La scenata di Morgan e l’abbandono del palco di Bugo sono soltanto la punta dell’iceberg di un Festival in cui si è parlato di tutto, tranne che di musica.
La settantesima edizione di Sanremo non sarà ricordata per le canzoni, anche se in gara ce ne sono di valide: l’intensa “Fai rumore” di Diodato, la stessa “Sincero” del duo prematuramente eliminato, la oscura “Eden” di Rancore, o la delicata “Ho amato tutto” di Tosca, avrebbero certamente meritato una maggiore attenzione. Quella che, la rassegna che si definisce “Festival della canzone italiana” dovrebbe riservare agli artisti che ne prendono parte.
Mai come in questa edizione però, è proprio la musica ad essere messa da parte; isolata, scollegata dal contesto, relegata a fastidioso contorno ad un enorme ed infinito varietà televisivo.
Non è una novità, certo: da sempre il Festival di Sanremo si nutre di contenuti che vanno ben oltre la competizione canora, di retroscena, polemiche e gossip. Quello che però appare chiaro in questa edizione 2020 è l’accettazione, lo sdoganamento e l’istituzionalizzazione di tutto quello che c’è intorno, che diventa l’unico e vero contenuto ritenuto importante.
Non si spiega diversamente l’atteggiamento irrispettoso nei confronti degli artisti in gara e del pubblico da casa, costretti ad un estenuante maratona che inizia in prima serata e si conclude a notte più che fonda. Così come sono illogiche la carrellata infinita di ospiti, che si susseguono l’un l’altro senza soluzione di continuità, i duetti interminabili, la gara dei giovani svolta in fretta, come una fastidiosa incombenza, le reunion forzate di cantanti di cui non sentivamo la mancanza e le loro imbarazzanti esibizioni in playback: difficile guardare al futuro se sul palco ci sono Al Bano e Romina e i Ricchi e Poveri.
Poi c’è il conduttore, Amadeus, forse non ritenuto all’altezza del compito e per questo continuamente affiancato, sostenuto, quasi sostituito. Le polemiche del prima, del dopo e del durante.
Sanremo 70 non è un Festival musicale ma un contenitore enorme, riempito ben oltre la sua capienza, di tutto quello che è televisione, spettacolo, varietà del sabato sera, intrattenimento. E’ un carrozzone pesantissimo che prova a mettere dentro tutto perché vuole piacere a tutti, vuole accontentare, vuole rassicurare, vuole assecondare il pubblico.
E’ proprio questo il centro della questione: la musica non viene considerata sufficiente, non basta, non è così interessante. Alla musica non viene data importanza e così, nel Festival più autorevole del Paese, smette improvvisamente di averne. E la cosa preoccupante è che funziona: questa scelta è stata premiata dagli ascolti televisivi e questa sembra essere l’unica cosa che conta.
La musica muore, ma non importa a nessuno.
Si tiene dal 14 al 16 giugno nel quartiere Pigneto di Roma “Bande de Femmes”, il Festival di fumetti e illustrazione della Libreria Tuba: tre giorni di mostre, incontri, live paintings, djset.
Tra gli eventi in programma venerdì 15 giugno alle18.45 presso biblioteca Goffredo Mameli “Chicche antiche: Grazia Nidasio raccontata da Laura Scarpa”, un viaggio nel tempo alla scoperta di fumettiste che hanno fatto la storia, esplorando l’opera di donne che hanno lasciato il segno.
Alle 21.30 “Immaginari LGBTQI e fumetti: dialogo d’autore”. Sul palco del festival un evento a più voci per restituire la complessità della narrazione delle vite e delle relazioni LGBTQI, Con Frad, Julie Maroh, Nino Giordano, Giulia Argnani, Ariel Vittori, Fabio Mancini e Nicolò Pellizzon e Giopota.
Per diversi eventi sarà garantito il servizio di interpretariato in Lingua dei Segni Italiana – LIS.
Quarantesimo appuntamento con i consigli sulla migliore musica da ascoltare in giro per il mondo.
