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Tortura, l’Egitto blocca il sito di Human Right Watch


L’Egitto ha bloccato il sito di Human Rights Watch, dopo la pubblicazione di un dossier sulla tortura sistematica nelle carceri del Paese.
Secondo l’organizzazione, sotto il comando del presidente Abdel Fattah al-Sisi, le forze di polizia regolare e i funzionari della Sicurezza nazionale dell’Egitto sottopongono regolarmente a tortura i detenuti politici, facendo ricorso a varie tecniche come pestaggi, scosse elettriche, posizioni stressanti, e talvolta stupro.

Il rapporto documenta come le forze di sicurezza, in particolare i funzionari dell’Agenzia di Sicurezza nazionale, che fa capo al ministero dell’interno, facciano ricorso a tortura per forzare i sospetti a confessare o condividere informazioni, oppure per punirli. Accuse di tortura sono state comuni fin da quando al-Sisi, allora ministro della difesa, rovesciò l’ex presidente Mohamed Morsy nel 2013, dando il via a violazioni dei diritti di base su larga scala. La tortura è a lungo stata un male endemico all’interno delle forze dell’ordine egiziane, e proprio i dilaganti abusi da parte delle forze di sicurezza contribuirono ad accendere, a livello nazionale, le rivolte che portarono nel 2011 alla deposizione di Hosni Mubarak, leader di lungo corso, dopo quasi trent’anni.

Human Rights Watch ha intervistato 19 ex-detenuti e la famiglia di un ventesimo detenuto, torturati tra il 2014 e il 2016, oltre ad avvocati egiziani di difesa e per i diritti umani. Human Rights Watch ha anche studiato decine di rapporti sulla tortura realizzati da gruppi egiziani per i diritti umani e da organi d’informazione. Le tecniche di tortura documentate da Human Rights Watch sono state praticate in stazioni di polizia e uffici della Sicurezza nazionale in tutto il Paese, con l’uso di metodi praticamente identici, per molti anni.

Il rapporto completo  “‘We Do Unreasonable Things Here’: Torture and National Security in al-Sisi’s Egypt” si può leggere qui

In emergenza


I Rohingya che fuggono dalla violenza in Myanmar verso il Bangladesh sono ormai oltre 290.000. Le persone arrivano nel Paese spesso in gravi condizioni, molto traumatizzate e senza aver avuto accesso a cure. Secondo Medici Senza Frontiere, senza un aumento del supporto umanitario, i potenziali rischi per la salute sono altissimi.

 

La maggior parte dei nuovi arrivati risiede in baraccopoli già esistenti, in campi delle Nazioni Unite, in tre nuove baraccopoli che sono emerse di recente o nella comunità ospitante. Molti rifugiati sono però bloccati in terre di nessuno al confine con il Myanmar. Anche prima del più recente afflusso, molti rifugiati Rohingya in Bangladesh vivevano in condizioni di insicurezza, sovraffollamento e mancanza di igiene, con poca protezione dalle intemperie. “In tanti anni, non abbiamo mai visto nulla di simile”, dichiara Pavlo Kolovos, capo missione di MSF in Bangladesh. “Le nostre équipe vedono fiumi di persone che arrivano in condizioni terribili, molto traumatizzate e senza aver avuto accesso a cure mediche. Molti dei nuovi arrivati hanno bisogni medici seri, come ferite dovute alla violenza gravemente infette e complicazioni ostetriche in stadio avanzato. Senza un aumento del supporto umanitario, i potenziali rischi per la salute sono altissimi”.

Meno bombe, più salute


Per sradicare la malaria, basterebbe rinunciare a tre ore all’anno di spese militari, parola delle ong. Il servizio di Fabio Piccolino.

 

“Se si volesse sconfiggere la malaria nel mondo sarebbe sufficiente rinunciare a tre ore all’anno di spese militari”: lo ha affermato il portavoce di Rete Disarmo Francesco Vignarca. Si stima infatti che la cifra necessaria per rendere accessibili i farmaci per tutte le persone che ne sono colpite e fare interventi strutturali come l’accesso all’acqua, la bonifica delle aree stagnanti e la prevenzione, sarebbe di circa 600 milioni di dollari all’anno fino al 2030. Lo sradicamento della malattia è uno degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Onu; ogni anno 429 mila persone muoiono di malaria. Per il 70% si tratta di bambini.

Aria pulita


Il governo francese ha presentato una proposta di legge per vietare l’estrazione di petrolio e gas entro il 2040. Si tratta di una decisione strategica per contrastare il riscaldamento globale e ridurre l’inquinamento, in linea con gli accordi di Parigi sul clima. Nel Paese transalpino i giacimenti ancora in funzione sono 63.

 

Secondo il quotidiano Le Parisien, si tratta di una misura simbolica, poiché nel 2016 la produzione francese di idrocarburi ha rappresentato appena l’1% dei consumi.
La proposta, che ha avuto il plauso dei gruppi ambientalisti,  è stata aspramente criticata dalle industrie petrolifere .

Terrore continuo


Amnesty international ha denunciato l’aumento degli attentati di Boko Haram e del numero di vittime civili nella regione del Lago Ciad. Secondo l’organizzazione per i diritti umani almeno 381 civili sono rimasti uccisi nella nuova campagna di attentati suicidi.

