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Ricerca SIMO: una donna su tre si sente discriminata nello sport


Presentata stamattina a Roma la ricerca SIMO – Sport Inclusion Modern Output, in cui sono state raccolte oltre 800 testimonianze di atlete attive ed ex atlete italiane. I dati emersi restituiscono un quadro preciso: nello sport femminile, la disparità non è un’impressione, è un sistema. Infatti il 29% delle atlete si percepisce discriminata.

Lo sport praticato da donne è ancora considerato una “derivazione” di quello maschile e raramente viene messo al centro. Le difficoltà iniziano presto:  quasi la metà delle atlete ha avuto problemi a conciliare sport e studio prima dei 16 anni , una delle cause principali di abbandono.
Tra i 15 ei 35 anni, le donne tesserate in ambito agonistico sono solo il 30% e chi resta spesso si scontra con precarietà e disuguaglianze: il 77% delle atlete non ha mai avuto un contratto con la propria società sportiva, pur dedicando allo sport gran parte dell’anno.

Anche le prospettive dopo la carriera restano limitate: il 59% vorrebbe continuare nello sport con ruoli di responsabilità, ma solo il 23% dei tecnici federali è donna, e il 96% dei presidenti federali è uomo. Persino alle Olimpiadi di Parigi 2024, su  449 membri della delegazione italiana solo 71 erano donne, mentre sette delle dodici medaglie d’oro sono state vinte da loro. La disparità economica è altrettanto evidente: l’86% delle atlete percepisce un’ineguaglianza negli investimenti tra uomini e donne, l’82% nelle tabelle premi, l’80% nei montepremi.

La ricerca verrà presentata Roma venerdì 7 novembre, in occasione del corso di formazione per i giornalisti, organizzato da Giulia Giornaliste e Ordine dei giornalisti, dal titolo “Donne, media, sport: genere e informazione sportiva”.  L’appuntamento è dalle 9.30 alle 13.30 in via Sommacampagna 19, sede dell’Ordine dei gironalisti. Dopo i saluti di Guido D’Ubaldo , presidente OdG Lazio, interverranno Antonella Bellutti; Andrea Soncin, commissario tecnico della Nazionale Femminile di calcio; Mara Cinquepalmi, giornalista; Tiziano Pesce, presidente Uisp; Mimma Caligaris, vicepresidente vicaria Ussi; Vittorio di Trapani, presidente Fnsi. Modera la giornalista Alessandra Mancuso.

E laddove ci sono stereotipi e disparità, cresce anche il rischio di violenza. Il 44% delle atlete ha subito violenza psicologica, nell’81% dei casi da membri dello staff tecnico e nel 15% da dirigenti. Il 22% ha sofferto di  disturbi alimentari, un dato  tre volte più alto della media nazionale. Il 4% riporta casi di violenza sessuale. Ma, più spesso, la violenza è  invisibile e normalizzata, agita sotto forma di commenti sull’aspetto fisico o di pressioni legate alla performance.

Infatti, il 29% delle atlete si percepisce discriminata, e in questo gruppo le critiche aumentano: il 77% ha subito violenza psicologica, il 63% ha avuto difficoltà nello studio, il 61% vive disagio per il proprio corpo. Eppure, sebbene nel 2021 sia stata introdotta la figura del guardiano, incaricata di ricevere segnalazioni di abusi o discriminazioni, un’atleta su quattro non si rivolgerebbe a questa figura, per timore di ripercussioni o per mancanza di fiducia. Un segnale chiaro: le norme da sole non bastano se non cambiano i contesti e le relazioni di potere.

Un breve atlante di donne e sport: il libro di Mara Cinquepalmi su madri e calcio


Venerdì 7 novembre, alle 17.30 a Roma si tiene la presentazione di Breve atlante delle (altre) madri e dei (nostri) figli, il nuovo libro della giornalista Mara Cinquepalmi. Le protagoniste sono quattro madri, con le loro storie che si muovono sullo sfondo di eventi calcistici significativi per la storia sociale del nostro Paese, come i Mondiali del 1982 o la sfortunata finale del 1994.

