È la drammatica media registrata nelle scuole e università indiane. Il fenomeno è in drammatica impennata, con un totale di quasi 9.500 ragazzi in un anno che hanno deciso di togliersi la vita. Tra le cause principali il non superamento degli esami.
No welcome
Le ong denunciano le recenti misure di Israele per liberarsi dei migranti irregolari. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Stop alle deportazioni di migranti irregolari fuori dal territorio israeliano: è quanto sta chiedendo il mondo delle ong a seguito delle recenti iniziative del governo di Netanyahu per incoraggiare l’abbandono del Paese di quanti non abbiano lo status di rifugiato. Tra le misure adottate, l’incentivo economico di 3.500 euro per la partenza entro tre mesi. Altrimenti? La legge israeliana prevede per i migranti irregolari la reclusione a tempo indeterminato e multe salate per chi offre loro accoglienza. Secondo le ong una somma anche maggiore sarebbe destinata ai Paesi che accoglieranno i migranti: al primo posto ci sarebbero Ruanda e Uganda, i quali avrebbero stipulato con Israele un accordo che prevede in cambio dell’accoglienza anche una maggior collaborazione sia militare che agricola. Ma i due Paesi dell’Africa orientale negano l’esistenza di tale accordo.
Pulizia in rete
Fino a 50 mila euro di multa per i social media che non cancellano entro 24 ore i contenuti d’odio segnalati. È quanto previsto dalla nuova legge tedesca, la prima di questo tipo nel mondo, per arginare il fenomeno dell’hate speech, in gran parte attribuito all’assenza di controlli su piattaforme come Facebook, Twitter e Instagram.
La legge riguarda i social media con oltre 2 milioni di iscritti. Per i contenuti più complessi da esaminare (come pagine, video, fake news) è consentito un tempo di 7 giorni prima di procedere alla rimozione. Anche l’Unione europea ha recentemente chiesto alle grandi piattaforme social di fare di più per porre un freno all’hate speech, mentre l’Inghilterra pare stia pensando ad una norma ad hoc che contenga i fenomeni di estremismo online.
Sangue e manette
In Iran si aggrava il bilancio delle proteste contro il governo scoppiata giovedì scorso. Mentre l’esecutivo di Rohani non arretra e minaccia una dura repressione, nelle principali città europee si stanno svolgendo presidi di solidarietà con la popolazione. Ai nostri microfoni Franco Uda, responsabile, Arci Pace. (sonoro)
MORTEZA JABERIAN/AFP/Getty Images
Una conquista di civiltà
In Islanda la parità salariale tra uomini e donne è legge, con la previsione di un’ammenda per aziende e uffici pubblici che non dimostrino l’uguaglianza di trattamento. Nel mondo, il gender gap negli stipendi continua ad esistere nonostante, come in Italia, vi siano già norme all’avanguardia.
Bombe made in Italy
Cresce la protesta delle associazioni dopo l’inchiesta del New York Times sulla vendita di armi italiane all’Arabia Saudita. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Bombe italiane, morti yemeniti: questo il titolo dell’inchiesta del New York Times che nei giorni scorsi ha denunciato come le bombe dell’aviazione saudita, che hanno provocato più di 10mila vittime, tra cui civili nella guerra nello Yemen, siano state prodotte in Sardegna. Nel 2016, 45 licenze di vendita sono state rilasciate dall’Italia per un totale di oltre 480 milioni di euro. Già mesi fa le associazioni avevano lanciato al nostro governo un appello per interrompere la vendita di armi a Paesi implicati nel conflitto yemenita, dove è proprio l’Arabia Saudita a guidare la coalizione militare. La Camera, tuttavia, aveva votato per il respingimento dell’ipotesi di embargo verso il Paese che, attualmente, non subisce ancora alcuna restrizione internazionale e europea, nonostante la sua presenza stia alimentando nello Yemen una crisi umanitaria di estrema gravità.
L’Onu boccia Trump
Contro la decisione di spostare a Gerusalemme la capitale di Israele si sono schierati 128 Paesi. Ora si riconosca lo stato della Palestina, dice ai nostri microfoni Luisa Morgantini di Assopace che in questi giorni si trova a Gaza. (sonoro)
Emergenza Yemen
A mille giorni dall’inizio della guerra, il Paese è a un passo dalla carestia, a causa del blocco dei principali porti a nord, che impedisce l’ingresso di cibo, carburante e medicine. “Una barbarie priva di decenza e senso di umanità”, dicono le tante ong che invitano la comunità internazionale a farsi avanti.
Penne scomode
Quest’anno sono stati 65 i giornalisti uccisi nel mondo mentre svolgevano il loro mestiere. A rivelarlo è l’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere, che registra un leggero calo rispetto ai 79 che hanno perso la vita nel 2016. In aumento, invece, le morti delle giornaliste, passate da 5 a 10 negli ultimi dodici mesi.
Pugno di ferro
Continuano in Turchia gli arresti legati al fallito golpe del 2016. Nell’ultima settimana sono finite in manette 882 persone con accusa di terrorismo, 148 quelle per supposti collegamenti con il PKK curdo. Dall’anno scorso sono stati più di 50mila gli arresti per presunti reati di terrorismo.