Archivio Ivano Maiorella

Comunicazione sociale, territorio e relazioni dopo il Coronavirus

di Ivano Maiorella


 

Territorio e relazioni: sono due parole chiave della comunicazione sociale. Che comunicazione sociale sarà in una fase nella quale questi due riferimenti si sono, necessariamente, smaterializzati? Quali sono e quali saranno gli effetti della crisi Coronavirus? Cercheremo di dare qualche spunto per rispondere a queste domande nel nostro Grs Week, curato da Ivano Maiorella. Continua a leggere

Sussidiarietà non solo a parole: lo dice la Corte Costituzionale

di Ivano Maiorella


 

“La solidarietà non è un lusso”, anzi: la Corte Costituzionale ribadisce il suo carattere fondante nel nostro ordinamento giuridico. Lo slogan della metà degli anni ’90, che venne adottato da decine di organizzazioni sociali che diedero vita al Forum del Terzo Settore, viene consolidato in questi giorni dalla Corte Costituzionale come pietra angola del nostro vivere civile e del nostro ordinamento giuridico.Questo Grs week, curato da Ivano Maiorella, è dedicato a questi temi.

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Perchè di nuovo in marcia, per la Pace

di Ivano Maiorella


Per la pace, domenica 7 ottobre di nuovo in Marcia. Migliaia di persone, associazioni, sindacati, scolaresche, attivisti e volontari cammineranno insieme da Perugia ad Assisi. Lo stesso percorso della prima edizione della Marcia che si svolse domenica 24 settembre 1961, su iniziativa di Aldo Capitini : un corteo nonviolento che testimoniava a favore della pace e della solidarietà dei popoli. Valori trasversali e condivisi, oggi come allora, ma di fatto disattesi dai signori del mondo. E delle armi. Ascoltiamo la voce di Aldo Capitini nello speciale Grs Week, scrittore ed educatore pacifista, in una rara registrazione del 1963: Ma che cos’è la non violenza?

“E’ un’apertura affettuosa all’esistenza, alla libertà, allo sviluppo di ogni essere”

Oggi, a distanza di quasi cinquant’anni, la Marcia per la pace è ancora capace di scuotere le coscienze e condensare l’attenzione di molti giovani. Forse perché il mondo è in guerra, come avverte papa Francesco? Su che cosa chiedono di investire i pacifisti di oggi? Ascoltiamo Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola per la pace:

“Investire sui giovani, dandogli spazio, fornendo loro adeguate responsabilità. Investire sull’economia della fratellanza. Didendere la società aperta, per renderla più accogliente. Costruire una politica nuova, basata sul rispetto di tutti i membri”

La marcia per la Pace di domenica 7 ottobre sarà anche l’occasione per rilanciare i valori di solidarietà e impegno civile che animano le oltre cento organizzazioni sociali che fanno parte del Forum del Terzo settore. Ascoltiamo Claudia Fiaschi, portavoce del Forum:

“Il tema della pace è un tema eterno e legittimo. Abbiamo l’esigenza di ripartire su questi valori. E’ bene puntare sui giovani, come fa questa edizione della Marcia. Il tema della pace riguarda anche la pace e la cooperazione tra generazioni, affinchè ci sia spazio per tutti”.

In una fase nella quale certezze e valori sembrano vacillare, ognuno è chiamato a fare la sua parte. E’ con questo spirito che anche i giornalisti italiani, con l’associazione articolo 21 e l’appoggio dell’Ordine dei giornalisti, sono in campo e sabato 6 ottobre terranno ad Assisi il convegno “Le parole non sono pietre”, contro il linciaggio dell’altro, tipico di chi vuole cancellare differenze e diversità. Ascoltiamo Beppe Giulietti, presidente  FNSI-Federazione nazionale della stampa:

“Credenti e non credenti, giornalisti e cittadini si ritrovano su un tema che riguarda tutti: le parole non sono pietre. Oggi assistiamo alla violenza e al fascismo mediatico di chi non è d’accordo. La Carta di Assisi significa proprio questo: valori, rispetto e diritti da tenere sempre presenti, dentro e fuori le redazioni”

Cos’è che tiene insieme società civile e gonfaloni dei Comuni italiani, ambientalisti e studenti, intere famiglie e associazioni che marceranno tutti insieme, ognuno con la propria bandiera e tutti sotto quella arcobaleno della pace? Risponde Sergio Bassoli, portavoce della Rete della pace

“Questo è un appuntamento per far emergere l’Italia che non ci sta ad avere nuovi muri. Associazioni, sindacati, democratici di ogni tipo marceranno in prima persona e rappresenteranno l’Italia che chiede che le popolazioni che vivono in pace non siano obbligate a fuggire e abbandonare le proprie case”.

