Raccolti distrutti, scuole inagibili, violenze sulle categorie più vulnerabili. A quasi due mesi dal passaggio dell’uragano ad Haiti, è questa la situazione sull’isola caraibica: Matthew ha colpito oltre 2 milioni di persone, di cui 900 mila bambini.
In tre grandi dipartimenti del Paese (Grand’Anse, Sud e Nippes) ha distrutto la totalità dei raccolti, mentre nelle zone del Sud, in cui i principali centri sono villaggi rurali (come Saint Louis, Saint Jean e Tiburon), ne è andato perduto l’80 per cento. Persino gli alberi da frutto sono stati sradicati: “Qui il cocco è una fonte di reddito importante, è venduto a livello nazionale e all’estero. E anche se ripiantato, impiega 6 anni a ricrescere – spiega Chiara Caporizzi, rappresentante della ong bolognese Gvc ad Haiti –. I campi sono pieni di detriti, alberi caduti e carcasse di animali. Pensare che nel giro di qualche settimana si sarebbero dovuti raccogliere fagioli, patate e tutti gli altri prodotti alla base dell’alimentazione. Andando a visitare queste zone il contrasto fra la bellezza dei luoghi, il mare limpidissimo, le montagne maestose, e la rovina nei campi, con tutti – ma proprio tutti – gli alberi recisi, è impressionante”.
Ultimo saluto
Cuba si prepara a vivere una settimana di lutto nazionale. Le ceneri di Fidel Castro percorreranno l’isola, da Oriente a Occidente, toccando i luoghi che hanno scandito la storia della rivoluzione. Fino a raggiungere Santiago de Cuba dove domenica 4 dicembre, si svolgeranno i funerali di Stato. Sul presidente sentiamo il commento del professor Antonio Maria Baggio, esperto di politica latinoamericana. (sonoro)
L’omicidio di Stato non è estinto
Mentre l’Onu approva una risoluzione per invocare una moratoria universale delle esecuzioni in tutto il mondo si registra un nuovo consenso verso la pena di morte. Il servizio di Fabio Piccolino.
Le Nazioni Unite hanno appena approvato una risoluzione per una moratoria universale delle esecuzioni, ma la pena di morte è una pratica più che mai in voga, cresciuta del 54% nel 2015.
Negli Stati Uniti la pena capitale è ancora in vigore in 32 stati, e contemporaneamente alle elezioni che hanno portato Donald Trump alla Casa bianca, è stata ripristinata in Nebraska e difesa in California e in Oklahoma.Una tendenza in preoccupante ascesa anche alla luce della situazione politica di alcuni paesi: il presidente turco Erdogan ha minacciato il ritorno del boia in seguito al fallito golpe dello scorso 15 luglio , così come Rodrigo Duterte nelle Filippine, che auspica il ripristino delle impiccagioni come soluzione finale alla dura politica intrapresa contro il narcotraffico.
Col fiato sospeso
Il presidente dell’autorità francese sulla sicurezza nucleare ha lanciato un allarme sulla situazione dei reattori nel Paese, la cui sicurezza è sempre meno garantita. Il quadro è diventato molto preoccupante dall’aprile 2015, ha detto, e per questo motivo 12 impianti sono attualmente fermi o stanno per essere fermati.
La maggior parte dei reattori nucleari francesi sono stati costruiti negli anni Settanta, e oggi richiedono una costosa manutenzione e garantiscono sempre minore sicurezza. Dalle centrali dipende circa il 78% dell’elettricità in Francia, nonostante la legge varata lo scorso anno dal governo socialista che fissa come obiettivo lo sviluppo di forme energetiche alternative.
Senza respiro
Ogni anno in Europa ci sono 467mila morti premature causate dall’inquinamento: l’85% della popolazione urbana dell’Unione è esposto alle polveri sottili in maniera dannosa per la salute. I dati arrivano dall’Agenzia europea per l’ambiente, che sottolinea la necessità di una trasformazione radicale della mobilità, dell’energia e del sistema alimentare.
