Archivio Fabio Piccolino

Cannabis, 10 canzoni italiane

di Fabio Piccolino


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Nel nostro paese si discute nuovamente di legalizzazione delle droghe leggere.
Il nuovo progetto di legge, frutto del lavoro di un intergruppo parlamentare e firmato da 218 onorevoli, consentirebbe il possesso per uso ricreativo, la coltivazione, e la possibile apertura dei cosiddetti cannabis social club.
Negli ultimi anni la legislazione in merito al consumo di marijuana si è fatta via via più tollerante in diversi paesi del mondo: paesi come Olanda, Spagna, Stati Uniti, Uruguay, hanno sperimentato formule diverse, verso una maggiore tolleranza.
Storicamente però, l’utilizzo della cannabis ha dovuto fare i conti con la contrarietà delle leggi, e ciò ha fatto in modo che su questo argomento si scrivesse molto: la storia della musica è costellata di canzoni dedicate alla marijuana e in alcuni casi, come per il reggae e il ragamuffin, rappresenta un tema ricorrente.
Ma senza dover scomodare Bob Marley o Peter Tosh, anche la musica italiana ha ampiamente affrontato questo tema.
Elencare tutti i pezzi nostrani dedicati alla liberalizzazione delle droghe leggere sarebbe difficile e anche un po’ noioso. Così ho deciso di selezionare dieci pezzi significativi, anche per le diverse epoche storiche a cui appartengono, scavando tra i ricordi.

 

Stefano Rosso – Una storia disonesta
“Che bello, due amici, una chitarra e uno spinello”: siamo nel 1976, e con grande ironia, Stefano Rosso mette alla berlina  le ipocrisie e la falsa morale sulle libertà individuali. “Una storia disonesta” è una delle prime canzoni italiane a parlare apertamente di droghe leggere.

 

Eugenio Finardi – Legalizzatela
Alla fine degli anni 70 Eugenio Finardi pubblica l’album dal titolo emblematico “Roccando rollando”: sul lato B c’è “Legalizzatela”, pezzo che esprime senza mezzi termini le posizioni antiproibizioniste dell’autore e la necessità di marcare una differenza tra sostanze leggere e droghe pesanti.

 

Neffa – La mia signorina
Siamo nel 2001 e “La mia signorina” diventa uno dei tormentoni dell’estate.
Tutta Italia canta con Neffa, ma non tutti sanno che la seducente signorina che “brucia sempre” e che “cerca sempre il sole” è proprio la marijuana.
Il successo del singolo trasforma Neffa in una popstar: un deciso cambio di rotta per l’artista, considerato negli anni 90 tra i più influenti esponenti del rap italiano, prima con i Sangue Misto e poi da solista.

 

 

 

Sangue Misto – La Porra
I Sangue Misto sono una delle prime formazioni propriamente rap italiane.
Neffa, Deda e Dj Gruff pubblicano nel 1994 il loro unico album “SXM”, considerato una pietra miliare dell’ hip hop di casa nostra.
Sono anni in cui all’interno di quel movimento di ribadisce con forza il no alle droghe pesanti e una certa accondiscendenza verso hashish e marijuana (“Fumo la mia porra non mi pungo con la spada”, cantano nel brano “Cani sciolti”).
In questo senso,  “La porra” è certamente il brano più significativo.

 

 

 

Rino Gaetano – A Khatmandu
“Si fumava, non ci davano la sola”, cantava Rino Gaetano nella prima strofa di questa canzone, contenuta nell’album d’esordio “Ingresso libero”.
I riferimenti non sono espliciti, ma come spesso accade con i testi di Rino Gaetano, le parole vengono piegate a significati differenti. Secondo alcuni, in questo brano si raccontano le esperienze con sostanze psicotrope nella Roma degli anni ’70.
Pochi mesi prima Gaetano aveva inciso, con lo pseudonimo di Kammamuri’s, il brano “I love you Maryanna”, che secondo alcune interpretazioni, farebbe riferimento alla marijuana.

 

 

Articolo 31 – Maria Maria
Come “La mia signorina”, si tratta di un pezzo che ha scalato le classifiche, conquistando le grandi masse.
In uno dei loro primi successi commerciali, gli Articolo 31 giocano ampiamente sul doppio senso: difficile non capire chi sia la ragazza vestita di verde e il profumo buono che non va d’accordo tanto con i cani, anche per l’inequivocabile  videoclip che ha accompagnato il successo del brano nel 1994/95.

