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Crisi umanitarie, Onu: “Un’epoca di brutalità e indifferenza”


Mondo in apatia – “Questa è un’epoca di brutalità, impunità e indifferenza”, ha detto il capo delle operazioni umanitarie delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, presentando un piano la cui versione ridotta spera di raccogliere almeno 23 miliardi di dollari per aiutare 87 milioni di persone a Gaza, in Sudan, ad Haiti, in Myanmar e in Ucraina.

Ucraina, Mediterranea al fianco dei civili nel campo profughi di Sykhiv


Accanto ai civili – È giunta in Ucraina la ventiduesima missione di Mediterranea a fianco della popolazione civile, stremata dalle conseguenze dell’aggressione russa. La Ong sta portando il proprio sostegno alle persone profughe nel campo di Sykhiv a Leopoli, vittime dell’orrore della guerra.

Mediterraneo, dieci anni di salvataggi: la voce delle Ong al Senato


Dieci anni per salvare vite – Ieri a Roma le Ong Sar operanti nel mediterraneo centrale si sono confrontate al Senato per raccontare questo decennio di vite salvate e di rinascite, ma anche di enormi sofferenze e tragedie: da quel 3 ottobre 2013 è partita la mobilitazione per pattugliare le acque da parte della società civile.

Dopo due anni da quel 3 ottobre, un altro tragico naufragio ha riportato gli occhi del mondo sul mediterraneo centrale: il 18 aprile del 2015, a largo di Malta, più di 700 persone hanno perso la vita in mare. Da quel giorno, la società civile ha deciso che di fronte a questo scenario il silenzio sarebbe stato peggio dell’indifferenza della politica: nascono così le Ong Sar, che pattugliano il mare e soccorrono persone da ormai 10 anni, per colmare quel vuoto assordante lasciato dagli Stati europei.

L’OSTRUZIONISMO DELLA POLITICA

Nonostante l’intento umanitario, il tema dei salvataggi in mare diventa presto oggetto di discussione e divisione politica e terreno di scontro ideologico, come se il problema non fossero le persone da salvare ma la propria idea politica da difendere: dal 2017 inizia a prendere forma una narrazione costante volta a criminalizzare le Ong del soccorso in mare, e vengono varati una serie di provvedimenti pensati ad hoc per danneggiare le navi del soccorso civile. Nel 2018 con la stagione dei “porti chiusi” le navi le navi civili hanno dovuto affrontare stand-off lunghissimi, con ritardi nello sbarco che hanno messo a rischio persone già vulnerabili; la prassi dei porti lontani, tutt’ora in vigore, ha tenuto e tiene le navi lontane dalle zone critiche per giorni e giorni, costringendo equipaggio e naufraghi ad allungare inutilmente la propria permanenza (e la propria sofferenza) in mare. L’entrata in vigore del decreto Piantedosi nel 2023 ha poi tenuto le navi ferme per ispezioni o fermi amministrativi ingiustificati per intere settimane, ponendo nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra questi, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso.

Con l’esternalizzazione delle frontiere, con accordi come quello Italia–Libia dal 2017, l’Europa ha delegato i controlli a Paesi non sicuri, moltiplicando intercettazioni e respingimenti illegali, e finanziando e proteggendo attori illegittimi come la Guardia Costiera Libica, che con le motovedette regalate dall’Italia opera contro il diritto marittimo internazionale, riportando le persone nei campi di detenzione libici, e attaccando violentemente le navi del soccorso civile come accaduto a noi lo scorso 24 agosto.

La Ocean Viking è ancora ferma in attesa di ultimare le riparazioni necessarie per il rientro in mare, nel frattempo le persone continuano a morire e chi dovrebbe intervenire continua a latitare: oggi come mai, a 10 anni di distanza dall’inizio delle nostre missioni, quando non sapevamo ancora a cosa stessimo andando incontro, siamo consapevoli che essere lì a salvare donne, uomini e bambini, nel rispetto di ogni logica umanitaria e del diritto marittimo internazionale sia fondamentale, oltreché giusto e necessario, al di là di ogni speculazione politica.

ActionAid denuncia sprechi nei CPR in Albania: esposto alla Corte dei Conti


Costi inaccettabili – ActionAid ha depositato alla Corte dei Conti un esposto di 60 pagine per denunciare lo spreco di risorse per la costruzione dei CPR in Albania. Secondo l’associazione si tratta di una distorsione nell’uso di soldi pubblici ancora più grave, vista l’illegittimità di questa operazione.

