In nome della legge – Alcune organizzazioni della società civile, tra cui Arci, Acli e AssoPacePalestina hanno intrapreso un’azione legale per chiedere che vengano dichiarati nulli i contratti stipulati da Leonardo Spa con lo Stato di Israele, relativamente alla vendita e alla fornitura di armi. Il commercio di armi – spiegano – è in contrasto con la Costituzione e con la legge italiana.
Il 29 settembre 2025 le associazioni AssoPacePalestina, A Buon Diritto, ATTAC Italia, ARCI, ACLI, Pax Christi, Un Ponte Per e la Dott.ssa Hala Abulebdeh o Abu Lebdeh, cittadina palestinese, rappresentate e difese dagli Avvocati Luca Saltalamacchia e Veronica Dini, affiancati dagli Avvocati Michele Carducci e Antonello Ciervo, hanno depositato un ricorso presso il Tribunale civile di Roma, per chiedere che vengano dichiarati nulli i contratti stipulati da Leonardo Spa e sue controllate con lo Stato di Israele, relativamente alla vendita e alla fornitura di armi all’IDF.
Leonardo Spa è tra i maggiori produttori di armi al mondo e lo Stato italiano, attraverso il ministero dell’Economia e delle Finanze, ne è azionista di maggioranza. Israele da decenni è responsabile di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, non solo a Gaza, ma in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme. Da ben prima del 7 ottobre 2023 lo Stato di Israele porta avanti in Cisgiordania e a Gaza un’occupazione militare e un apartheid sistematico alimentati anche dalle armi che vengono vendute da partner esteri.
L’atto di citazione chiede l’accertamento e conseguente annullamento dei contratti di fornitura di materiali d’armamento stipulati dalla società Leonardo S.p.a., le sue controllate o intermediarie con lo Stato di Israele e le imprese da esso autorizzate, per persistente violazione dei divieti tassativi imposti dalla Costituzione, dalla legge, dalle altre fonti imperative sul ripudio della guerra, dalla normativa sovranazionale e dagli accertamenti dei competenti organi ONU.
Secondo quanto denunciato dalle associazioni ricorrenti, la vendita e la fornitura di armi a Israele da parte di Leonardo Spa è in contrasto:
con l’articolo 11 della Costituzione, perché Israele sistematicamente usa la guerra come strumento di oppressione nei confronti di un popolo – quello palestinese – e come strumento di risoluzione delle controversie internazionali;
con la legge n. 185 del 1990, che vieta l’esportazione di armamenti verso Stati le cui politiche confliggono con l’art. 11 della Costituzione italiana o i cui governi siano responsabili di violazioni delle Convenzioni internazionali sui diritti umani, accertati dagli organi competenti delle Nazioni Uniti, come il caso dello Stato di Israele;
con quanto previsto nei Codici Etici e negli strumenti di due diligence della stessa Leonardo SpA.
Se il Tribunale civile di Roma riconoscerà la nullità dei contratti di fornitura di armi, Leonardo e lo Stato italiano non potranno più garantire sostegno militare ad Israele.
Inoltre, gli attori chiedono alla magistratura che sia vietata la futura vendita di armi e di tecnologie militari a Israele, in particolare di quelle ad oggi utilizzate nelle operazioni di terra e di cielo contrarie al diritto internazionale, condotte contro la popolazione palestinese.
Questa iniziativa rappresenta una delle prime azioni legali lanciate contro una compagnia privata e un Paese membro dell’UE, che sono coinvolti in accordi per la fornitura e la vendita di armi con lo Stato di Israele. Con questa causa, le associazioni promotrici chiedono a Leonardo Spa e allo Stato italiano di assumersi le proprie responsabilità di fronte allo sterminio e alle innumerevoli sofferenze causate alla popolazione palestinese, a Gaza e non solo, causati dall’IDF e dal Governo israeliano.
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Giornata dell’infanzia: 30 milioni di vite minacciate da guerre e crisi
In emergenza – Oggi si celebra la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Fondazione Cesvi ricorda come conflitti, cambiamenti climatici e violenza diffusa rischiano di condannare a morte 30 milioni di bambini nei prossimi 5 anni. A contribuire c’è anche il taglio ai fondi per la cooperazione internazionale.
Attualmente, nel mondo, sono quasi 40 milioni i bambini con meno di 5 anni che soffrono di malnutrizione acuta[2] mentre circa 1 miliardo di minori è esposto a shock climatici e ambientali con quasi il 90% del carico globale delle malattie associate ai cambiamenti climatici, al degrado ambientale e all’inquinamento che ricade proprio sui più piccoli[3]. A questo si aggiunge la violenza causata dall’uomo: nell’ultimo anno le Nazioni Unite hanno rilevato oltre 41mila gravi violazioni contro i bambini durante conflitti armati conflitti tra cui quasi 12mila casi di uccisione o mutilazione e oltre 7.400 casi di reclutamento o utilizzo di minori come soldati e quasi 5mila casi di rapimento. I conflitti nella Striscia di Gaza, in Sudan, in Myanmar e in Burkina Faso sono stati i più letali per i bambini[4].
