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Cartellino rosso


A meno di quattro anni dall’inizio dei mondiali di calcio del 2022 in Qatar, un nuovo rapporto di Amnesty International evidenzia come il Paese stia venendo meno all’impegno di porre fine al massiccio sfruttamento di lavoratori migranti. Nonostante gli impegni presi infatti, molte persone subiscono limitazioni della libertà personale e sono vittime di violazioni dei diritti umani.

A settembre 2018, Amnesty aveva denunciato il caso della Mercury MENA, un’azienda ingegneristica impegnata nella costruzione delle infrastrutture per i mondiali.
L’azienda ha tratto vantaggio dal sistema dello “sponsor” per sfruttare decine di lavoratori migranti.
L’azienda non ha versato migliaia di dollari in stipendi e versamenti pensionistici, mandando in rovina numerosi lavoratori migranti provenienti dall’Asia.
Successivamente era emerso che sui 34 ex lavoratori nepalesi della Mercury Mena, la blanda normativa sul lavoro in vigore in Nepal abbia contribuito al loro sfruttamento. Le agenzie di reclutamento al servizio della Mercury MENA hanno illegalmente chiesto ingenti versamenti ai lavoratori, che sono stati così costretti a chiedere prestiti ad elevato interesse, contraendo debiti per saldare i quali si sono rassegnati a lavorare in condizioni di sfruttamento. Alcuni lavoratori hanno dovuto vendere le loro terre o ritirare i figli da scuola.
Sulla base del sistema dello sponsor, che rimane fermamente in vigore nonostante le parziali riforme, i lavoratori ancora oggi non possono cambiare occupazione senza il permesso dei loro datori di lavoro. In caso contrario rischiano di incorrere nel reato di “clandestinità” e di vedersi confiscare il passaporto.
Il salario minimo temporaneo è appena poco superiore ai 200 dollari e i nuovi tribunali istituiti per esaminare le controversie sul lavoro, tra cui il mancato versamento dello stipendio, sono sommersi dalle denunce, col risultato che centinaia di lavoratori migranti sono tornati a casa senza risarcimento né giustizia.
Le lavoratrici e i lavoratori domestici, nel frattempo, sono ancora obbligati a chiedere il “permesso di uscita” per lasciare il Paese. La legge introdotta nel 2017 a tutela del lavoro domestico è assai debole ed è causa di ricorrenti violazioni dei diritti umani.
i lavoratori non possono cambiare occupazione senza il permesso dei loro datori di lavoro, rischiando di incorrere nel reato di “clandestinità”. Il salario minimo temporaneo è di poco superiore ai 200 dollari Le lavoratrici e i lavoratori domestici, nel frattempo, sono ancora obbligati a chiedere il “permesso di uscita” per lasciare il Paese. La legge introdotta nel 2017 a tutela del lavoro domestico è assai debole ed è causa di ricorrenti violazioni dei diritti umani.
Nel novembre 2017 il Qatar aveva firmato un accordo con l’Organizzazione internazionale del lavoro per rivedere le sue leggi e porle in linea con gli standard internazionali.

Qua la mano


È stato firmato l’accordo per la pace in Repubblica Centrafricana tra il governo e i gruppi armati che controllano il territorio. Il Paese, tra i più poveri al mondo, è in guerra dal 2013. Secondo il Commissario dell’Unione Africana che ha partecipato ai colloqui, l’intesa raggiunta “permetterà di avviarsi sulla strada della riconciliazione, della concordia e dello sviluppo”.

Principio democratico


Né con Guaidò né con Maduro, i venezuelani hanno il diritto di scegliere il proprio governo attraverso libere elezioni. Per diversi osservatori internazionali gravi le ingerenze e le pressioni esterne, a partire dall’embargo imposto dagli Stati Uniti su farmaci e sistema finanziario. Ai nostri microfoni Sergio Bassoli della Rete della Pace. (sonoro)

Alla deriva


In un rapporto la ong Oxfam punta il dito sulle politiche internazionali dei flussi migratori. Il servizio di fabio Piccolino. (sonoro)