Emergenza idrica


Nel mondo sono 900 milioni le persone che non hanno accesso a fonti di acqua potabile. Africa sub-sahariana, Siria e America latina le regioni più colpite. Ascoltiamo Emanuele Bombardi della ong World Vision. (sonoro)

Bavaglio di Stato


Sono 130 i siti di informazione bloccati in Egitto perché ritenuti vicini a posizioni terroristiche. Secondo le Nazioni Unite si tratta di un divieto che priva i cittadini di informazioni di base di interesse pubblico. A cadere nella rete della censura anche molte agenzie di stampa e i siti web di diverse associazioni per i diritti umani.

 

Secondo l’Onu è molto difficile verificare il numero complessivo di siti bloccati poiché mancano trasparenza e prove da parte delle autorità.
Il Rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la libertà di espressione, David Kaye, e il Relatore speciale per i diritti umani e il terrorismo, Fionnuala Ni Aloain chiedono al governo egiziano di rilasciare i giornalisti e tutti coloro ingiustamente detenuti per avere esercitato il loro diritto a esprimersi.

Inumana


È la condizione in cui sono costretti a vivere i migranti rinchiusi nei centri di detenzione di Tripoli. La denuncia di Medici senza frontiere nel servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)

 

“Condizioni né umane né dignitose”: sono quelle cui sono costretti a vivere i i rifugiati nei centri di detenzione di Tripoli. La denuncia è di Medici Senza Frontiere, che nel rapporto “Human suffering” racconta di detenuti maltrattati, spogliati di qualsiasi dignità umana e senza accesso alle cure mediche.
Secondo l’organizzazione umanitaria, alla base del problema c’è l’assenza dello stato di diritto che determina la non-regolamentazione del sistema; le persone sono quindi detenute arbitrariamente senza possibilità di contestare la legittimità della loro posizione. Per questo motivo la ricerca di una soluzione non può non tenere conto della situazione politica in cui si trova la Libia.

Lo Yemen lotta contro il colera


Il popolo dello Yemen continua ad essere colpito da una crisi umanitaria senza precedenti e per lo più causata dall’uomo. Nonostante le sofferenze, gli yemeniti stanno portando avanti ogni giorno una lotta contro diarrea acquosa acuta e colera, che adesso sta dando risultati positivi.

Grazie ad una risposta senza pari degli operatori locali, supportati da ONG internazionali e dalle Organizzazioni delle Nazioni Unite, il numero settimanale di nuovi casi riportati è diminuito di un terzo dalla fine di giugno. Operatori sanitari, per l’acqua e per i servizi igienici – che non hanno ricevuto retribuzione per oltre 10 mesi – stanno lavorando instancabilmente per fermare l’epidemia, che resta la peggiore al mondo con oltre 550.000 casi sospetti e oltre 2.000 morti registrate associate alla malattia da aprile. Oltre la metà dei casi sospetti sono bambini.

Gli sforzi collettivi per curare i malati e migliorare i sistemi idrici e i servizi igienico sanitari hanno contribuito a rallentare la diffusione della malattia.

“Abbiamo avuto difficoltà per curare il numero di pazienti che sono venuti da noi – molti dei quali in condizioni gravi,” ha dichiarato Nahla Arishi, Vice Direttore e Responsabile del centro di cura del colera all’Ospedale Alsadaqah ad Aden. “L’ospedale è affollato e abbiamo scarsa disponibilità di letti e medicine di base. Non posso chiudere le porte dell’ospedale e non accettare i bambini perché non ci sono abbastanza letti – sono un dottore e una madre.”

Una campagna di sensibilizzazione per il colera a livello nazionale è attualmente in corso, sono stati mobilitati oltre 40.000 volontari porta a porta e hanno raggiunto fino ad ora oltre 2,7 milioni di famiglie – approssimativamente l’80% delle famiglie in Yemen.
“Molti dei bambini che ho visitato nelle loro case sono magri e deboli,” ha dichiarato Muthab Alburaik Salem, volontario della comunità che sta lavorando alla campagna. “È fondamentale diffondere informazioni tra le comunità vulnerabili per evitare ulteriori sofferenze. Ho paura che mio figlio possa essere esposto alle malattie – curo tutti bambini con cui lavoro in Yemen come se fossero figli miei”, ha aggiunto Muthab, madre di due figli.

Nonostante questi recenti progressi, la fine della lotta contro il colera è ancora lontana. Tra continue violenze, i sistemi idrici e i servizi igienici al collasso e oltre la metà delle strutture sanitarie nel paese fuori uso, almeno 15 milioni di persone sono tagliate fuori dall’accesso all’acqua sicura e ai servizi sanitari di base. Il Paese resta ancora sull’orlo della carestia, si stima che circa 385.000 bambini stiano soffrendo di malnutrizione acuta grave, essendo in questo modo esposti maggiormente a rischio di diarrea acquosa acuta e colera.

 

Dietrofront


Centinaia di persone hanno manifestato in diverse città degli Stati Uniti dopo le dichiarazioni del presidente Trump contro la presenza di persone transgender nelle forze armate. Solidarietà è arrivata anche dall’esercito canadese, che su twitter ha dato il benvenuto nei propri corpi “a tutti gli orientamenti sessuali e le identità di genere”.

 

A San Francisco la contestazione si è svolta nel piazzale dedicato all’attivista gay Harvey Milk, icona e simbolo della lotta per i diritti omosessuali. A New York i manifestanti si sono radunati davanti ad una stazione di reclutamento militare a Times Square; su molti cartelli la scritta “Resist”. L’apertura all’ingresso nelle forze armate alle persone transgender era stata decisa dall’amministrazione Obama nel 2015.