Archivio Anna Monterubbianesi

In manette

di Anna Monterubbianesi


CarcereSono oltre cento le persone arrestate negli ultimi giorni dalle autorità dell’Egitto per le proteste anti-regime. Tra queste anche la giornalista che aveva intervistato la famiglia presso la quale erano stati trovati documenti intestati a Giulio Regeni e il direttore della Commissione egiziana per i diritti e le libertà.

 

Un giro di vite che è iniziato giovedì 21 aprile ed è culminato nella giornata di ieri, durante la quale si è svolta una manifestazione contro la cessione dell’Egitto all’Arabia Saudita di due isole, Tiran e Sanafir, nel golfo di Aqaba. Decine gli attivisti finiti in manette con l’accusa di aver incitato alla protesta, giornalisti (tra cui anche quattro fermati di nazionalità francese) e altre personalità di rilievo politico, come il direttore del consiglio di amministrazione della Commissione egiziana per i diritti e le libertà. La ong aveva documentato le sparizioni forzate in Egitto negli ultimi otto mesi, indicando le responsabilità di alcuni apparati statali.
Un reporter della Bbc è stato preso a pugni durante la protesta del 25 aprile, che ha visto la polizia usare gas lacrimogeni contro i manifestanti. Nel mirino delle autorità ci sarebbe anche l’agenzia di stampa Reuters, dopo la pubblicazione di un articolo sulla morte di Giulio Regeni, giudicato “infondato” e per il quale il Ministero dell’Interno “si riserva il diritto di intraprendere azioni legali”.

Qua la mano

di Anna Monterubbianesi


donne lavoro --Un corso per stare insieme e far crescere l’auto-imprenditorialità e l’autostima attraverso le attività artigianali. È il progetto Donna della Fondazione San Vito onlus di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, che ha coinvolto 22 donne italiane e tunisine.

Fare crescere l’auto-imprenditorialità e l’autostima delle donne italiane e musulmane attraverso le attività artigianali. Su questi valori si è basato il progetto “Donna” promosso presso la Fondazione San Vito Onlus a Mazara del Vallo che ha coinvolto ventidue donne italiane e tunisine, tutte mamme dei ragazzi che frequentano il centro “Voci del Mediterraneo”. Il motivo dello stare insieme è stato un corso di ricamo, avviato grazie alla disponibilità di Giovanna Braggio, una volontaria che ha messo a disposizione il proprio know-how alle donne che, una volta a settimana, frequentano il centro “Voci del Mediterraneo”.

Posta indesiderata

di Anna Monterubbianesi


affido-minoriPioggia di mail per i senatori della Commissione Giustizia che sta lavorando alla riforma della giustizia minorile. L’invito è di ripensare il testo che se passasse così com’è sopprimerebbe i tribunali minorili causando la cancellazione dell’effettiva tutela dei diritti ed interessi prevalenti dei bambini.

 

La riforma della giustizia minorile contenuta nel disegno di legge A.C. 2953-A delega il Governo ad effettuare un’ampia riforma del processo civile, in un’ottica di specializzazione e semplificazione dell’offerta di giustizia. E’ partita una campagna con l’obiettivo di inondare la posta elettronica degli “addetti ai lavori” per chiedere un ripensamento al testo che causerebbe la soppressione dei tribunali minorili causando la cancellazione dell’effettiva tutela dei diritti ed interessi prevalenti dei minori di età. La riforma della giustizia del ministro Orlando, che ha appena concluso il suo iter alla Camera ed ora è al Senato, abolisce di fatto il Tribunale per i minorenni sostituendolo con sezioni specializzate nei tribunali ordinari. Secondo associazioni, avvocati e operatori, in questo modo si gettano via anni di esperienza e un sistema che, pur non perfetto, gli altri Paesi europei ci invidiano. Ed è per questo che è nata una campagna di pressione sui senatori.