Quattro madri, quattro storie che esplorano le fragilità e i segreti delle famiglie. Venerdì 7 novembre 2025, alle ore 17.30, il Circolo Pd Monte Mario di Roma (via Avoli, 6) ospita la presentazione di Breve atlante delle (altre) madri e dei (nostri) figli, il nuovo libro della giornalista Mara Cinquepalmi edito da Scatole Parlanti. Intervengono con l’autrice Marina Artusi, segretaria Pd Monte Mario, e Paola Vaiarello, coordinamento Democratiche Monte Mario.

Breve atlante delle (altre) madri e dei (nostri) figli esplora le fragilità e i segreti delle famiglie, in particolare quelle di donne che, per vari motivi, hanno dovuto rinunciare ai propri figli, costrette ad affidare i loro bambini a terzi, spesso in circostanze drammatiche. Di queste madri la cronaca ci restituisce quasi tutto. Conosciamo le loro storie fin nei minimi dettagli, ma di quello che accade dopo un abbandono restano poche tracce. Tranne quando madri e figli si ritrovano. I protagonisti dei quattro racconti, tutti legati a una madre di nome Agata, si muovono sullo sfondo di eventi calcistici significativi, che riflettono la storia sociale del nostro Paese (i Mondiali del 1982, lo spareggio per lo scudetto Bologna-Inter del 1964, la finale dei Mondiali del 1994, lo scudetto del Cagliari del 1970). Un viaggio emozionante tra passato e presente, tra ricerca e riconciliazione.

“Ci sono storie – spiega l’autrice – che vengono da lontano, te le porti dentro e poi prendono vita, quasi ti chiedono di essere raccontate. Così è stato per questi quattro racconti che affrontano un tema delicato e drammatico. Madri e figli che fanno i conti con le proprie fragilità, con i pregiudizi. La riconciliazione col proprio passato o con la propria storia, se c’è, non è mai facile o scontata. Questa è anche una piccola raccolta di storie sull’essere figli. Lontani, perduti, ritrovati”.

L’autrice
Mara Cinquepalmi (1976), foggiana ma bolognese d’adozione, è giornalista professionista Ha scritto Te lo leggo negli occhi per l’antologia Hanno deciso gli episodi: 20 racconti sul calcio e i suoi luoghi comuni (Pendragon, 2015) e La cura della memoria, pubblicato in Emilia Romagna,  La religione della cura (Les Flaneurs, 2022). È autrice dell’e-book Dispari. Storie di sport, media e discriminazioni di genere (Informant, 2016) e dei libri Donne di carta. Il Poligrafico nei documenti dell’Archivio di Stato di Foggia e nei ricordi delle lavoratrici (Il Castello, 2017) e Turista per calcio (e non per caso) (Il Castello, 2020). Ha curato, per l’associazione GiULiA, il libro Donne Media & Sport (2019), poi rieditato dalla Fondazione Murialdi per il giornalismo (2021).

Sinossi dei quattro racconti

La crepa
Estate 1982. Mentre l’Italia impazzisce per Paolo Rossi e la Nazionale di calcio, Marisa e Giovanni scoprono di essere fratello e sorella. Ventisei anni prima, infatti, Agata è stata costretta a dare in adozione il figlio partorendo in un ospedale dedicato ad accogliere le ragazze madri. Complice Lina, una compagna di stanza in ospedale, divenuta negli anni un punto di riferimento per Agata, Marisa e Giovanni si ritrovano nell’estate del 1982 per poi allontanarsi. Sarà il funerale di Agata a riunirli di nuovo vent’anni dopo.

Dormono sulla collina
Inverno 2021, un cimitero crolla all’improvviso. Decine di bare galleggiano in mare. Altre sono trascinate via dalla corrente. Tra queste anche quella di Enrico, che nell’estate del 1994, mentre l’Italia di Roberto Baggio perde ai rigori il Mondiale contro il Brasile, scopre di essere stato abbandonato dalla sua madre naturale, Agata, per questioni economiche. Sette anni dopo, nell’estate 2001, Agata ed Enrico si incontrano per la prima volta. Il tempo, però, non ha mai rimarginato la ferita dell’inganno. Anzi, ha lavorato, invece, come un tarlo. Fino a morirne.

