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Norma di civiltà


Il Messico approva la legge contro la tortura che ne stabilisce il divieto assoluto e proibisce l’uso in tribunale di prove ottenute con la violenza. Il provvedimento era stato richiesto da più fronti dopo la sparizione forzata dei 43 studenti nello stato di Guerrero nel 2014.

 

I familiari delle vittime hanno hanno marciato nella capitale chiedendo al governo la verità e condanna dei colpevoli. La sorte dei giovani infatti è ancora ignota anche se la versione ufficiale sostiene che siano stati uccisi da un’organizzazione criminale, i loro cadaveri bruciati. L’inchiesta degli esperti internazionali ha però espresso forti dubbi sulla versione del governo.

“Noi salviamo vite”


Le ong rispediscono al mittente le accuse di questi giorni che le vedono paragonate agli scafisti. Il servizio di Fabio Piccolino.

Le ONG italiane rispondono duramente alle accuse e alle polemiche di questi giorni contro chi si occupa  dell’aiuto umanitario a rifugiati e migranti. AOI, Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale, insieme al  Coordinamento italiano delle ONG internazionali  e a Link 2007 invitano la società civile a reagire ad una deriva che colpevolizza ingiustamente e strumentalizza le Ong, invece di interrogarsi sulle responsabilità delle politiche europee in relazione alle morti in mare. Secondo Save the Children “è necessario continuare le operazioni di ricerca e salvataggio, fino a quando non verranno introdotte vie alternative e sicure per consentire ai migranti di raggiungere l’Europa”.

Libertà per i giornalisti in Turchia


È l’appello di Gabriele Del Grande, il documentarista trattenuto per diversi giorni in un centro di detenzione amministrativa. Nel Paese sono 174 i cronisti in carcere. Secondo Reporter senza Frontiere, la Turchia è oggi la più grande prigione al mondo per i professionisti dei media.

 

La maggior parte degli arresti è avvenuta in seguito al tentato colpo di stato dello scorso 15 luglio. Secondo il Segretario generale di RSF Christophe Deloire, RSF, “è sufficiente una linea editoriale critica nei confronti del presidente Erdoğan per essere messi in carcere con l’accusa di terrorismo. Richiediamo l’immediato rilascio di tutti i giornalisti imprigionati per le loro attività professionali e l’abrogazione dei decreti legislativi adottati in seguito allo stato di emergenza che legalizzano l’annullamento della libertà di espressione”.

Investimenti e speranza


Lo chiede la Croce Rossa alla comunità internazionale per aiutare i Paesi africani più poveri. Ascoltiamo il presidente Francesco Rocca. (sonoro)

Missing at the borders


È il nome del sito nato per dare voce alle famiglie dei migranti morti, dispersi o vittime di sparizione forzata nel viaggio verso l’Europa. La piattaforma raccoglierà le testimonianze video delle famiglie per dare un’identità alle vittime e per far conoscere la lotta che i loro congiunti stanno portando avanti per avere verità e giustizia.

 

Dal 2000 ad oggi ci sono state 35 mila vittime nel Mediterraneo. Nei primi tre mesi e mezzo del 2017 quasi 800 persone hanno perso la vita nella traversata. Nessuno sa con certezza quante siano le vittime lungo le rotte che dall’Africa sub-sahariana portano fino al Mediterraneo. Ogni anno dobbiamo assistere al macabro conteggio delle vittime, ma quando se ne parla ci si riferisce a loro soltanto come dei numeri, senza tener conto del fatto che sono innanzitutto esseri umani. Le loro individualità, le speranze e i sogni che li hanno portati ad intraprendere il viaggio migratorio vengono completamente ignorati e cancellati. E non si parla neanche della condizione in cui rimangono le loro famiglie.
Missing at the borders è un progetto promosso da attivisti e militanti di diversi reti antirazziste delle due rive del Mediterraneo. In particolare sostengono il progetto le reti italiane Milano senza Frontiere, Palermo senza Frontiere, Como senza Frontiere e Carovane Migranti; l’Association des Travailleurs Maghrébins de France (ATMF) e il progetto Alarm Phone di Watch The Med, costituito da reti di attivisti e rappresentanti della società civile in Europa e NordAfrica.

“Libero subito”


È il messaggio che viene lanciato a gran voce in queste ore per chiedere la scarcerazione immediata di Gabriele Del Grande, giornalista e documentarista, tenuto in stato di fermo in Turchia dal 9 aprile scorso e che ha intrapreso, per protesta, da ieri uno sciopero della fame. Le associazioni chiedono al governo italiano di alzare la voce contro l’esecutivo di Ankara.

Potere assoluto


Dopo la vittoria di misura del presidente turco Erdogan nel referendum costituzionale, l’opposizione continua a denunciare brogli e chiedere di ricontare le schede. Lo chiede anche l’Ocse. Da Istanbul il commento della freelance Serena Tarabini. (sonoro)

Ospiti indesiderati


La Turchia interrompe nel Paese le attività di quattro ong internazionali. Tra queste c’è l’italiana Cosv, il Coordinamento delle organizzazioni per il servizio volontario. Le autorità di Ankara hanno addotto ragioni di “sicurezza nazionale”.

I conti non tornano


Secondo la ong internazionale Oxfam, non tutto l’aiuto pubblico allo sviluppo va ai Paesi poveri. Il servizio di Fabio Piccolino.

 

Non tutto l’aiuto pubblico allo sviluppo va ai Paesi poveri. E’ la denuncia di Oxfam, che in occasione della pubblicazione annuale dell’Ocse sull’aiuto pubblico allo sviluppo, rende noto che oltre il 10% delle risorse, oltre 15 miliardi di dollari, sono state impiegate all’interno degli Stati donatori per coprire le spese legate alla crisi migratoria invece che essere destinate alla lotta alla povertà e alle disuguaglianze nei Paesi più poveri. Secondo l’organizzazione, le risposte ai bisogni dei rifugiati non possono essere a discapito dei paesi in crisi e le risorse non possono essere usate come merce di scambio per rafforzare le misure di controllo delle frontiere per il contenimento dei flussi migratori.

Ancora non basta


Le esecuzioni capitali nel mondo sono diminuite di circa il 37% nel 2016 rispetto all’anno precedente. Lo rivela un rapporto di Amnesty International. Triste record per la Cina, in cima alla lista dei Paesi più sanguinari del mondo, seguita Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan. Gli Stati Uniti per la prima volta dal 2006 non sono tra i primi cinque Paesi, si trovano in settima posizione.