Questa settimana viaggio tra musica etnica, jazz e spiritualità. Qui tutte le puntate precedenti.
[Francia – Guadalupa]
Il jazz, la musica etnica, le sonorità caraibiche: Edmony Krater è un percussionista, trombettista e cantante impegnato a diffondere la musica gwoka di Guadalupa. Il risultato è il colorato album “An ka sonjé” dentro cui confluiscono tante contaminazioni che fanno da motore ad una ricercata ricchezza espressiva.
[Portogallo, Sud America, Australia, Inghilterra]
L’ep omonimo dei Caravela mette insieme tre brani in cui le atmosfere afro-brasiliane sono mescolate ad elementi di jazz, world music e una buona dose di improvvisazione. Difficile non lasciarsi trasportare con tutto il corpo dentro il ritmo e il groove di queste canzoni.
[Sudafrica]
Un’immersione nella musica africana, in particolare della tradizione Maskandi/Mbaqanga originaria del delle Midlands del KwaZulu Natal, la zona orientale del Sudafrica da cui Sibusile Xaba proviene.
“Open Letter to Adoniah” è un album molto intenso in cui spiccano il particolare stile chitarristico e l’accorato cantato tradizionale. Il disco, minimalista e spirituale, è stato registrato dal vivo sulle montagne del Magaliesberg.
Musica da ascoltare questa settimana: tre consigli dal mondo. Qui tutte le puntate precedenti.
[Messico]
Un senso di sospeso e di irreale attraversa tutte e quattro le tracce dell’ep “Summer Came Early” dei messicani Exploded View. Come se l’attesa dell’estate passasse in luna park abbandonati e labirinti di specchi deformanti, si respirano atmosfere oniriche e suoni leggeri.
[Ucraina]
Lunghe cavalcate emozionali disegnate con colori accesi: è l’immaginario intenso che i Somali Yacht Clubcostruiscono con “The sea”. Dal noise allo shoegaze, dallo stoner allo space rock, l’album si sviluppa da idee semplici e si articola in elaborazioni molto ben strutturate attraverso cambi di registro, suoni intriganti e musicalità.
[Bahrein – Inghilterra]
Il jazz d’avanguardia dalle molteplici influenze di Yazz Ahmed ha la capacità di unire il classico alla sperimentazione, di fondere culture diverse e di cercare sempre una strada nuova tra le tantissime già percorse. Il risultato è l’efficace album “La Saboteuse”, punto di incontro tra spunti e immaginazioni diverse.
Un piccolo giro del mondo alla scoperta di novità musicali a cui vale la pena dare un ascolto. Qui tutte le puntate precedenti.
[Cina]
“Before the applause” dei Re-TROS è un disco brillante che sprigiona una forza intensissima e sorprendente: una danza continua e perpetua alla quale è doveroso unirsi. Un album moderno, dinamico e incredibilmente coinvolgente con il quale la band dimostra di avere un sound personalissimo e pieno di idee.
[Polonia]
Rumore, melodie e atmosfere: è il fascino dissonante dei Merkabahe del loro “Million Miles”. Poco più di un’ora di suoni sperimentali ed isterici che vanno dal noise al free jazz fino alla psichedelia con la forza dirompente del sax e della complessità delle composizioni.
[Svezia]
L’incedere determinato dei brani che compongono l’album omonimo dei Sekel fotografa l’approccio deciso e diretto della band: il post punk d’assalto è mescolato al rock psichedelico e al noise e riesce ad essere moderno mostrando i propri riferimenti musicali dei decenni precedenti. Il risultato è un album luminoso e pieno di momenti emozionanti.
Tra le migliaia di canzoni passate per il festival di Sanremo, alcune sono diventate patrimonio della cultura di questo paese. Allo stesso tempo, molte altre non hanno resistito al peso degli anni e sono rimaste ai margini della memoria comune.
Per questo mi sono divertito a scavare nella storia del Festival alla ricerca di belle canzoni dimenticate, di pezzi della nostra musica passata per il palco di Sanremo a cui era doveroso restituire un po’ di gloria.