Terzo settore, voto e politica: “amatori, ma non riamati”

di Ivano Maiorella


Brutta e senza idee: è stato già detto tutto il male possibile di questa campagna elettorale. Abbiamo scelto un’altra angolazione per parlarne: che cosa rimarrà? Non i manifesti (pochi quelli avvistati nelle grandi città), neppure gli spot e i banner in rete, troppo omologati. Neppure i confronti tv, dei quali rimangono tracce nelle teche Rai (e non Rai), dribblati con mestiere dai leader. Non rimarranno neppure le promesse, troppe e confuse. Non rimarranno gli appelli alla partecipazione al voto, lanciati blandamente e con (sospetta) scarsa convinzione. E, questo è certo, non rimarrà il “rosatellum”, oscuro oggetto regolatore del diritto più importante: quello di votare e di partecipare. Eppure il popolo del terzo settore, i volontari e i dirigenti di mille e mille organizzazioni sociali, non smette di credere nella partecipazione, nella politica, nella democrazia e nel voto: un pò come gli “amatori, ma non riamati”. Esclusi e aggirati dalla politica, come in questi anni è avvuto per i corpi intermedi e per i suoi animatori. Si tratta di una citazione, che svelerò alla fine. Proseguiamo nel ragionamento…. E allora?

 

Rimarranno le idee e le proposte che, con fiducia e rispetto, sono state trasmesse alla politica. Molte reti sociali e associazioni hanno preso carta e penna e durante tutto il mese di febbraio hanno trasmesso stimoli, richieste, urgenze alla classe politica. Appelli inascoltati o impegni concreti? Vedremo e giudicheremo.
Di sicuro si tratta di documenti sui quali il terzo settore ha discusso e condiviso delle proposte, ora e adesso. Vale la pena farne una carrellata, sperando che possano ispirare candidati, futuri parlamentari e governanti. La voce del terzo settore non manca, la richiesta di politica e di partecipazione è evidente.

 

Il Forum del Terzo settore punta sulla partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini e, attraverso una lettera aperta ai candidati, chiede la piena realizzazione della Riforma del terzo settore, un nuovo Piano di non autosufficienza in grado di tutelare concretamente chi è più vulnerabile, una politica dell’accoglienza capace realmente di inglobare i processi migratori nello sviluppo del Paese. “Il modello al quale auspichiamo – dichiara la portavoce del Forum Claudia Fiaschi – rimette al centro le sfide del benessere delle persone e del pianeta, della cultura della pace e della prosperità delle comunità, in Italia come nel mondo. Questo modello parte da una base condivisa: il raggiungimento dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile adottati dalla comunità internazionale, che per noi rappresentano uno strumento semplice, ma universale, per rifondare un nuovo patto di cittadinanza capace di guardare al futuro, generare reddito e stabilire relazioni sociali.”

 

Le Acli hanno lanciato un documento con 43 proposte su lavoro, welfare, ambiente ed Europa. E soprattutto lavoro. Tra le proposte delle Acli quella di introdurre un “bonus lavoro giovanile”. Si chiede poi di elaborare nuove forme contrattuali per il Terzo Settore visto che molti soggetti che operano in questo settore vivono la duplice condizione di imprenditore e di lavoratore. Entrambe le posizioni meritano tutele specifiche, sostenibili e non precarie.

 

L’Arci, nel suo documento-appello, parte dalla crisi economica e sociale che continua a farsi sentire, aumentando povertà e diseguaglianze, incertezze e paura:“E’ importante rilanciare la partecipazione al voto, e arginare l’astensione ricollocando al centro del dibattito la questione sociale, economica e culturale”.
E’ necessario redistribuire la ricchezza, ridurre le disuguaglianze, investire nell’istruzione, nella ricerca e nella sanità pubbliche. Riportare nell’agenda politica il tema del Sud, focalizzando i fenomeni che hanno determinato uno sviluppo disuguale. Bisogna combattere il razzismo, migliorare il sistema di accoglienza, non considerare più i flussi migratori un’emergenza, da affrontare come una questione di ordine pubblico.

 

Le reti ambientaliste sono attive su più fronti. Segnaliamo l’appello di Coalizione per il clima, che raggruppa circa 200 associazioni tra le quali Legambiente, WWF, Greenpeace, sindacati e associazioni come Acli e Arci. L’obiettivo principale è quello di impegnare la politica, e il futuro governo, sul contrasto ai cambiamenti climatici. Lo Sviluppo sostenibile rimane la meta da raggiungere, visto che “i cambiamenti climatici rappresentano una emergenza che mette a rischio la vita delle persone, specie ed ecosistemi”. Pertanto vanno incrementate le azioni per contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C, come stabilito nell’Accordo di Parigi sul clima.

 

Legambiente lancia le Sfide ambientaliste, dall’urgenza di avere finalmente una strategia per la lotta ai cambiamenti climatici al ridisegnare la fiscalità in chiave ambientale, ridefinendo, per esempio, l’Iva sui prodotti sulla base dei criteri ambientali e sociali, cancellando rendite e privilegi contro l’ambiente, eliminando tutti i sussidi alle fonti fossili e definendo nuove regole di tassazione più trasparenti e chiare per cave, acque minerali, rifiuti. E poi incoraggiare lo sviluppo dell’economia circolare e un appello affinchè la prossima legislatura definisca un’agenda per le aree urbane per affrontare problemi e criticità urbane.

 

La Fish ha realizzato un documento molto articolato nel quale chiede con forza, così come fanno altre associazioni e reti che si occupano di persone con disabilità, il consolidamento e l’adeguamento del Fondo per le non autosufficienze. Un incremento di risorse che siano regolamentate da un Piano nazionale, che definisca i livelli essenziali di assistenza da garantire in tutto il Paese, al fine di superare la disuguaglianza territoriale che determina disparità di servizi e prestazioni sociali da nord a sud.

