in cerca di riscatto attraverso lo sport: donne e uomini, ragazze e ragazzi, messi nelle condizioni di scoprire la fiducia in sé stessi e la piena soddisfazione sul campo di gioco, per poi riversare questo ottimismo nella vita, uscendo da solitudine e chiusura.

Il Veneto sarà Regione Europea dello Sport nel 2024: “Buon esempio di sport per tutti”


Sport e benessere

ACES Europa, associazione non profit con sede a Bruxelles, che opera in sinergia con la Commissione Europea, ha scelto il Veneto per l’anno 2024, come “buon esempio di sport per tutti come strumento di salute, integrazione, educazione e rispetto”.

“Dear President, We have the honor to declare Veneto European Region of Sport 2024. Congratulations for the award because your region is really a good example of sport for all as an instrument of health, integration, education and respect which are the main goals of ACES Europe”. Si apre così la lettera che ufficializza la nomina del Veneto quale Regione Europea dello Sport 2024.

“Ne sono fermamente convinto: il Veneto è da sempre una grande palestra a cielo aperto. E da oggi può fregiarsi ufficialmente del titolo di Regione Europea dello Sport 2024 come mi ha comunicato il presidente di Aces Europe, Gian Francesco Lupattelli. Un traguardo rilevantissimo che consacra il binomio indissolubile Veneto-Sport e porta con sé un ulteriore visibilità per la nostra terra, con straordinarie ricadute sociali ed economiche ed eventi internazionali. Abbiamo creduto in questa candidatura, perché siamo una grande realtà già sottolineata anche dall’attribuzione dei Giochi Olimpici del 2026. Anche per la partita del 2024 il Veneto è pronto, come sempre, a dare il meglio di sé”.

Il riconoscimento è proposto da ACES Europe, associazione no profit con sede a Bruxelles, che opera in sinergia con la Commissione Europea e in qualità di Federazione delle associazioni delle capitali e città europee dello sport per la promozione di politiche sportive nel territorio.

“Siamo orgogliosi perché raggiungiamo questo obiettivo dopo aver superato un’accurata valutazione – sottolinea Zaia -. Sono stati compiuti sopralluoghi in tutto il territorio che hanno messo in luce, in tutte le province, realtà di eccellenza nelle più svariate discipline. Il Veneto, infatti, si è confermato una terra dalla grande vocazione sportiva e, grazie alla sua conformazione geografica, in grado di offrire un sistema territoriale e infrastrutturale che si presta a qualsiasi attività sportiva sia a livello agonistico sia amatoriale. Non a caso il 43,8 per cento della popolazione pratica sport. Una realtà che, secondo i dati che abbiamo presentato, è al secondo posto in Italia per numero di atleti con 481.517 tesserati pari al 10,4 per cento del totale e al terzo per quello di società: 5.435 società, pari all’8,7 per cento”.

“In questo frangente ringrazio tutti gli sportivi veneti che sono i veri artefici del traguardo – conclude il Presidente della Regione Veneto – e le associazioni che sono la fucina di una vera cultura sportiva. Insieme mi congratulo con tutti coloro che si sono adoperati a portare avanti la candidatura in un vero gioco di squadra. In particolare, ringrazio per il sostegno MSP Movimento Sportivo Popolare Italia, CONI Veneto, CIP Veneto, Sport e Salute, MIM Ufficio Scolastico regionale Veneto, Anci Veneto, insieme agli assessori allo Sport, Corazzari, alla Sanità, Lanzarin, e all’Istruzione, Donazzan, con i professionisti delle rispettive strutture regionali”.

Calcio e inclusione: i successi della Rinascita Refugees, la squadra composta da rifugiati e richiedenti asilo


Un pallone per rinascere

Rinascita Refugees, squadra di calcio salentina composta da rifugiati e richiedenti asilo, è arrivata dalla terza categoria alla promozione in tre anni. La formazione è nata per abbattere le barriere e favorire processi di socializzazione.

