È il nome della app disponibile per Android lanciata dall’Agenzia Onu per i Rifugiati che consente di mettersi nei panni di chi fugge dalla guerra. L’obiettivo è quello di sensibilizzare e diffondere consapevolezza, creare empatia e porre l’attenzione sulla situazione globale dei profughi.
Finding Home mostra le lotte dei musulmani Rohingya, una minoranza discriminata e perseguitata: in Malesia ci sono circa 150mila profughi, la maggior parte provengono dalla Birmania, 56mila sono di etnia Rohingya. Secondo Richard Towle, rappresentante dell’UNHCR “La storia dei rifugiati è spesso difficile da capire. È facile dimenticare che dietro le statistiche e le scelte politiche su qualsiasi crisi, ci sono esseri umani con racconti reali di dolore e paura, ma anche di speranza e forza”.
Somalia, un milione e 400 mila bambini malnutriti
Secondo Unicef ci saranno quest’anno un milione e 400mila bambini gravemente malnutriti, il 50% in più rispetto all’anno scorso: 275mila sarebbero in serio pericolo di vita.
I bambini gravemente malnutriti hanno una probabilità nove volte maggiore di morire per malattie letali come colera, diarrea acquosa acuta e morbillo.
«Fino ad ora, quest’anno l’UNICEF e i suoi partner hanno curato oltre 56.000 bambini gravemente malnutriti – circa il 90% in più rispetto allo stesso periodo nel 2016”, ha dichiarato Steven Lauwerier, Rappresentante dell’UNICEF in Somalia.
Ma la combinazione di siccità, malattia e sfollamento è mortale per i bambini, bisogna fare molto di più, e molto più velocemente, per salvare vite.
Circa 615.000 persone, la grande maggioranza delle quali donne e bambini, sono sfollate da novembre 2016 a causa della siccità.
“I nuovi spostamenti della popolazione aggraveranno ulteriormente la situazione. Coloro che sono rimasti a casa hanno bisogno di assistenza immediata per non sentire la necessità di fuggire: e coloro che sono già scappati, e che si trovano attualmente nei campi, sono estremamente vulnerabili – i bambini più di tutti gli altri», ha continuato Lauwrier.
L’Europa che vogliamo
La Commissione europea ha adottato la proposta del Pilastro europeo dei diritti sociali: venti principi e diritti fondamentali per sostenere il buon funzionamento e l’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale. L’obiettivo è quello di migliorare le condizioni di vita nel vecchio continente.
Per la definizione del pilastro, l’Unione europea ha aperto, da marzo a dicembre 2016, una consultazione pubblica durante la quale sono state raccolte 16.000 opinioni di cittadini e stakeholder, tra cui quella del Forum Nazionale del Terzo Settore.
I principi e diritti sanciti dal pilastro sono articolati in tre categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque (stipendi, dialogo sociale e coinvolgimento dei lavoratori ecc…) e protezione e inclusione sociali (tra cui reddito minimo, assistenza per i senzatetto e accesso ai servizi essenziali).
“Assicurare il rispetto dei principi e dei diritti definiti nel pilastro europeo dei diritti sociali”, si legge nel comunicato stampa della Commissione europea, “è responsabilità congiunta degli Stati membri, delle istituzioni dell’UE, delle parti sociali e di altri soggetti interessati. Le istituzioni europee aiuteranno a definire il quadro e preparare la strada per l’attuazione del pilastro, nel rispetto delle competenze e delle tradizioni di dialogo sociale degli Stati membri. Saranno necessarie ulteriori iniziative legislative affinché alcuni principi e diritti compresi nel pilastro divengano effettivi. Ove necessario, la legislazione dell’UE vigente sarà aggiornata, integrata e applicata più efficacemente”.
Il pilastro è presentato in due forme giuridiche di identico contenuto: una raccomandazione della Commissione, che ha efficacia a partire dal 26 aprile, e una proposta di proclamazione congiunta del Parlamento, del Consiglio e della Commissione. Su tali basi la Commissione avvierà le discussioni con il Parlamento europeo e il Consiglio per assicurare al pilastro un ampio sostegno politico e l’approvazione ad alto livello.
Avanti a testa alta
“Le navi delle ong nel Mediterraneo svolgono un ruolo di supplenza rispetto alle politiche fallimentari dell’Europa sull’immigrazione”. Rispondono così le organizzazioni non governative agli attacchi di questi giorni. Ma il polverone si sta pian piano abbassando dopo che altri procuratori della Repubblica confermano: nessun legame tra operatori umanitari e scafisti.
No, grazie
Annullata in Brasile la costruzione di una gigantesca diga idroelettrica che secondo Greenpeace “avrebbe stravolto il cuore dell’Amazzonia brasiliana e causato danni irreversibili per l’ambiente minacciando la sopravvivenza del popolo indigeno Munduruku”. Il progetto prevedeva la deforestazione di un’area di 2.200 chilometri quadrati.
