Per l’emergenza coronavirus il governo italiano ha deciso di sbarrare i porti alle ONG che effettuano soccorsi in mare. Secondo le associazioni aderenti al Tavolo Asilo nazionale si tratta di una decisione “inopportuna e non giustificabile” che non garantisce il rispetto dei principi di solidarietà. Sulla questione è intervenuta anche la ong Mediterranea: esistono i protocolli per agire in totale sicurezza.
Piove sul bagnato
La pandemia mette a rischio tutti, ma in particolare i più poveri del pianeta. Il servizio di Fabio Piccolino.
“La salute di 821 milioni di persone nel mondo è, oggi, a forte rischio per via del Covid-19. Si tratta di uomini, donne e bambini che già soffrono di fame e di malnutrizione e che, a causa di un sistema immunitario fortemente indebolito, rischiano di non sostenere gli effetti di un eventuale contagio da coronavirus in contesti già colpiti da conflitti, disastri naturali, epidemie e povertà”. È l’allarme lanciato da Azione contro la Fame che invita a ragionare sugli effetti del virus sui minori già colpiti da malnutrizione o malaria in zone del mondo con strutture sanitarie precarie e personale medico carente.
Allarme ellenico
In alcuni campi profughi in Grecia si sono verificati casi di Covid-19 e sono stati posti in “completo isolamento sanitario”. Una situazione complessa per le molte persone in condizioni precarie che, ospiti di strutture sovraffollate dalle quali non possono uscire, si sentono abbandonate. Il paese ospita circa centomila richiedenti asilo.
Human Rights
La pandemia mondiale non può essere utilizzata come pretesto per dilatare lo spazio della sorveglianza. Si tratta di una questione globale. Il servizio di Fabio Piccolino.
Le tecnologie di sorveglianza digitale per combattere il Coronavirus rispettino i diritti umani: è l’appello lanciato da Access Now, Amnesty International, Human Rights Watch e Privacy International e sottoscritto da oltre 100 organizzazioni della società civile.
Secondo i promotori infatti, le iniziative assunte per contrastare la diffusione del virus non devono essere usate per incrementare la sorveglianza digitale: “la tecnologia – precisano – può e deve giocare un ruolo importante per salvare vite umane: tuttavia occorre vigilare affinché “l’aumento dei poteri di sorveglianza digitale non minacci la privacy, la libertà d’espressione e di associazione. Proteggere i diritti umani serve a proteggere la salute pubblica”.
Paese a rischio
A causa del Coronavirus, la Colombia sta rischiando il collasso del sistema penitenziario. La situazione infatti era già molto precaria, con livelli di sovraffollamento che in alcuni casi superano del 500% il numero di detenuti consentiti. A questo si aggiungono oggi condizioni igieniche precarie, acqua non sempre disponibile e l’assenza di dispositivi di protezione. In molti istituti sono scoppiate violente rivolte.
Strage di reporter
La giornalista María Elena Ferral è stata assassinata in Messico: in passato aveva denunciato i legami tra narcotrafficanti e politica nello Stato di Veracruz. Il paese centroamericano è il più pericoloso per i cronisti: lo scorso anno sono stati dieci quelli uccisi e ben 108 dal 2006. Nel 99% dei casi i delitti sono rimasti impuniti.
“No se mata la verdad matando periodistas”. È questo il forte messaggio che arriva da Xalapa, siamo nel cuore dello Stato di Veracruz in Messico, dove da alcuni giorni prosegue il cordoglio per l’attentato alla giornalista María Elena Ferral. Due sicari a bordo di una moto l’hanno sorpresa mentre usciva da un ufficio notarile a Papantla, cittadina afflitta dalla guerra che i narcos combattono per il controllo dei territori. Colpita da otto proiettili, la cronista è stata portata all’ospedale regionale di “Poza Rica”, dove tuttavia è morta.
María Elena Ferral era nota per le sue inchieste volte a denunciare la corruzione della classe dirigente locale. L’infiltrazione del narcotraffico all’interno degli ambienti politici era diventato il mostro da denudare. E contro quest’ultimo, la sua arma è stata sempre la libera informazione. Da cronista ha collaborato con la testata locale di Papantla, El Diario de Xalapa, ma soprattutto dal 2016 pubblicava nel sito internet da lei creato, Quinto Poder, indiscrezioni e indagini giornalistiche sulle attività criminali e la collusione tra malaffare e agenti di polizia.
Proprio a causa di questa sua attività “fuori dagli schemi” la Ferral era stata più volte minacciata nel corso degli ultimi anni. Le autorità di Veracruz le avevano assegnato una scorta, revocata di recente. Ora sono gli stessi apparati di sicurezza che pretendono la verità. In particolare la “Fiscalía General del Estado” indaga sul caso e promette di “consegnare alla giustizia i responsabili, chiunque si tratti”. Una formula, quest’ultima, che denuncia una particolare forma di omertà tra i funzionari statali, che adesso si promette di lasciare alle spalle.
