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Scacchi, la mossa della Fsi: giovani ucraini in gara ai campionati italiani


Scacco matto: la Federazione Scacchistica Italiana ha deciso di mobilitarsi a sostegno dei ragazzi ucraini in fuga dal loro Paese dopo l’invasione delle truppe russe, permettendo loro di gareggiare nei campionati giovanili. Un esempio di fratellanza e vicinanza che potrebbe teoricamente portare all’incoronazione di un giovane ucraino a nuovo ‘Campione Italiano’.

Un esempio di fratellanza e vicinanza che potrebbe teoricamente portare all’incoronazione di un giovane ucraino a nuovo ‘Campione Italiano’ in una o più delle categorie del Campionato, ovvero Under 8, Under 10, Under 12, Under 14, Under 16, e Under 18, ciascuna divisa in “Open” e “Female”.

La FSI ha deciso di attuare questa eccezione normativa “come dimostrazione di solidarietà con i giovanissimi profughi ucraini, oltre che per fornire loro una fonte di distrazione e divertimento”. In riconoscimento del fatto che gli scacchi sono uno sport popolare in Ucraina, l’Ucraina si è laureata come campionessa europea lo scorso novembre e l’attuale campionessa italiana, Elena Sedina, è di origine ucraina e originaria di Kiev.

“In corsa con l’ambiente”: un bosco urbano nato dal riciclo di materiale sportivo


In corsa per l’ambiente. In occasione della Giornata mondiale dello sport per lo sviluppo e la pace, a Lecce parte una raccolta di sneakers, palloni e pneumatici di bici per dar vita a un piccolo bosco urbano. Si tratta di rifiuti difficili da smaltire, che saranno oggetto di un’azione di riciclo e recupero, per trasformarli in energia green certificata.

Recuperare in un anno una grande quantità di sneakers, palloni usati o pneumatici di biciclette per dar vita a un piccolo bosco urbano. E’ l’iniziativa lanciata dal Mongolfiera Lecce, da sempre attento ai temi della sostenibilità, della promozione e sensibilizzazione alle buone pratiche ambientali per la collettività, tanto da aver ottenuto la prestigiosa certificazione di qualità ambientale Breeam, livello silver. Oggi, mercoledì 6 aprile, prenderà il via l’iniziativa “In corsa con l’ambiente”, non a caso in concomitanza con la giornata internazionale dello sport per lo sviluppo e la pace, un tema che in questo periodo storico assume un significato particolarmente importante: il pianeta terra è in corsa contro il tempo per porre rimedio ai danni che l’uomo ha perpetrato per anni.

L’iniziativa, un’esclusiva dei centri commerciali pugliesi del Gruppo Cbre, durerà un intero anno e avrà l’obiettivo di fondere i valori dell’ecologia a quelli dello sport coinvolgendo i frequentatori del Mongolfiera Lecce in una gara solidale collettiva, in cui tutti potranno contribuire con un piccolo gesto e diventare protagonisti, vincendo due volte: dando una mano all’ambiente e ottenendo delle gift card da spendere nei negozi del Mongolfiera Lecce.

Sneakers, palloni usati o pneumatici di biciclette rientrano fra i cosiddetti rifiuti difficili da smaltire, ma grazie a “In Corsa per l’ambiente”, per un intero anno le tipologie di rifiuti difficili da riciclare saranno oggetto di un’iniziativa virtuosa: riuso, riciclo e recupero, il principio delle 3R, parole chiave di questa grande raccolta che garantirà un impatto positivo sull’ambiente sotto molteplici aspetti, assicurando l’attivazione di un circolo virtuoso che trasforma i rifiuti in energia green certificata.

All’interno del centro commerciale verrà dedicata una green zone in cui saranno posizionati i contenitori e in cui i partecipanti potranno conferire i rifiuti e immortalare il gesto con foto e video per far correre il progetto condividendolo sui social e convincere sempre più persone ad attuare il circolo virtuoso. Gli scatti social potranno essere realizzati nel green corner, il primo passo della “corsa” dei rifiuti verso il corretto smaltimento.