 

Il mondo dell’associazionismo culturale si è mobilitato intorno al manifesto proposto da Cae, network europeo Culture Action Europe, tra le quali Arci, CoopCulture, Federculture. Obiettivo: aumentare la quota di bilancio pubblico nazionale dedicata alla cultura fino a raggiungere lo 0,6% nel triennio 2018-2020, dall’attuale 0,3%.

 

Legacoop sociali del Lazio (dove si terranno anche le elezioni regionali) si fa promotrice di un documento per un “modello economico socialmente responsabile in grado di conciliare la crescita economica con il raggiungimento di specifici obiettivi sociali, quali, ad esempio, l’incremento occupazionale e l’inclusione e l’integrazione sociale”. I temi del Documento sono stati riassunti in un’infografica, suddivisi in temi generali e temi “settoriali” così articolati: Politiche del lavoro, legalità e lotta alle false cooperative – Innovazione sociale – Ambiente, – Cultura, turismo e mobilità – Welfare – Commercio e riqualificazione territoriale – Agroalimentare – Intergenerazionalità.

 

La ConVol – Conferenza per il Volontariato (4.676 gruppi nazionali, regionali, provinciali e locali ad essa affiliati) punta l’attenzione sulla riforma del terzo settore, molto apprezzabile per alcuni versi (riconoscimento della figura del volontario) e discutibili per altri (la disciplina del volontariato organizzato). Infatti, si legge in una nota ConVol “abrogando la legge quadro del volontariato (L. 266/1991), la riforma ha finito in effetti per svalorizzare l’azione volontaria prestata all’interno di un’organizzazione. Sono di fatto pressoché annullate, ad esempio, le differenze tra enti del terzo settore che svolgono attività prevalentemente mutualistica ed enti che, come le organizzazioni di volontariato, avevano un presupposto preciso nella finalità solidaristica della loro azione”.

 

Il Forum Disuguaglianze Diversità, lanciato in febbraio dalla Fondazione Basso e composto da accademici e organizzazioni sociali (Action Aid, Legambiente, Uisp, Caritas e altre) ritiene che l’aumento delle disuguaglianze che ha interessato l’Occidente a partire dagli anni ’70 sia il frutto di un’inversione delle politiche pubbliche, di una riduzione del potere negoziale del lavoro e di un cambiamento del senso comune. E lancia una serie di proposte per nuove politiche pubbliche per ridurre le disuguaglianze e liberare le diversità, ispirate dal pensiero e dal programma di Anthony Atkinson.

 

Lettera aperta dell’Uisp alle forze politiche che si sono candidate a rappresentare il Paese in Parlamento: “I valori costituzionali che hanno guidato la nostra storia associativa, nei settant’anni di vita dal 1948 ad oggi, sono parte integrante di una visione di società inclusiva, solidale, antirazzista e antifascista“. L’Uisp chiede un impegno a rafforzare la dimensione europea e internazionale dello sport. Lo sport sociale sia presente nelle politiche pubbliche per l’educazione, il welfare e la salute.

 

Lo sport ricopre un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo degli individui e necessita di scelte e modelli che sappiano renderlo davvero alla portata di tutti. Per tale ragione il Centro Sportivo Italiano ha formulato 10 proposte utili alla valorizzazione della promozione sportiva in Italia, rivolte ai candidati alle elezioni politiche 2018. Si va da una chiara differenziazione delle competenze di CONI e Federazioni da quelle degli Enti di Promozione Sportiva al rilancio dell’impiantistica.

 

Arcigay lancia cinque le richieste alla politica: matrimonio egualitario, cioè il superamento dell’istituto giuridico ad hoc per le coppie di gay e lesbiche e la definitiva messa in sicurezza del riconoscimento delle coppie omosessuali; legge contro l’odio omotransfobico; la riforma delle adozioni; l’accesso alla fecondazione eterologa per donne lesbiche e single, superando un’esclusione assurda della sgangherata legge 40. Infine, un welfare che accompagni il percorso di depatologizzazione della condizione trans. La campagna Votoarcobaleno impegna i candidati e le candidate su alcuni temi, offre all’elettorato un sito web attraverso il quale monitorare le liste e scovare i più “friendly” o “unfriendly”.

 

L’Unicef chiede ai candidati alle elezioni politiche “un patto” di fiducia con i 10 milioni di bambini e adolescenti che vivono in Italia, tra cui 1 milione e 292mila bambini in povertà assoluta. Le proposte sono 9, tra le quali dimezzare l’incidenza della povertà minorile entro il 2030, in linea con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e adottare una legge sull’allattamento materno nei luoghi pubblici, migliorare le politiche a sostegno di ospedali e assicurare servizi di mensa scolastica uniformi. E ancora: aumentare la copertura degli asili nido; attuare il Piano per l’edilizia scolastica, ascoltare i bambini e i ragazzi e fare in modo che partecipino alle definizioni delle politiche che li riguardano.