La licenza di costruzione della diga di Sao Luiz do Tapajos è stata annullata dall’ Istituto brasiliano delle risorse naturali rinnovabili e ambientali (Ibama).
Il rappresentante generale del popolo Munduruku Arnaldo Kaba ha espresso la sua soddisfazione e ha spiegato che è importante “continuare combattere contro le altre dighe che minacciano il nostro fiume”. Greenpeace ha spiegato che ci sono altri 42 i progetti idroelettrici previsti per il bacino del fiume Tapajos e centinaia previsti per l’Amazzonia.
Norma di civiltà
Il Messico approva la legge contro la tortura che ne stabilisce il divieto assoluto e proibisce l’uso in tribunale di prove ottenute con la violenza. Il provvedimento era stato richiesto da più fronti dopo la sparizione forzata dei 43 studenti nello stato di Guerrero nel 2014.
I familiari delle vittime hanno hanno marciato nella capitale chiedendo al governo la verità e condanna dei colpevoli. La sorte dei giovani infatti è ancora ignota anche se la versione ufficiale sostiene che siano stati uccisi da un’organizzazione criminale, i loro cadaveri bruciati. L’inchiesta degli esperti internazionali ha però espresso forti dubbi sulla versione del governo.
“Noi salviamo vite”
Le ong rispediscono al mittente le accuse di questi giorni che le vedono paragonate agli scafisti. Il servizio di Fabio Piccolino.
Le ONG italiane rispondono duramente alle accuse e alle polemiche di questi giorni contro chi si occupa dell’aiuto umanitario a rifugiati e migranti. AOI, Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale, insieme al Coordinamento italiano delle ONG internazionali e a Link 2007 invitano la società civile a reagire ad una deriva che colpevolizza ingiustamente e strumentalizza le Ong, invece di interrogarsi sulle responsabilità delle politiche europee in relazione alle morti in mare. Secondo Save the Children “è necessario continuare le operazioni di ricerca e salvataggio, fino a quando non verranno introdotte vie alternative e sicure per consentire ai migranti di raggiungere l’Europa”.
Libertà per i giornalisti in Turchia
È l’appello di Gabriele Del Grande, il documentarista trattenuto per diversi giorni in un centro di detenzione amministrativa. Nel Paese sono 174 i cronisti in carcere. Secondo Reporter senza Frontiere, la Turchia è oggi la più grande prigione al mondo per i professionisti dei media.
La maggior parte degli arresti è avvenuta in seguito al tentato colpo di stato dello scorso 15 luglio. Secondo il Segretario generale di RSF Christophe Deloire, RSF, “è sufficiente una linea editoriale critica nei confronti del presidente Erdoğan per essere messi in carcere con l’accusa di terrorismo. Richiediamo l’immediato rilascio di tutti i giornalisti imprigionati per le loro attività professionali e l’abrogazione dei decreti legislativi adottati in seguito allo stato di emergenza che legalizzano l’annullamento della libertà di espressione”.
Investimenti e speranza
Lo chiede la Croce Rossa alla comunità internazionale per aiutare i Paesi africani più poveri. Ascoltiamo il presidente Francesco Rocca. (sonoro)
Missing at the borders
È il nome del sito nato per dare voce alle famiglie dei migranti morti, dispersi o vittime di sparizione forzata nel viaggio verso l’Europa. La piattaforma raccoglierà le testimonianze video delle famiglie per dare un’identità alle vittime e per far conoscere la lotta che i loro congiunti stanno portando avanti per avere verità e giustizia.
Dal 2000 ad oggi ci sono state 35 mila vittime nel Mediterraneo. Nei primi tre mesi e mezzo del 2017 quasi 800 persone hanno perso la vita nella traversata. Nessuno sa con certezza quante siano le vittime lungo le rotte che dall’Africa sub-sahariana portano fino al Mediterraneo. Ogni anno dobbiamo assistere al macabro conteggio delle vittime, ma quando se ne parla ci si riferisce a loro soltanto come dei numeri, senza tener conto del fatto che sono innanzitutto esseri umani. Le loro individualità, le speranze e i sogni che li hanno portati ad intraprendere il viaggio migratorio vengono completamente ignorati e cancellati. E non si parla neanche della condizione in cui rimangono le loro famiglie.
Missing at the borders è un progetto promosso da attivisti e militanti di diversi reti antirazziste delle due rive del Mediterraneo. In particolare sostengono il progetto le reti italiane Milano senza Frontiere, Palermo senza Frontiere, Como senza Frontiere e Carovane Migranti; l’Association des Travailleurs Maghrébins de France (ATMF) e il progetto Alarm Phone di Watch The Med, costituito da reti di attivisti e rappresentanti della società civile in Europa e NordAfrica.