Trend positivi per gli aiuti allo sviluppo negli ultimi dati Ocse, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. In Italia spesi 982 milioni di euro per i rifugiati. “Ma – denunciano le ong internazionali – non sempre i soldi arrivano davvero alle popolazioni più povere”.
I dati del 2015 sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) – pubblicati oggi dall’OCSE – mostrano che nel 2015 le risorse destinate all’APS ammontano a 131,6 miliardi di dollari, impegnati da paesi donatori prevalentemente europei: un incremento complessivo del 6,9% che si riduce ad un piccolo 1,7% al netto dei costi per l’accoglienza dei rifugiati contabilizzati da molti Paesi donatori, soprattutto in Europa, in quota APS. L’Italia ha innalzato il suo contributo di APS in rapporto al PIL dallo 0,19% del 2014 allo 0,21% del 2015. Un aumento che, al netto dell’inflazione e dei tassi di cambio, ammonta in termini assoluti a +568 milioni di dollari, pari a +14,2%.
“Un’inversione di tendenza che non basta”. “Se da un lato si può essere soddisfatti dell’aumento di contributi da parte dei Paesi Donatori, Italia inclusa – ha commentato Francesco Petrelli, responsabile delle relazioni istituzionali di Oxfam Italia – dall’altro è evidente che bisogna fare di più, in un mondo dove ci sono ancora 900 milioni di persone che vivono in estrema povertà. L’aumento dell’Aiuto Pubblico italiano, conferma l’inversione di tendenza positiva del nostro Paese, sebbene vi siano ancora molti ritardi da recuperare rispetto ad altri donatori – ha aggiunto Petrelli – rimane solo da sperare e auspicare che queste risorse, nel quadro nella nuova legge sulla Cooperazione, siano sempre più concentrate per la realizzazione di programmi di sviluppo e lotta alla povertà, sia nelle aree e nei Paesi che l’Italia ha indicato come prioritari (Africa Sub Sahariana e Mediterraneo) sia nei Paesi più poveri, agli ultimi posti delle classifiche di sviluppo: i cosiddetti LDC least devloped countries”.
Il diritto si è fermato ad Idomeni
Al confine tra Macedonia e Grecia regna il caos più totale. Tra l’inerzia dell’Europa e il pugno duro della polizia locale, migliaia di sfollati resistono in condizioni al limite della dignità umana. La denuncia di Amnesty International nelle parole del portavoce Riccardo Noury. (sonoro)
I numeri della vergogna
Novecento bambini uccisi e oltre ottocento casi di reclutamento solo nel 2015. Sono questi i dati Unicef sul conflitto in Yemen, dove nell’ultimo anno si sono inasprite le violazioni dei diritti umani. La speranza è che la cessazione delle ostilità iniziata ieri possa migliorare la protezione dei minori.
In base alla dichiarazione congiunta di Leila Zerrougui, rappresentante speciale del Segretario Generale Onu per i bambini e i conflitti armati e Peter Salama, direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, in Yemen i bambini rappresentano un terzo di tutti i civili uccisi e quasi un quarto dei feriti. Nell’ultimo anno del conflitto i minori che hanno perso la vita sono stati sette volte di più rispetto al 2014, mentre il reclutamento è aumentato di cinque volte. Gli attacchi alle scuole e agli ospedali sono raddoppiati e hanno colpito oltre 115 strutture. “Speriamo che la cessazione delle ostilità e i colloqui di pace in programma il 18 aprile, possano portare alla fine di questo conflitto”, si legge nella nota di Zerrougui e Salama. “Chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto di rispettare i loro obblighi secondo le leggi del diritto internazionale umanitario, di impegnarsi affinchè vengano rilasciati i bambini che sono stati reclutati e utilizzati nei combattimenti e di porre fine a tutte le gravi violazioni contro i bambini e le bambine. Le parti dovrebbero prendere ogni decisione possibile per proteggere le scuole e gli ospedali e facilitare la distribuzione di aiuti umanitari ai bambini e a tutti coloro che hanno bisogno di aiuto”.
L’Europa sempre più no triv
Dopo la Croazia, anche la Francia prende iniziative per fermare le perforazioni petrolifere nel Mediterraneo. Il servizio di Giovanna Carnevale.
La Francia applicherà una moratoria immediata sulla ricerca di idrocarburi nelle sue acque territoriali e nell’area adiacente ad esse, ovvero la zona economica esclusiva. La decisione, come si legge nel comunicato governativo seguito alla Conferenza nazionale sulla transizione ecologica del mare e dell’oceano, è stata presa dal ministro degli esteri considerando “le conseguenze drammatiche che possono colpire l’insieme del Mediterraneo in caso di incidente di trivellazione petrolifera”. Intenzione della Francia, poi, è quella di chiedere l’estensione della moratoria a tutto il Mediterraneo, nell’ambito della convenzione di Barcellona del 1976 per la protezione di questo mare, e in linea con la politica energetica francese, che prevede per legge una riduzione dei consumi delle energie fossili.
Buone nuove
Nelle prossime due settimane la Birmania potrebbe rilasciare i circa novanta prigionieri politici e attivisti attualmente in carcere. Il comunicato del governo, in cui viene precisato che si “tenterà” di liberare i detenuti, reca la firma di San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e da pochi giorni ministro degli esteri del Myanmar.