La prima fase prevede il riuso: associazioni locali potranno recuperare il materiale raccolto ancora utilizzabile, le calzature, in particolare, e occuparsi di distribuirlo a comunità e soggetti bisognosi del territorio, Lecce e comuni limitrofi. Le due fasi successive saranno garantite da “La Lucente Spa”, partner tecnico autorizzato e soggetto operante a livello nazionale nella corretta esecuzione delle procedure stabilite dall’economia circolare. I rifiuti saranno selezionati per tipologia e destinazione, avviati al riciclo e, per la frazione non riciclabile, avviati a recupero energetico certificato.

Grazie agli eco-days, organizzati ogni 1° sabato del mese, la corsa si farà ancora più serrata: le associazioni sportive del territorio si impegneranno assieme ai clienti a conferire il maggior numero possibile di scarpe, pneumatici e palloni, e ottenere gift card da spendere nei negozi del Mongolfiera Lecce.

In buca per la parità salariale: la mobilitazione del golf Usa


Colmare il gap. Negli Stati Uniti il golf femminile si mobilita per la parità salariale. Dopo il calcio, dove grazie ad anni di battaglie, gli stipendi di calciatori e calciatrici sono stati equiparati, il tema è sempre più discusso in molti altri sport.

Sport sostenibile: ecco la patente a punti promossa dall’Uefa


Sport sostenibile. Dalla lotta al razzismo alla difesa dell’ambiente: arriva la patente a punti Uefa per la sostenibilità degli eventi sportivi, valutata con un sistema di certificazione che assegna un punteggio da 0 a 75 in base al grado di soddisfazione di quindici parametri. La certificazione nasce anche per spingere sponsor e investitori a puntare su soggetti e iniziative più virtuosi.

Il primo banco di prova del sistema sarà il prossimo Europeo femminile di calcio, in programma dal 6 al 31 luglio prossimi in Inghilterra. L’obiettivo della Federcalcio europea è arrivare a pieno regime con la certificazione degli eventi per Euro 2024 in Germania. “La valutazione sarà fatta ex post, monitorando il livello di sostenibilità dell’evento durante il corso del suo svolgimento. Cominceremo col valutare i tornei organizzati da noi, poi metteremo il protocollo a disposizione di federazioni, leghe e club”, dice Michele Uva, direttore della sostenibilità Uefa.

I parametri valutati dal Uefa sustainable event management system (SEMS) tengono conto della mobilità, della piena accessibilità degli spazi, dell’incidenza sul clima, del consumo d’acqua, della circolarità economica, della lotta razzismo, del rispetto per la diversità (sia essa relativa all’orientamento sessuale o alla fede religiosa), dell’attenzione per i bambini e della qualità della governance. Per ciascuno dei 15 ambiti, al singolo evento verrà assegnato un punteggio da 1 a 5. Si va dall'”intenzione di progredire”, livello minimo, alla “realizzazione fattiva di pratiche eccellenti”, che corrisponde al massimo.

“Il primo scopo è migliorare nel tempo la sostenibilità dei nostri eventi, innalzando via via i nostri standard – dice Uva – ma la certificazione nasce anche con l’intento di guidare sponsor e investitori, di modo che siano portati a puntare su soggetti e iniziative più virtuosi”. Già oggi la maggioranza delle grandi aziende di tutto il mondo concentra più i propri investimenti nello sport verso soggetti che offrono un’immagine migliore dal punto di vista del rispetto dei diritti e dell’ambiente. Lo stesso vale per le realtà territoriali, che più volentieri ospiteranno eventi sportivi a basso impatto e alta esternalità positiva. Questo dirà Uva il 4 aprile prossimo a Ginevra, quando illustrerà il SEMS ai sindaci delle città europee.