Intanto si sommano nel Paese centroamericano i casi di cronisti imbavagliati fino alla morte. Durante una delle numerose proteste in corso a Xalapa, una collega della Ferral, Verónica Huerta, ha denunciato altri 28 casi di giornalisti uccisi nel solo stato di Veracruz. Qui, poco meno di tre settimane fa, un’altra giornalista Blanca Mireya Ulloa, direttrice del quotidiano “La Opinion” è stata vittima di un orribile attacco a colpi di pugnalate mentre percorreva il tragitto verso casa. Fortunatamente è riuscita a salvarsi, ma restano le continue minacce di morte a carico della donna, per intimidirla e costringerla a cessare le sue pubblicazioni.
Di tutte queste vicende si occupa l’organizzazione internazionale “Reporter senza frontiere”, attiva in tutto il mondo per informare sui tentavi di arrestare la libertà d’informazione. Nel caso del Messico la Ong riporta che “sebbene il Paese non si trovi in uno stato di guerra (almeno ufficialmente ndr.) i media messicani risultano immersi in una grave spirale di violenza ed impunità di fronte la legge. Il Messico continua ad essere la più pericolosa nazione latino-americana per la stampa a tutti i livelli”. L’organizzazione conta anche un numero di cento cronisti uccisi dal 2006, quando il Paese ha iniziato una dura lotta per estirpare i narcos. Dieci lo scorso anno, mentre quello occorso a Maria Elena Ferral, è il primo delitto che si registra nel 2020.
Intanto questa dichiarazione di guerra alla libertà di stampa è giunto anche tra i corridoi delle diplomazie del Vecchio Continente. Infatti la delegazione dell’Unione Europea in Messico ha voluto manifestare la propria preoccupazione per la mancanza di risultati nelle indagini aperte sui casi precedenti all’uccisione della giornalista. L’organismo diplomatico ha anche ribadito il proprio appoggio a tutti gli organi di stampa che promuovono il diritto ad un’informazione libera e trasparente. Nel messaggio si legge: “l’esistenza di mezzi di comunicazione liberi e indipendenti è una condizione indispensabile per lo sviluppo e la protezione della democrazia”.
di Pierluigi Lantieri
Golpe all’ungherese
Stato di emergenza a tempo indeterminato, carcere per chi fa disinformazione, sospensione delle elezioni: i poteri straordinari di Viktor Orbán per contrastare il coronavirus trasformano l’Ungheria in un regime autoritario, incompatibile con i valori dell’Unione Europea. Ai nostri microfoni la giornalista Antonella Napoli di Articolo 21. (sonoro)
Sei punti per i paesi poveri
Sono quelli che Oxfam chiede al G20 per prevenire la diffusione del Coronavirus rafforzando i sistemi sanitari e cancellando il debito delle nazioni in via di sviluppo, che ospitano quasi metà della popolazione mondiale. Tra le proposte, la formazione di nuovo personale medico e l’accesso alla sanità gratuito per tutti. Intanto l’organizzazione umanitaria è in campo in Italia con azioni di solidarietà concreta. Sentiamo quali. (sonoro)
I dannati del virus
Travolte dalla pandemia che era stata inizialmente sottovaluta, le autorità statunitensi sono in grande difficoltà. Ospedali costretti a una spietata selezione. Il servizio di Fabio Piccolino.
L’impennata dei casi di Covid19 negli Stati Uniti e l’ambiguità delle misure messe in atto dall’amministrazione Trump per il contrasto del virus hanno reso la situazione nel Paese molto tesa. A far discutere inoltre è la scelta di alcuni Stati americani di escludere dalle cure chi soffre di determinate patologie: in Tennessee le persone con atrofia muscolare spinale non verranno sottoposte a terapia intensiva, mentre a New York, Alabama, Utah, Minnesota e Oregon, i medici dovranno valutare il livello di abilità fisica e intellettiva generale prima di intervenire. Secondo Marco Rasconi, presidente di Uildm, Unione italiana lotta alla distrofia muscolare “La vita di una persona con disabilità non vale meno di un’altra; l’impegno di una società deve puntare a non dover mai scegliere chi curare, a dare a tutti le stesse possibilità”.
Brutte previsioni
Sono circa 2300 fino a ora i contagi di coronavirus riconosciuti in Africa, principalmente in Sudafrica, Egitto, Algeria, Marocco, Burkina Faso, Senegal. Dati probabilmente sottostimati che potrebbero rivelare una situazione molto più critica, in un continente privo di strutture sanitarie adeguate e con pochi posti in terapia intensiva. Secondo Amref, che sta lavorando sulla prevenzione, “occorre prepararsi al peggio”.