In tre anni hanno scalato posizioni su posizioni. Hanno vinto un campionato di calcio dietro l’altro. L’ultimo trionfo solo pochi giorni fa, con la vittoria dei play off contro la formazione del Cursi per 3 a 1 che gli è valsa la promozione dal campionato di prima categoria pugliese a quello di promozione. Un balzo inaspettato, fatto di vittorie su campi polverosi, sacrifici, sogni e storie. Come quelle dei calciatori che in tutti questi anni hanno indossato i colori della maglia della Rinascita Refugees di Carmiano, la squadra di calcio composta da rifugiati e richiedenti asilo ospiti dei progetti Sai – Sistema di Accoglienza ed Integrazione – gestiti dalla cooperativa Rinascita nel Salento. Arrivano da Gambia, Mali, Costa d’Avorio, Egitto, Marocco, Senegal, Camerun. «Idiomi, religioni, etnie differenti provenienti dai Paesi dell’Africa che in alcuni casi non vanno molto d’accordo ed anche questa ha rappresentato un’importante forma di socialità» spiega Vincenzo Nobile, direttore sportivo della formazione con sede legale a Copertino.

Il calcio, quindi, come tentativo di risposta al viaggio migratorio di tanti giovani che lasciano i loro Paesi d’origine e le loro famiglie per cercare un futuro lontano da guerre, violenze, persecuzioni. Un futuro che attraverso il lavoro riesca anche a sostenere i familiari, che in molti casi sono rimasti nella loro terra. E’ il caso di Moustapha Elhadji Cissé, notato mentre giocava con Rinascita Refugees dagli scout dell’Atalanta che lo hanno portato nella loro squadra della primavera. Un lungo cammino, quello di Cissé, che dal Gambia è arrivato in Italia per poi essere accolto nel progetto Sai e farsi notare già all’età di 16 anni per il suo talento calcistico. All’esordio in Serie A, avvenuto a marzo dello scorso anno, Cissé è anche andato in goal, coronando un sogno simile a quello di tanti giovani calciatori migranti che proprio nella formazione salentina si stanno facendo apprezzare. Talenti ancora grezzi, da potenziare, anche perché nei loro Paesi mancano scuole calcio come quelle presenti in Italia.

L’idea di dare vita ad una formazione composta da rifugiati e richiedenti asilo è nata «perché abbiamo pensato di offrire attraverso lo sport ed il calcio un percorso di inclusione sociale ai migranti accolti nei progetti» dice Nobile. «Siamo partiti con una squadra amatoriale che ha partecipato al campionato dell’Acsi, vincendo titolo nazionale e coppa Italia. Molti nostri giocatori si sono distinti durante quell’anno e così abbiamo deciso di fare un salto di qualità e di iscriverci nel campionato nazionale dilettanti partendo dalla terza categoria, dall’ultimo gradino».

Probabilmente, neanche loro si aspettavano un simile successo in così poco tempo. Perché la formazione allenata da Hassane Niang Baye, arrivato dal Senegal ed oggi mediatore culturale, «anno dopo anno ha inanellato tre promozioni nelle categorie superiori. E quest’anno, dopo aver vinto i play off, andiamo a giocare in promozione».

Il calcio, quindi, che diventa occasione di incontro, confronto, condivisione tra la formazione di rifugiati e le varie comunità in cui entrano in campo per giocare. «Vogliamo abbattere le barriere, far socializzare, far incontrare storie, promuovere i diritti e l’attenzione su queste tematiche, raccontare il mondo dell’immigrazione attraverso il calcio, contrastare le varie forme di razzismo che a volte capita di incontrare, perché è una questione ancora presente in alcuni territori» evidenzia Nobile.

Anche Messi nella rete dello sportwashing: 25 milioni dall’Arabia per promuovere il turismo


Complici

Prosegue il fenomeno dello sportwashing che chiama in causa anche il celebre calciatore argentino Lionel Messi che, secondo quanto riportato da Repubblica, guadagnerà 25 milioni dall’Arabia Saudita per diventare testimonial del turismo nel Paese, e al contempo tacere sulle gravi violazioni dei diritti umani in un paese che mira a ospitare i Mondiali del 2030.