Senza aspettare che Uefa metta a disposizione la propria griglia di misurazione della sostenibilità, ci sono club europei che hanno introdotto protocolli interni per quanto riguarda la non discriminazione e la riduzione dell’impatto ambientale. È il caso del Tottenham, che nel settembre 2021 ha annunciato di essere in grado di organizzare partite nello stadio di casa a impatto zero, bandendo la plastica nei ristoranti, alimentando l’impianto con energie rinnovabili e incentivando la mobilità sostenibile dei tifosi. Un impegno valso agli Spurs il riconoscimento di club più “green” della Premier League. Altra società che s’è dimostrata sensibile ai temi della sostenibilità è il Southampton, che già nel 2018 aveva introdotto programmi avanzati di risparmio energetico.

Il caso più notevole è quello della Bundesliga tedesca, che pretende dai club iscritti il rispetto di severi parametri sia dal punto di vista ambientale sia di impegno sociale. Fra i criteri per potere avere la licenza e partecipare al campionato ci sono anche l’impegno concreto contro ogni discriminazione e il rispetto dei lavoratori, tanto dei dipendenti quanto di chi presta servizio presso aziende esterne. A ispirare la federazione e gli organizzatori del campionato sono stati club ultra-virtuosi come Bayern Monaco e Wolfsburg. La Volkswagen, proprietaria della società, ha deciso di investire soprattutto nelle politiche ambientali, mostrando forte discontinuità rispetto allo scandalo Dieselgate del 2015.

Se in Spagna la sostenibilità non è un tema centrale per la maggior parte dei club, in Italia il caso più virtuoso è quello della Juventus. Al pari del Borussia Dortmund, la società bianconera ha aderito allo Standard Ethics European Football Index, che ordina i club (soprattutto quelli quotati) in base all’efficienza e all’attenzione dimostrate in campo ambientale, sociale, finanziario e di governance. In base alla performance complessiva si va da un rating E+, il più basso, a EEE, il più alto. Più indietro invece gli altri due club italiani quotati in borsa: la Roma ha espresso la volontà di migliorarsi sotto il profilo della sostenibilità, mentre la Lazio non ha ancora promosso pratiche tali da rientrare nei parametri di Standard Ethics.

Il calcio internazionale risponde all’appello Onu: in campo per la pace


In campo per la pace. Il mondo del calcio si unisce per l’appello globale delle Nazioni unite a favore dell’Ucraina. Mentre il numero di rifugiati sta per raggiungere i quattro milioni, l’UNHCR e il Programma Alimentare Mondiale lanciano “Football for Ukraine’, per raccogliere fondi e aiutare i rifugiati fuggiti all’estero, con sei calciatrici e calciatori di spicco come testimonial.

Il lancio dell’appello globale #football4ukraine avviene in una fase in cui quasi un quarto della popolazione dell’Ucraina, ovvero oltre 10 milioni di persone, è stato costretto a fuggire. I circa 3,9 milioni di rifugiati fuggiti dal Paese fanno di questa crisi l’esodo in più rapida espansione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Altri 6,5 milioni di persone sono sfollati all’interno del territorio nazionale e almeno 13 milioni sarebbero bloccati nelle aree colpite o impossibilitati a fuggire a causa degli elevati rischi per la sicurezza, della distruzione di ponti e strade e della carenza di risorse o informazioni relative ai luoghi presso cui potersi mettere in salvo e trovare riparo.

All’appello aderiscono giocatori e giocatrici di Premier League, Bundesliga e Division 1 femminile. I tre giocatori con un passato da rifugiati sono Alphonso Davies, stella del Bayern Monaco e Ambasciatore di buona volontà dell’UNHCR, Mahmoud Dahoud (Borussia Dortmund), primo rifugiato siriano a giocare nella Bundesliga, e il portiere dell’Everton FC, Asmir Begovic, costretto a fuggire dalla Bosnia-Erzegovina. Insieme a loro, hanno aderito Lucy Bronze, giocatrice del Manchester City insignita del premio FIFA Women’s Player 2020, Ada Hegerberg, calciatrice dell’Olympique Lyonnais e prima donna a essere premiata col Pallono d’oro e Juan Mata, calciatore del Manchester United e campione del mondo con la nazionale spagnola.