Mai più

di Anna Monterubbianesi


A radioactive sign hangs on barbed wire outside a café in Pripyat.Trent’anni fa lo scoppio del reattore n. 4 della Centrale Nucleare di Chernobyl, a 100 km a nord di Kiev, provocò il più grave incidente nucleare mai avvenuto in ambito civile. Il servizio di Giordano Sottosanti. Era il 26 aprile 1986 quando Chernobyl fu teatro del più grave incidente verificatosi in una centrale nucleare, generando radiazioni 200 volte superiori a quelle delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Centinaia di migliaia di persone furono evacuate. Diversi Paesi europei, Italia compresa, vennero raggiunti da livelli di radiazione superiori alla soglia di allerta. Tutt’oggi nel raggio di 30 chilometri è vietato vivere, allevare animali o coltivare campi. Le vittime accertate furono 66, ma L’Onu ne conta altre 4000 postume per tumori e leucemie, secondo Greenpeace sono addirittura 6 milioni su scala mondiale. Questo non ha impedito al cinismo di alcune agenzie turistiche di trasformare il luogo del disastro in un luna park degli orrori, offrendo costose visite guidate. Chernobyl, 30 anni dopo, ci ricorda quanto sia importante investire sulle energie rinnovabili e che una centrale nucleare tradizionale non è mai del tutto sicura.

 

GRS week 2-3 aprile – La febbre del gioco

di Anna Monterubbianesi


LA FEBBRE DEL GIOCO

Bentrovati all’ascolto del Grs week. In studio Anna Monterubbianesi. Lo scorso anno sono stati ben 23 milioni gli italiani che hanno giocato in lotterie, scommesse e slot machine, spendendo circa 88 miliardi di euro e perdendone 24. L’Italia si colloca al primo posto in Europa e al terzo nel mondo per quanto riguarda il mercato del gioco d’azzardo che, a livello nazionale, crea un giro d’affari che vale oltre il 5% del Pil. Abbiamo una slot machine ogni 155 abitanti ed un’offerta di gioco che sta invadendo la nostra vita quotidiana, con costi sociali, sanitari ed economici altissimi.

Dal 2012 la dipendenza dal gioco è stata inserita dal Servizio Sanitario Nazionale tra i livelli essenziali di assistenza, ritenuta a pieno titolo una forma di disturbo ossessivo compulsivo, con 1 giocatore patologico ogni 75 persone. E se fino a qualche anno fa le principali vittime del gioco d’azzardo patologico erano pensionati e persone a basso reddito, una recente ricerca del Cnr rivela un dato sconcertante: una crescita esponenziale del gioco nei ragazzi tra i 15 e i 19 anni, con oltre un milione di giovani giocatori d’azzardo nel 2015. Gratta e Vinci, scommesse e gioco online sono le forme di azzardo legale preferite. I giovani giocano e possono farlo ovunque, aggirando con facilità norme e divieti. E se non bastasse, per i più piccoli e meno scaltri, ci sono le ‘ticket redemption’ come ci racconta, nella sua scheda,Giordano Sottosanti. [ sonoro]

I dati diffusi dal CNR insomma lo confermano: l’azzardo è oramai entrato nelle modalità di consumo dei minorenni, riempendo vuoti e diventando così un surrogato di speranza in un mondo che speranza non offre più.

Ma chi ha permesso tutto questo?La normativa introdotta con la legge di stabilità per il 2016, impone una riduzione del 30 per cento delle slot machine, in un arco temporale di quattro anni, e approva disposizioni limitative della pubblicità, con riferimento sia agli orari, sia ai contenuti degli stessi messaggi. Tuttavia, ieri come oggi, il gioco resta ufficialmente legale. E se manca una normativa comunitaria specifica sul gioco d’azzardo, ne esiste però una regionale, con l’approvazione di specifici provvedimenti volti a prevenire la diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco, anche se lecito, tutelando le persone soggette. Allo stesso modo cresce l’onda dei comuni No Slot. Dalle città alle campagne sono quasi 50 i comuni che nel corso degli ultimi due mesi hanno approvato o avviato l’iter per dotarsi di un regolamento comunale No Slot, con l’obiettivo di arginare il fenomeno sui territori: due i punti fondamentali: la distanza da luoghi sensibili e la limitazione degli orari di funzionamento delle macchinette.