Il Rapporto è stato presentato in concomitanza con il voto a Strasbugo per l’introduzione di I nuovi limiti alle emissioni inquinanti per il periodo 2020-2030. Secondo il direttore esecutivo dell’Agenzia europea per l’ambiente, Hans Bruyninckx, “è necessaria un’azione da parte di tutti, tra cui le autorità pubbliche, le imprese, i cittadini e la comunità della ricerca”.
Turchia: Erdogan chiude 400 Ong
Un decreto emesso il 22 novembre ai sensi dello stato d’emergenza ha ordinato la chiusura definitiva di 375 organizzazioni non governative della Turchia. “La chiusura di quasi 400 Ong va inquadrata nel sistematico tentativo in corso da parte delle autorità turche di ridurre definitivamente al silenzio ogni voce critica” – ha dichiarato John Dalhuisen, direttore di Amnesty International per l’Europa.
“Sono state chiuse associazioni di giuristi contro la tortura, organizzazioni per i diritti delle donne che gestivano rifugi per le sopravvissute alla violenza domestica, centri di assistenza per i rifugiati e gli sfollati interni e anche la principale Ong per i diritti dei bambini” – ha sottolineato Dalhuisen.
“Alla società civile turca dev’essere permesso di continuare a svolgere il suo prezioso lavoro senza timore di rappresaglie o punizioni. L’azione delle Ong è di vitale importanza soprattutto nel contesto dell’attuale crisi dei diritti umani in Turchia, dove l’evidente abuso dei poteri d’emergenza ha gettato un’ombra su una già devastata società civile” – ha concluso Dalhuisen.
(Redazione)
Passi avanti
Secondo le Nazioni Unite sono oltre un milione in più le persone nel mondo che hanno accesso ai trattamenti contro Hiv e Aids, il doppio rispetto a cinque anni fa. Il pericolo però è ancora alto per le giovani donne dell’area sub-sahariana a causa dei rischi di infezione e alla scarsa diffusione dei test.
Secondo il rapporto, lanciato in vista della giornata mondiale contro l’Aids del prossimo 1 dicembre, le donne tra i 15 e i 24 anni contraggono spesso la malattia da uomini anagraficamente più grandi, già passati all’età adulta. In ogni caso, i numeri positivi riguardo all’accesso alle cure fanno ben sperare per il futuro, con l’obiettivo, dichiarato dalle Nazioni Unite, della fine dell’epidemia entro il 2030.
Dietro la lavagna
Nel mondo oltre 3,7 milioni di bambini non possono andare a scuola. Dal 2011 è aumentato il numero di rifugiati in età scolare. Per loro parte l’iniziativa dell’Unhcr “Mettiamocelo in testa”. Obiettivo: assicurare l’istruzione ad oltre un milione di minori.
Un brutto clima
Si è conclusa la Cop22 di Marrakech senza i risultati promessi. Deluse le associazioni. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Doveva essere il primo passo reale verso l’applicazione degli accordi di Parigi, invece la Conferenza sul clima che si è tenuta nei giorni scorsi a Marrakech si è limitata a rinviare, fissando intanto procedure e tempi. Un regolamento di attuazione entro il 2018 e l’impegno per istituire un fondo che aiuti i Paesi in via di sviluppo nella lotta al riscaldamento globale: questi i due risultati principali della Cop22, sui quali molte associazioni hanno dimostrato scetticismo. Come ha sottolineato Legambiente, infatti, nessun’azione concreta è stata ancora concordata per contenere l’aumento della temperatura globale come stabilito a Parigi nel 2015, mentre poca volontà politica è stata dimostrata dai Paesi industrializzati nel sostenere l’adattamento delle comunità vulnerabili ai mutamenti climatici in corso.
Foto: Ansa