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La partita della donazione: “Trapiantati” e “Dipendenti vaticani” si sfidano oggi a Roma


In campo per la donazione. Si gioca oggi a Roma l’incontro di calcio tra la Nazionale Italiana Calcio Trapiantati e la Rappresentativa Calcistica Dipendenti Vaticani. Le due squadre si affronteranno in un’amichevole per promuovere la cultura della donazione di organi e tessuti con l’auspicio di sensibilizzare l’opinione pubblica e dare sempre maggiore visibilità al tema.

Biniam Girmay fa la storia del ciclismo: primo atleta africano a vincere una “classica”


Uno su mille. Il ciclista eritreo Biniam Girmay ha vinto a 21 anni la Gent-Wevelgem: si tratta del primo atleta africano a vincere una delle “classiche” di uno sport legato principalmente all’Europa e agli Stati Uniti e quasi assente in tante parti del mondo. Al secondo anno da professionista, Girmay si è così aggiunto all’illustre lista di corridori che l’hanno vinta nelle sue precedenti 83 edizioni, tra i più grandi ciclisti di sempre come Eddy Merckx, Bernard Hinault, Francesco Moser, Tom Boonen, Mario Cipollini e Peter Sagan.

Nello sport tante barriere culturali e geografiche sono ancora consolidate e in particolare nel ciclismo professionistico, una disciplina che rimane legata principalmente all’Europa e agli Stati Uniti ed è quasi assente in tante parti del mondo. L’Africa è una di queste, soprattutto nella sua parte sub-sahariana, dove nonostante le bici siano diffuse come altrove mancano risorse, mezzi e conoscenze per il professionismo.

Da alcuni anni però l’Eritrea — un paese che non a caso ha una grande tradizione nelle gare di fondo dell’atletica leggera — sta emergendo nel ciclismo africano con una nuova generazione di atleti rappresentata in particolare proprio da Girmay. Negli ultimi dieci anni, cinque diversi corridori eritrei sono stati eletti ciclisti africani dell’anno. Nella passata stagione Girmay lo era stato per la seconda volta consecutiva, principalmente grazie alla vittoria della medaglia d’argento nella prova in linea ai Mondiali giovanili in Belgio.

Girmay corre anche per una squadra belga, la Intermarché-Wanty-Gobert, ma per gran parte dell’anno vive a San Marino con altri tre corridori eritrei. Quando non è a San Marino — fino a poco tempo fa viveva in Toscana — si allena spesso in Eritrea, nei dintorni della capitale Asmara, dove è nato nel 2000.

Ci tornerà a breve per preparare la partecipazione al prossimo Giro d’Italia, che inizia il 6 maggio da Budapest, in Ungheria. Visti i suoi ultimi risultati, potrebbe aggiungere dei piazzamenti rilevanti: soltanto a marzo è arrivato decimo alla Milano-Torino, dodicesimo alla Milano-Sanremo e quinto alla Saxo Bank Classic in Belgio, tutte corse di un giorno.

Lo scorso ottobre, dopo la vittoria dell’argento ai Mondiali, aveva raccontato: «La percentuale di ciclisti africani è ancora molto bassa, parliamo di un corridore all’anno che diventa professionista. La mia medaglia d’argento non è arrivata da un giorno all’altro. Ho iniziato ad allenarmi anni fa con l’UCI al World Cycling Centre, ho fatto esperienza di guida in gruppo e su strade strette, e ho imparato diversi tipi di corsa. Ma sono solo io: molti dei miei compagni di squadra vengono solo per correre ai Campionati del mondo. Così non è possibile ottenere risultati, serve tempo per imparare a correre e bisognerebbe iniziare da giovani».

Finora il risultato più importante ottenuto da un ciclista dell’Africa sub-sahariana era stata la maglia a pois di miglior scalatore ottenuta nel 2015 da un altro eritreo, Daniel Teklehaimanot, al Tour de France. Quest’ultima è anche uno dei principali obiettivi di Girmay, che però si considera più portato per le corse di un giorno: «Per me e per tutti i corridori eritrei il Tour de France è la corsa dei sogni, insieme alla Milano-Sanremo e alla Parigi-Roubaix».

