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Paese a rischio


A causa del Coronavirus, la Colombia sta rischiando il collasso del sistema penitenziario. La situazione infatti era già molto precaria, con livelli di sovraffollamento che in alcuni casi superano del 500% il numero di detenuti consentiti. A questo si aggiungono oggi condizioni igieniche precarie, acqua non sempre disponibile e l’assenza di dispositivi di protezione. In molti istituti sono scoppiate violente rivolte.

Strage di reporter


La giornalista María Elena Ferral è stata assassinata in Messico: in passato aveva denunciato i legami tra narcotrafficanti e politica nello Stato di Veracruz. Il paese centroamericano è il più pericoloso per i cronisti: lo scorso anno sono stati dieci quelli uccisi e ben 108 dal 2006. Nel 99% dei casi i delitti sono rimasti impuniti.

“No se mata la verdad matando periodistas”. È questo il forte messaggio che arriva da Xalapa, siamo nel cuore dello Stato di Veracruz in Messico, dove da alcuni giorni prosegue il cordoglio per l’attentato alla giornalista María Elena Ferral. Due sicari a bordo di una moto l’hanno sorpresa mentre usciva da un ufficio notarile a Papantla, cittadina afflitta dalla guerra che i narcos combattono per il controllo dei territori. Colpita da otto proiettili, la cronista è stata portata all’ospedale regionale di “Poza Rica”, dove tuttavia è morta.

María Elena Ferral era nota per le sue inchieste volte a denunciare la corruzione della classe dirigente locale. L’infiltrazione del narcotraffico all’interno degli ambienti politici era diventato il mostro da denudare. E contro quest’ultimo, la sua arma è stata sempre la libera informazione. Da cronista ha collaborato con la testata locale di Papantla, El Diario de Xalapa, ma soprattutto dal 2016 pubblicava nel sito internet da lei creato, Quinto Poder, indiscrezioni e indagini giornalistiche sulle attività criminali e la collusione tra malaffare e agenti di polizia.

Proprio a causa di questa sua attività “fuori dagli schemi” la Ferral era stata più volte minacciata nel corso degli ultimi anni. Le autorità di Veracruz le avevano assegnato una scorta, revocata di recente. Ora sono gli stessi apparati di sicurezza che pretendono la verità. In particolare la “Fiscalía General del Estado” indaga sul caso e promette di “consegnare alla giustizia i responsabili, chiunque si tratti”. Una formula, quest’ultima, che denuncia una particolare forma di omertà tra i funzionari statali, che adesso si promette di lasciare alle spalle.

Intanto si sommano nel Paese centroamericano i casi di cronisti imbavagliati fino alla morte. Durante una delle numerose proteste in corso a Xalapa, una collega della Ferral, Verónica Huerta, ha denunciato altri 28 casi di giornalisti uccisi nel solo stato di Veracruz. Qui, poco meno di tre settimane fa, un’altra giornalista Blanca Mireya Ulloa, direttrice del quotidiano “La Opinion” è stata vittima di un orribile attacco a colpi di pugnalate mentre percorreva il tragitto verso casa. Fortunatamente è riuscita a salvarsi, ma restano le continue minacce di morte a carico della donna, per intimidirla e costringerla a cessare le sue pubblicazioni.

Di tutte queste vicende si occupa l’organizzazione internazionale “Reporter senza frontiere”, attiva in tutto il mondo per informare sui tentavi di arrestare la libertà d’informazione. Nel caso del Messico la Ong riporta che “sebbene il Paese non si trovi in uno stato di guerra (almeno ufficialmente ndr.) i media messicani risultano immersi in una grave spirale di violenza ed impunità di fronte la legge. Il Messico continua ad essere la più pericolosa nazione latino-americana per la stampa a tutti i livelli”. L’organizzazione conta anche un numero di cento cronisti uccisi dal 2006, quando il Paese ha iniziato una dura lotta per estirpare i narcos. Dieci lo scorso anno, mentre quello occorso a Maria Elena Ferral, è il primo delitto che si registra nel 2020.