C’è anche l’Arabia Saudita nel futuro di Lionel Messi. Ma questa volta il campo c’entra poco. Gli affari sono affari e secondo il New York Times la Pulce argentina, che ha scelto di lasciare l’Europa dopo la scadenza del contratto con il Paris Saint-Germain per sposare il progetto dell’Inter Miami, club della Mls, ha accettato di diventare testimonial del turismo in Arabia Saudita, ricevendo in cambio 25 milioni di euro. Gli basterà far visita al regno una volta l’anno, scrivere qualcosa sui social e soprattutto non aprire mai bocca sulla sistematica violazione dei diritti umani in un paese che mira a ospitare i Mondiali del 2030.

Come riporta Repubblica i giornalisti del quotidiano americano hanno visionato un documento, datato 1° gennaio 2021 e firmato da Leo e da suo fratello Rodrigo (il suo direttore commerciale), ma non dai funzionari sauditi. Si tratta probabilmente di una bozza, molto vicina però al contratto definitivo, visto che in seguito Messi ha agito in linea con quanto scritto su quei fogli. Nel dettaglio, il fenomeno argentino guadagnerà 2 milioni di dollari per una vacanza in Arabia l’anno della durata di cinque giorni o, in alternativa, per due vacanze annuali di tre giorni ciascuna (le spese di viaggio e l’alloggio a cinque stelle per un gruppo fino a venti persone sono a carico del governo saudita), altri 2 milioni per promuovere l’Arabia Saudita sui social media 10 volte l’anno, e non quando è in vacanza da quelle parti e ulteriori 2 milioni per partecipare a una campagna turistica annuale, tipo il video nel deserto girato nel novembre scorso.

Sport e scuola: il ciclo di webinar del Csi per operatori sportivi e insegnanti


Più sport a scuola

Parte oggi il webinar del Csi rivolto agli insegnanti della scuola primaria e agli operatori sportivi, dal titolo “Scienze motorie alla scuola primaria: una priorità”. Sono previsti cinque appuntamenti in cui verranno approfondite le funzioni psico-motorie, la programmazione operativa e le modalità didattiche per ampliare la partecipazione.

Alla scoperta del pickleball: semplice, accessibile a tutti, a metà tra tennis e padel


Sempre più inclusivi

A Trieste nasce il pickleball, uno sport accessibile a tutti. Il servizio di Elena Fiorani.

Esiste una terra di mezzo tra il tennis e il padel e si chiama pickleball, uno sport molto popolare negli Stati Uniti, ideato nel 1965 con lo scopo di intrattenere i bambini annoiati durante una vacanza, con delle attrezzature facili da reperire.

Oggi negli Usa coinvolge oltre 68 milioni di giocatori, perlopiù appartenenti alla Generazione Z, nati tra il 1997 e il 2015.

In Italia è arrivato grazie all’U.S. Acli che, proprio in questi giorni, sta svolgendo il 1° Campionato regionale di pickleball a Trieste. Si tratta di uno sport basico con poche regole, inclusivo e accessibile a tutti; combina elementi di tennis, padel, badminton e ping pong. Si può giocare in due o quattro, in un campo simile a quello del tennis, utilizzando una racchetta di legno e una palla perforata dal movimento leggero. Vince il giocatore o la squadra che ottiene per prima 11 punti sull’avversario.

L’Arabia Saudita continua a scommettere sullo sportwashing: la denuncia di Amnesty


Sportwashing

Amnesty International denuncia il crescente interesse dell’Arabia Saudita nello sport, spiegando che il Paese sta investendo somme di denaro colossali in eventi sportivi e di intrattenimento per ripulire la propria immagine e presentarsi come uno Stato ‘riformista’.

Quando si parla di alcuni Paesi (in questo caso l’Arabia Saudita) e di sport, a qualcuno può venire subito in mente il Newcastle United Football Club, acquistato nel 2021 dal PIF insieme a PCP Capital Partners e RB Sports & Media. Oppure si pensa al golf, con il recentissimo accordo tra PGA Tour, DP World Tour e PIF. O, magari, il pensiero va direttamente a diritti umani e sportwashing (l’uso dello sport da parte di organizzazioni o Stati per migliorare la propria immagine), più che altro per via di quella sigla, PIF, che sta per Public Investment Fund, lo strumento di investimento sovrano dell’Arabia Saudita.

