Archivi categoria: Internazionale

La memoria è viva


Sono passati otto anni da quando il giornalista e attivista italiano Vittorio Arrigoni veniva assassinato a Gaza. Il suo “Restiamo umani è diventato nel tempo un monito e un pungolo per chi si impegna quotidianamente per i diritti degli ultimi. Ascoltiamo la madre, Egidia Beretta che accomuna la sorte di suo figlio a quella di Giulio Regeni. (sonoro)

Sos inascoltati


Nel 2018, secondo l’Ocse, si registra un calo negli aiuti del 2,7%, a farne le spese sono i paesi più poveri del pianeta. Il servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)

Gli aiuti internazionali verso i paesi in via di sviluppo sono in calo. Secondo l’Ocse infatti, nel 2018 le risorse sono diminuite di quasi il 3% a discapito delle nazioni più povere del pianeta. I paesi ricchi hanno destinato in media solo lo 0,31% del proprio reddito nazionale lordo agli aiuti allo sviluppo: una tendenza che, secondo Francesco Petrelli, senior advisor su finanza per lo sviluppo di Oxfam Italia, significa in sostanza “voltare le spalle a chi lotta per la sopravvivenza” e che dimostra come “l’attuale sistema economico funzioni bene solo per l’1% e male per il restante 99%”. Tra tutti i paese dell’Ocse, l’Italia è quella in cui la diminuzione delle risorse è stata più drastica: meno 21,3%.

Una nuova era


Dopo 30 anni al potere Omar al-Bashir non è più il presidente del Sudan. Negli ultimi giorni le proteste contro l’amministrazione avevano riunito migliaia di persone nelle piazze. La contestazione era partita dall’aggravarsi della crisi economica e dal desiderio di democrazia.

A piccoli passi


Buone notizie da Amnesty International. Secondo il rapporto diffuso sulla pena di morte nel mondo, nel 2018 le esecuzioni sono diminuite di un terzo rispetto all’anno precedente, segnando inoltre il numero più basso degli ultimi dieci anni. Secondo l’ong internazionale, la maggior parte elle esecuzioni ha avuto luogo, nell’ordine, in Cina, Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq.

Proteggete la vita dei civili


È l’appello di Amnesty International dopo l’intensificarsi degli scontri in Libia. Tutte le parti in conflitto sono obbligate dal diritto internazionale a difendere l’incolumità delle persone. Preoccupazione anche per i circa 1300 migranti e rifugiati nei centri di detenzione, già in condizioni di estrema vulnerabilità.

Sia l’autoproclamato Esercito nazionale libico che le milizie filogovernative della Libia occidentale in passato hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, violato palesemente il diritto internazionale e compiuto crimini di guerra (tra cui attacchi indiscriminati e attacchi diretti contro i civili od obiettivi civili), rapimenti, torture ed esecuzioni extragiudiziali.
Immagini diffuse dai social media mostrano combattenti usare un lanciarazzi multiplo, i cui ordigni sono notoriamente privi di guida e imprecisi, che non dovrebbe mai essere impiegato in zone densamente popolate a causa dell’alto rischio di uccidere o ferite civili.
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha reso noto che finora circa 2800 persone sono sfollate a causa dei combattimenti e che in alcune zone i residenti sono impossibilitati a fuggire a causa dell’intensità degli scontri. Molti non hanno accesso ai servizi di emergenza. Le richieste di una tregua per evacuare i feriti e i civili da alcune zone sono state ignorate.
“Tutti i civili che vogliono lasciare le aree coinvolte nei combattimenti dovrebbero farlo liberamente senza finire sotto attacco”, ha sottolineato Mughrabi.

Senza pace


170 civili uccisi in 6 mesi: sono i numeri dei disordini in Camerun, secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch. Il conflitto è scoppiato dopo che il governo ha represso violentemente le proteste contro l’emarginazione percepita della popolazione di lingua inglese. L’organizzazione ha parlato di uso indiscriminato della forza da parte delle unità speciali dell’esercito.

Indesiderati


Sempre più dura la vita per la popolazione dei Rohingya costretta alla fuga dalla Birmania. Il servizio di Fabio Piccolino. (sonoro)

Crimini contro l’umanità: sono quelli subiti da 170 mila Rohingya in fuga dalla Birmania tra il 2012 e il 2015. Il Rapporto “Sold like fish (Venduti come il pesce) della ong Fortify Rights e della Commissione per i Diritti umani della Malaysia conferma infatti il ruolo dei trafficanti di esseri umani che sulla pelle della minoranza guadagnarono tra i 50 e 100 milioni di dollari l’anno. Lo studio racconta di come i criminali convinsero i musulmani Rohingya a imbarcarsi dal Myanmar verso mete considerate sicure, per poi privarli di cibo e acqua, torturarli, violentare le donne e spingendone un numero ancora incerto al suicidio in mare. Una volta sbarcati venivano detenuti in condizioni di schiavitù, chiedendo per molti un riscatto alle famiglie lontane o cedendoli ad altri trafficanti.

Epidemie di ritorno


Tra gli effetti della crisi in Venezuela c’è il ritorno di malattie che sembravano debellate. Secondo Medici Senza Frontiere, nella regione di Sifontes c’è una rapida diffusione della malaria a causa dell’elevata mobilità della popolazione, delle pessime condizioni economiche e dello scarso finanziamento al piano di prevenzione. Tornano anche morbillo e difterite.

L’altra America


Negli Stati Uniti di Trump, Chicago fa la storia ed elegge il suo primo sindaco donna afroamericana e apertamente gay. Lori Lightfoot si appresta a guidare la terza città più popolosa del Paese. Tre le sfide difficili da vincere: un debito pensionistico di 28 miliardi dollari, una popolazione in calo e un tasso di omicidi che supera quello di New York e Los Angeles

Fame acuta


È quella che hanno sofferto 112 milioni di persone nel corso dell’anno scorso a causa di guerre e disastri climatici. Sono i dati del Rapporto di Fao e Programma alimentare mondiale che sottolinea come tra le aree più colpite ci siano Yemen, Repubblica democratica del Congo, Afghanistan e Siria.

Secondo il direttore esecutivo del Pam, David Beasley, “Per sconfiggere veramente la fame, dobbiamo affrontarne le cause alla radice: conflitti, instabilità, l’impatto degli choc climatici. Per raggiungere l’obiettivo Fame Zero i bambini e le bambine hanno bisogno di essere ben nutriti e di ricevere una buona istruzione, le donne devono essere veramente emancipate, le infrastrutture rurali rafforzate. Programmi che rendano resilienti e più stabili le comunità ridurranno i numeri di affamati. E abbiamo bisogno che i leader del mondo facciano un’altra cosa: si prendano le proprie responsabilità e contribuiscano a risolvere i questi conflitti, ora”.