Un altro posto nel mondo
Ciascuno di noi ha il proprio posto nel mondo. Basta solo cercarlo. A volte, però, non è così semplice. E allora occorre salvarsi. Luca lo sa bene. Non ha mai conosciuto i suoi genitori e Agata, sua madre, per inseguire l’amore di un uomo ha scelto di scappare e affidarlo a una famiglia, quando era molto piccolo. Luca ha scelto il calcio per salvarsi. Voleva essere come il suo beniamino Giacomo Bulgarelli, ma ha trovato il suo posto tra i pali.
Agata, invece, ha continuato a cercare il suo posto nel mondo senza successo e dopo ventidue anni ha deciso di tornare. Una domenica di maggio Luca e la sua squadra si giocano la salvezza, Agata si gioca una vita da madre in un incontro che può segnare un nuovo inizio per entrambi.

Millennium bug
Tre tempi come quelli di una fotografia: messa a fuoco, esposizione e scatto. La storia prende spunto dal ritrovamento di una foto. Siamo a fine dicembre 1999, a poche ore dal nuovo Millennio. A trovarla è Fabrizio, un ragazzo che sta riordinando la casa della nonna Agata insieme a sua madre Nina. La foto è quella di un bimbo mai visto prima. Non è un parente, non è un amico. Eppure, qualcosa li lega. Il ritrovamento della foto sarà occasione per Nina per rivelare un segreto di famiglia, una “giornata particolare” vissuta da lei e da suo fratello, Michele, nel giugno 1970, nell’anno del primo scudetto del Cagliari di Gigi Riva.

Sport e reinserimento: la Cremonese dona palloni al carcere di Cremona


Nell’ambito della collaborazione tra Caritas e Casa Circondariale di Cremona, la Cremonese ha donato venti palloni da calcio per l’attività sportiva delle persone detenute. L’iniziativa risponde all’esigenza di incrementare l’attrezzatura sportiva a disposizione del carcere e promuove il rapporto con il territorio.

I palloni della Cremonese arrivano in carcere. Nell’ambito della collaborazione tra Caritas cremonese e Casa Circondariale di Cremona, U.S. Cremonese ha generosamente donato venti palloni da calcio tra i quali quelli della massima serie per l’attività sportiva delle persone detenute. Un’iniziativa che risponde all’esigenza di incrementare l’attrezzatura sportiva a disposizione del carcere e che continua la promozione del rapporto tra la Casa circondariale e il territorio.

“Da parecchi anni – è la dichiarazione di don Pier Codazzi, Direttore di Caritas cremonese – manteniamo una preziosa presenza in carcere, nell’attenzione, silenziosa ma costante, alla relazione con e per i detenuti, soprattutto nei confronti di chi è privo di una rete familiare. Questo si traduce nel fornire vestiario e piccoli contributi per i bisogni primari, come anche opportunità animative e sportive, realizzate con finalità educative. Recentemente ci sono stati chiesti palloni per poter giocare a calcio. Non è un bene superfluo, ma spesso è uno dei modi per passare in modo costruttivo una parte del tempo. Questo bisogno ha incontrato l’immediata disponibilità dell’U.S. Cremonese che ringraziamo: non solo ha donato i palloni per ogni sezione, ma ha deciso di giocare insieme, giovani calciatori con giovani detenuti, valorizzando la funzione sociale e inclusiva dello sport”.