La realizzazione dei centri in Albania è partita con 39,2 milioni di euro stanziati dalla legge di ratifica del Protocollo. Appena dieci giorni dopo, con il “Decreto PNRR 2”, la competenza è passata dal Ministero dell’Interno e della Giustizia alla Difesa e le risorse sono state aumentate fino a 65 milioni. Da allora a fine marzo 2025, ActionAid è a fornire dati inediti grazie a richieste di accesso civico: la Difesa ha bandito gare per 82 milioni, firmato contratti per oltre 74 milioni – quasi tutti tramite affidamenti diretti – ed erogato più di 61 milioni per gli allestimenti. “Soldi pubblici sottratti alla salute, alla giustizia e a welfare e servizi – spiega l’avvocato Antonello Ciervo che ha coordinato il team legale di ActionAid composto da Giulia Crescini, Gennaro Santoro e Francesco Romeo -, ma anche a fondi per la gestione di emergenze. Una distorsione nell’uso di risorse pubbliche ancora più grave, vista l’illegittimità del modello dei centri albanesi”.
A seguito degli stop arrivati dalla magistratura nazionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il Governo ha reagito cercando di piegare la normativa per adattarla al protocollo Italia-Albania. Nonostante ciò, i centri sono ancora ben lontani dall’essere pienamente funzionanti (a marzo 2025 era stato attivato solo il 39% dei posti da capienza ufficiale), e costano molto più di quanto si spenda per strutture analoghe sul territorio nazionale. A Gjader gestire un posto, per soli due mesi e con il centro semideserto, costa circa 1500€; praticamente quanto si spende per l’intero 2024 a Modica, modello per la prima fase dell’esperimento albanese che prevedeva il trattenimento di soli richiedenti asilo, soccorsi in mare, provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri”.
Il trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri sperimentato in Sicilia offriva già un campanello d’allarme: nel 2023 a Modica nessuna convalida per i trattenuti, nessun rimpatrio; nel 2024, tra Modica e Porto Empedocle, 5 rimpatri su 166 persone transitate (circa il 3%). Il governo ha fatto ricorso alla decreti-legge in urgenza per aggirare gli ostacoli posti dal diritto. “L’ostinazione nel tenere in vita un progetto inumano, inefficace e giuridicamente inconsistente, attraverso nuovi stanziamenti per gli allestimenti, spostamenti di competenze e continui cambi di regole, – afferma Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid – ha generato una perdita per l’erario che non può essere archiviata come mero errore tecnico”.
A marzo 2025 inizia una nuova fase: trasferimenti in Albania di persone già trattenute in un CPR italiano. Nella pratica persone straniere portate all’estero e poi riportate in Italia, in ogni caso. Il risultato è un aumento forte della spesa pubblica. A fine 2024 il prezzo giornaliero per detenuto del Cpr di Gjader è quasi tre volte quello di un Cpr su suolo italiano. Nel mentre il 20% dei posti effettivamente disponibili nei Cpr italiani non erano occupati. Anche l’analisi delle spese accessorie (missioni, logistica, facchinaggi, etc) mostra che questo “passaggio aggiuntivo” della detenzione off‑shore contribuisce solo a bruciare denaro pubblico.
Nel dettaglio, la Difesa, oltre agli allestimenti iniziali dei centri, ha speso oltre 2,6 milioni per un intervento di manutenzione e forniture per la nave Libra – inizialmente usata nei trasferimenti e poi ceduta a Tirana -, ma soprattutto per viaggi e indennità di missione per Carabinieri e militari della Marina. Il Ministero dell’Interno ha speso 630mila euro tra trasferimenti e acquisti di tecnologie per il controllo. Una somma esorbitante riguarda il vitto e l’alloggio delle forze dell’ordine: se nel 2024 per il Cpr di Macomer (NU) è costato € 5.884,80 al giorno, in Albania, per 120 ore di concreta operatività tra ottobre e dicembre, si è speso quasi 18 volte in più, € 105.616 al giorno. Oltre 28 volte l’ammontare di un giorno a Palazzo San Gervasio (PZ). Il Ministero della Giustizia ha stipulato contratti per quasi 2 milioni ed effettuato pagamenti (a maggio 2025) per € 1,2 mln per il penitenziario di Gjader, mai utilizzato e consegnato al 70%. Il Ministero della Salute ha autorizzato spese per quasi 4,8 milioni e speso già 1,2 milioni. Ciononostante, gli uffici dell’Usmaf Albania, ufficio sanitario di frontiera appositamente creato, sono deserti dal marzo 2025, e la “commissione vulnerabilità” si riunisce esclusivamente “da remoto”, solo in caso di “evidenze oggettive (referti e consulenze mediche specialistiche)” da parte del medico dell’ente gestore. La sanità pubblica non garantisce, nei fatti, il diritto alla salute. La richiesta di un controllo alla Corte dei Conti e ad ANAC diventa quindi cruciale nel caso di persone formalmente in custodia dello Stato, ma concretamente in mano a società private e cooperative.