[1959 – Jula De Palma – “Tua”]
Jula De Palma è un’artista estremamente innovativa per l’Italia degli anni ‘50, capace di unire la tradizione della musica tradizionale allo swing e al jazz. Al Festival del 1959 presenta un brano giudicato troppo moderno: “Tua” parla di un rapporto carnale e la sua interpretazione desta scandalo perché giudicata troppo sensuale. Nonostante il successo del pezzo, che si classificherà quarto, il disco viene censurato e alla radio viene vietato di trasmetterlo.
[1960 – Joe Sentieri – “Quando vien la sera”]
Il sorriso di Joe Sentieri mentre si esibisce è un inno all’allegria: “Quando vien la sera” è un brano frizzante e pieno di ritmo. Nelle esibizioni ingessate dell’epoca, la mimica e il “saltino” con cui il cantante amava concludere le sue performance sono uno squarcio di modernità di cui si sentiva davvero il bisogno.
[1973 – Jet – “Anika na o”]
“Anika na o” è un inno spirituale alla lotta e al cambiamento, che porta al salone delle feste del casinò di Sanremo (dove il Festival si teneva prima di trasferirsi al Teatro Ariston) il sound del progressive-rock. L’anno successivo i Jet si scioglieranno e alcuni dei suoi membri formeranno i Matia Bazar.
[1975 – Goffredo Canarini – “Scarafaggi”]
A causa del boicottaggio delle case discografiche, l’edizione numero 25 del Festival non prevede nomi di punta in gara ed è dunque una delle meno seguite dal pubblico.
Tra i brani in gara colpisce certamente quello di Goffredo Canarini, da molti giudicato troppo simile allo stile di Celentano, che con “Scarafaggi” disegna un crudo spaccato della condizione carceraria e della disperazione di un uomo e dei suoi fantasmi.
[1976 – Antonio Buonomo – “La femminista”]
Negli anni ‘70 con la politica non si scherza: lo saprà bene Antonio Buonomo che presenta al Festival un brano satirico sulla lotta delle donne per l’emancipazione e che verrà picchiato da un gruppo di femministe davanti all’albergo in cui alloggia.
[1981 – Jo Chiarello – “Che brutto affare”]
Le sonorità sono pesantemente anni ‘80, Jo Chiarello ha una voce stridula e sul palco mostra una sicurezza che è perfetta per il testo, provocatorio e indimenticabile, scritto da Franco Califano.
[1992 – Nuova Compagnia di Canto Popolare – “Pe dispietto”]
Una lunga carriera alla scoperta delle radici della tradizione della musica popolare campana che ha dato vita ad interpretazioni indimenticabili: la Nuova Compagnia di Canto Popolare, che ha da poco compiuto 50 anni di carriera, si presenta al Sanremo del 1992 con un brano dalle sonorità mediterranee carico di pathos che gli farà vincere il Premio della critica.
[1992 – Aeroplanitaliani – “Zitti zitti (il silenzio è d’oro)”]
Un’intelligente fotografia sulla società dei primi anni ‘90 ancora oggi molto attuale che porta sul palco le sonorità del primo rap in italiano. L’esibizione della band di Alessio Bertallot rimane celebre perché contiene al proprio interno la più lunga pausa della storia del Festival: 30 secondi di silenzio che sembrano non finire mai e che gli Aeroplanitaliani sono estremamente compiaciuti di sperimentare.
[1999 – Soerba – “Non ci capiamo”]
La sezione “Nuove proposte” del Festival 1999 ha un cast decisamente interessante: da Alex Britti ai Quintorigo, da Max Gazzè ai Dr. Livingstone fino al rock elettronico dei Soerba: “Noi non ci capiamo” è un pezzo con cui si entra subito in sintonia grazie ad un testo intelligente e un sound moderno e trascinante.