E che il gioco può e deve essere una risorsa positiva per costruire socialità e aggregazione tra persone di culture ed età diverse, e un attività per mantenere vive memoria e attenzione ce lo ricorda “Play”, la manifestazione interamente dedicata al gioco, che si svolge oggi e domani a Modena. All’ottava edizione, il festival vedrà, quest’anno, molti momenti dedicati ai giochi per persone con disabilità e al tema del gioco come strumento contro l’emarginazione.

Fqts2020 – “C’è una grande voglia di apprendere, conoscere e approfondire”

di Anna Monterubbianesi


Fqts2020 casertaChiusa a Caserta la prima settimana intensiva di FQTS2020, il percorso di formazione dei quadri del terzo settore meridionale che coinvolge sei regioni del Sud: Campania, Calabria, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia. E’ stata una settimana intensa e colma di interventi autorevoli e di partecipazione. Tantissime sono state le tipologie di attività didattiche applicate, oltre 320 i partecipanti che hanno lavorato sui 4 curricula in cui si articola il percorso formativo (Territorio, Cittadinanza, Futuro e Benessere); 50 docenti sono intervenuti nel corso dei 5 giorni di intenso lavoro, intervallato dalle ‘incursioni’ dei Social clown e le mappe visuali realizzate da  Comunitàzione che hanno raccontato attraverso disegni e immagini tutte le giornate di questa lunga settimana formativa. “C’è una grande voglia di apprendere, conoscere e approfondire – commentano i promotori – la sfida per i prossimi 2 anni in cui si articola il percorso è FQTS2020 che questi temi diventino patrimonio delle organizzazioni per costruire un nuovo terzo settore nel Meridione.”

Tanti i temi che sono stati al centro della settimana di Caserta: si è parlato di innovazione sociale e rendicontazione, di esclusione sociale, di progettazione partecipata per la valorizzazione dei beni culturali, delle nuove frontiere dell’assistenza sociale ma anche di migrazioni, Primavera Araba e nuovi scenari internazionali. Uno sguardo che non ha potuto non soffermarsi sulla tragedia di Parigi: il segnale unanime inviato da tutti i partecipanti di FQTS, che ieri hanno osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime, è l’idea che la violenza non debba prendere il sopravvento sul dialogo e e che sia necessario continuare a promuovere la crescita di comunità coese e accoglienti. L’appuntamento con la formazione prosegue nei territori con gli approfondimenti sui 4 curricula nelle singole regioni, per far si che i partecipanti possano “mettere in pratica” i contenuti appresi, coordinandosi fra loro e utilizzando gli strumenti on line per collaborare.

FQTS2020 è promosso dal Forum Nazionale del Terzo Settore, Consulta del Volontariato presso il Forum, Conferenza Permanente delle Associazioni, Federazioni e reti di volontariato (ConVol), Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato (CSVnet) e sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD.

E’ possibile seguire FQTS2020 sui social: Facebook – FQTS |  Twitter – @progetto_fqts

E rivedere i lavori della settimana formativa su: Youtube – Progetto Fqts

Un giorno a Mineo

di Anna Monterubbianesi


“Cosa hai visto? Che situazione hai trovato? Quanti sono? Come stanno? Come trascorrono le giornate? Dalla mattina alla sera che fanno?”

Non è facile rispondere alle tante domande di chi chiede incuriosito di raccontare la tua visita al CARA di Mineo, uno dei più grandi Centri di accoglienza per richiedenti asilo nel nostro Paese e uno dei più emblematici.