Alphonso Davies ha dichiarato: “Mi rattrista molto vedere milioni di persone costrette a fuggire ovunque a causa della guerra. Giorno dopo giorno si rende sempre più necessario assicurare sostegno. Ecco perché quest’appello è così importante, per assicurare aiuti a chiunque ne abbia bisogno”. “Questa situazione mi ha spezzato il cuore. Milioni di persone, tra cui molti bambini, sono stati costretti a fuggire dalle proprie case senza sapere cosa riserverà loro il futuro o quando potranno fare ritorno a casa. È ancora più scioccante pensare che questa crisi si somma a quelle che vedono già 84 milioni di persone in fuga nel mondo. Spero che il nostro appello per le persone in fuga in Ucraina garantirà loro gli aiuti di cui hanno bisogno”, ha dichiarato Lucy Bronze.

L’appello riunisce le competenze dell’UNHCR nel proteggere famiglie in fuga e l’esperienza del WFP nel salvare vite umane in aree di conflitto. Affinché le donazioni assicurino il migliore impatto possibile sulle persone colpite dall’emergenza in Ucraina, saranno ripartite tra le due organizzazioni per fornire cibo, riparo, sostegno psicosociale, aiuti in denaro e altri aiuti salvavita.

UNHCR e WFP sono sul campo sia all’interno sia al di fuori dell’Ucraina, impegnate giorno e notte ad aiutare tutti coloro che necessitano maggiormente di aiuto. In Ucraina, l’UNHCR si sta adoperando per assicurare beni di prima necessità, alloggi, aiuti in denaro e servizi di protezione di importanza vitale per quanti sono dovuti fuggire dalle proprie case. L’UNHCR, inoltre, coordina la risposta alla crisi in corso in tutta la regione, fornendo assistenza umanitaria e protezione e supportando le autorità a incrementare le capacità di accoglienza delle persone in arrivo.

Il WFP sta definendo una vasta operazione per assicurare cibo ai civili bloccati nelle città principali e garantire assistenza alle persone fuggite in Paesi limitrofi. Il personale, inoltre, sta allestendo centri logistici in numerose località dei Paesi vicini per facilitare le operazioni di assistenza umanitaria all’interno dell’Ucraina.

“La risposta assicurata dai tifosi di calcio di tutto il mondo a favore delle persone colpite dal conflitto in Ucraina, è per noi fonte di ispirazione. È importante che tutti ricordino che nessuno sceglie di diventare rifugiato. I rifugiati, che vengano dall’Ucraina o da altri Paesi, sono persone che si ritrovano loro malgrado nella più straziante delle circostanze, costretti a fuggire per salvarsi. Ognuno può fare la propria parte unendosi alla campagna, permettendoci, così, di ampliare le capacità di intervento”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi.

“Non è possibile coltivare e raccogliere i frutti dai campi la’ dove piovono bombe”, ha affermato il Direttore Esecutivo del WFP, David Beasley. “Milioni di persone in Ucraina stanno vivendo il peggior incubo della propria vita e, a meno che la guerra termini ora, il granaio d’Europa non sarà in grado di sostentare se stesso. Giorno dopo giorno, la guerra sta affamando le persone non solo in Ucraina ma anche in Paesi lontani dai suoi confini e che fanno affidamento sul grano e sui cereali ucraini per nutrire i cittadini più poveri. Questa guerra è una catastrofe per il mondo intero”.

In un anno contraddistinto da necessità umanitarie senza precedenti, la crisi in Ucraina rappresenta una catastrofe che aggrava quella che per le persone più povere e vulnerabili di tutto il mondo è stata già un’annata disastrosa. Pur intensificando gli sforzi per rispondere alle crescenti esigenze della crisi in Ucraina, UNHCR e WFP continuano ad assicurare assistenza in altre situazioni di crisi quali quelle in Afghanistan, Siria, Sud Sudan, Yemen e altre aree del mondo, spesso lontane dai riflettori.