Sembra che il Paese organizzatore della Diriyah Tennis Cup – esibizione dicembrina delle cui perplessità abbiamo già scritto – abbia intenzione di allargare i propri interessi nel mondo del tennis partendo dalle ATP Next Gen Finals, il master di fine anno riservato ai migliori under 21 del mondo che lo scorso novembre si è tenuto per l’ultima volta a Milano.
 
Se le accuse di sportwashing vengono prevedibilmente negate, tra coloro che vivono con preoccupazione questa commistione c’è Reina Wehbi, attivista di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa. In un’intervista esclusiva con Ubitennis.net, Reina Wehbi illustra i problemi legati a tali eventi in un Paese già esposto a critiche da parte non solo di Amnesty, ma anche di Human Rights Watch e dell’ONU.

“Stanno investendo somme di denaro colossali in eventi sportivi e di intrattenimento per ripulire la propria immagine e presentarsi come uno Stato ‘riformista’ e ‘ progressista’” spiega Reina. “Queste dispendiose strategie di relazioni pubbliche aiutano spostano l’attenzione dalle spaventose violazioni dei diritti umani. Gli organi di governo dello sport hanno la responsabilità di impegnarsi con la dovuta diligenza per identificare e ridurre l’impatto dei diritti umani collegato ai loro eventi”.

Riguardo alla citata Diriyah Tennis Cup, vale la pena notare che l’esibizione milionaria è stata co-organizzata da RB Group di proprietà di Peter-Michael Reichel, anche membro del Board della WTA come uno dei quattro rappresentanti dei tornei, del quale ricordiamo le recenti indiscrezioni sulle possibili modifiche del calendario. Tornando invece alle Next Gen Finals, sembra che si pensi di trasformale, a partire dal 2025, in un evento combined, quindi con un parallelo torneo WTA. Se dovessero davvero partecipare le tenniste, altre questioni si solleverebbero spontaneamente.

“Quanto riportato sui diritti umani in Arabia Saudita è ben lontano dai fasti e dal fascino che il Paese sta cercando di proiettare al mondo” continua Wehbi. “Difensori dei diritti umani, attivisti per i diritti delle donne, giornalisti indipendenti, scrittori e attivisti nel Paese sono stati arbitrariamente trattenuti in custodia per il loro lavoro e hanno dovuto subire processi lunghi e ingiusti. Salma al-Shehab dell’Università di Leeds e madre di due bambini è stata condannata a 27 anni di prigione per accuse legate al terrorismo dopo un processo incredibilmente ingiusto per aver pubblicato alcuni tweet a sostegno dei diritti delle donne”.

Di tutt’altro avviso la posizione del governo saudita, che sostiene di aver fatto grandi passi avanti nel migliorare i diritti dei propri cittadini. Nel 2018 le donne possono guidare e dal 2021 viene loro permesso di vivere in modo indipendente senza il permesso degli uomini preposti alla loro custodia.

“Mentre queste riforme hanno un impatto positivo sulle donne, le autorità non hanno abolito il sistema di sorveglianza maschile, al contrario codificandolo in una legge scritta che mina alla base queste modeste conquiste” dice ancora Reina.

Un altro aspetto che desta preoccupazione riguarda i diritti delle persone LGBT e, nella sezione FAQ del sito dell’Autorità Saudita del Turismo, alla domanda se i visitatori LGBT siano benvenuti, si legge che “tutti possono tranquillamente visitare l’Arabia Saudita e non viene chiesto di rivelare dettagli personali di questo tipo”.
“Se da un lato non ci sono pene codificate per le relazioni omosessuali, sono rigidamente proibite dalla Shari’a (la legge islamica). La comunità LGBT saudita si auto-censura, le persone LGBTQ non si identificano pubblicamente come tale e lo Stato non dedica loro alcun tipo di protezione” dice Reina.

“Amnesty International non chiede a giocatori o cantanti di boicottare un evento” chiarisce Wehbi. “Tuttavia, chiediamo loro di non lasciare che l’Arabia Saudita usi la loro presenza nel Paese come uno stratagemma per le pubbliche relazioni. Facciamo un appello perché non rimangano in silenzio e usino la loro influenza e la loro fama per parlare apertamente delle vittime delle violazioni dei diritti umani ed esortino al rispetto e alla salvaguardia dei diritti umani ovunque si trovino” conclude Reina.