“Desidero esprimere un sincero ringraziamento alla U.S. Cremonese, ai suoi dirigenti, allo staff e a tutti i giocatori che sono intervenuti qui – sono le parole della direttrice Giulia Antonicelli – Un vivo ringraziamento anche alla Caritas cremonese per la sua fondamentale collaborazione. Voglio ringraziare, infine, anche tutto il personale dell’Istituto che ha contribuito, con impegno e dedizione, alla buona riuscita dell’evento. Si tratta, per l’Istituto cremonese, di un segno concreto di attenzione e di sensibilità da parte dell’esterno, in particolare ad opera di una società sportiva che, pur militando attualmente in Serie A, ha voluto comunque dedicare tempo, presenza e risorse alla popolazione detenuta, dando luogo non soltanto ad un prezioso momento di incontro, ma anche ad una significativa occasione di apertura verso una realtà che risulta fisiologicamente chiusa. Ringrazio la Cremonese per averci generosamente donato venti palloni da calcio per l’attività sportiva delle persone detenute. Questa iniziativa risponde all’esigenza di incrementare l’attrezzatura sportiva a disposizione dell’Istituto Penitenziario e di consentire ai detenuti di dedicarsi all’attività sportiva. Un vivo ringraziamento, però, desidero esprimerlo anche in ragione della risorsa fondamentale del tempo e della presenza. Lo sport è veicolo e promotore di valori autentici ed universali quali il rispetto, l’inclusione e la solidarietà. La presenza di una realtà sportiva così importante all’interno della Casa Circondariale contribuisce a diffondere un messaggio di fiducia, di vicinanza e di possibilità di riscatto. Il calcio, infatti, come ogni disciplina sportiva, costituisce uno strumento educativo di grande valore, in quanto consente di insegnare e diffondere la cultura del rispetto delle regole, della disciplina, della capacità di stare in gruppo e di lavorare in squadra, riconoscendo il ruolo e il contributo di ciascuno. Lo sport favorisce la crescita personale, sviluppa lo spirito di sacrificio e di collaborazione e contribuisce al benessere psico-fisico di quanti vi prendono parte”.

“Lo sport è uno dei migliori strumenti di socializzazione – ha dichiarato il Direttore Generale di U.S. Cremonese Paolo Armenia – ha il potere di insegnare valori imprescindibili quali: il rispetto, la cooperazione e il saper stare in comunità. Auspichiamo che questa donazione diventi la scintilla per percorsi di riscatto stabili e costruttivi che aprano le porte a una nuova vita nella società”.

Al termine della consegna dei palloni, una squadra di detenuti ha disputato una partita con la squadra Primavera della US Cremonese sul campo all’interno del carcere. Un’occasione speciale che rientra nel percorso in atto tra Caritas cremonese e Casa Circondariale di Cremona, che ha lo scopo di promuovere la persona umana, favorire percorsi di riscatto, inclusione sociale e inserimento lavorativo, lavorare in rete con tutte le realtà che operano all’interno del carcere e sensibilizzare sul tema della giustizia.

Sportwashing in Arabia: dallo stadio al campo da tennis, la denuncia di Amnesty


Mentre si stanno svolgendo le Finals del circuito femminile di tennis a Riad, Amnesty denuncia le politiche arabe iniziate con il calcio e proseguite comprando altri sport popolari per rafforzare l’opera di sportwashing, fino al punto che ormai stiamo normalizzando tutto questo.

Aryna Sabalenka apre con un sorriso le Finals di Riad, simbolo di un tennis che sembra aver dimenticato ogni scrupolo etico. L’Arabia Saudita, accusata di gravi violazioni dei diritti umani, ospita ora le migliori otto giocatrici del mondo, attratte da un montepremi record. Anche l’Atp ha siglato un accordo con il Fondo sovrano saudita per un Masters 1000 dal 2028. Dirigenti e atleti lodano i “progressi sportivi”, mentre Amnesty denuncia il silenzio mediatico su questi temi. Lo sport, sedotto dal denaro, sta normalizzando il potere saudita.

Arabia? Sì, proprio l’Arabia Saudita, uno degli Stati in cui la violazione sistematica dei diritti umani è più brutale e dove, nei prossimi giorni, le otto migliori giocatrici dell’anno si affronteranno per conquistare il titolo di “maestra” dell’ultima stagione. Alla vincitrice spetterà un assegno da 2,5 milioni di dollari (1,7 milioni di euro), su un montepremi complessivo di 15,5 milioni (13,4 in euro). Tutto è, dunque, felicità. Nessuna traccia del vecchio sospetto o del timore del giudizio altrui. Con tanto oro sul tavolo, avanti tutta — pensano dirigenti, attori e attrici. Perché no?