Megan Rapinoe spiega il problema dei coming out negli sport maschili: “Non si sentono al sicuro”


Campionesse di diritti. Perché non ci sono omosessuali uomini dichiarati nello sport di alto livello? Risponde Megan Rapinoe, calciatrice americana: “È perché non si sentono al sicuro. Sanno che verranno discriminati, esclusi e insultati anche dai tifosi”. Il calcio femminile su queste tematiche è avanti anni luce: le ragazze sono meno sole nei loro coming out, hanno uno spirito più aperto e inclusivo.

Potrà sembrare triviale, ma la presenza di una comunità che ti supporta e che celebra la tua identità in tutte le sue sfaccettature fa un’enorme differenza. Fa 40, si può dire; che è la differenza fra il totale di calciatrici dichiarate agli ultimi mondiali femminili (40) e il totale di calciatori apertamente queer agli ultimi mondiali maschili (0). La matematica, si sa, non mente.

Megan Rapinoe si confronta con Pernille Harder e Magdalena Eriksson sui canali di Sky Sports Football. Perché gli atleti non fanno coming out? Durante l’ultimo episodio di The HangOUT, sui canali di Sky Sports Football, la coppia Pernille Harder e Magda Eriksson dialoga con Megan Rapinoe, confrontandosi su cosa significhi conciliare la professione di calciatrice con l’impegno nelle cause sociali che accomunano le tre donne.

Harder ed Eriksson stanno insieme dal 2014 e hanno quasi dieci anni in meno della collega statunitense. Seguendo i passi di Rapinoe, sono sempre più attive nel rivendicare le istanze della comunità LGBTQIA+ di cui fanno parte. “Tu per noi sei un esempio”, confessano a Rapinoe le due giocatrici del Chelsea, “in campo come nella vita fuori dal campo. Riesci sempre a dire la cosa giusta e sai come esprimerla nel migliore dei modi”.

Si può proprio dire, in effetti, che uno dei grandi pregi di Megan Rapinoe sia la sua capacità di dire le cose come stanno, anche (e soprattutto) quando si tratta di scomode verità. Ritroviamo questo spirito schietto e genuino nelle parole che scambia con Magda e Pernille. Quando le chiedono se abbia qualche consiglio per giovani persone queer che stanno cercando di essere se stesse, ecco la sua risposta: “In realtà vorrei partire da quello che ritengo sia il vero problema. Il problema lo hanno le persone che non sono gay, che non sono LGBTQ. Perché non siamo noi [persone LGBTQ, ndr.] a discriminarci da sole. Non siamo noi a rendere le cose difficili. Noi tentiamo solamente di vivere la nostra vita nel migliore dei modi”.

Rapinoe dunque passa la palla, dirigendo il consiglio non a chi è queer, bensì a tutti gli altri, tutti coloro che fanno parte del mondo dello sport e che hanno un ruolo nel definirne le dinamiche. “Avete la responsabilità di riflettere su ciò che dite”, incalza. “Dovete assicurarvi di creare un ambiente accogliente e inclusivo che permetta alle persone di sentirsi al sicuro”.

Si collega così al mondo del calcio maschile, portandolo come esempio di quanto l’ambiente influisca sulla libertà di fare coming out e vivere serenamente la propria identità. “Ce lo chiedono sempre: perché non ci sono atleti maschi dichiarati negli ambienti sportivi di alto livello? È perché non si sentono al sicuro. Immaginano che verranno discriminati dai tifosi, che verranno cacciati dalla squadra, che saranno colpiti da una pioggia di insulti, e via così“.

E, del resto, come biasimare tali timori? Sono fondati su prove tangibili, evidenti e ripetute negli anni: quanti episodi di discriminazione a sfondo queerfobico si sono verificati nella storia del calcio maschile? Innumerevoli. Sia dal lato dei tifosi, sia nell’ambiente chiuso degli spogliatoi. E questi sono solo la parte visibile dell’iceberg, che lascia ipotizzare un fondo sommerso spaventosamente esteso. Ma ancora: quante volte si sono sentiti insulti razzisti? E se insultano un mio compagno di squadra perché è nero, potrà pensare un calciatore, cosa diranno di me che sono addirittura fr*ocio? Non certo il clima che ti spinge a scendere in campo con la bandiera arcobaleno aspettandoti uno scroscio di applausi e una pioggia di coriandoli e brillantini. E se è vero che alcuni progressi sono stati fatti, se è vero che in molti contesti è presente quantomeno la volontà di dirsi inclusivi, chi garantisce che i comportamenti della squadra, dei tifosi e dell’intero club saranno realmente accoglienti e non giudicanti?