 

Aoi, Associazione delle Organizzazioni Italiane di cooperazione e solidarietà internazionale e Cini, Coordinamento italiano NGOs internazionali, chiedono in una lettera aperta un impegno pubblico e concreto per garantire un’efficace politica di cooperazione internazionale per la giustizia sociale e i diritti al centro dello sviluppo. Le richieste si articolano in cinque punti, tra i quali lotta alla povertà e affermazione della giustizia sociale in Italia e nel mondo; pace e diritti umani obiettivi di cooperazione internazionale; diritti umani al centro delle politiche migratorie.

 

Si intitola “Droghe, ripartiamo da 7” la piattaforma di intervento sulle politiche sulle droghe in vista delle prossime elezioni presentata da associazione Antigone, Associazione Luca Coscioni, Cgil, Forum Droghe, Gruppo Abele e altre. Il documento, che riprende le tesi del Manifesto di Genova nel 2014 e poi con la Carta di Milano del 2015, chiede la completa revisione del Testo unico sulle droghe: le persone che usano sostanze devono essere liberate tanto dal rischio di criminalizzazione penale e amministrativa quanto da quello di stigmatizzazione. E ancora, “dovrà essere priorità della politica lavorare per il rilancio e la riorganizzazione dei servizi per le dipendenze.

 

La campagna Mettiamoci in gioco, nata grazie all’adesione di quaranta associazioni nazionali, a partire da Cnca, lancia un appello alle forze politiche affinché “assumano un impegno pubblico, da onorare nella prossima legislatura, approvando una legge nazionale che regolamenti il consumo di gioco d’azzardo nel nostro Paese”. “Mettiamoci in gioco” chiede che venga “sancito il divieto assoluto di pubblicità del gioco d’azzardo su tutti i media e in tutti i luoghi pubblici”. Inoltre, “occorre tagliare, di almeno un terzo, l’offerta complessiva del gioco d’azzardo nel nostro Paese, riducendo luoghi, occasioni e prodotti che permettono di giocare”. La terza richiesta riguarda “la salute dei cittadini” che viene “prima del business e delle entrate erariali”. Per questo, “va garantito a Regioni ed enti locali il diritto di regolamentare in modo autonomo dislocazione e orari degli esercizi dove è possibile giocare d’azzardo, in funzione del più alto principio della salvaguardia della salute del cittadino”.

 

Anche quest’anno Sbilanciamoci!, la campagna che raccoglie oltre 48 organizzazioni della società civile impegnate nella promozione di un’economia di giustizia e di un nuovo modello di sviluppo fondato su parole d’ordine come “diritti, ambiente e pace”, ha presentato la sua Controfinanziaria. Una vera e propria contromanovra che si articola in 111 proposte da 44,2 miliardi di euro per rimettere al centro della politica economica del nostro Paese i diritti delle persone e la salvaguardia dell’ambiente.

 

Per concludere questa rapida e incompleta carrellata, il tema della partecipazione, di cui si è parlato poco, come dicevamo all’inizio. A proposito di partecipazione segnaliamo la denuncia degli Avvocati di strada di Bologna, pubblicata dall’Espresso: “In Italia si perde il diritto di voto per incapacità civile, per effetto di una sentenza penale irrevocabile, per particolari casi di indegnità morale. E, anche se non è scritto in Costituzione, se si vive per strada”, spiega Antonio Mumolo, presidente dell’associazione . “Il 4 marzo decine di migliaia di persone, colpevoli unicamente di essere povere, saranno escluse dal partecipare alle votazioni. Si tratta di una palese violazione dei loro diritti costituzionali ma è anche un modo per certificare il più totale disinteresse verso persone che vivono in una situazione di estrema povertà e che in base alla legge avrebbero comunque diritto alla residenza”.

 

PS: “Amatori, ma non riamati” è un’espressione che ho preso in prestito da un libro di Gianmario Missaglia, “Il baro e il guastafeste” (ed Seam, Roma 1998, pagina 111). Missaglia, pedagogista e giornalista, storico presidente Uisp e teorico dello sportpertutti (una sorta di H. David Thoreau italiano), con queste parole si riferiva al sistema sportivo “ufficiale”, quello dei campioni, del business e dei primati, che pur alimentandosi di una larga base fatta di praticanti, dilettanti e volontari (chiamati appunto “amatori”), a sua volta non li riama, escludendoli dagli allori e dalle stanze che contano. Nei fatti, li esclude.

C’è sempre un “territorio” dal quale ripartire

di Ivano Maiorella


Inizia un nuovo anno, il settimo per la vita del Giornale Radio Sociale, e proseguirà il nostro impegno per l’informazione sociale. Nel 2018 vogliamo seguire una rotta e farci guidare da una parola che sembra non essere più di moda: territorio. Lo faremo cercando energie e idee nuove, alleati che vorranno approfondire con noi la ricerca, sostenitori. Curzio Maltese nella sua rubrica del Venerdi di Repubblica, chiude cosí il 2017: “ho incontrato centinaia di insegnanti … che non fanno pettegolezzi sui propri studenti e da una cattedra scrostata o anche per strada lottano contro le mafie vere, la povertà e l’ignoranza, la violenza sulle donne e il razzismo, ma perché questi non fanno mai notizia?”.  Giá, perché?