«L’anno scorso sono stata in un ristorante giapponese davvero ottimo, e fare shopping lì è fantastico. Non ho giocato molto bene, ma il meglio è stato fuori dal campo», racconta la bielorussa, che non risparmia gli elogi — «è incredibile quello che stanno facendo per lo sport, il progetto è straordinario» — mentre i rapporti di diverse organizzazioni umanitarie insistono sulla realtà crudele: «aumento delle esecuzioni» e «restrizioni dei diritti civili e politici», nonostante l’Unione Europea riconosca «i progressi compiuti in materia di diritti delle donne». Ma al tennis, ormai, sembra non importare più di tanto. La tentazione è stata troppo grande. Alla fine, anche questo sport ha accettato il compromesso. El Pais

Poco più di una settimana fa, l’Atp — l’organismo che governa il circuito maschile — e il Fondo di Investimento Pubblico (Pif) saudita hanno ufficializzato il passo finale: l’inclusione di un Masters 1000 arabo nel calendario a partire dal 2028. Missione compiuta, per entrambe le parti. «L’accordo segna una nuova era per il tennis mondiale e una trasformazione sportiva importante in Arabia Saudita, portando nel paese i nomi più celebri dello sport e offrendo un’esperienza indimenticabile», ha proclamato l’Atp, mentre il suo presidente, l’italiano Andrea Gaudenzi, si è mostrato orgoglioso: «Per noi è motivo di grande soddisfazione ed è il risultato di diversi anni di lavoro. Crediamo che i tifosi e i giocatori saranno entusiasti di ciò che sta arrivando».

Amnesty: “Sta funzionando, stanno comprando tutto e noi non ci scandalizziamo più”
In effetti, l’ostinazione araba per lo sport della racchetta nasce da lontano, considerando la sua natura globale, il potenziale economico e il valore simbolico che proietta. Il tennis, lo sport bianco: purezza, eleganza, universalità. In realtà, una mossa strategica per completare un puzzle di cui fanno già parte calcio, golf e Formula 1, tra le altre discipline, oltre a una buona dose di stelle internazionali. «Sta funzionando», spiegano ad Amnesty International. «Il calcio ha aperto la strada e poi hanno iniziato a comprare altri sport popolari per rafforzare l’opera di sportwashing, fino al punto che noi, come società, stiamo normalizzando tutto questo. Ci scandalizziamo sempre meno e se ne parla come se fosse una competizione qualsiasi. Stanno vincendo la battaglia», denunciano.

Sport in carcere: a Busto Arsizio il CSI trasforma la detenzione


Nella casa circondariale di Busto Arsizio, grazie al Centro sportivo italiano l’attività sportiva diventa strumento di inclusione e rinascita. Allenamenti e tornei di pallavolo, basket, scacchi e calcio e un corso per arbitri per ritrovare fiducia e a costruire nuove possibilità, dentro e fuori dal campo.

«Il carcere è un mondo che non si conosce per niente, a meno di non aver avuto qualcuno vicino che è o è stato recluso. Se ne sente parlare solo per sentito dire, per quello che si legge sui giornali, per le polemiche dei politici. Quando però entri dentro un penitenziario, cambi completamente atteggiamento. Ti accorgi che molti dei detenuti non sono dei mostri, ti accorgi che tanti sono ragazzi che avrebbero potuto avere un futuro diverso se avessero avuto una persona che, al momento giusto, avesse detto loro: “Ma cosa stai facendo? Fermati, ti do una mano io”». Michele Lepori, vicepresidente del comitato di Varese del Centro sportivo italiano – Csi, descrive così il suo incontro con la Casa circondariale di Busto Arsizio, in cui l’associazione già entra portando attività legate allo sport sociale e in cui amplierà la propria presenza grazie al progetto “Liberamente sportivi”, finanziato da Sport e salute, che prevede oltre 100 ore di allenamenti di pallavolo basket, scacchi e calcio.

«Abbiamo cominciato perché un’associazione che è nostra partner, che si chiama L’Altropallone, ci ha coinvolti», continua Lepori. «Abbiamo iniziato a portare delle squadre esterne dei nostri campionati a fare delle amichevoli. Così, abbiamo deciso di scrivere questo progetto». Al momento, sono già iniziati gli allenamenti con un gruppo di giovani adulti fino ai 24 anni, una parte importante della popolazione carceraria di Busto Arsizio. Verrà organizzato anche un vero e proprio torneo, in cui le persone detenute giocheranno sempre in casa, ricevendo altri team. «Il contatto con l’esterno dà a questi ragazzi una boccata d’ossigeno, perché sappiamo bene come può essere la vita all’interno di una casa circondariale», commenta Lepori. «Da parte di chi entra all’inizio ci sono dei timori e dei pregiudizi, che però vengono presto dimenticati quando si inizia a giocare. Utilizzare lo sport permette di abbattere le sovrastrutture che una persona ha in testa e di creare dei bei rapporti».