La partita della donazione: “Trapiantati” e “Dipendenti vaticani” si sfidano oggi a Roma


In campo per la donazione. Si gioca oggi a Roma l’incontro di calcio tra la Nazionale Italiana Calcio Trapiantati e la Rappresentativa Calcistica Dipendenti Vaticani. Le due squadre si affronteranno in un’amichevole per promuovere la cultura della donazione di organi e tessuti con l’auspicio di sensibilizzare l’opinione pubblica e dare sempre maggiore visibilità al tema.

Biniam Girmay fa la storia del ciclismo: primo atleta africano a vincere una “classica”


Uno su mille. Il ciclista eritreo Biniam Girmay ha vinto a 21 anni la Gent-Wevelgem: si tratta del primo atleta africano a vincere una delle “classiche” di uno sport legato principalmente all’Europa e agli Stati Uniti e quasi assente in tante parti del mondo. Al secondo anno da professionista, Girmay si è così aggiunto all’illustre lista di corridori che l’hanno vinta nelle sue precedenti 83 edizioni, tra i più grandi ciclisti di sempre come Eddy Merckx, Bernard Hinault, Francesco Moser, Tom Boonen, Mario Cipollini e Peter Sagan.

Nello sport tante barriere culturali e geografiche sono ancora consolidate e in particolare nel ciclismo professionistico, una disciplina che rimane legata principalmente all’Europa e agli Stati Uniti ed è quasi assente in tante parti del mondo. L’Africa è una di queste, soprattutto nella sua parte sub-sahariana, dove nonostante le bici siano diffuse come altrove mancano risorse, mezzi e conoscenze per il professionismo.

Da alcuni anni però l’Eritrea — un paese che non a caso ha una grande tradizione nelle gare di fondo dell’atletica leggera — sta emergendo nel ciclismo africano con una nuova generazione di atleti rappresentata in particolare proprio da Girmay. Negli ultimi dieci anni, cinque diversi corridori eritrei sono stati eletti ciclisti africani dell’anno. Nella passata stagione Girmay lo era stato per la seconda volta consecutiva, principalmente grazie alla vittoria della medaglia d’argento nella prova in linea ai Mondiali giovanili in Belgio.

Girmay corre anche per una squadra belga, la Intermarché-Wanty-Gobert, ma per gran parte dell’anno vive a San Marino con altri tre corridori eritrei. Quando non è a San Marino — fino a poco tempo fa viveva in Toscana — si allena spesso in Eritrea, nei dintorni della capitale Asmara, dove è nato nel 2000.

Ci tornerà a breve per preparare la partecipazione al prossimo Giro d’Italia, che inizia il 6 maggio da Budapest, in Ungheria. Visti i suoi ultimi risultati, potrebbe aggiungere dei piazzamenti rilevanti: soltanto a marzo è arrivato decimo alla Milano-Torino, dodicesimo alla Milano-Sanremo e quinto alla Saxo Bank Classic in Belgio, tutte corse di un giorno.

Lo scorso ottobre, dopo la vittoria dell’argento ai Mondiali, aveva raccontato: «La percentuale di ciclisti africani è ancora molto bassa, parliamo di un corridore all’anno che diventa professionista. La mia medaglia d’argento non è arrivata da un giorno all’altro. Ho iniziato ad allenarmi anni fa con l’UCI al World Cycling Centre, ho fatto esperienza di guida in gruppo e su strade strette, e ho imparato diversi tipi di corsa. Ma sono solo io: molti dei miei compagni di squadra vengono solo per correre ai Campionati del mondo. Così non è possibile ottenere risultati, serve tempo per imparare a correre e bisognerebbe iniziare da giovani».

Finora il risultato più importante ottenuto da un ciclista dell’Africa sub-sahariana era stata la maglia a pois di miglior scalatore ottenuta nel 2015 da un altro eritreo, Daniel Teklehaimanot, al Tour de France. Quest’ultima è anche uno dei principali obiettivi di Girmay, che però si considera più portato per le corse di un giorno: «Per me e per tutti i corridori eritrei il Tour de France è la corsa dei sogni, insieme alla Milano-Sanremo e alla Parigi-Roubaix».