Cnca: i tagli ai fondi Aids mettono a rischio equità e salute globale


Equità, salute e parità di genere  – Cnca si unisce all’appello lanciato da Unaids: i tagli ai fondi per la lotta all’Aids e le politiche repressive che colpiscono persone Lgbt+, persone che usano droghe e altre comunità vulnerabili, limitano gravemente l’accesso ai servizi essenziali di prevenzione, diagnosi e cura, compromettendo i progressi ottenuti nella risposta globale all’Hiv.

In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids 2025, il Cnca si unisce all’appello di Unaids: i tagli ai fondi per la lotta all’Aids e le politiche repressive che colpiscono persone Lgbtq+, persone che usano droghe e altre comunità vulnerabili, limitano gravemente l’accesso ai servizi essenziali di prevenzione, diagnosi e cura, compromettendo i progressi ottenuti nella risposta globale all’Hiv.
Anche l’Italia, che aderisce agli obiettivi Onu, deve rafforzare i propri interventi per non tornare indietro sul diritto alla salute e sui traguardi raggiunti.
Il Cnca ritiene che debbano essere rafforzate, con adeguati stanziamenti, le seguenti misure: “Interventi mirati alle ‘popolazioni chiave’ – uomini che fanno sesso con uomini, persone che usano droghe, sex worker, persone trans, persone detenute – e ai gruppi esposti a condizioni di vulnerabilità sociale come persone migranti e persone senza dimora, come raccomandato dalle Linee guida internazionali, infatti barriere economiche, giuridiche, linguistiche e culturali limitano l’accesso ai servizi sanitari e aumentano il rischio di infezione; campagne informative mirate e ampliamento delle modalità di accesso ai test, anche attraverso l’offerta attiva nei contesti non sanitari, gestita dalle organizzazioni di terzo settore; più in generale, interventi ‘di prossimità’ capaci di intercettare le persone al di fuori dei servizi istituzionali, nei luoghi della quotidianità (come feste e concerti), e di promuovere cambiamenti attraverso dinamiche interne alle diverse comunità e subculture; in questo scenario, la Riduzione del danno, pilastro della salute pubblica, continua a svolgere un ruolo determinante – in linea con gli indirizzi europei e Onu – anche nel contenere la diffusione dell’Hiv tra le persone che usano droghe; interventi nel mondo della scuola, dove l’Italia continua a distinguersi in negativo rispetto alla maggior parte dei Paesi europei: l’educazione all’affettività e alla sessualità non è ancora inserita nei curricula scolastici. Il progetto EduForIST, finanziato dal ministero della Salute, coordinato scientificamente dall’Università di Pisa e realizzato con il contributo di diversi enti di terzo settore tra cui il Cnca, ha cercato di colmare questa mancanza e, dal 2022, ha avviato azioni pilota nelle scuole adottando l’approccio della Comprehensive Sexuality Education raccomandato da Unesco e Oms, che integra aspetti medici, cognitivi ed emotivi per contrastare la disinformazione e favorire una crescita consapevole”.
“La Giornata mondiale contro l’Aids – dichiara Maria Stagnitta, referente per l’Hiv/Aids del Cnca – richiama tutti alla responsabilità di mantenere alta l’attenzione sull’Hiv e sulle altre infezioni sessualmente trasmissibili. Più che una celebrazione, dalle istituzioni ci attendiamo che investano con continuità nella prevenzione, nella salute pubblica e nella tutela dei diritti, trasformando la risposta all’Aids in una sfida collettiva e inclusiva, che non lasci indietro nessuno”.