È nata l’Associazione Emiliano Mondonico: a lanciare l’iniziativa Clara, figlia del calciatore e allenatore scomparso nel 2018. Alla base un’idea di calcio diversa, fatta di umanità, correttezza, rapporti diretti con le persone, lontano dallo sport come solo business. Tra i progetti un torneo per bambini intitolato “381, Un campione per amico”, il numero di panchine del mister in serie A. La presentazione ufficiale a palazzo Lombardia, a Milano, dove sono stati chiamati a ufficializzare la nuova realtà tanti degli amici che hanno lavorato con il calciatore e allenatore scomparso nel marzo del 2018. “Ho deciso, senza ragionare troppo, di andare avanti – ha detto la figlia -. Non era giusto che si fermasse tutto, non me lo potevo permettere. Da sola non ne avevo la capacità e ho cercato persone un po’ folli come me per dare tutto ciò che abbiamo dentro per portare avanti i suoi progetti”. Con lei a portare avanti i valori di Mondonico “giorno dopo giorno, a testa alta e con la schiena dritta, senza mai mollare” ci sono Massimo Achini, presidente del Csi Milano, Oreste Perri, presidente del Coni Lombardia e “gli amici di sempre, gli amici di Rivolta d’Adda, quelli che ci sono sempre stati e continueranno ad esserci”, cioè le persone con cui condivideva il Comune di nascita. Allenatore capace di ottenere cinque promozioni in serie A con Cremonese (1983-1984), Atalanta (1987-1988 e 1994-1995), Torino (1998-1999) e Fiorentina (2003-2004), Emiliano Mondonico in carriera è stato anche un giocatore del Monza: era la stagione 1970-71, lui arrivava dal Torino in A per giocare un campionato nella categoria inferiore prima di tornare nella massima serie nell’Atalanta. Avrebbe poi concluso la carriera nella Cremonese, la stessa squadra in cui aveva esordito nel professionismo. A Monza in 23 partite giocate aveva messo a referto 7 reti. Tra i progetti ci sono il Premio Emiliano Mondonico “Si può vincere senza arrivare primi” (riconoscimento dedicato a giocatori e allenatori dello sport professionistico che si distinguono per la loro particolare umanità. Tuttosport sarà media partner), e la collaborazione con L’ Approdo (Associazione per il trattamento delle dipendenze) dove l’allenatore aveva contribuito a un progetto di sport-psicoterapia. E ancora: un torneo per bambini intitolato “381, Un campione per amico” dove la cifra rappresenta il numero di panchine che Mondonico ha fatto in serie A e che sarà, nelle intenzioni, il numero delle partite che si giocheranno con mille bambini delle squadre Big Small (7-8 anni) del Csi Milano. Infine, l’istituto minorile Cesare Beccaria di Milano, la cui squadra di calcio porterà il nome di Mondonico e avrà il sostegno dell’associazione.
Tutti per uno
Diffondere la pratica sportiva tra le persone con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali in carico alla rete riabilitativa e assistenziale dell’Ausl della Romagna. È l’obiettivo della convenzione con il Comitato paralimpico regionale per l’apertura di quattro nuovi sportelli informativi.
“Per le persone con disabilità lo sport e l’attività fisica, oltre a ricoprire un ruolo importante in campo riabilitativo, sono uno strumento essenziale per lo sviluppo psicofisico, per promuovere ed educare all’autonomia, potenziare le capacità esistenti, accrescere l’autostima e favorire l’integrazione sociale”, spiega il dottor Gianluigi Sella responsabile Medicina dello sport e Promozione attività fisica di Ravenna presso il dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl Romagna, nonché referente aziendale del progetto “Esercizio fisico e attività sportiva nella popolazione affetta da disabilità”. “La mission del Comitato paralimpico è diffondere la pratica sportiva a tutti, senza discriminazioni e in condizioni di uguaglianza e pari opportunità”, aggiunge Melissa Milani, presidente del Cip Emilia-Romagna. Quella con l’Ausl della Romagna è la quarta convenzione firmata dal Comitato paralimpico con un’azienda sanitaria dopo Piacenza, Bologna e Parma: “Ci permetterà – continua Milani – di raggiungere ancora più facilmente le persone con disabilità del territorio: negli Sportelli informativi potranno avere tutte le informazioni utili per conoscere le società sportive ‘accoglienti’ ed essere indirizzate verso lo sport più in sintonia con i loro interessi e capacità”.