Il CARA di Mineo può forse sembrare migliore rispetto agli altri, almeno all’apparenza,  perché non ha le sembianze della grande caserma, ma quelle di un ‘villaggio’, abitato però da quasi 4.000 persone. Tanti bilocali a due piani, tutti uguali, puliti dentro e fuori (per quello che ci è stato concesso di vedere), spazi comuni per stare insieme all’aperto e al chiuso,  luoghi dedicati alla formazione, luoghi per bambini e mamme (che ultimamente sono non più di una trentina). 25 nazionalità diverse, più di 250 etnie presenti, rappresentanti per ogni nazionalità e intermediatori culturali. Una partecipazione attiva di tutti i presenti e una gestione bilaterale, perché quello che gli ospiti chiedono viene preso in considerazione, e si cerca di venirgli incontro per quanto è possibile. Gli ospiti sono al 90% maschi, ragazzi tra i 19 e i 28 anni e tra loro c’è una buona integrazione, quasi mai disordini.

Tante cose ti dicono quando arrivi a Mineo, tante ne hai lette, tante te ne hanno raccontate di luoghi simili. Eppure solo quando lo vedi con i tuoi occhi ti rendi conto di come funziona e di cosa si tratta e te ne fai una tua personale idea. Allo stesso tempo, non è così facile. Perché c’è quello che vedi, e quello che ti fanno vedere. C’è quello che senti, e quello che ti fanno ascoltare.

A Mineo tutto scorre lento. Il CARA è nel mezzo di una vallata, tra le campagne del catanese, lontano dai centri abitati. Il villaggio è recintato e circondato da militari, anche se, da quando siamo arrivati, abbiamo visto tanti ospiti in bicicletta entrare ed uscire con relativa facilità (non certo la stessa riservata a noi, che abbiamo subìto scrupolosi controlli prima di poter accedere). I ragazzi sono tanti, ma dentro al CARA ne vedi pochi, forse appena un 10%. Domandi dove siano i 4000 ragazzi che dovrebbero essere lì, e come trascorrono le lunghe giornate. Qualcuno ti dice che la maggior parte di loro è in casa con l’aria condizionata perché fuori fa caldo. Pensi che è strano, perché i ragazzi vengono dall’Africa, ma vai avanti. Visiti le aule della formazione, piccole, con soli 15 posti ciascuna. Pensi che sono troppo piccole e che ci dovranno essere tanti turni per permettere a tutti di partecipare, ma vai avanti. Poi arrivi alla mensa, vedi la fila per prendere il pasto, e quasi nessuno seduto ai tavoli. Ti accorgi che in tanti preferiscono prendere il loro sacchetto-pranzo e andar via piuttosto che rimanere seduti alla mensa. E allora pensi che forse così confezionato il pasto è più facile da smerciare in altri posti, in altri momenti. Vai avanti…

I pochi ragazzi che vedi sono belli, con quella pelle così scura e gli occhi così profondi. Sono giovani ma i loro sguardi non li puoi paragonare nemmeno lontanamente a quelli dei nostri ragazzi, loro coetanei. Hanno negli occhi gli anni di chi è cresciuto in fretta, di chi di dolore ne ha visto già tanto. Hanno cicatrici sul viso e sulle braccia.  E non sai cosa chiedergli quando incontri alcuni dei superstiti di uno dei più grandi naufragi degli ultimi mesi dove hanno perso la vita più di 700 persone. Cosa gli chiedo, ti domandi? Ogni domanda ti sembra stupida e inutile. Non riesci a non pensare a tutto quello che hanno passato prima di quel lungo viaggio in barca che li ha portati, in pochi, a Mineo, davanti ai tuoi occhi. La fame, la sete, il caldo, le perdite, le percosse, il dolore, la fatica, l’attesa, la mancanza dei cari, la mancanza di amore, la mancanza di dignità. E poi quel viaggio in mare. La barca strapiena e i corpi pressati. Le onde e la paura. E insieme la speranza che tutto quello che che hanno vissuto stia per volgere alla fine. La preghiera che quel viaggio termini presto per arrivare a destinazione, la speranza di ritrovare finalmente i propri cari già partiti e di costruirsi un futuro nuovo.
Poi la barca che affonda.
Cosa gli chiedi quando ti ci trovi occhi negli occhi? Quando sai che più di 5 minuti lì con loro non potrai restare? Io non sono riuscita a chiedere nulla.