Mai come in questi tempi la comunicazione é un percorso circolare, non direttivo o a senso unico. Tutti quanti significa tutti quanti. Ascoltare e parlare, leggere e scrivere, essere fonti di notizie e utilizzarle é un diritto/dovere di tutti: “nessuno può essere sul posto rispetto a chi gia c’é”. E se il giornalista si sente meno accerchiato, meno isolato sul territorio, piú libero di mettere insieme fonti credibili, ecco che la verità e la comunicazione sociale ne guadagnano. Che cos’é comunicazione sociale? Quella con meno mezzi economici, meno capace di asfissiare il giornalista con ricatti psicologici e di potere, meno compromessa da giochi politici, finanziari o editoriali. In quattro parole: piú libera, piú credibile.

A qualcuno può apparire troppo semplicistico questo ragionamento. Forse sí, ma vi sembra sbagliato? Ce la metteremo tutta per fare in modo che fará notizia ciò che non fa notizia. Né titoli a sensazione, né generalizzazioni spazzatura, né imprecisioni: notizie né buone, né cattive, né fasulle.

Conoscere per raccontare: il territorio e le persone che lo abitano sono risorse preziose per la comunicazione sociale. Fatti di vita quotidiana, piccole grandi storie di dignità e di rifiuto del conformismo, di educazione alla vita sociale e di ribellione alla marginalità. Storie che affiorano attraverso il racconto del sociale, attraverso la cittadinanza attiva, le relazioni, i diritti, le attività del terzo settore, la cooperazione internazionale, l’economia, la cultura e lo sport sociale. Occasioni per “abitare” il territorio e strapparlo al degrado e alla solitudine. Ovvero: illuminare le periferie.

Il giornalista lo sa, “abita” e conosce il territorio, racconta storie di aperture, di incontro, di integrazione perché la consapevolezza crea il cambiamento. Le chiusure no, lasciano le cose come stanno, muffe e poteri. Il racconto giornalistico, l’inchiesta e la denuncia, diventano vulnerabili quando sono isolate. Se diventano un racconto collettivo, diffuso e ramificato su tutto il territorio, la consapevolezza e la verità hanno il sopravvento e si rafforzano. Per questo occorre rafforzare l’aderenza dei giornalisti al territorio, alla rete dei cittadini e delle organizzazioni sociali che lo abitano. Al territorio in senso fisico/geografico e ai territori digitali. Anche questo è comunicazione sociale: “la scorta mediatica”, la rete permanente dei protagonisti di diritti, di solidarietà, di partecipazione, di libertà. Come avvicinare cittadini e media? Come rafforzare la rete dei comunicatori sociali, i canali e le connessioni? Orgoglio e coraggio individuale non bastano: come rilanciare la funzione sociale del giornalista?

In questo momento c’é caos, nella societá e nella comunicazione. Nella vita quotidiana e nei consumi, in cui sono entrati i social e sono usciti i giornali. I consumi, i gusti e le mode cambiano il volto delle cittá: spariscono le luci e i negozi, non c’é più gente nelle strade. Caos degli algoritmi, folla e popolo. Follia e populismo. Gira questo smarrimento anche tra persone che si occupano di informazione. Ripartire da questo smarrimento e dal territorio ci sembra un’utile pista. La redazione del Giornale Radio Sociale è al lavoro.

Che cosa ci hanno insegnato questi cinque anni

di Ivano Maiorella


E così il Giornale Radio Sociale spegne cinque candeline, abbiamo iniziato di questi tempi nel 2011, con qualche idea di comunicazione sociale da sperimentare e mettere in pratica. Con la voglia di non perdere di vista il fatto di navigare nel mondo dell’editoria e dell’informazione.

Tradotto: dalla teoria alla pratica ci si può rompere l’osso del collo. Volontariato non significa improvvisazione, passione non significa dilettantismo: per chi fa informazione e ci mette la faccia e la firma (anche la voce, nel nostro caso) è importante mantenere le promesse. Il risultato è là, sotto gli occhi di tutti, giorno per giorno. Ognuno può leggere e ascoltare oppure ignorare o cambiare canale. Comunicazione e disponibilità sono facce della stessa medaglie.

Che cos’è informazione e comunicazione sociale? Ce lo chiediamo ogni giorno e in questi cinque anni abbiamo provato a sperimentare nuove strade. Da mettere in pratica insieme ad un baricentro chiaro: libertà e pluralismo di espressione. Con la voglia di “farci media”, dare voce al sociale e al terzo settore, provando anche a far esprimere un punto di vista sull’attualità a questo universo mondo. La radio è come l’acqua, arriva dappertutto. La rete è naturale e le redazioni sono in strada. Il linguaggio è in continua evoluzione, con l’attenzione riservata ad una componente importante del giornalismo e del sociale. Dignità e rispetto per le persone delle quali si parla e per i fatti.

Diritti, società, economia, internazionale, cultura e sport: sei redazioni in una, conserviamo l’impaginazione alla quale siamo abituati. Dov’è la novità, allora? Nei dettagli altrove trascurati, nelle parole usate, nei toni, nell’antiretorica del fare tanto e bene, nell’inversione dei criteri di notiziabilità.

