Nabeel Rajab, intellettuale e promotore dei diritti umani in Bahrain è stato arrestato per un tweet. Nel messaggio scriveva di non essere sorpreso “della presenza di soldati del suo Paese nelle file di Isis, le forze di sicurezza sono la prima incubatrice ideologica”. Human right watch chiede la sua immediata liberazione.
Senza fine
Unicef denuncia l’impennata di attacchi suicidi che coinvolgono donne e bambini in Nigeria: nei primi cinque mesi del 2015 ci sono già stati 27 casi. Secondo l’associazione umanitaria, si tratta di minori separati dalle loro famiglie, “sfruttati dagli adulti nel modo più orribile che si possa immaginare”.
“Non dimenticateci”
È l’appello del governo del Nepal ad un mese dal terremoto che ha messo in ginocchio il Paese. Secondo le autorità servono ancora sei mesi per fornire assistenza alla popolazione prima di cominciare la ricostruzione. L’esecutivo assicura che le donazioni ricevute da tutto il mondo saranno utilizzate con efficienza e trasparenza, ma chiede che non vengano spenti i riflettori.
I diritti vanno a nozze
In Irlanda storico sì al referendum per i matrimoni omosessuali. Il servizio di Fabio Piccolino. “L’Irlanda è diventato il ventiduesimo paese del mondo a legalizzare le nozze fra persone dello stesso sesso. E’ la prima volta che una misura di questo tipo viene decisa attraverso un referendum popolare, cui ha risposto positivamente oltre il 62% dei cittadini. La svolta irlandese, dove le unioni erano già legali dal 2010, apre nuovamente il dibattito sui diritti civili nei paesi europei, soltanto nove, in cui non sono previste misure di alcun tipo per tutelare i diritti delle persone omosessuali. “Ora la chiesa ora deve fare i conti con la realtà”: sono le parole emblematiche dell’arcivescovo di Dublino Martin. Una realtà a cui nessuno può più rimanere indifferente, anche nel nostro paese, dove il ddl sulle unioni civili è bloccato in Parlamento da oltre 4mila emendamenti.”
I minerali del sangue
Il Parlamento Europeo ha votato un testo che impone alle imprese che importano metalli rari e preziosi di dimostrare di non finanziare i signori della guerra. Risorse cruciali nel settore dell’elettronica che si trovano spesso in regioni in conflitto, come Congo, Repubblica Centrafricana e Sud Sudan.
No alla segregazione
È stata sospesa in Israele la norma che prevedeva autobus separati per i manovali palestinesi tra Tel Aviv e la Cisgiordania, dopo le numerose proteste delle associazioni per i diritti umani. Secondo la ong Peace Now si tratta di una misura da apartheid che avrebbe umiliato inutilmente molte persone.
Divise violente
Le forze di sicurezza egiziane esercitano sistematicamente violenza sessuale contro i detenuti. È la denuncia dell’organizzazione non governativa International Federation for Human Rights, che in un rapporto spiega come gli abusi ai danni di uomini, donne e bambini, siano utilizzati come strumento per reprimere ogni forma di protesta.
Piccoli miglioramenti
Lo comunica l’Istituto Spallanzani di Roma nel sesto bollettino medico dell’infermiere di Emergency ricoverato per virus Ebola dopo aver contratto il virus in Sierra Leone. “Continua il trattamento antivirale – scrivono i medici – La prognosi resta riservata”.
In fuga
In Burundi, oltre centomila persone stanno fuggendo dal Paese dopo gli scontri degli ultimi giorni. Il servizio di Fabio Piccolino. Centomila persone hanno lasciato il Burundi nei giorni scorsi, in fuga dai violenti scontri che si stanno verificando nel paese, per protestare contro la candidatura, ritenuta incostituzionale, del presidente Pierre Nkurunziza per un terzo mandato. Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, la maggior parte dei profughi ha raggiunto la Tanzania, mentre altri si sono diretti in Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Unicef lancia l’allarme per la salute dei bambini, che necessitano di protezione, cibo, salute e tutela. Per i profughi inoltre, c’è il rischio di contrarre gravi malattie come il colera, a causa delle cattive condizioni igienico-sanitarie dei paesi ospitanti. E il numero dei rifugiati è destinato ad aumentare.
Pena di morte per l’attentatore di Boston. Amnesty: “Non è giustizia”
“Condanniamo gli attentati che hanno avuto luogo a Boston due anni fa, e piangiamo la perdita di vite umane e gravi danni che hanno causato. La pena di morte, tuttavia, non è giustizia. Aggrava soltanto la violenza, e non riuscirà a dissuadere gli altri dal commettere crimini simili in futuro”.
Sono le dichiarazioni di Steven W. Hawkins, direttore esecutivo di Amnesty International USA, dopo la notizia della condanna a morte per Dzhokhar Tsarnaev, il ventunenne autore dell’attentato che nel 2013 provocò la morte di 3 persone e il ferimento di altre 264.
Qualche settimana fa i genitori di Martin Richard, il bambino di otto anni morto durante l’attentato avevano chiesto che non si facesse ricorso alla pena capitale per i colpevoli.
Ad applicare la condanna è direttamente il governo federale, mentre lo stato del Massachusetts, di cui Boston è capitale, l’ha abolita.
Secondo Amnesty, non c’è alcuna prova che dimostri che la pena di morte sia un deterrente alla criminalità o che abbia un qualche effetto nel ridurre il terrorismo.