I ragazzi restano a Mineo in attesa di vedersi riconosciuto il diritto di asilo. Quasi l’attesa di un giudizio divino che deciderà del loro futuro, delle loro speranze. Gli ospiti restano nel centro 13 mesi, quando tutto va bene… E in questi anni succede che chi è preposto alla gestione del centro si prende cura degli ospiti per tutto il tempo necessario: comprare cibo e cucinarlo per nutrire 4000 persone, vestirle, scandire le loro giornate con attività, farle dormire su 4000 materassi, manutenere le case in cui abitano, gestire i loro rifiuti. E poi ci sono militari, medici, avvocati, psicologi,interpreti, volontari, cooperanti. Intorno ad ogni centro gravita un mondo parallelo, e quindi necessariamente interessi economici. “Con gli immigrati si fanno molti più soldi che con la droga”, la citazione d’altra parte è tristemente nota ma, senza ipocrisie, gli immigrati diventano anche un business. E se ci sono tanti volontari e associazioni che operano nel bene e nell’interesse delle persone che hanno bisogno c’è sempre chi, al contrario, ha bisogno delle persone per fare il proprio interesse e il proprio bene.

Difficile allora raccontare cosa ho visto a Mineo, perché Mineo è solo il pretesto. Il problema è molto più ampio ed esiste fuori da Mineo e fuori dai tanti altri centri ricettivi per migranti, ma che è ben radicato dentro tanti Paesi che dovrebbero occuparsi urgentemente delle politiche migratorie e dell’accoglienza.

Allora dov’è il problema? Di chi è la colpa? Di chi scappa? Di chi è disperato? Di chi rischia la propria vita per cercarne una più fortunata? Di chi non fa abbastanza per aiutare le persone nel loro Paese? Di chi non blocca le partenze? Di chi accoglie? Di chi fa dell’accoglienza un business? Di chi spera che l’arrivo dei migranti porti un lavoro ai propri figli? Di chi trova nei migranti braccia forti per avere lavoro a prezzi vantaggiosi? Di chi chiude le porte in faccia ai migranti? Di chi dice che già abbiamo i nostri problemi e i nostri disgraziati e che prima dobbiamo pensare a loro? Dell’Europa che ci lascia soli? Dei Paesi che non lasciano entrare? Di chi gioisce dei naufragi perché i nostri pesci avranno cibo da mangiare, e più morti significano meno soldi da spendere? Di chi uccide per non far entrare? Dell’Italia che non fa abbastanza, che non mette in campo politiche più efficaci per prevenire e affrontare il problema, che non affida alle strutture preposte queste tematiche e che non accelera i tempi burocratici che servono a garantire diritti fondamentali di ogni uomo, come riconosciuto dalla nostra Costituzione? Di chi non costruisce reali percorsi di inclusione e integrazione?

Le domande sono tante e ognuna può essere lecita, fino a che non viene trovato il tempo di dare le risposte. E intanto ogni risposta non data pesa sulla vita di tante persone. E per sapere questo, che sono persone come ciascuno di noi, che sono vite umane uguali alle nostre, che hanno diritto di cercare fortuna e dare un futuro ai loro figli, come abbiamo fatto in passato noi, non era necessario arrivare fino a Mineo.