Megan Rapinoe spiega il problema dei coming out negli sport maschili: “Non si sentono al sicuro”


Campionesse di diritti. Perché non ci sono omosessuali uomini dichiarati nello sport di alto livello? Risponde Megan Rapinoe, calciatrice americana: “È perché non si sentono al sicuro. Sanno che verranno discriminati, esclusi e insultati anche dai tifosi”. Il calcio femminile su queste tematiche è avanti anni luce: le ragazze sono meno sole nei loro coming out, hanno uno spirito più aperto e inclusivo.

Potrà sembrare triviale, ma la presenza di una comunità che ti supporta e che celebra la tua identità in tutte le sue sfaccettature fa un’enorme differenza. Fa 40, si può dire; che è la differenza fra il totale di calciatrici dichiarate agli ultimi mondiali femminili (40) e il totale di calciatori apertamente queer agli ultimi mondiali maschili (0). La matematica, si sa, non mente.

Megan Rapinoe si confronta con Pernille Harder e Magdalena Eriksson sui canali di Sky Sports Football. Perché gli atleti non fanno coming out? Durante l’ultimo episodio di The HangOUT, sui canali di Sky Sports Football, la coppia Pernille Harder e Magda Eriksson dialoga con Megan Rapinoe, confrontandosi su cosa significhi conciliare la professione di calciatrice con l’impegno nelle cause sociali che accomunano le tre donne.

Harder ed Eriksson stanno insieme dal 2014 e hanno quasi dieci anni in meno della collega statunitense. Seguendo i passi di Rapinoe, sono sempre più attive nel rivendicare le istanze della comunità LGBTQIA+ di cui fanno parte. “Tu per noi sei un esempio”, confessano a Rapinoe le due giocatrici del Chelsea, “in campo come nella vita fuori dal campo. Riesci sempre a dire la cosa giusta e sai come esprimerla nel migliore dei modi”.

Si può proprio dire, in effetti, che uno dei grandi pregi di Megan Rapinoe sia la sua capacità di dire le cose come stanno, anche (e soprattutto) quando si tratta di scomode verità. Ritroviamo questo spirito schietto e genuino nelle parole che scambia con Magda e Pernille. Quando le chiedono se abbia qualche consiglio per giovani persone queer che stanno cercando di essere se stesse, ecco la sua risposta: “In realtà vorrei partire da quello che ritengo sia il vero problema. Il problema lo hanno le persone che non sono gay, che non sono LGBTQ. Perché non siamo noi [persone LGBTQ, ndr.] a discriminarci da sole. Non siamo noi a rendere le cose difficili. Noi tentiamo solamente di vivere la nostra vita nel migliore dei modi”.

Rapinoe dunque passa la palla, dirigendo il consiglio non a chi è queer, bensì a tutti gli altri, tutti coloro che fanno parte del mondo dello sport e che hanno un ruolo nel definirne le dinamiche. “Avete la responsabilità di riflettere su ciò che dite”, incalza. “Dovete assicurarvi di creare un ambiente accogliente e inclusivo che permetta alle persone di sentirsi al sicuro”.

Si collega così al mondo del calcio maschile, portandolo come esempio di quanto l’ambiente influisca sulla libertà di fare coming out e vivere serenamente la propria identità. “Ce lo chiedono sempre: perché non ci sono atleti maschi dichiarati negli ambienti sportivi di alto livello? È perché non si sentono al sicuro. Immaginano che verranno discriminati dai tifosi, che verranno cacciati dalla squadra, che saranno colpiti da una pioggia di insulti, e via così“.