 

 

 

Punkreas – Canapa
Forse uno dei pezzi più significativi degli ultimi anni in tema di liberalizzazione.
Il testo di questa canzone offre una guida rapida alla coltivazione fai da te e illustra i benefici della cannabis sativa, che, nella parole della band lombarda, “potrebbe soppiantare petrolio e derivati, la plastica ed i farmaci a cui siamo abituati”

 

 

Claudio Bisio – La droga fa male
Nel 1991 Claudio Bisio non è ancora l’affermato  personaggio televisivo e cinematografico che tutta Italia conosce, ma è già un brillante autore comico.
Insieme a Rocco Tanica degli Elio e le Storie Tese, confeziona l’album “Patè d’animo”, vera perla di creatività comico-musicale. Dentro c’è il brano “La droga fa male”, dove, con la consueta dose di demenzialità, si affronta il binomio droghe leggere/droghe pesanti prendendosi gioco della falsa informazione sul tema delle sostanze stupefacenti, tra “iniezioni di spinelli” e “drogati con le crisi di astensione”.

 

 

Sud sound system – Erba erba
Impossibile non citarla. Uno dei maggiore successi della band salentina, e per molti, un vero e proprio inno alla liberalizzazione, che punta il dito contro le leggi proibizioniste che arricchiscono le mafie.

 

 

99 posse – All’antimafia
“All’antimafia” è un pezzo dei 99 posse contenuto nell’album “La Vida que vendrà”, pubblicato nel 2000.
Ad essere presi di mira sono la legislazione in merito alle sostanze stupefacenti e i poliziotti troppo zelanti nella sua applicazione.

 

 

Bonus track:

Danno: Full Time
A proposito di storia del rap italiano, chiudiamo questa piccola rassegna con un brano di Danno dei Colle Der Fomento, band da sempre impegnata contro il proibizionismo.
La canzone “dedicata a chi la vuole liberalizzata, a chi cerca la sua spiaggia immacolata”, affronta il tema con una buona dose di ironia.

 

 

Roma Brucia, per vivere il presente

di Fabio Piccolino


romabruciaLa vita non è fatta di cose incredibili, fantastiche. E’ fatta di piccole cose, ma quando non chiedi l’impossibile, quelle piccole cose si trasformano in realtà eccezionali”.
Mi piace partire da Osho, il famoso maestro spirituale indiano, per raccontare di Roma Brucia, il piccolo-grande festival musicale, giunto alla quarta edizione, che animerà la suggestiva location di Villa Ada nel prossimo weekend, 11 e 12 luglio.
Perché è proprio dal piccolo che nasce questa idea: valorizzare il territorio e i migliori musicisti che durante l’anno calcano i palchi dei locali, raccogliendone il meglio in un festival estivo che celebra “le band romane che spaccano”.

Un’idea semplice che sappiamo già essere quella giusta: le tre edizioni precedenti (le prime due nei quartieri simbolo della movida della Capitale, San Lorenzo e Pigneto, la terza a Villa Ada) hanno dimostrato che il pubblico sa apprezzare le iniziative che nascono dal basso, se la prerogativa di quello che si propone resta la qualità.

 

Qualità è la parola d’ordine per una parata di musicisti mai così eterogenea. Ventisette in tutto gli artisti che si alterneranno su due palchi (uno dei quali proprio sul laghetto), come da tradizione dell’evento, ad un prezzo assolutamente popolare: il biglietto costa 10 euro (5 se si arriva prima delle 18).
Dentro c’è di tutto, dall’alternative rock dei Sadside Project al rap di Gdb Famija e Assalti Frontali, dal folk di Ardecore e Muro del Canto al cantautorato di Emanuele Colandrea , fino al blues contaminato  dei Bud Spencer Blues Explosion o al percussionismo urbano dei Bamboo. Dai nomi meno conosciuti a quelli che attirano più pubblico, dal pomeriggio fino alla notte, con la possibilità di leggere, giocare, mangiare e suonare in acustico.