Un viaggio per crescere… al Sud

di Anna Monterubbianesi


foto1-1080x675Un viaggio in pullman, 60 adolescenti, 4 regioni, 7 giorni. Sono questi i numeri del viaggio di Crescere al Sud, la rete di 80 organizzazioni impegnate nella promozione e tutela dei diritti dei minori nel Mezzogiorno, promossa da Fondazione con il Sud e Save the Children.

Il viaggio parte oggi, venerdì 22 maggio, da Palermo e toccherà i territori di Catania, della Locride, di CosenzaTarantoBari Napoli per arrivare a Roma il 28 maggio, dove i ragazzi porteranno alle Istituzioni le richieste e le proposte raccolte incontrando i loro coetanei nei luoghi simbolo dell’abbandono. Richieste di una generazione che vuole poter crescere al Sud. Perché, invece, provare a costruire lì il proprio futuro sembra un percorso ad ostacoli.Dal problema della povertà dei ragazzi, a quello della dispersione scolastica, alla mancanza di lavoro.

Saranno proprio i figli di questo disagio diffuso, i giovani viaggiatori di Crescere al Sud, a testimoniare tappa dopo tappa le criticità e le emergenze dei loro territori. Lo scopo del viaggio, al quale parteciperanno oltre 60 adolescenti che nel loro quotidiano hanno scelto di impegnarsi nei loro quartieri per promuovere il riscatto sociale della loro generazione, è quello di raccontare le diverse problematiche che segnano la condizione di chi nasce e cresce nel sud Italia, denunciare la mancanza di opportunità e servizi, ma anche raccogliere e dare voce alle aspirazioni, proposte e passioni dei ragazzi e delle ragazze che vogliono essere protagonisti della propria vita.

Ogni tappa raccoglierà nuovi partecipanti per arrivare insieme a Roma il 28 maggio, dove alle ore 14.30, presso la Sala Polifunzionale della Presidenza del Consiglio, incontreranno le Istituzioni nell’evento conclusivo del viaggio.

Le tappe

Venerdì 22 maggio, Palermo>>
Sabato 23 maggio, Catania>>
Domenica 24 maggio, Locri>>
Lunedì 25 maggio, Cosenza>>
Lunedì 25 maggio, Taranto>>
Martedì 26 maggio, Bari>>
Mercoledì 27 maggio, Napoli>>
Mercoledì 27 maggio, Casal di Principe>>

Nemmeno i droni intelligenti a quanto pare esistono

di Anna Monterubbianesi


Lo Porto - Pakistan 1 - CopiaAvevamo bisogno di avere notizie e che venisse rotto un silenzio troppo lungo. Ma di certo questo non lo volevamo sentire.

Così il Portavoce del Forum nazionale del Terzo Settore.

“Apprendiamo con estremo dolore che Giovanni Lo Porto è stato ucciso in Pakistan, vittima civile e inconsapevole di una operazione militare contro al-Quaida condotta da un drone USA . Esprimiamo tutto il nostro cordoglio e la vicinanza alla madre, alla famiglia e a tutte le persone che in questi tre lunghi anni di prigionia si sono mobilitate per la sua liberazione e perché si rompesse un silenzio troppo lungo e troppo assordante.

Pare che la morte di Giovanni sia avvenuta a Gennaio e, pur in questo momento di sgomento e dolore, non possiamo non notare che evidentemente gli sforzi del Governo Italiano per la sua liberazione, al di là delle dichiarazioni ufficiali, erano ben lungi dall’aver conseguito il benché minimo risultato.

Giovanni era un cooperante italiano, di grande esperienza e sensibilità, aveva dedicato la sua vita alla cooperazione internazionale e umanitaria, teso a portare aiuto a persone in difficoltà: era stato in diversi paesi del mondo ed il suo silenzioso impegno era stato unanimemente apprezzato ovunque si fosse recato.

Giovanni non era uno sprovveduto ed era ben consapevole dei rischi che si possono correre nel lavoro che aveva scelto e che amava: crediamo però che non poteva certo immaginare di perdere la vita in questo modo.”