Chi lo garantisce all’affermato (eppur al tempo stesso spaventato) calciatore che teme di buttare all’aria tutta la sua carriera? O al giovane calciatore che sta cercando di guadagnarsi il rispetto dei compagni e che sa che spesso questo concetto viene associato a quello di virilità? Chi assicura loro che il gioco vale la candela?

C’è da ammettere che a Josh Cavallo è andata bene. Con una storia ben diversa dal dramma di Fashanu, Cavallo è il secondo calciatore di una major league a fare coming out mentre ancora professionalmente attivo. Fortunatamente il suo coming out è stato accolto da pubbliche manifestazioni di stima e solidarietà da parte di diversi colleghi. Eppure, il suo resta un caso isolato: in tutto il mondo, non c’è attualmente nessun altro che si senta nelle condizioni di calpestare l’erba di un campo d’élite in quanto calciatore apertamente gay o bisessuale. E questo vuoto, questo silenzio, se vogliamo, parla più di qualsiasi altro dato.

D’altro canto, Rapinoe stessa lo sottolinea in modo molto chiaro: la responsabilità non può cadere solo sulle spalle del singolo calciatore, che già deve sostenere pesi e difficoltà materiali e psicologiche non indifferenti. Deve essere soprattutto dei dirigenti, del club tutto e del resto della squadra. Ed è forse questo il segreto del calcio femminile, che su queste tematiche sembra avanti anni luce: le ragazze sono meno sole nei loro coming out. Hanno una rete di supporto attorno – un maggiore “cameratismo”, lo definisce Rapinoe. Lo spirito più aperto e inclusivo (che nel femminile si è ormai già tradotto in atteggiamenti e pratiche più aperte e inclusive) non è frammentario né superficiale, bensì radicato e interiorizzato da molti fra gli agenti che compongono l’ambiente che circonda le calciatrici.

Potrà sembrare triviale, ma la presenza di una comunità che ti supporta e che celebra la tua identità in tutte le sue sfaccettature fa un’enorme differenza. Fa 40, si può dire; che è la differenza fra il totale di calciatrici dichiarate agli ultimi mondiali femminili (40) e il totale di calciatori apertamente queer agli ultimi mondiali maschili (0). La matematica, si sa, non mente.

Sport e violenza verbale: gli studenti sardi a scuola di fair play


 

 

A scuola di fair play. In Sardegna un progetto contro la violenza verbale nello sport. Il servizio di Elena Fiorani.

Rispetto e fair play sono i temi chiave del percorso promosso da Corecom Sardegna negli istituti scolastici sardi, per sensibilizzare gli studenti contro l’uso di un linguaggio violento nel tifo, sia in campo che sulla rete, ed educare le giovani generazioni a una cultura sportiva fatta di rispetto dell’avversario e fair play.

Il progetto, che si rivolge a ragazzi e ragazze tra gli 8 e i 13 anni, nasce dall’esperienza del Manifesto della comunicazione non ostile per lo sport, dieci semplici principi di stile ispirati ai valori dello sport e della competizione, quindi le classi saranno guidate in un percorso di dieci tappe, per imparare il rispetto degli avversari, il controllo della rabbia, fino all’accettazione della sconfitta, avendo sempre quale filo conduttore tre parole chiave: consapevolezza, responsabilità e cambiamento.

Più visibilità allo sport femminile: la Commissione della Federazione Olimpica Irlandese


Sotto i riflettori. In Irlanda la Federazione Olimpica ha istituito una Commissione sull’uguaglianza di genere per dare più visibilità allo sport femminile. La disparità tra i sessi nello sport è ancora presente e questa mossa ha due obiettivi: aumentare la copertura mediatica riservata alle atlete e far crescere la presenza delle donne che allenano, infatti a Tokyo erano solo il 13%.

Gradualmente, anche se forse un po’ a rilento, anche nel mondo dello sport ci si sta avvicinando alla parità ed equità di diritti, indipendentemente dal genere di appartenenza; così come, quotidianamente, possono esserci passi indietro (basti pensare alla polemica per il tweet per l’8 marzo degli All Blacks), allo stesso modo vanno segnalati passi in avanti.