«A milioni di bambini sono negati i diritti fondamentali sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti per l’infanzia e l’adolescenza, come il diritto alla vita, al cibo, all’istruzione, alle cure mediche – sottolinea il direttore generale di CESVI Stefano Piziali – Gli effetti dei conflitti armati, uniti ai cambiamenti climatici e aggravati dai tagli ai fondi umanitari, stanno cancellando decenni di progressi nella protezione dei minori, condannando un’intera generazione alla fame e alla paura, compromettendo il futuro stesso dell’umanità. I recenti tagli alla cooperazione internazionale rischiano di aggravare di oltre mille i decessi infantili al giorno. In contesti come il Sudan, Gaza e l’Ucraina, milioni di minorenni sono costretti a sopravvivere in condizioni inumane con traumi che li accompagneranno per tutta la vita. E queste tragedie non sono eventi isolati, ma parte di una crisi globale che colpisce l’infanzia in ogni continente. Nella giornata dedicata ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza rinnoviamo l’attenzione verso il riconoscimento e il rispetto dei loro diritti fondamentali a prescindere dalla parte del mondo in cui sono nati».
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Cop30 di Belém: accordo per rafforzare i diritti dei popoli indigeni
Cambio di passo – Alla Cop30 di Belém, in Brasile, è stato presentato l’impegno intergovernativo per il riconoscimento e il rafforzamento dei diritti territoriali di popoli indigeni e comunità locali nei Paesi che ospitano foreste tropicali. L’alleanza è guidata da Brasile, Norvegia e Perù.
L’annuncio arriva in un momento di forte mobilitazione indigena a Belém, dove leader di diverse etnie non solo brasiliane ma anche di altri paesi sudamericani sono accorsi per chiedere garanzie sui diritti territoriali e maggiore protagonismo nei negoziati climatici internazionali.
Secondo i promotori, l’iniziativa mira a dare sicurezza giuridica alle aree già occupate o rivendicate da comunità ancestrali ed è considerata una misura decisiva sia per la conservazione delle foreste tropicali sia per la giustizia sociale.
Studi internazionali indicano infatti che i territori indigeni figurano tra le soluzioni più efficaci e a basso costo per la mitigazione climatica, grazie al loro ruolo nel contenimento della deforestazione.
L’alleanza auspica inoltre l’adesione di altri Paesi e il sostegno finanziario di donatori multilaterali.
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COP30: in 70mila in piazza a Belem per la giustizia climatica
Marcia dei popoli – A Belem, dove si sta svolgendo la COP30, 70mila persone sono scese in piazza per chiedere soluzioni reali alla crisi climatica, la fine dei combustibili fossili e il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni.
Un fiume umano convocato dalla Cupola dei Popoli, un’onda che ha attraversato le strade come un richiamo alla Terra ferita. Per 4,5 chilometri, la città sede della Conferenza Onu sul Clima (Cop30) è diventata un mosaico di 65 Paesi: volti dipinti, piume, bandiere, mani che si cercano e che svolazzano aquiloni con scritte che richiamano alla giustizia climatica. Popoli indigeni, quilombolas, pescatori, lavoratori, giovani, donne, movimenti sociali – un intreccio di storie e resistenze che ha portato al mondo una sola voce, limpida e urgente: difendere soluzioni reali alla crisi climatica, difendere la vita.
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Alberto Trentini, un anno in carcere: pressioni sul governo italiano
Ancora in carcere – È passato un anno dall’arresto di Alberto Trentini, il cooperante italiano detenuto in Venezuela. Sabato a Milano si è tenuta una conferenza stampa per sollecitare il governo italiano a intervenire per la sua liberazione.
La mamma di Trentini, Armanda Colusso, parla in una conferenza stampa a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano: “Fino ad agosto il nostro governo non aveva avuto alcun contatto col governo venezuelano. Fino ad agosto. E questo dimostra quanto poco si sono spesi per mio figlio”.
E prosegue: “Sono qui dopo 365 giorni a esprimere indignazione. Per Alberto – aggiunge – non si è fatto ciò che era doveroso fare. Sono stata troppo paziente ed educata ma ora la pazienza è finita”.
“In 12 mesi ho avuto tretelefonate dalla premier Giorgia Meloni e ho avuto due incontri con Mantovano con cui c’è costante contatto. Siamo in contatto con l’inviato speciale per gli italiani in Venezuela che è sempre disponibile” prosegue la mamma di Trentini.
“Dai rappresentanti del governo, da subito, ci è stato imposto il silenzio per non danneggiare la posizione di mio figlio. Ci siamo fidati e abbiamo operato in silenzio. Ma non potendo continuare a essere ignorati, con il nostro benestare è stata fatta un’interrogazione parlamentare” ricorda ancora.