Le società che sono entrate a giocare in carcere, infatti, chiedono spesso di tornare. I ragazzi detenuti scendono in campo con la voglia di giocare e basta – dicono –, non ci sono polemiche con l’arbitro o con gli avversari. «Si sente proprio l’importanza per loro delle due ore che passiamo assieme», commenta il vicepresidente del Csi di Varese. «Dà loro un obiettivo, un momento di sfogo».

Nel progetto sono coinvolte anche altre realtà del Terzo settore, come la cooperativa Intrecci, che aiutano nel processo di selezione dei partecipanti agli allenamenti e alle partite. I giovani, però, non saranno solo coinvolti nel gioco, ma saranno destinatari anche di una formazione: all’interno della casa circondariale partirà un corso arbitri, che li certificherà come arbitri ufficiali di calcio a sette per il Csi. «Una volta usciti, se rimarranno in zona, perché essendo vicini a Malpensa molti sono persone che hanno commesso reati all’aeroporto e che dopo torneranno nel loro Paese, potranno arbitrare le nostre partite», commenta Lepori.

Molte delle società sportive coinvolte dal Csi hanno una vocazione sociale e sono particolarmente sensibili ai contesti sociali svantaggiati e alla mancanza di possibilità che hanno fatto finire i ragazzi – anche molto giovani – dietro le sbarre. «Ci sono alcune società che si sono offerte di ospitare i detenuti una volta usciti, altre sono arrivate con dei palloni da regalare», conclude Lepori, «perché si accorgono oche si tratta di giovani che se avessero trovato una mano tesa al momento giusto non darebbero finiti in questa situazione».

Calcio e tensioni: vietata la trasferta in Inghilterra per i tifosi del Maccabi Tel Aviv


In Inghilterra niente Aston Villa per i tifosi del Maccabi Tel Aviv il 6 novembre. Il servizio è di Elena Fiorani.

Una ricerca di Kick It Out Israel, organizzazione impegnata per una società condivisa tra ebrei e arabi, rivela un aumento significativo di cori razzisti negli stadi israeliani nell’ultima stagione. Al centro del fenomeno c’è il Maccabi Tel Aviv, la squadra più seguita e quella con la maggiore concentrazione di episodi. La sua curva è un catalizzatore di nazionalismo aggressivo e retorica anti araba. La Israel football association ha ribadito l’impegno su tre fronti: educazione, campagne di sensibilizzazione e sanzioni disciplinari, anche se il numero di procedimenti disciplinari non cresce in proporzione agli episodi. In questo scenario si inserisce il divieto alla trasferta. La motivazioni citano il clima politico internazionale e i disordini che hanno visto coinvolti i tifosi del Maccabi ad Amsterdam nella scorsa stagione.

Nasce il Luino Sitting Volley: atleti con e senza disabilità in campo insieme


È nata la Luino Sitting Volley, progetto che permette ad atleti con e senza disabilità di giocare insieme a pallavolo: si gioca da seduti, con un campo più piccolo e una rete più bassa, è una disciplina paralimpica nata per favorire l’inclusione.

È ufficialmente partita sul lago Maggiore una nuova e significativa avventura sportiva: la nascita della squadra di Luino Sitting Volley, una disciplina inclusiva che permette a persone con e senza disabilità di giocare insieme.

Gli allenamenti si svolgono ogni lunedì dalle 19.30 alle 21 presso la palestra della scuola elementare, con accesso aperto a chiunque voglia provare.

Il Sitting Volley è una variante della pallavolo in cui si gioca da seduti, con un campo più piccolo e una rete più bassa. È una disciplina riconosciuta a livello paralimpico e nata per favorire l’inclusione, permettendo a tutti di esprimersi attraverso il movimento e il gioco di squadra. A Luino, il gruppo conta già una quindicina di partecipanti tra uomini, donne e giovani di tutte le età.