“L’Italia e l’Europa hanno scavalcato il diritto internazionale, prevaricando i diritti umani dei migranti”: è l’accusa che arriva da Oxfam Italia e Borderline Sicilia che attraverso un Rapporto pubblicato in questi giorni, analizzano la strategia messa in atto dal nostro paese e dall’Unione Europea nella gestione dei flussi migratori. Secondo Borderline Sicilia, “è gravissimo che alla luce degli innumerevoli rapporti internazionali che hanno denunciato la mancanza del rispetto dei diritti umani in Libia, l’Italia e l’Europa perseverino in politiche che saranno ricordate dalla storia come un crimine contro l’umanità”. Secondo Oxfam Italia “È necessaria un’inversione di rotta, verso l’attuazione di politiche di aiuto e cooperazione improntate al rispetto dei diritti umani e alla costruzione di un ambiente sicuro in Libia e in Europa”.

Giustizia è fatta


Asia Bibi è libera di lasciare il Pakistan. La donna, cristiana e madre di cinque figli, era stata condannata a morte con l’accusata di blasfemia e ha passato in carcere gli ultimi nove anni. Dopo la sentenza di assoluzione si trovava sotto protezione in una località segreta per sfuggire all’odio dei gruppi fondamentalisti islamici.

La grande repressione


Nel 2018 sono state arrestate in Iran settemila persone che si opponevano al governo: studenti, avvocati, giornalisti, ecologisti, sindacalisti e attivisti per i diritti delle donne. I numeri sono stati rivelati da un rapporto di Amnesty International secondo cui in centinaia sono stati condannati a pene detentive e alla fustigazione, mentre nove sono morti in carcere.

Morti di fango


Crolla una diga in Brasile e miete centinaia di vittime. È l’ennesimo caso di disastro ambientale. Solo quattro anni fa la tragedia del Rio Doce. Ai nostri microfoni, Alessandro Giannì, Greenpeace. (sonoro)

Inferno Libia


Nonostante siano ormai accertate le condizioni in cui sono costretti a stare i migranti nelle pigioni del Paese nordafricano, l’Europa continua a chiudere gli occhi. Come sottolinea Carlotta Sami, portavoce di Unhcr. (sonoro)

Umanità in alto mare


La Sea Watch resta ostaggio della politica, sulla pelle di 47 persone. Il servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)

“Salvare in mare non è un crimine, tenere in ostaggio le persone sì”: è il messaggio lanciato dalla ong Sea Watch, in merito al divieto di sbarco che nega a 47 persone di abbandonare la nave a causa della chiusura dei porti da parte del governo italiano. E mentre in tutta Italia si moltiplicano le manifestazioni di solidarietà, venti associazioni tra cui Legambiente, Arci, Intersos, Action Aid, Medici Senza Frontiere, Oxfam e Save the Children, chiedono all’Italia e all’Europa di assumersi le proprie responsabilità nell’affrontare e prevenire ulteriori tragedie in mare. “La salvezza e la tutela delle vite umane – scrivono – devono avere la precedenza assoluta: queste persone, soprattutto le più vulnerabili come donne e bambini, non devono subire ulteriori sofferenze e deve essere loro garantita l’assistenza umanitaria di cui hanno diritto e le cure di cui hanno bisogno”.

Tre anni senza Giulio


Il 25 gennaio 2016 il nome di Regeni si aggiungeva a quelli dei tanti egiziani vittime di sparizione forzata. Il servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)

Tre anni di dubbi, di omissioni ,di depistaggi, di misteri. Tre anni lunghi alla ricerca di quella che è diventata l’iconografia di questa vicenda, un cartello in ogni città con una scritta nera su sfondo giallo: Verità per Giulio Regeni. Il ricercatore italiano sparì al Cairo il 25 gennaio del 2016 per essere poi ritrovato nove giorni dopo, morto dopo aver subito torture. Il presidente della Camera, Roberto Fico, ha inviato una lettera ai Presidenti dei Parlamenti dell’Unione Europea, per cercare una comune collaborazione alla ricerca della verità. Sono oltre cento le città in cui sono state organizzate fiaccolate per ricordare Giulio: le luci si accenderanno alle 19,41, l’ora in cui, tre anni fa, si persero le tracce del ragazzo.