Nel dettaglio, è il caso della Federazione Olimpica Irlandese (OFI) che ha deciso di istituire una Commissione sull’uguaglianza di genere in occasione della giornata internazionale della donna: la disparità tra i sessi (in generale, ma in questo caso nello sport) è ancora presente e molto evidente; questa mossa ha l’obiettivo di ridurla (o quantomeno provarci) ai minimi.

Lo testimoniano le parole del membro del consiglio dell’OFI, Lochlann Walsh, riportate da insidethegame: “Lavoreremo principalmente su due aree: maggiore rappresentanza femminile a eventi di alta portata e maggiore visibilità per lo sport femminile“. Due chiari obiettivi, scaturiti da una riflessione su quanto lasciato dai Giochi Olimpici di Tokyo 2020: “Innanzitutto, purtroppo, lo sport femminile non gode della stessa copertura mediatica di quello maschile, lavoreremo anche su questo; e poi Tokyo ci ha detto che solo il 13% di tutti gli allenatori erano donne: vogliamo cambiare da subito questa tendenza“.

Città europee dello Sport: premiati 62 Comuni italiani


Città europee dello Sport. Sessantadue Comuni italiani hanno ricevuto il riconoscimento per gli enti locali impegnati in politiche attive del welfare attraverso lo sport sociale ed inclusivo. Si tratta di amministrazioni locali impegnate nello sport con i campioni ma soprattutto con i cittadini che praticano attività fisica e motoria per il proprio benessere fisico.

Sessantadue amministratori di comuni italiani hanno ricevuto oggi il riconoscimento di Città Europee dello Sport nel corso della 22ª edizione dell’Aces Awards Gala che quest’anno per la prima volta si è tenuto alla Reggia di Venaria Reale (Torino). Il premio istituito da Aces Europe per gli enti locali impegnati in politiche attive del welfare attraverso lo sport sociale ed inclusivo è andato a 62 comuni da nord a sud dell’Italia. “È la prima volta che usciamo dal ParlaMento Europeo per venire in questa regione che conta 1180 comuni impegnate nello sport con i suoi campioni ma soprattutto con i suoi cittadini che praticano lo sport per il proprio benessere fisico – ha detto il Presidente di Aces Europe, Gian Francesco Lupattelli consegnando il titolo di European Region al Piemonte – Lo stesso impegno che ha visto la città di Glasgow conquistare per la seconda volta il titolo nel 2023 grazie ad un modello di welfare basato sull’attività fisica di anziani e disabili come medicina”.

Ecco la lista dei comuni e delle community dello sport per il 2022-23: L’Aquila, Macerata, Sesto San Giovanni, Treviso, Costa degli Etruschi, Castiglione del Lago, Recco, Sabaudia, Busto Arsizio, Catanzaro, Fondi, Padova, Rende, Schio, Spinea, Castano Primo, Cardano al Campo, Codogno, Crescentino, Marcon, Monte di Procida, Motta di Livenza, Ventimiglia, Maremma Toscana, Terre della Lana.

Apre negli Usa The Sports Bra: “mangia, bevi e guarda sport femminile”


The Sports Bra. A Portland, negli Stati Uniti, il primo bar dello sport che proietta solo competizioni femminili. La promotrice ci tiene a precisare che non si tratta di un locale per sole donne, ma dedicato agi appassionati di sport femminili e gender equal.

Il locale si chiama The Sports Bra, un gioco di parole con il classico nome Sports Bar, a cui è bastato invertire una lettera per tramutarsi in reggiseno sportivo e diteci se non è poesia. In un’intervista rilasciata riportata dalla Cbc, chef Nguyen racconta l’origine della sua idea e prima di tutto ci tiene a specificare: “Non è un bar sport per sole donne, è un bar per gli sport femminili” perciò chiunque sarà benaccetto, a patto che condivida la passione per uno sport che sia gender equal.

A proposito del momento in cui ha deciso di intraprendere questo percorso, Jenny Nguyen racconta: “Erano le finali di basket femminile della NCAA, la partita più importante dell’anno. In una dozzina siamo entrati in questo bar dello sport pensando che sarebbe stata mandata almeno su una TV, ma non è stato così. Quindi abbiamo unito alcuni tavoli, abbiamo fermato il cameriere e chiesto se potesse essere proiettata. Così abbiamo seguito l’evento dalla TV più piccola nell’angolo del bar”.