E, del resto, come biasimare tali timori? Sono fondati su prove tangibili, evidenti e ripetute negli anni: quanti episodi di discriminazione a sfondo queerfobico si sono verificati nella storia del calcio maschile? Innumerevoli. Sia dal lato dei tifosi, sia nell’ambiente chiuso degli spogliatoi. E questi sono solo la parte visibile dell’iceberg, che lascia ipotizzare un fondo sommerso spaventosamente esteso. Ma ancora: quante volte si sono sentiti insulti razzisti? E se insultano un mio compagno di squadra perché è nero, potrà pensare un calciatore, cosa diranno di me che sono addirittura fr*ocio? Non certo il clima che ti spinge a scendere in campo con la bandiera arcobaleno aspettandoti uno scroscio di applausi e una pioggia di coriandoli e brillantini. E se è vero che alcuni progressi sono stati fatti, se è vero che in molti contesti è presente quantomeno la volontà di dirsi inclusivi, chi garantisce che i comportamenti della squadra, dei tifosi e dell’intero club saranno realmente accoglienti e non giudicanti?

Chi lo garantisce all’affermato (eppur al tempo stesso spaventato) calciatore che teme di buttare all’aria tutta la sua carriera? O al giovane calciatore che sta cercando di guadagnarsi il rispetto dei compagni e che sa che spesso questo concetto viene associato a quello di virilità? Chi assicura loro che il gioco vale la candela?

C’è da ammettere che a Josh Cavallo è andata bene. Con una storia ben diversa dal dramma di Fashanu, Cavallo è il secondo calciatore di una major league a fare coming out mentre ancora professionalmente attivo. Fortunatamente il suo coming out è stato accolto da pubbliche manifestazioni di stima e solidarietà da parte di diversi colleghi. Eppure, il suo resta un caso isolato: in tutto il mondo, non c’è attualmente nessun altro che si senta nelle condizioni di calpestare l’erba di un campo d’élite in quanto calciatore apertamente gay o bisessuale. E questo vuoto, questo silenzio, se vogliamo, parla più di qualsiasi altro dato.

D’altro canto, Rapinoe stessa lo sottolinea in modo molto chiaro: la responsabilità non può cadere solo sulle spalle del singolo calciatore, che già deve sostenere pesi e difficoltà materiali e psicologiche non indifferenti. Deve essere soprattutto dei dirigenti, del club tutto e del resto della squadra. Ed è forse questo il segreto del calcio femminile, che su queste tematiche sembra avanti anni luce: le ragazze sono meno sole nei loro coming out. Hanno una rete di supporto attorno – un maggiore “cameratismo”, lo definisce Rapinoe. Lo spirito più aperto e inclusivo (che nel femminile si è ormai già tradotto in atteggiamenti e pratiche più aperte e inclusive) non è frammentario né superficiale, bensì radicato e interiorizzato da molti fra gli agenti che compongono l’ambiente che circonda le calciatrici.

Potrà sembrare triviale, ma la presenza di una comunità che ti supporta e che celebra la tua identità in tutte le sue sfaccettature fa un’enorme differenza. Fa 40, si può dire; che è la differenza fra il totale di calciatrici dichiarate agli ultimi mondiali femminili (40) e il totale di calciatori apertamente queer agli ultimi mondiali maschili (0). La matematica, si sa, non mente.

Sport e violenza verbale: gli studenti sardi a scuola di fair play


 

 

A scuola di fair play. In Sardegna un progetto contro la violenza verbale nello sport. Il servizio di Elena Fiorani.

Rispetto e fair play sono i temi chiave del percorso promosso da Corecom Sardegna negli istituti scolastici sardi, per sensibilizzare gli studenti contro l’uso di un linguaggio violento nel tifo, sia in campo che sulla rete, ed educare le giovani generazioni a una cultura sportiva fatta di rispetto dell’avversario e fair play.

Il progetto, che si rivolge a ragazzi e ragazze tra gli 8 e i 13 anni, nasce dall’esperienza del Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport, dieci semplici principi di stile ispirati ai valori dello sport e della competizione, quindi le classi saranno guidate in un percorso di dieci tappe, per imparare il rispetto degli avversari, il controllo della rabbia, fino all’accettazione della sconfitta, avendo sempre quale filo conduttore tre parole chiave: consapevolezza, responsabilità e cambiamento.