StraGenova
Dopo il rinvio di ottobre dovuto al maltempo, domenica torna la corsa nel centro cittadino. Il servizio di Elena Fiorani. (sonoro)
La manifestazione podistica organizzata da Il Secolo XIX con l’Uisp Genova, torna a invadere il cuore della città. Un mese fa la corsa è stata rinviata a causa del maltempo, purtroppo anche in questi giorni le previsioni non sono buone e le notizie dal nord al sud d’Italia
impensieriscono, ma le adesioni crescono e l’entusiasmo continua a salire. Sono previsti tre percorsi, tutti con partenza da piazza De Ferrari: due da 10 km, una competitiva e una per tutti e la Family Run. La manifestazione è strettamente legata anche alla StraGenova del Cuore
del 14 ottobre 2018: dal palco allestito in piazza De Ferrari, infatti, sarà svelato il progetto per il quartiere colpito dal crollo del ponte Morandi, da realizzare grazie alle offerte dei genovesi raccolte proprio in occasione della corsa non competitiva organizzata lo scorso autunno.
Oltre le mura
Si conclude oggi l’edizione 2019 del torneo “Sportivamente” organizzata nel carcere di Foggia. In programma un pomeriggio di sport e inclusione per valorizzare la funzione rieducativa della pena. Dalle 14.30 il campo di calcio della Casa Circondariale ospiterà la finale del torneo che, negli scorsi mesi, ha visto sfidarsi in campo le squadre delle diverse Sezioni dell’istituto penitenziario.
L’intera manifestazione sportiva ha visto un elevato coinvolgimento di tutta la popolazione detenuta, che ha contribuito a rendere speciale il torneo. Attraverso lo sport si affermano i valori fondanti del senso civico, del rispetto del proprio prossimo e del valore della regola. L’IPSSAR “M. Lecce” di San Giovanni Rotondo ha in programma un’attività di collaborazione con la Casa Circondariale di Foggia, “una serie di iniziative che partiranno dalla pratica sportiva, con una notevole rilevanza didattica per gli alunni e riabilitativa per i detenuti”.
La corsa del secolo
Domani a Roma un pomeriggio di racconti, aneddoti, e canzoni per raccontare la storia del paese attraverso il Giro d’Italia. L’evento si inserisce nella rassegna “Date una bicicletta a Fausto Coppi”, progetto di promozione della lettura e cultura della due ruote in occasione dei 100 anni dalla nascita e dei sessanta dalla morte del campionissimo.
Perché Coppi? Perché ancora Coppi? Perché sempre Coppi? Per i trionfi: cinque Giri d’Italia, due Tour de France, un campionato del mondo su strada e due su pista, il record dell’ora che durò quattordici anni, tutte le grandi classiche del ciclismo, dalla Milano-Sanremo (tre volte) al Giro di Lombardia (cinque volte), compresi Parigi-Roubaix e Freccia Vallone. Per la sua storia: accompagnò l’Italia e gli italiani dalla miseria del primo dopoguerra all’inizio del boom economico attraverso il Ventennio, la Seconda guerra mondiale, la ricostruzione e la rinascita. Per i suoi scandali: due mogli, due figli, due famiglie, in un’epoca in cui il divorzio non era neppure immaginabile. Per la sua semplicità, generosità, umanità. Per la bicicletta: una regina alata, un tappeto volante, una fabbrica di sogni e avventure. E per lo sport: in Coppi si specchiavano, si identificavano, si esaltavano tutti quelli che, nell’esistenza quotidiana, non riuscivano, non vincevano, non ce la facevano. E per i suoi anniversari: cento anni fa (15 settembre 2019) la sua nascita, sessant’anni fa (2 gennaio 1960) la sua morte. Coppi non è stato il più forte né il più vincente, ma il più grande. Ed è per questo che la sua storia è diventata letteratura, mito, leggenda.