 

Piccole cose che crescono col tempo, dicevamo, fino a diventare qualcosa di significativo e di prezioso. Roma brucia di passione e fa i conti con sé stessa e con i propri figli, che siano essi artisti o spettatori. All’interno di una manifestazione che si chiama “Roma incontra il mondo”, è proprio Roma ad incontrare  sé stessa, la sua gente, la sua musica.
Non c’è niente che racconti meglio la contemporaneità come la musica di questi anni. Roma Brucia la mette tutta insieme nella sua varietà, restituendo alle persone tutto il bello della città in cui vivono e chiamando a sé chi lo sa apprezzare, in uno dei più affascinanti polmoni verdi della metropoli.
Farne parte significa vivere il presente.

 

(qui il programma della manifestazione)

Su twitter l’Africa che nessuno mostra

di Fabio Piccolino


marocco#TheAfricaTheMediaNeverShowsYou (l’Africa che i media non ti mostrano) è l’hashtag lanciato da un gruppo di professionisti africani per combattere i luoghi comuni sul continente nero.
Secondo i promotori della campagna, i media tradizionali parlano di Africa solo per raccontare tragedie umanitarie, povertà e catastrofi: l’obiettivo è invece quello di cambiare le carte in tavola, proponendo un racconto positivo di tutto quello che di bello c’è da scoprire.
Spiagge incontaminate, antiche moschee, campus universitari, ospedali ultra-moderni, ma anche moda, architettura e arte: twitter è diventato in poco tempo una nuova cassa di risonanza per conoscere un volto inedito dell’Africa.
L’hashtag è stato finora utilizzato per circa 45.000 tweet.

Brasile, a San Paolo autobus a idrogeno

di Fabio Piccolino


saopaulo
Da una settimana a San Paolo circolano nuovi bus ad idrogeno: veicoli di progettazione totalmente brasiliana che contribuiscono così a ridurre l’inquinamento prodotto dalla flotta di autobus più grande del mondo, attualmente quasi interamente ad alimentazione diesel.
La qualità dell’aria di San Paolo, così come quella di molte città del Brasile, non è delle migliori: più del 40% dei veicoli a motore brasiliani infatti sono alimentati da carburanti derivati dall’etanolo, determinando un forte inquinamento.
Con i suoi venti milioni di abitanti e circa sei milioni di vetture, a  San Paolo l’inquinamento dell’aria sarebbe la causa di malattie cardio-respiratorie che determinerebbero la morte di circa 12 persone al giorno, secondo uno studio di qualche anno fa.
L’iniziativa dei bus ad idrogeno rappresenta dunque un grosso passo in avanti: per il momento i veicoli circolano solamente nella linea Diadema-Morumbi del corridoio sud São Mateus-Jabaquara, e sono identificabili per le colorate carrozzerie decorate con illustrazioni di tre uccelli brasiliani. Gli autobus offrono più spazio ai passeggeri e sono provvisti di un sistema di controllo sofisticato.

Filippine, l’Onu condanna la situazione delle carceri

di Fabio Piccolino


Il comitato Ojail2nu per la prevenzione della tortura ha chiesto al governo delle Filippine di migliorare la situazione carceraria.
Sovraffollamento, scarsità di servizi essenziali e assistenza, necessità di ricorrere alle famiglie per la sopravvivenza: secondo gli ispettori è necessario trovare al più presto delle soluzioni sostanziali.
Nel paese asiatico inoltre rappresenta un grave problema la detenzione senza condanna: si calcola che solo il 35% dei detenuti lo è per sentenze passate in giudicato.