Il progetto è frutto della collaborazione tra Sport Senza Barriere, Luino Volley e la Palestra Movimenti di Germignaga, che ha promosso una raccolta fondi in occasione del suo trentesimo anniversario per dare vita a questa nuova realtà. Il ricavato, pari a 1.300 euro, è stato consegnato da Marco Massarenti, presidente di Sport Senza Barriere, alla presidentessa di Luino Volley, Emanuela Siranni.

«Quando abbiamo ricevuto la telefonata di Donatella, l’idea è stata immediata – racconta Massarenti –. Creare una squadra di Sitting Volley a Luino rappresenta al meglio la nostra missione: abbattere le barriere attraverso lo sport. È un progetto che permette davvero a tutti di giocare insieme, indipendentemente dalle abilità».

L’associazione Sport Senza Barriere, attiva dal 2019, promuove la pratica sportiva inclusiva e collabora da tempo con le realtà del territorio per diffondere la cultura dello sport accessibile. «Vogliamo ringraziare la Palestra Movimenti per la sensibilità dimostrata e l’entusiasmo con cui ha reso possibile tutto questo – aggiunge Massarenti –. E un grazie a Luino Volley, che ha accolto il progetto con lungimiranza, dando un segnale concreto di sport orientato all’inclusione, così come ringraziamo il Comune per la disponibilità e per averci concesso l’uso gratuito della palestra».

Durante la serata di consegna, la presidentessa di Luino Volley, Emanuela Siranni, ha espresso la propria soddisfazione: «Siamo felici di accogliere nella nostra realtà un’iniziativa così importante. Crediamo che il vero valore dello sport sia la condivisione, e questa squadra ne è la prova concreta».

Anche l’assessore allo Sport del Comune di Luino, Ivan Martinelli, ha voluto sottolineare il valore dell’iniziativa: «È un progetto ottimo, un segnale importante per la comunità. Aprirsi e dare opportunità a chiunque di praticare sport è il significato più autentico dello spirito paralimpico, quello del “Spirit in Motion”. Per questo abbiamo concesso gratuitamente l’utilizzo della palestra scolastica per lo svolgimento degli allenamenti, sostenendo così una proposta che valorizza lo sport come strumento di inclusione e benessere per tutti».

«Gli organizzatori invitano chiunque sia interessato a provare questa disciplina a contattare Sport Senza Barriere per partecipare alle prossime sessioni. «La sinergia tra le associazioni e la risposta positiva dei cittadini confermano il successo di un’iniziativa che, attraverso la pallavolo, dimostra come lo sport possa davvero unire e superare ogni barriera», conclude Massarenti.

Gli ermellini, mascotte olimpiche e specie in pericolo


Potrebbero essere quelli che tra poco vedremo ovunque perchè sono stati scelti come mascotte delle Olimpiadi invernali 2026. Quelli veri invece stanno scomparendo dalle Alpi a causa dei cambiamenti climatici e dell’arrivo sempre più tardivo della neve.

Tra qualche mese vedremo ermellini dappertutto. Due in particolare: uno bianco e uno marrone. Il primo è Tina, nome che deriva da Cortina; l’altro è Milo, da Milano (sì, fino a qui si è spinta la fantasia del marketing olimpico con l’avallo di migliaia bambini prestatisi a un sondaggio ad hoc). Tina è l’ermellino bianco ed è la mascotte dei Giochi Olimpici Invernali; Milo ha il manto bruno e rappresenta i Giochi Paralimpici (non per altro è stato concepito con una zampa sola!). E va bè, di fronte alle mascotte, si sa, si ritorna tutti un po’ bambini.

Nella realtà, però, di ermellini ne vedremo pochissimi. Non solo perché è un animale mimetico ed estremamente elusivo, ma perché sta di fatto sparendo.

In questi giorni gli esemplari che popolano le Alpi sono in procinto di cambiare colore. Tra poco prenderanno le sembianze di un piccolo fantasma bianco sul quale spiccheranno le palline nere degli occhi. Il cambio di livrea avviene nel cosiddetto fotoperiodo, ovvero durante la variazione delle ore di luce. Attenzione: è la luce, la mancanza di luce, che agisce sul pigmento del pelo, non il freddo dell’imminente inverno. Dunque poco importa se attorno il biancore della neve non c’è: d’inverno lui è sempre, sempre, bianco. E questo può rivelarsi un problema.