Intanto questa dichiarazione di guerra alla libertà di stampa è giunto anche tra i corridoi delle diplomazie del Vecchio Continente. Infatti la delegazione dell’Unione Europea in Messico ha voluto manifestare la propria preoccupazione per la mancanza di risultati nelle indagini aperte sui casi precedenti all’uccisione della giornalista. L’organismo diplomatico ha anche ribadito il proprio appoggio a tutti gli organi di stampa che promuovono il diritto ad un’informazione libera e trasparente. Nel messaggio si legge: “l’esistenza di mezzi di comunicazione liberi e indipendenti è una condizione indispensabile per lo sviluppo e la protezione della democrazia”.

di Pierluigi Lantieri

Golpe all’ungherese


Stato di emergenza a tempo indeterminato, carcere per chi fa disinformazione, sospensione delle elezioni: i poteri straordinari di Viktor Orbán per contrastare il coronavirus trasformano l’Ungheria in un regime autoritario, incompatibile con i valori dell’Unione Europea. Ai nostri microfoni la giornalista Antonella Napoli di Articolo 21. (sonoro)

Sei punti per i paesi poveri


Sono quelli che Oxfam chiede al G20 per prevenire la diffusione del Coronavirus rafforzando i sistemi sanitari e cancellando il debito delle nazioni in via di sviluppo, che ospitano quasi metà della popolazione mondiale. Tra le proposte, la formazione di nuovo personale medico e l’accesso alla sanità gratuito per tutti. Intanto l’organizzazione umanitaria è in campo in Italia con azioni di solidarietà concreta. Sentiamo quali. (sonoro)

I dannati del virus


Travolte dalla pandemia che era stata inizialmente sottovaluta, le autorità statunitensi sono in grande difficoltà. Ospedali costretti a una spietata selezione. Il servizio di Fabio Piccolino.

L’impennata dei casi di Covid19 negli Stati Uniti e l’ambiguità delle misure messe in atto dall’amministrazione Trump per il contrasto del virus hanno reso la situazione nel Paese molto tesa.  A far discutere inoltre è la scelta di alcuni Stati americani di escludere dalle cure chi soffre di determinate patologie: in Tennessee le persone con atrofia muscolare spinale non verranno sottoposte a terapia intensiva, mentre a New York, Alabama, Utah, Minnesota e Oregon, i medici dovranno valutare il livello di abilità fisica e intellettiva generale prima di intervenire. Secondo Marco Rasconi, presidente di Uildm, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare “La vita di una persona con disabilità non vale meno di un’altra; l’impegno di una società deve puntare a non dover mai scegliere chi curare, a dare a tutti le stesse possibilità”.

Brutte previsioni


Sono circa 2300 fino a ora i contagi di coronavirus riconosciuti in Africa, principalmente in Sudafrica, Egitto, Algeria, Marocco, Burkina Faso, Senegal. Dati probabilmente sottostimati che potrebbero rivelare una situazione molto più critica, in un continente privo di strutture sanitarie adeguate e con pochi posti in terapia intensiva. Secondo Amref, che sta lavorando sulla prevenzione, “occorre prepararsi al peggio”.

Sotto tiro


Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, negli ultimi 5 anni si sono verificati oltre 142 attacchi su ospedali e strutture sanitarie in Yemen. Il paese, martoriato da anni di guerra, si trova oggi a far fronte alla minaccia del coronavirus. Secondo Oxfam Italia, gli effetti della pandemia darebbero devastanti e andrebbero a sommarsi ai casi di colera che hanno già colpito milioni di persone.

Sempre pronti


L’emergenza coronavirus non ferma il lavoro dei cooperanti nel mondo, che si trovano a far fronte a ulteriori difficoltà nelle aree di crisi in cui si trovano ad operare. Ai nostri microfoni Silvia Stilli, Portavoce di AOI,  Associazione organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale. (Sonoro)

Il vecchio virus


Appena due settimane fa nella Repubblica Democratica del Congo è stato dimesso l’ultimo paziente malato di Ebola, che nella grande epidemia ha causato 2200 morti: oggi anche il paese africano si trova a far fronte all’emergenza Covid-19. Anche se il livello di prevenzione negli ultimi anni è migliorato, ci si interroga con preoccupazione su quale sarà l’impatto del nuovo virus.

Effetti collaterali


La pandemia determina ripensamenti in tutti i settori della società. Negli Usa, per esempio, è avviata una riflessione sulla giustizia penale. Il servizio è di Fabio Piccolino.

L’epidemia di Covid-19 potrebbe accelerare l’abolizione della pena di morte negli Stati Uniti: è l’opinione dell’Osservatorio del Texas contro le esecuzioni capitali. Nei giorni scorsi infatti, alcune condanne sono state sospese per sessanta giorni in Tennessee e nello stesso Texas e si prevede che lo stesso succederà per i detenuti nel braccio della morte di diversi stati, compresi Ohio e Missouri. La sospensione delle esecuzioni potrebbe rappresentare un nuovo passo in avanti verso un cambio di paradigma, in un paese in cui, secondo un recente sondaggio, il 60% dei cittadini si è detto favorevole alla reclusione piuttosto che all’eliminazione dei condannati e dove in 21 Stati la pena di morte è stata definitivamente abolita.