[2007 – Paolo Rossi – “In Italia si sta male (si sta bene anzichenò)”]
Nel 2007 Mauro Pagani propone all’attore Paolo Rossi di interpretare un brano inedito scritto da Rino Gaetano. 29 anni dopo “Gianna” e 24 anni dopo la sua scomparsa, Rino torna a Sanremo con un pezzo sarcastico pienamente nel suo stile, ed estremamente attuale. Un omaggio e una celebrazione che Rossi porta in scena con lo spirito adatto.
Bonus track – Cinque cose piuttosto divertenti che è doveroso ricordare
[Gigi Sabani che canta facendo l’imitazione di chiunque – 1989]
[Francesco Salvi che fa un pezzo “vocale, solo vocale” – 1990]
[Sabina Guzzanti vestita da indiana insieme a una tribù formata, fra gli altri, da Daria Bignardi, Antonio Ricci, Remo Remotti, Nichi Vendola – 1995]
[Caparezza rasato, alias Mikimix, “Tranquillo come dentro il pigiamino” – 1997]
[Adriano Pappalardo uscito dall’Isola dei Famosi che fa la caricatura di sé stesso – 2004]
Tre consigli musicali dal mondo, tutti da ascoltare. Qui tutte le puntate precedenti.
[Trinidad – Inghilterra]
In un’intervista sulla piattaforma Bandcamp, Ms. Mohammed definisce sé stessa come “una donna gay di colore con un cognome musulmano che vive nell’Inghilterra post-Brexit nell’era di Trump”. Una descrizione che solo in parte riesce a dare la misura delle influenze di cui la musica dell’artista originaria di Trinidad si nutre. “Alibi”, ep di quattro pezzi che rappresenta il suo esordio discografico, è carico di ispirazione e di energia che si sprigionano in maniera multiforme dando vita a brani seducenti e ricchi di sostanza.
[Spagna]
Quello dei Melange è un rock progressive nel senso pieno del termine. “Viento Bravo” è un disco figlio di un processo creativo che non perde mai di intensità e che si snoda attraverso sette brani densi di ritmo e di soluzioni articolate: un songwriting ricco e pieno di idee.
[Grecia]
“Cargo Incognito” degli Hazy Sea è un disco dai due volti: il primo più divertente e spensierato, l’altro più riflessivo e introspettivo. Il percorso tra i diversi stati d’animo avviene attraverso chitarre in primo piano capaci di edificare un rock strumentale costellato di ottimi spunti.
Tre dischi nuovi dal mondo, da ascoltare. Qui tutte le puntate precedenti.
[Danimarca]
Una scoperta piacevole ci permette di affrontare la quotidianità con uno slancio emotivo improvviso: una bella sorpresa che ci renda felici è sempre una gradita esperienza.
L’effetto che ha avuto su di me “Play It On The Tannoys” dei Stranger The Horse è quello del regalo desiderato a lungo: un disco completo, maturo, equilibrato, ben suonato, pieno di ritmo, di idee, di sfumature e di sostanza.
[Sudafrica]
I suoni sporchi e le atmosfere garage-punk caratterizzano il 7 pollici del duo sudafricano Make-Overs. “Learning Curve” dura pochi minuti e si compone di due soli brani, diversi per concezione e approccio ma simili per attitudine.
Chitarra e batteria, energia e rumore, intensità e calore.
[Scozia]
Prendersi una pausa di una quarantina di minuti e dedicarli all’ascolto dell’omonimo album degli Helicon potrebbe essere una buona pensata, se avete voglia di entrare nelle loro atmosfere turbolente e nei loro cambi di prospettiva. Un disco autorevole e ricco di idee la cui forza viene dalla curiosità delle contaminazioni.
I primi suggerimenti musicali del 2018, per iniziare l’anno con la musica giusta. Qui tutte le puntate precedenti.
[Francia]
Una qualità che ho sempre apprezzato nelle persone è quella di arrivare al sodo senza perdersi in inutili divagazioni. Ascoltando il disco omonimo dei Korto mi sono reso conto che nella musica vale la stessa regola: il loro sound ha una direzione precisa ed è quella che fa muovere il corpo al ritmo della musica e divertire la mente tra le evocazioni di immagini e gli intrecci sonori.