Come? Non correndo dietro alle frasi a sensazione ad esempio, e neppure alla notorietà di personaggi inflazionati. La redazione è composta da giornalisti e collaboratori che lavorano in vari ambiti del terzo settore e dedicano un pó del loro tempo al Giornale Radio Sociale, al sito internet (che nel frattempo è diventato testata), ai social, alle dirette, ai progetti speciali come “Che lingua scrivi” con l’Ordine dei giornalisti o quelli come la comunicazione di Fqts, formazione quadri del terzo settore al sud.
Grazie al Forum del Terzo Settore che ha creduto nel nostro progetto editoriale e lo sostiene insieme a Fondazione con il sud. Grazie alle organizzazioni sociali e alle reti del terzo settore che hanno imparato a conoscerci e ad inviarci fonti e notizie, oltre ad ospitare il banner per ascoltarci.

Grazie a Radio Articolo 1 che collabora alla realizzazione e alla messa in onda del notiziario. Grazie al centinaio di radio in Fm in tutta Italia che trasmettono quotidianamente l’edizione delle 12 del Grs, grazie alla miriade di radio web che rilanciano il Grs, grazie al circuito radiofonico Area. Grazie alla FNSI, alla rete NoBavaglio e all’associazione Articolo 21 che ci ricordano sempre l’importanza dell’autonomia, della libertà di stampa, del pluralismo. Grazie ai tanti che collaborano volontariamente e sostengono il lavoro redazionale in mille modi.

Grazie alla redazione, ad ogni singolo componente, a coloro che si sono avvicendati in questi anni. La capacità di unire competenze professionali e importanza delle relazioni personali è il valore aggiunto di questi cinque anni di lavoro insieme. Cinque anni di lavoro alle spalle sono importanti ma il tempo che abbiamo di fronte ci dirà se la sfida è davvero vinta e il risultato consolidato.

Qualche parola per restare umani

di Ivano Maiorella


Questione di giorni e di ore, il racconto della realtà sembra essere vecchio un attimo dopo essere scritto. La turborealtà impedisce l’approfondimento e costringe alla superficialità, all’approssimazione. Proviamo a non rassegnarci a questa condanna, anche se è sempre più difficile agganciare realtà virtuale a vita quotidiana. Proviamoci, ognuno come può: ascoltare, conoscere, comunicare, partecipare. Una proposta: incominciamo dal linguaggio, usiamo le parole come torce per procedere nel buio. Ognuno di noi redattori del Grs ve ne propone una. Proprio adesso, nel pieno di un’estate di piombo accecante. Con una premessa, una tavola fuoritesto: di fronte alla violenza, al terrorismo, ai naufragi di migranti e alla tensione internazionale che è possibile leggere ovunque, nel marciapiede di fronte e nella rete, non chiamiamo in casa lo “squilibrato” di comodo.

 

Non liquidiamo pilatescamente il senso che si sta perdendo, cerchiamo di risalire la corrente e non scambiamo gli effetti con le cause. E’ una guerra o no? Cambia poco, ogni vita spezzata – o autointerrotta – è guerra contro il genere umano. Per questo le parole sono importanti, il loro significato aiuta a rimettere i piedi per terra e a ragionare.  Così nasce questo editoriale scritto a più mani dai redattori del Grs, frutto della riunione di redazione prima dell’estate (martedi 27 luglio) e del video che vedete qui a fianco (montaggio di Francesca Spanò), per provare a collegare parole e immagini.

 

Ripopolare, ho scelto questa parola. Tornare ad abitare luoghi abbandonati che si stanno desertificando. Abitare citta, periferie, campagne senza paura di sentirsi spaesati. Abitare la politica, senza sentirsi respinti. Abitare i beni comuni partecipando alla loro cura, alle scelte, sentendoli propri. consapevolmente, col desiderio e il diritto di conoscere, abitare l’informazione e la libertà di espressione, ripopolando il dialogo e i legami sociali, la solidarietà dell’agire.  Ascoltare se si vuole essere ascoltari. L’ho sentito dire a don Panizza a Lamezia Terme in un incontro sulla comunicazione sociale. E il mutuo ascolto e’ la base del giornalismo, soprattutto radiofonico.

 

Povertà, la parola da mettere in primo piano nel Paese: sono 4 milioni gli italiani poveri e un milione sono minorenni. Povertà fa rima con Sud: qui alle mie spalle il Vesuvio e Napoli, capitale di quel Mezzogiorno povero da cui bisogna ripartire per il benessere di tutti (di Giuseppe Manzo).

 

Riforme. Dal giorno della sua nomina il Presidente del Consiglio ha promesso un piano di Riforme per modificare l’assetto politico, istituzionale e costituzionale del Paese: tra queste, quella del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione, del terzo settore e la tanto discussa riforma costituzionale, il cui referendum ad ottobre segnerà l’ago della bilancia che decreterà il destino del governo e dell’intero Paese. Attesa, traguardo storico o nuova delusione? (di Anna Monterubbianesi)

 

Alberi, gli alberi delle navi che attraversano il mediterraneo. Solo nel 2016 249.801 migranti in fuga sono approdati in europa alla ricerca di nuove radici. Oltre 3 mila hanno invece trovato la morte e l’europa resta a guardare (di Clara Capponi)

 

Gioco è formazione, civiltà, futuro. Da quello dei bambini nei cortili delle nostre città a quello nei campi profughi ai confini con le guerre dei nostri giorni. Dai riflettori di Rio de Janeiro accesi sul mondo ai parchi delle periferie urbane. Giochiamo per comunicare, imparare e immaginare: nel gioco disegniamo una società aperta, accogliente e libera. Le regole sono i diritti di cittadinanza, da rivendicare e difendere insieme (di Elena Fiorani).