Nonostante questa piccola vittoria, la situazione è piuttosto surreale perché quando la squadra del cuore segna: “Ricordo di aver saltato su e giù e poi di essermi guardata intorno e mi sono resa conto che nessun altro stava guardando la nostra partita, anzi, ci guardavano come se fossimo pazzi”. Anche perché la loro TV non aveva nemmeno il sonoro. Da qui l’intuizione: “Ed è stato un po’ quel momento tipo, wow, ci siamo davvero così abituati a non sperimentare gli sport femminili nella loro piena potenzialità che abbiamo trascurato qualcosa di così importante come avere il suono”.

Per scherzare, Jenny Nguyen dice che potrà vedere lo sport femminile come merita d’esser visto solo aprendo lei stessa un locale e quello scherzo nel giro di poco si trasforma in un’idea concreta. Oggi The Sports Bra accoglie la clientela con la formula “mangia, bevi e guarda sport femminile” in un’ambiente che trasuda sport da tutte le pareti. La chef spiega: “Voglio che sembri proprio come il tuo normale bar dello sport e che poi quando ti siedi ti rendi conto ‘Oh, in TV è tutto sport femminile’ oppure ‘Oh, queste bandiere sono per le squadre femminili’ o ancora ‘Tutte queste foto e autografi appesi al muro sono di atlete'”.

The Sports Bra aprirà i battenti nella primavera 2022 e la sua storia sta già facendo il giro del mondo, sintomo che – e non lo diciamo tanto per dire – c’è davvero bisogno di una cultura che educhi alla parità di genere, anche nello sport, anche a partire da piccoli gesti per la comunità come mostrare alle ragazzine di oggi che domani potrebbero essere su quei maxi schermi, mentre tutti tifano per loro. La chef Jenny Nguyen conclude: “Probabilmente ho sentito migliaia di storie ormai da sconosciuti che mi hanno raccontato di come hanno vissuto tutta la loro vita aspettando un posto come questo, o che sono così contenti di poter crescere una figlia e avere un posto come questo per portarla”.

Calcio femminile, l’arbitra ucraina Kateryna Monzul ha diretto ieri Inter – Sampdoria


Campo di pace. L’arbitra ucraina Kateryna Monzul ha diretto ieri la partita tra Inter e Sampdoria di Serie A femminile. Lo sport italiano è schierato compatto contro la guerra e prosegue l’attività in favore della popolazione ucraina e degli sportivi in fuga, accogliendo in Italia una delle migliori arbitre europee, che per ora proseguirà qui la sua carriera.

L’Italia apre le porte all’arbitro Kateryna Monzul che domenica ha diretto la gara di Serie A femminile TimVision Inter-Sampdoria. Il calcio italiano è schierato compatto contro la guerra e prosegue l’attività incessante in favore della popolazione ucraina e della sua Federazione accogliendo in Italia una delle migliori arbitre in Europa. Come Stephanie Frappart, la Monzul ha già diretto diverse gare di Europa League e altre sfide importanti, sia in campo maschile che femminile. Adesso potrà proseguire la sua attività arbitrale nel nostro Paese. La sinergia Uefa, Figc e Aia ha creato i presupposti per consentire alla Monzul di proseguire la sua carriera lasciandosi alle spalle le difficoltà logistiche causate del conflitto ma, sicuramente, non i dolori e le sofferenze.

“Mundialito” antirazzista: oltre 20 squadre in campo per l’inclusione


 

 

In campo contro il razzismo. Domani e domenica a Napoli “Mundialito” antirazzista. Il servizio di Elena Fiorani

Un torneo delle comunità nazionali residenti a Napoli, rappresentate da 19 squadre internazionali, che sfideranno le formazioni dei parlamentari italiani, della Polizia di Stato, del Tribunale di Napoli e degli ordini professionali campani dei medici e degli avvocati. Tutti in campo per dare “un calcio al razzismo”, sabato e domenica allo stadio Caduti di Brema nel quartiere Barra.

La manifestazione è promossa dal console della Repubblica democratica del Congo in collaborazione con l’Assessorato allo Sport del Comune di Napoli e 12 Consolati. La partita inaugurale sarà disputata dalla Nazionale parlamentari e dalla rappresentativa della comunità ucraina e vuole valorizzare lo sport come ambiente naturale di fratellanza e di superamento delle contrapposizioni.