Un disco che corre così va preso al volo.
[Spagna]
Costruire brani che non solo stanno in piedi, ma che possono accompagnarti fuori dalla quotidianità. E’ quello che hanno provato a fare i catalani Vymaanika, con un ep composto da due brani da circa dieci minuti ciascuno. “Spectroscope” è il biglietto che mettono in mano agli ascoltatori, le direzioni sono diverse ma tutte piacevolmente percorribili.
[Australia]
La polvere nel titolo e nella copertina di questo disco dei Mt Mountain non è di quelle che si attacca alla gola e non fa respirare: i brani di “Dust” piuttosto emergono dal pulviscolo in cui giacciono quieti e lentamente si innalzano fino a che non ce ne troviamo immersi.
Il tempo e lo spazio si dilatano, i ritmi circolari e ossessivi invitano alla meditazione.
Quando l’anno volge al termine è giusto fare un resoconto di quello che è stato. Nel 2017 abbiamo ascoltato molta musica, grazie agli appuntamenti settimanali di Consigli per gli ascolti.
Così, ho selezionato dieci album del 2017 tra quelli di cui abbiamo parlato nei mesi scorsi. Musica bella da ogni parte del mondo: non è stato facile scegliere.
[Grecia]
Stupore e immediato coinvolgimento emotivo: sono le prime sensazioni che suscita il nuovo album degli Holy Monitor. Un disco vorticoso ed avvolgente dentro cui ogni singolo elemento contribuisce alla buona riuscita dell’opera e che lascia l’ascoltatore a divertirsi con la molteplicità di colori evocata dalla musica. Krautrock, psichedelia, sperimentazione: 37 minuti che passano troppo in fretta.
[Slovenia]
Quello dei Kukushai è un sound che parte dal jazz e lo trasforma in maniera non-convenzionale. “Fruitile” è un disco in cui contaminazioni diverse vengono a contagiare ogni singolo pezzo in maniera creativa e sorprendente. Dall’improvvisazione alle strutture complesse, dai momenti coinvolgenti a quelli più ostici, “Fruitile” mostra i suoi diversi volti attraverso le molteplici angolazioni da cui osservarlo. La voce di Eva Poženel è probabilmente il valore aggiunto di maggior rilievo.
[Stati Uniti]
E’ sempre una buona notizia quando esce un nuovo album di Sam Beam, in arte Iron & Wine, perchè gli artisti in grado di elargire emozioni autentiche hanno un dono speciale che va difeso e custodito. “Beast Epic” è una raccolta di melodie morbide che si sviluppano su voce e chitarra ed arrangiamenti delicati di piano e archi. Un disco intimo e suggestivo che scalda il corpo e i sentimenti.
[Canada]
Ecco i Fleece, quartetto di Montreal dedito alle sperimentazioni e ad uno psych-rock ricco di influenze. “Voyager” è il titolo giusto per racchiudere queste dieci composizioni: canzoni che ti portano con sé in territori impervi ma assolutamente confortevoli.
[Germania]
“Open” dei Grandbrothers è un’apnea di melodie e strutture armoniose dalla quale non si ha voglia di riemergere una volta entrati. Il duo di Düsseldorf ha infatti la capacità di emozionare con brani raffinati con i quali si entra immediatamente in sintonia, soprattutto grazie alle note del piano, sempre protagonista, e di arrangiamenti aggraziati e talvolta più sperimentali.
[Italia]
Cristiano Crisci, in arte Clap! Clap! propone una formula affascinante che mette insieme i suoni della world music, l’elettronica, hip hop, house e molte altre diverse influenze.
“A Thousand Skies” è un album in cui la contemporaneità incontra la tradizione e la trasforma, la rende ibrida, ne scompone le caratteristiche e le fonde in una formula efficace e coinvolgente. Un grande disco che riesce a rendere naturali elementi complessi, con grande armonia.