 

Buonsenso. Una parola semplice, ma anche una regola che bisognerebbe darsi nell’affrontare i drammi del nostro tempo: dalla crisi economica, ai diritti negati, al terrorismo.  Una parola per non dividersi tra “razzisti” vs “buonisti”: perché di mezzo c’è la vita reale delle persone, ci sono i drammi di chi fugge dalla guerra, ma anche di chi è costretto a vivere su una panchina abbandonato dallo Stato, di tutti coloro che si sentono discriminati o subiscono violenze. Potrebbe bastare il buonsenso per trovare soluzioni in grado di offrire diritti e dignità a tutti. Buonsenso è una parola quasi scontata, ma talmente tanto che ce ne siamo colpevolmente dimenticati (di Giordano Sottosanti).

 

Umanità, intesa come restare umani, come non arrendersi all’orrore degli eventi, alla paura che genera violenza, alla spersonalizzazione delle relazioni sociali. Ad ogni passo, ricordarsi di essere esseri umani (di Giovanna Carnevale).     

 

L’incuranza è quella cosa che ti fa star male quando ti accorgi che ormai in tutte le cose è diventata l’abitudine. L’abitudine a non curare l’altro, quello che si trova buttato su un marciapiede privo di sensi, l’incuranza verso chi vede i propri diritti calpestati, verso chi viene ingoiato perché ultimo degli ultimi. L’incuranza verso la storia, la nostra storia, fatta non solo di libri ma di monumenti, grandi e piccoli, anch’essi vittime di incuranza. L’incuranza di chi utilizza come scenografia di un concerto uno dei luoghi più belli al mondo: il Foro Romano. Sono tanti i tesori di inestimabile valore abbandonati all’incuria dei potenti perché con la “cultura non si mangia mica”. L’incuranza verso l’ambiente che ci circonda sempre più spesso discarica a cielo aperto. L’incuranza diventa regola, codice comportamentale, diventa scempio e vergogna. (di Pietro Briganò)

Taking Care

di Ivano Maiorella


Sogni da architetti o da politici? Taking Care, prendersi cura. Suvvia, i sogni di un architetto non c’entrano niente col sociale. Oppure sì? Basta poco per essere smentiti: la Biennale di Architettura di Venezia spiazza. Il Padiglione Italia, inaugurato in questi giorni, è protagonista di una scommessa che si chiama “Taking Care”. L’impressione è quella di mondi in apparenza lontanissimi che si parlano: come progettare il bene comune? Il tumultuoso boom edilizio degli anni ’60 e ’70 è stato un rullo compressore, ha dissipato suoli e prodotto mostruose distese di cemento.

Eppure l’architetto si guarda dentro e riparte dal sociale, dalle periferie, da una visione concreta al servizio della comunità. Non a quello – surrettizio o palese – dei palazzinari, degli affaristi o dei politici corrotti. E’ la periferia, e chi la popola, il luogo dell’incontro, la frattura che oltre ad essere “rammendata” chiede di essere incontrata, conosciuta. L’intero Padiglione Italia, allestito come il resto della mostra nell’Arsenale veneziano, è dedicato a tre percorsi: pensare il bene comune, incontrarlo e agirlo. Ne emerge una mappa concettuale: cittadinanza, ascolto, autorganizzazione, attivazione,senso, lavoro,spazio, riuso, sobrietà, manutenzione, cura…Il punto d’arrivo è l’incontro e la partecipazione, per progettare insieme.

L’architetto incontra 5 associazioni e propone un cammino per migliorare la qualità della vita delle persone e delle periferie. La cerniera è costituita da 5 associazioni individuate come portatrici di interessi e diritti comuni: Libera (legalità), Emergency (salute), Legambiente (ambiente), Aib-Associazione Italiana Biblioteche (cultura) e Uisp (sport sociale).

 

Attraverso la coprogettazione con 5 architetti italiani questi interessi e diritti diventeranno beni comuni, ovvero cinque allestimenti che verranno creati grazie ad una campagna di crowdfunding: “l’azione nasce nel Padiglione Italia per poi radicarsi e vivere al di fuori di esso”. Nel corso della Biennale Architettura (maggio-novembre 2016) è possibile vedere 5 modellini dei futuri allestimenti con le loro storie e i piani progettuali. Terminata la mostra i modellini verranno realizzati e portati in 5 diverse città dove diverranno operativi. Quello di Emergency, ad esempio, sarà un dispositivo per la salute, un ambulatorio mobile per assistenza sanitaria e mediazione culturale. Il progetto si chiama Articolo 10.

L’architetto riparte dal basso, dal prendersi cura di ciò che sogna: cultura, socialità, partecipazione, salute, integrazione, legalità. Il sociale ha bisogno di progettare il suo futuro e incontrare nuovi compagni di strada, non necessariamente nei suoi spazi di autoreferenzialità o nelle aule universitarie. Il terreno del fare, o dell’agire, è un ottima meeting area: “La nostra tesi è che questo processo costituisca esso stesso un bene comune in sé – scrive il collettivo TAMassociati – in grado di generare nuovi saperi, condivisione delle risorse, diffusione della democrazia e migliore convivenza”.