“AlleniAmo” il futuro: i giovani di Ancona si riavvicinano allo sport


“AlleniAmo” il futuro. Porte aperte a tutti per riavvicinare i giovani allo sport con l’iniziativa gratuita di “alfabetizzazione motoria” promossa ad Ancona. Molti giovani in questi due anni hanno rinunciato allo sport, costringendo diverse società in tutta Italia a ridurre o cancellare i settori giovanili. Da qui la proposta a ragazze e ragazzi di tornare a muoversi insieme e all’aperto.

Quanti ragazzi in questi due anni di pandemia hanno rinunciato allo sport? Il lockdown, le norme di sicurezza, lo stop ai campionati, la paura: fattori che hanno inciso e non poco sulla “dispersione” dei giovani rispetto all’attività fisica, soprattutto all’aperto. Una fuga dal calcio, in particolare, che ha costretto diverse società in tutta Italia a ridurre se non addirittura cancellare alcuni settori giovanili. “La nostra Scuola Calcio è riuscita a mantenere i numeri degli anni passati – spiega il presidente Diego Franzoni – solo grazie al grande impegno e alla qualità dei nostri tecnici, che sono riconosciuti e stimati sul territorio, e ai nostri dirigenti che curano con passione tutta l’organizzazione e gli impianti. Ci addolora però sapere che diversi ragazzi hanno abbandonato lo sport; desideriamo dare una ventata di ottimismo. Lo sport in generale e il calcio in particolare sono lo strumento privilegiato con cui i ragazzi socializzano, crescono in salute, si divertono: per questo abbiamo deciso di aprire le porte del Campo in erba adiacente il nostro impianto in erba sintetica dell’Aspio a tutte le ragazze e i ragazzi delle annate 2010, ’11, ’12 e ’13 che volessero passare un’ora all’aria aperta, a muoversi e divertirsi, sotto l’occhio attento dei nostri tecnici Santini, Impiglia e Lucarini, e gli altri dello staff che ringrazio per la disponibilità. Il servizio è assolutamente gratuito e segue l’esempio del nostro Patron Sergio Schiavoni, che da sempre ci stimola a portare i ragazzi al campo piuttosto che lasciarli a giocare in mezzo alla strada”.

”Già prima della Pandemia avevamo in mente un’iniziativa di questo tipo – conferma il Co-Responsabile tecnico Sandro Santini, affiancato da mister Marco Impiglia – negli ultimi anni avevamo notato una sempre maggiore difficoltà dei ragazzi a muoversi negli spazi aperti, a coordinare il proprio corpo in relazione all’ambiente circostante, anche semplicemente a fare una bella e lunga corsa sul prato verde. La causa? La riduzione degli oratori, le questioni legate alla sicurezza delle nostre città, la difficoltà di trovare strutture libere nei quartieri, l’alternativa “sedentaria” del gioco virtuale, comodamente seduti sul divano di casa”.

“Sarà una sorta di open-day dello sport a cadenza settimanale, gratuito e senza limitazioni per nessuno – conferma Mister Maurizio Lucarini – rivolto alle ragazze e ai ragazzi che in questi mesi hanno dovuto rinunciare allo sport. Faremo calcio ma più in generale aiuteremo i ragazzi, gratuitamente, a ritrovare il gusto di muoversi all’aperto, di giocare, di divertirsi”.

“Abbiamo per questa iniziativa un luogo ideale – conferma il presidente Franzoni – grazie all’aiuto dei nostri sponsor e alla famiglia Schiavoni, in collaborazione con il Comune di Ancona, abbiamo rimesso a nuovo il campo in erba naturale accanto all’impianto centrale, con illuminazione e recinzioni, panchine nuove, per un divertimento di qualità e in sicurezza. Il nostro sogno è però quello di ammodernare anche il campo centrale, con il rifacimento del manto sintetico, delle strutture e dei servizi, per offrire ai nostri ragazzi le migliori condizioni possibili per praticare lo sport più bello del mondo. Il progetto è pronto, lo abbiamo presentato ufficialmente, abbiamo bisogno di qualche imprenditore illuminato che ami il calcio e abbia a cuore il futuro dei giovani, per aiutarci a crescere insieme le generazioni a venire”.