Allargare lo sguardo per capire l’immigrazione

di Fabio Piccolino


Sul tema dei migranti si gioca il dibattito politico degli ultimi mesi e di conseguenza, il ruolo dell’opinione pubblica che trasforma i pensieri in voti.
Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere la lettera che il governatore della regione Lombardia Maroni ha inviato ai prefetti, chiedendo di sospendere l’accoglienza di richiedenti asilo disposta dal Governo. Una proposta provocatoria e senza un reale riscontro con la realtà, che oltretutto va oltre le competenze delle regioni: simili decisioni infatti sono di competenza del Ministero dell’Interno e del governo.
La questione tuttavia rinfocola il dibattito su un tema sempre più caldo, mentre in queste ore altre seimila profughi e richiedenti asilo sono arrivati nel nostro paese dalla Libia.
Sono passati meno di due mesi dalla tragedia del mare che, nel canale di Sicilia, è costata la vita a 900 persone, e la questione degli sbarchi è stata discussa a più riprese dall’Unione Europea, senza che i paesi membri abbiano trovato un accordo sulle quote.
Eppure i dati ci dicono che l’immigrazione rappresenta una risorsa: lo raccontiamo quotidianamente nel nostro Giornale Radio. La ricerca dell’Università La Sapienza che dimostra come il lavoro degli immigrati ha salvato la manifattura italiana dalle conseguenze negative dell’introduzione dell’euro, facendo crescere il settore industriale fino al 19%; o i dati Istat che spiegano come i lavoratori stranieri abbiano arricchito le casse dello Stato di oltre 123 miliardi di euro, solo per citare due esempi emersi nell’ultima settimana.
Sarebbe miope discutere di immigrazione senza aprire gli occhi sul mondo e sulle aree di crisi da cui le persone fuggono: guerre, dittature, repressioni persecuzioni, carestie. Per leggere il fenomeno migratorio è necessario conoscere e comprendere gli avvenimenti che accadono in molte parti del mondo. In una recente apparizione televisiva Emma Bonino lo ha sintetizzato in poche semplici parole: “Pretendiamo di decidere le sorti del mondo, ma non vogliamo capire e vedere quello che succede intorno a noi. Così ci stupiamo di fenomeni come l’Isis, senza saperne nulla”.
E’ l’Europa degli egoismi che prende il sopravvento su quella della solidarietà.  Ma se la priorità non è più quella di salvare delle vite umane e di garantire un’esistenza dignitosa alle persone, si alimentano divisioni e razzismi.
Quello dell’accoglienza è un tema che si intreccia con la politica e la cronaca di questi giorni: l’inchiesta di Mafia Capitale ha svelato un sistema di avidità e sfruttamento di chi si arricchisce sulla pelle degli ultimi.
Approcciare alla questione immigrazione significa dunque sgombrare il campo dalle ipocrisie e dalle speculazioni elettorali. Le stesse che colpiscono la comunità rom, figlia di pregiudizi sempre più radicati e di un razzismo quanto mai trasversale.
I dati dell’associazione 21 luglio però ci dicono che a vivere nei campi sono 1 su 5 dei circa 180 mila rom e sinti presenti in Italia. Gli altri (4 su 5) vivono in regolari abitazioni, studiano, lavorano e conducono un’esistenza normale.
Le soluzioni dunque, vanno ricercate nelle politiche che favoriscono l’integrazione, non le “ruspe” invocate a più riprese da alcuni politici.
Dove le ruspe sono arrivate davvero, come un mese fa nell’insediamento di Ponte Mammolo a Roma, 400 persone hanno perso tutto, lasciando la propria vita in un cumulo di macerie, come raccontato nel reportage di Andrea Cardoni.
Non si possono cancellare le persone, né tantomeno tentare di risolvere i problemi senza confrontarsi con la realtà dei fatti, le esigenze delle persone ed il diritto internazionale.
Cercando di capire che la realtà è molto più complessa di come spesso viene raccontata.

Pena di morte per l’attentatore di Boston. Amnesty: “Non è giustizia”

di Fabio Piccolino


boston“Condanniamo gli attentati che hanno avuto luogo a Boston due anni fa, e piangiamo la perdita di vite umane e gravi danni che hanno causato. La pena di morte, tuttavia, non è giustizia. Aggrava soltanto la violenza, e non riuscirà a dissuadere gli altri dal commettere crimini simili in futuro”.
Sono le dichiarazioni di Steven W. Hawkins, direttore esecutivo di Amnesty International USA, dopo la notizia della condanna  a morte per Dzhokhar Tsarnaev,  il ventunenne autore dell’attentato che nel 2013 provocò la morte di 3 persone e il ferimento di altre 264.
Qualche settimana fa i genitori di Martin Richard, il bambino di otto anni morto durante l’attentato avevano chiesto che non si facesse ricorso alla pena  capitale per i colpevoli.
Ad applicare la condanna è direttamente il governo federale, mentre lo stato del Massachusetts, di cui Boston è capitale, l’ha abolita.
Secondo Amnesty, non c’è alcuna prova che dimostri che la pena di morte sia un deterrente alla criminalità o che abbia un qualche effetto nel ridurre il terrorismo.