Lui non si accorge di essere bianco in un contesto non bianco: dunque sta lì, fermo, come sempre, sicuro di non essere visto. E qui c’è la beffa: il mimetismo che gli servirebbe a proteggersi ora lo fa diventare un bersaglio ancora più evidente nel pendio senza neve. È come urlasse ai suoi predatori: “Venite a prendermi, sono qua!”. Lui non lo sa, macchiolina bianca sulla montagna marrone.

L’ermellino sta scomparendo per l’arrivo sempre più tardivo della neve. E, paradosso, è diventato proprio la mascotte delle Olimpiadi della neve. Chissà se dalle parti del Cio o del Coni ne hanno una vaga idea. Sarà opportuno dirglielo a gran voce, magari chiedendo anche qualche stanziamento in denaro (briciole in confronto alla montagna di milioni che gestiscono) per quei pochi scienziati e istituzioni che studiano il prezioso mustelide e cercano di trovare metodi di conservazione, tra questi l’Università di Torino e Ermlin Project. Fatelo, finanziate la ricerca. Tina e Milo diventerebbero più simpatici.

Olimpiadi 2026, stop ad atleti russi e bielorussi nelle gare di sci


La Federazione internazionale sci ha escluso gli atleti russi e bielorussi dalle qualificazioni per le Olimpiadi di Milano-Cortina. Non potranno quindi partecipare, nemmeno come neutrali, alle gare di sci alpino, snowboard, freestyle, sci di fondo e combinata nordica.

Gli atleti di Russia e Bielorussia non potranno partecipare alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026, nemmeno come atleti neutrali, in tutte le gare di sci alpino, snowboard, freestyle, sci di fondo e combinata nordica. O meglio, in tutte quelle discipline che rientrano sotto l’egida della Federezione internazionale sci. La Fis ha infatti deciso di escludere russi e bielorussi dalle gare di qualificazione ai Giochi, senza eccezioni, impedendo quindi di fatto la loro partecipazione all’evento olimpico. Oltre alla Fis, anche l’Ibu (l’organismo di riferimento per il biathlon) ha preso la stessa decisione, così come gli sport di scivolamento come bob, slittino e skeleton. Con l’impossibilità di praticare sport di squadra come l’hockey su ghiaccio e il curling, solo pochissimi russi e bielorussi saranno presenti a Milano-Cortina, nelle gare di scialpinismo, pattinaggio artistico, pattinaggio di velocità e short track, discipline gestite dall’Unione di pattinaggio.

Quindi, mentre mai nessun provvedimento è stato emesso contro Israele in ambito sportivo, continua il pugno duro contro Mosca come conseguenza della guerra in Ucraina, che prosegue dal febbraio 2022. Il Cio (Comitato olimpico internazionale) formalmente consente agli atleti di Russia e Bielorussia di competere come neutrali nelle gare individuali dopo un rigoroso processo di selezione. E il Comitato Paralimpico ha permesso loro di tornare con tutti i loro simboli nazionali. Ma l’ultima parola spetta alle federazioni sportive e molte hanno mantenuto le sanzioni imposte dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Calcio, nazionale afghana femminile torna in campo a Dubai


La nazionale femminile afghana giocherà le sue prime partite internazionali da quando è stata costretta a fuggire dal paese, a Dubai, nell’ambito del torneo “FIFA Unites: Women’s Series”. Le giocatrici mirano a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sfide che devono affrontare le donne sfollate.

In un passo incoraggiante per lo sport femminile e l’emancipazione dei rifugiati, la squadra femminile afghana dei rifugiati si sta preparando a giocare le sue prime partite di calcio internazionali da quando è stata costretta a fuggire dall’Afghanistan.

La squadra, composta da atlete di talento che hanno ricostruito le loro vite in esilio, rappresenta la resilienza, il coraggio e il potere unificante dello sport. Queste partite segnano un momento simbolico non solo per le donne afghane, ma per gli atleti rifugiati di tutto il mondo, evidenziando come il calcio possa essere una piattaforma di libertà, identità e speranza.

Attraverso la loro partecipazione, le giocatrici mirano a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle sfide che devono affrontare le donne sfollate, celebrando al contempo il ruolo trasformativo dello sport nella ricostruzione delle comunità.