E allora diamo una bicicletta a Fausto Coppi. Diamogli una bicicletta sotto forma di quattro pedalate in collaborazione con le associazioni Fiab-RuotaLibera, Fiab-BiciLiberaTutti, Fiab-NaturAmici e Uisp-VediRomaInBici, di un reading con l’attore Maurizio Cardillo e uno dei giornalisti sportivi più autorevoli, Gian Paolo Ormezzano, di un incontro sulla storia (d’Italia) e sul Giro (d’Italia) con lo storico Gioachino Lanotte e lo scrittore giornalista Marco Pastonesi, di un altro incontro sul rapporto tra musica e bicicletta con il cantante musicista e scrittore Andrea Satta, di un appuntamento a scuola per occuparci di sicurezza stradale con la Fondazione Michele Scarponi, e di un’installazione artistica di Fernanda Pessolano dedicata alle storie e ai libri, di una narrazione scenica “Coppi Ultimo” con Marco Pastonesi e Alessandro D’Alessandro all’organetto. Alcuni di questi appuntamenti fanno parte del programma della manifestazione “Alla fine della città”, a cura di Ti con Zero, inserita in “Contemporaneamente Roma 2019”.
In collaborazione con Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi, Coordinamento Roma Ciclabile, Istituto Pacinotti Archimede – Liceo Sportivo.
Sport come terapia
È il progetto che ha portato all’ inaugurazione di un complesso sportivo presso il centro di accoglienza di Niamey, in Niger, realizzato dall’ Agenzia Onu per i Rifugiati e finanziato da Fondazione Milan. Sono stati costruiti un campo da calcio, uno da basket e uno da pallavolo, che saranno messi a disposizione dei migranti evacuati dai centri di detenzione libici.
Stoppati sul più bello
La Tam Tam basket di Castel Volturno ha vinto il torneo regionale ma non può passare all’Eccellenza. A deciderlo il Tar del Lazio rigettando il ricorso della società dove giocano 50 ragazzi nati nel nostro Paese ma figli di immigrati. In base alla legge, infatti, sono ancora privi della cittadinanza italiana, dando ragione alla Federazione che nel regolamento non ammette più di due stranieri per squadra.
King e Victor sono due fuoriclasse sottocanestro. Il loro papà, d’origine nigeriana, è il pastore evangelico di Castel Volturno. I due fratelli sono nati in Italia e ogni giorno si allenano con passione. La loro squadra è la Tam Tam Basket. L’anno scorso hanno vinto il campionato regionale. Avrebbero ora diritto di passare nell’Eccellenza. Ma la legge è contro di loro. E il Tar li stoppa. La colpa? In squadra sono tutti figli di immigrati. La Tam Tam Basket è una squadra fondata tre anni fa nel cuore di Castel Volturno. Oggi ci giocano 50 ragazzi, tutti minorenni tranne uno, tutti nati in Italia da genitori d’origine africana. Il problema? In base alla legge sono ancora tutti privi della cittadinanza tricolore. Il loro allenatore Massimo Antonelli ogni giorno li accoglie sul campo di gioco. “Il nostro coach – afferma King – non è come i pirati che quando trovano un tesoro se lo tengono per sé”. Il tesoro di Antonelli sono i suoi ragazzi. Quest’anno hanno vinto il campionato under 15 regionale e speravano di giocare a livello nazionale nel campionato under 16 Eccellenza. Ma i regolamenti sono contro di loro. In base al regolamento della Fip, la Federazione Italiana Pallacanestro, non ci possono essere più di due stranieri per squadra. La regola ha più di un fondamento: c’è stato infatti un periodo in cui procuratori senza scrupoli prendevano giovani atleti africani e ci lucravano su. Insomma lo spirito della norma non è razzista, bensì di tutela dei minori nel traffico sportivo. Per questo, rivolgendosi al Tar del Lazio, la Tam Tam Basket chiedeva solo una deroga, non di violare la legge. Deroga giustificata dal carattere del territorio di Castel Volturno dove oltre la metà dei residenti è d’origine africana. Ma il Tar del Lazio non ha concesso la deroga e ha dato ragione alla Fip. Per Victor, King e i loro amici non resta ora che continuare a giocare all’interno della loro regione.