Sos minori
Dall’entrata in vigore dell’accordo Ue-Turchia i bambini devono far fronte ad un futuro incerto. Secondo l’Unicef oltre 2.000 sono soli: fra gennaio e metà marzo sono stati registrati 1.156 minorenni non accompagnati:+300% rispetto allo stesso periodo del 2015.
La mano del boia
Nel 2015 c’è stato il più alto numero di esecuzioni degli ultimi 25 anni. Sono i dati dell’ultimo rapporto di Amnesty sulla pena di morte nel mondo. Responsabili del 90% delle condanne sono Arabia Saudita, Pakistan e Iran. I dati non comprendono la Cina dove le informazioni sulla pena di morte sono un segreto di stato.
Le persone condannate a morte in 25 paesi sono state almeno 1634, tramite decapitazione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione.
Con almeno 977 prigionieri messi a morte, l’Iran ha fatto registrare l’82 per cento delle esecuzioni di tutta la regione medio-orientale, seguito dall’Arabia Saudita che ha messo a morte almeno 158 prigionieri.
Negli Stati Uniti il numero è sceso da 72 nel 2014 a 52 nel 2015, il più basso numero registrato dal 1977, l’anno della ripresa delle esecuzioni. Il numero delle persone in attesa dell’esecuzione è così salito ad almeno 20.292.
Quattro paesi (Figi, Madagascar, Repubblica del Congo e Suriname) hanno abolito la pena di morte per tutti i reati, portando il totale dei paesi completamente abolizionisti a 102. I paesi che hanno abolito, per legge o nella prassi, la pena di morte sono arrivati a 140. La Mongolia ha adottato un nuovo codice penale, che non prevede più la pena di morte e che entrerà in vigore entro il 2016.
I furbetti dell’evasione
Paradisi fiscali servono regole più severe. Lo chiede la ong Oxfam dopo lo scandalo Panama Papers. Il servizio di Fabio Piccolino.
Regole più severe per impedire la sottrazione di risorse alla collettività attraverso l’evasione e il riciclaggio. E’ l’appello di Oxfam dopo lo scandalo Panama Papers sul funzionamento delle società nei paradisi fiscali. Mentre i ricchi e le grandi corporations nascondono i propri “tesori” senza pagare le tasse, almeno 400 milioni di persone non hanno accesso a servizi sanitari pubblici di base.
Sono le conseguenze, spiega Oxfam, dell’iniquità del sistema fiscale internazionale, dall’agguerrita concorrenza tra i Paesi e dall’opacità del sistema; attraverso la campagna “Sfida L’Ingiustizia” l’organizzazione chiede al Governo italiano e ai leader mondiali di adottare con urgenza misure efficaci di giustizia fiscale.
Anche la Croazia è No triv
Molte associazioni e ong slave contro la decisione del governo di Zagabria di concedere nuove concessioni per bucare il mare Adriatico. Il servizio di Giovanna Carnevale.
La battaglia delle trivelle infuria in tutto il Mediterraneo e la notizia delle nuove concessioni che la Croazia ha destinato ad una serie di multinazionali del petrolio, Eni compresa, sta scuotendo le coscienze di tanti cittadini, su entrambe le sponde dell’Adriatico. In particolare nel Paese ex jugoslavo sono tante le associazioni e ong che in questi giorni si stanno mobilitando facendo pressione al Premier croato e ai ministri del turismo e dell’economia affinché fermino il progetto di ricerca di idrocarburi e le trivellazioni in mare. Il rischio, dicono, è che venga inquinato questo spazio naturale e che a risentirne, oltre all’ambiente, sarà anche il turismo. In settimana sono previste mobilitazioni in tutto il Paese e una staffetta mediatica con l’Italia in vista del referendum del prossimo 17 aprile.
Violenza di Stato
Sarebbero oltre cento, in gran parte minorenni, le vittime di abusi sessuali commessi nel 2013 dai caschi blu dell’Onu e da altri soldati di una missione a guida francese nella Repubblica Centrafricana. A denunciare i reati l’organizzazione statunitense per i diritti umani Code Blue Campaign.
Lo scandalo sarebbe emerso lo scorso anno, ma nuovi elementi hanno riportato alla luce il caso, tra cui le interviste dell’Unicef a novantotto ragazze del Centrafrica che hanno dichiarato di essere state abusate sessualmente dalle forze di peacekeeping.
“Gli interventi della comunità internazionale”, ha detto Stephane Dujarric, portavoce del Segretario Generale dell’Onu, “hanno contribuito a salvare la Repubblica Centrafricana da un destino indicibile. Tuttavia dobbiamo affrontare il fatto che certi soldati inviati a proteggere la popolazione hanno invece agito con cuori di tenebra. Questi crimini maturano nel silenzio. Il Segretario Generale sta facendo luce su questi supposti atti spregevoli, riprovevoli e profondamente rivoltanti.”
Ad essere coinvolti nell’accusa sarebbero i soldati della missione Sangaris a guida francese e i caschi blu di Burundi, Gabon e Marocco.