[Sudafrica]
Elettronica mescolata ad influenze che vanno dall’hip hop alla drum ‘n bass e alla dubstep: è il percorso musicale di Chee, che attraverso il corposo “Fear Monger” propone uno stile che prende una direzione definita cercando tuttavia di rompere gli schemi e di spiazzare. Trame oscure, voci spezzate, varietà e sostanza. Colori scuri ma futuro luminoso.
[Turchia]
Ah! Kosmos è il progetto della produttrice e performer turca Başak Günak; il nuovo ep, “Together we collide” contiene due soli pezzi, ma è un buon modo per entrare in contatto con il suo fascinoso universo sonoro, cupo ed evocativo.
[Spagna – Portogallo – Francia – Inghilterra – Egitto – Stati Uniti]
“Exitoca” dei Cristobal And The Sea è un album estremamente eterogeneo e pieno di immaginazione. Le diverse provenienze geografiche dei membri della band sembrano riflettersi su un sound dalle molteplici direzioni, esotico e sperimentale, maturo nella scrittura e musicalmente molto accurato.
Un disco per chi ha voglia di sorprendersi.
[Australia]
King Gizzard & The Lizard Wizard sono una band meravigliosamente astratta. Perdersi nelle loro divagazioni vagamente retrò è un’avventura avvincente e affascinante perché contiene l’elemento chiave dell’impresa: non sapere mai come andrà a finire.
“Sketches Of Brunswick East” è il terzo album pubblicato nel 2017 dalla band, segno che la vena creativa è in pieno e sembra non avere intenzione di esaurirsi a breve.
BONUS:
Visto che ci sono alcune cose uscite nel 2016 che sono assolutamente degne di nota e che era un peccato lasciare fuori, ecco altri cinque album che vale la pena di recuperare.
[Finlandia]
L’aggettivo più calzante che mi viene in mente per descrivere “Awalaï” dei finlandesi Onségen Ensemble è “appassionante”. Perché quello che emerge dall’ascolto delle sei, lunghe tracce che compongono l’album, è il desiderio di raccontare una lunga storia in musica dalla quale diventa via via sempre più difficile staccarsi.
La qualità degli arrangiamenti, la struttura articolata dei brani, l’utilizzo minimale e funzionale delle voci, la costruzione di atmosfere particolari, le soluzioni sonore adottate e la sperimentazione, rendono “Awalaï” un disco da ascoltare molte volte consecutivamente.
[Islanda]
In hawaiano Kaleo significa “il suono”. Loro ne hanno di decisamente affascinanti e il disco “A/B” che hanno pubblicato di recente ne è la dimostrazione più lampante.
Atmosfere calde di matrice blues-indie-folk che entrano nelle ossa e rilasciano una rassicurante energia positiva. Più che dall’Islanda sembrano provenire dal profondo degli Stati Uniti, ma in fondo non importa: i confini sono quasi sempre solo nella nostra mente.
[Inghilterra]
Yellow Days è il progetto del giovanissimo artista britannico George van den Broek: appena diciotto anni e un talento nitido, racchiuso nelle otto tracce di “Harmless Melodies”. Melodie malinconiche, suoni fluidi ed evocativi, intensità nuda in una voce che emana calore profondo. Facile innamorarsene.
[Ucraina]
L’ascolto di “Echo” degli Atomic Simao dà una di quelle sensazioni di appagamento tipiche di quando si compie un’azione gratificante. La band ucraina mette insieme generi diversi (dall’elettronica al funk, dallo space rock, dalla psichedelia alle trame etniche) ma riesce a tirare l’ascoltatore dentro la propria musica con una forza attrattiva che viene dalla pienezza delle soluzioni sonore.
[Taiwan]
Dura poco più di 16 minuti il nuovo ep degli Elephant Gym, “Work”, ma sono sufficienti a definire una band le cui trame sonore riescono ad entrare in contatto diretto con i nostri recettori emozionali.
Protagonista è il basso, da cui scaturisce un intelligente post rock che vira talvolta sul pop, talvolta sul math-rock e che, in alcuni episodi, si arricchisce del piano e di una delicata voce femminile.
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