Stop ai bambini soldato nella Repubblica Centrafricana

di Fabio Piccolino


bambino_soldato
I capi di otto gruppi armati della Repubblica Centrafricana si sono impegnati a liberare migliaia di bambini soldato e  garantire il ritorno a casa dei ragazzi già impiegati in operazioni militari.
Ad annunciarlo è l’Unicef, che stima i minori tra i 6.000 e i 10.000: oltre a quelli impegnati nei combattimenti, costretti ad uccidere e a rischiare la vita, ci sono anche quelli utilizzati per fini sessuali, quelli messi a lavorare nelle cucine, o come  messaggeri.
La vicenda dei bambini-soldato è uno degli aspetti più critici della guerra in Centrafrica, in uno scontro che va avanti da quasi due anni tra le milizie cristiane e quelle musulmane. Secondo UNHCR, i rifugiati nei paesi vicini sono 460 mila, mentre le persone che necessitano di aiuti umanitari sono quasi tre milioni.
La liberazione di questi minori rappresenta una conquista importante, ma sarà fondamentale il loro reinserimento nella società: è necessario che ci siano  famiglie pronte ad accoglierli, un aiuto psicologico e pedagogico e la possibilità di avere mezzi di sostentamento per sopravvivere.

Internet ai tempi dei Nobraino (e di Gianni Morandi)

di Fabio Piccolino


nobrainoDai social network non si prescinde. Eppure bisogna fare più attenzione di quanto non si creda.
Nei giorni scorsi i Nobraino, band italiana dal discreto seguito di critica e pubblico, scrive su facebook uno status (piuttosto infelice) dopo la tragedia del mare che è costata la vita a 800 persone a largo della Libia.
Avviso ai pescatori: stanno abbondantemente pasturando il Canale di Sicilia, si prevede che quelle acque saranno molto pescose questa estate
La rete, per usare un eufemismo, non la prende bene, e in poche ore la loro bacheca si infiamma di commenti violenti, accuse, minacce, parole al veleno.
Arriva il tweet di Roy Paci, direttore artistico del Primo Maggio di Taranto, che senza troppi giri di parole, invita i Nobraino, previsti in cartellone, a non presentarsi alla rassegna. Così come tanti altri, organizzatori di eventi e gestori di locali, che scaricano la band. Poche parole su un social network, che rischiano di costare caro.
Il post incriminato tuttavia, era accompagnato da un link del blog Diritti e Frontiere che si batte per la tutela dei richiedenti asilo e dei diritti dei migranti. Lo stesso Nestor Fabbri, chitarrista dei Nobraino e autore del post contestato,  si occupa da anni di protezione internazionale dei diritti umani, ed ha lavorato per alcune Ong.

 

La frase dunque, andrebbe contestualizzata. Rimane sì una uscita poco felice e di dubbio gusto (quella che Daniele Luttazzi definirebbe “satira fascistoide”, perchè dileggia le vittime e non i carnefici) ma non trasforma i Nobraino in dei cinici razzisti.
Il linciaggio mediatico subito dalla band però mette in luce alcuni aspetti chiave della comunicazione di oggi: da un lato la necessità, quasi viscerale, di esprimere la propria opinione, figlia di un protagonismo da palcoscenico virtuale. Dall’altra, la scarsa attenzione alla realtà dei fatti: si legge poco e male, non si approfondisce, ci si ferma ai titoli e ci si forma un’opinione del tutto distorta.
Due aspetti che vanno di pari passo e che caratterizzano, in negativo, la realtà dei social media  ed inquinano il dibattito sociale e politico su temi sensibili.
Sul primo punto, quello della necessità di esprimersi a tutti i costi, è evidente che ormai libertà di parola e libertà di offesa viaggiano su binari paralleli. Su qualsiasi contenuto, di qualsiasi argomento, troviamo tutto e il contrario di tutto. I commenti degli utenti diventano uno spazio di confusione intellettuale dove l’offesa verso il prossimo è sempre in agguato e porta a spirali infinite di polemiche virtuali.
In molti casi, osservagianni morandire il comportamento delle persone sul web significa ascoltare la pancia dei nostri concittadini.  Senza censure, gli utenti della rete danno spesso sfogo a sentimenti reconditi che probabilmente non riescono ad esprimere con la stessa veemenza nella vita vera.
Fino a chiedersi se ha davvero senso scrivere un commento su un sito web: sommare la propria voce ad uno schiamazzo così forte da risultare indistinto.
Un esempio pratico lo si può incontrare scorrendo i commenti della pagina facebook di Gianni Morandi, dopo la pubblicazione di un messaggio di solidarietà alle vittime del naufragio.
Persino il povero Gianni, figura rassicurante per eccellenza, e che ha fatto della sua pagina facebook uno spazio di incontro e di confronto, non viene risparmiato da una valanga di commenti  razzisti e xenofobi, a cui nonostante tutto, cerca di rispondere con gentilezza e cortesia, per quanto possibile.