 

Una velleità glam? O una sfida vera? E’ questo il punto.

Un gruppo di architetti e di visionari con-i-piedi-per-terra si è riunito intorno a Massimo Lepore, Simone Sfriso e Raul Pantaleo, TAMassociati, che, per conto del Ministero della cultura, hanno realizzato il Padiglione Italia della Biennale Architettura 2016 di Venezia col chiodo fisso di una nuova architettura sociale che “quando guarda al sociale può agire come baluardo contro la marginalità e l’esclusione e divenire motore di nuove visioni, potente mezzo comunicante strumento attraverso cui le periferie dell’abitare possono rivendicare diritti, progresso, opportunità, inclusione”.

Andando indietro nel tempo si scopre che la storia di TAMassociati è lunga, fatta di progetti come quello nel piccolo Comune di Monterotondo, alle porte di Roma, chiamato “Esercizi di democrazia”. Era il 2002 e l’obiettivo era quello di una forma di architettura sociale – collegata alla comunicazione sociale che all’epoca cominciava a farsi spazio – e coprogettazione tra cittadini e istituzioni, una sorta di nuovo “Contratto sociale” fatto di “crescita responsabile, l’incontro e il rispetto dell’altro, l’dea di una equa reciprocità”.

 

Una ragionata “politica dei luoghi pubblici” (beni comuni per definizione) e di percorsi di coprogettazione/partecipazione tra istituzioni, politica e cittadini.  Perchè non ripartire da qui per prendere qualche spunto buono e qualche idea? Taking Care: pensare, incontrare, agire. Non solo parole.

Ilaria, Miran e Giulio Regeni: dovere di verità

di Ivano Maiorella


20 marzo. Attendiamo ancora verità e giustizia. Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio. La vicenda è una delle vergogne italiane che mette a nudo responsabilità politiche e insabbiamenti a ripetizione, diritto di stampa e bavagli.

21 marzo. Con Libera e LiberaInformazione a Messina per la XXI Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie. In contemporanea in tanti luoghi in tutta Italia.

Che cosa lega queste due giornate? Il dovere di difendere sempre il ruolo dell’informazione libera, dell’autonomia dei giornalisti, del percorso delle inchieste che devono sempre essere spinte in avanti, verso una conclusione.

“Servizi segreti e apparati dello stato non facevano il loro dovere – disse Roberto Morrione, direttore storico di Rai News 24 e responsabile di LiberaInformazione sino alla sua scomparsa – due giornalisti uccisi perché stavano indagando su un colossale traffico di rifiuti nocivi, forse anche di armi”.

Nel frattempo due novità. Il 5 aprile 2016 si aprirà a Perugia la revisione del processo nei confronti di Hashi Omar Assan condannato definitivamente a 26 anni di carcere (26 giugno 2002) per concorso nell’assassinio di Ilaria e Miran. Si potrà riesaminare il fitto intreccio di testimoni pagati per affermare il falso e il percorso dei depistaggi. Chi ha ordinato il duplice assassinio, chi ha costruito carte false? E soprattutto quale fu il ruolo dei servizi segreti italiani?

La seconda novità è che la Camera dei deputati ha messo online l’Archivio digitale che raccoglie tutta la documentazione in possesso del Parlamento sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

I materiali – che possono essere consultati e richiesti attraverso la compilazione di una domanda online – comprendono tra l’altro, tutti gli altri atti acquisiti dalla Commissione d’inchiesta istituita nella XIV legislatura. Quella presieduta da Carlo Taormina (attuale opinionista del Processo di Biscardi) il quale sostiene che “Ilaria Alpi era in vacanza, non al lavoro”.

Nel corso di questi 22 anni si è formato attorno alla memoria di Ilaria un largo consenso e un gruppo sempre più numeroso di persone (ma anche di scuole, istituzioni, biblioteche associazioni…) che vogliono arrivare alla verità – scrive sul sito dell’Associazione Articolo 21 Mariangela Gritta Grainer, che si è occupata di Ilaria Alpi in modo documentato e attento in questi anni – Si è capito che in nome di Ilaria si combatte per raggiungere verità e giustizia oltre la tragica morte di due persone innocenti, per i diritti delle cittadine e dei cittadini del mondo intero”.

Giulio Regeni, 28 anni, ricercatore, è scomparso al Cairo il 25 gennaio (il giorno dell’anniversario della rivoluzione del 2011). Sul suo cadavere, ritrovato il 3 febbraio, c’erano segni di violenza e tortura. Secondo l’autopsia che si è svolta in Italia, sarebbe stato torturato per diverso tempo prima di essere ucciso. L’inchiesta si sta svolgendo in Egitto sia in Italia. Ucciso per impedirgli di pubblicare articoli ritenuti dannosi per il regime egiziano? Per non voler rivelare le fonti?

Sembra incredibile che nella nostra epoca delle tecnologie evolute, nella quale abbiamo l’impressione di avere tutte le informazioni a portata di mano, ci troviamo ancora ad elencare morti, occultamenti, depistaggi, paludi.