 

La piazza virtuale aperta dai nuovi mezzi di comunicazione rivela strade potenzialmente sterminate, ma anche disseminate di buche dentro cui è facile cadere. Le parole hanno un peso che può trascinare a fondo: lo sanno bene i Nobraino, così come lo sa Fabio Tortosa, il poliziotto che su facebook ha rivendicato l’assalto alla scuola Diaz di Genova nel 2001. Lo sanno bene i politici (Santanchè e Gasparri e le gaffe su twitter) e i personaggi pubblici (Paola Saluzzi e il tweet infelice contro il pilota di Formula 1 Fernando Alonso).

 

Il secondo aspetto, quello dell’approssimazione e della disattenzione ai contenuti, sembra essere una caratteristica propria del mondo moderno: siamo la generazione con il maggiore accesso ai mezzi di comunicazione di tutte le precedenti, ma la cascata di informazioni che riceviamo quotidianamente non ci rende più consapevoli o più informati.
All’indomani della tragedia di Charlie Hebdo, Andrea Alicandro si è divertito a provocare il popolo della rete con un articolo sul sito de Il Manifesto dal titolo “Sconcertante: la strage di Parigi provocata dalle scie chimiche, qui le prove”, e con uno, qualche giorno dopo che si intitolava “Incredibile: guardate cosa succede sul blog di Grillo”. I titoli volutamente accattivanti non avevano alcuna attinenza con i pezzi di Alicandro, ma l’esperimento è servito a dimostrare una amara verità: sul web non si approfondisce e spesso ci si ferma alle prime parole. E il giornalismo di oggi, è schiavo dei titoli “acchiappa-clic”.
Il risultato è stato abbastanza paradossale: gli utenti facebook “amici” del Manifesto, un target ben definito ideologicamente, ha espresso il proprio disappunto  a suon di commenti inorriditi per il fatto che il loro giornale preferito avallasse le tesi dei complottisti, collegando Charlie Hebdo alle scie chimiche.
Del resto, si tratta dello stesso meccanismo che muove operazioni editoriali come Lercio, sito di notizie volutamente false spesso amplificate da facebook, grazie al sistema dei titoli-esca. Nel 2013, per esempio, furono in molti a commentare inorriditi la notizia-bufala del gattino gonfiato col compressore in un campo rom.

 

Quello che resta è un’amara constatazione: il web ci ha proiettato verso il futuro mettendoci il mondo a disposizione, ma se non abbiamo la pazienza di acchiapparlo ci sfugge da tutte le parti, lasciandoci l’impressione di aver visto tutto senza averci capito niente.

Afghanistan: per i diritti delle donne non si fa abbastanza

di Fabio Piccolino


afghan_womenAmnesty International accusa il governo dell’Afghanistan e la comunità internazionale di non fare abbastanza per proteggere le donne che difendono i diritti umani.
Nel Rapporto “Le loro vite in gioco”, infatti, l’organizzazione umanitaria spiega che chi sostiene i diritti delle bambine e delle donne, come dottoresse, insegnanti, avvocate, poliziotte e giornaliste, vengono prese di mira non solo dai talebani ma anche dai signori della guerra e da rappresentanti del governo, subendo costantemente minacce, aggressioni e violenze.
Le leggi vigenti non vengono applicate e le autorità ignorano o rifiutano di prendere sul serio le minacce contro le donne; poche le indagini, pochissime le condanne.
Anche la comunità internazionale sta facendo poco per contrastare questa situazione. Secondo Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, “col ritiro delle truppe quasi completato, in troppi nella comunità internazionale sembrano felici di nascondere l’Afghanistan sotto il tappeto. Non possiamo abbandonare questo paese e coloro che mettono in gioco le loro vite per difendere i diritti umani, compresi i diritti delle donne”.
Il rapporto di Amnesty si conclude con una serie di richieste: garanzia di protezione senza discriminazioni, specialmente per le donne che vivono nelle zone rurali; procedimenti giudiziari, usando le leggi a disposizione; stroncare  la cultura delle molestie nelle istituzioni pubbliche e le abitudini che favoriscono gli abusi.