Torneo Dimondi
Domani a Bologna 24 squadre in campo per dare un calcio corale alle discriminazioni nello sport. Il servizio di Elena Fiorani. (sonoro)
La quinta edizione del Torneo comincia domani e andrà avanti fino a giugno: il primo appuntamento è al centro sportivo Pizzoli di Bologna. È un’iniziativa che mette al centro il piacere dello scambio e della condivisione, invece di agonismo e ricerca della vittoria. Obiettivi
che, per essere raggiunti, prevedono una rivoluzione delle regole sportive. Come squadre miste sotto il profilo del genere, ma anche dell’età e, ovviamente, della provenienza. Ma anche con agevolazioni per chi è meno bravo, come un numero variabile di persone in campo a seconda
della preparazione. Il tema della prima giornata, “Lo sport come valorizzazione e inclusione delle differenze di genere”, verrà affrontato insieme ad associazioni locali e con la mostra dal titolo “Contro le regole: gay e lesbiche nello sport”, che racconta le esperienze di atleti che hanno combattuto esclusione e pregiudizi legati all’identità di genere.
Figurine in mostra
Due secoli di bici e di storia del costume e della società al Museo della Figurina di Modena. Un lungo viaggio dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. I primi ciclisti, gli amori a due ruote e i campioni raccontano una delle più grandi rivoluzioni dei tempi moderni.
Sfidando una accusa di blasfemia, potremmo dire che la prima “figurina” di bicicletta ci arriva dalla fine del 1400. Nel Codice Atlantico (foglio 133v) di Leonardo da Vinci si trova un disegno di un prototipo eseguito con matita a carboncino e databile intorno al 1493: ideato in legno, con un sostegno fisso per appoggiare le mani, una forcella anteriore e posteriore, un telaio orizzontale che collega due ruote di uguale dimensione dotate di mozzi e di raggi, un asse con una guarnitura (corona, pedivelle e pedali) posta al centro del telaio, la quale a sua volta è provvista di una catena di trasmissione che la collega a un pignone sul mozzo della ruota posteriore motrice, di una sella… Sulla attribuzione diretta al Genio del Rinascimento la discussione non si è mai chiusa, ma insomma la prima bicicletta è lì.
La mostra, prodotta da Fondazione Modena Arti Visive, fino al 13 aprile prossimo è ospitata al Museo della Figurina di Modena. Più di due secoli ormai, per quella che da molti storici è considerata una delle più grande rivoluzioni tecniche, industriali, culturali di massa e di costume dell’epoca moderna. La sua evoluzione, nella mostra, è testimoniata da oggetti, modelli antichi, abiti. A partire dalla Draisina del 1817 – la prima vera bici spinta dalla sola forza delle gambe – fino alle rivoluzionarie e leggerissime biciclette in carbonio dei nostri giorni. Evoluzione della tecnica, ma anche del costume. Agli esordi la bicicletta era definita “cavallo d’acciaio” e i ciclisti “cavalieri”. E loro, i ciclisti, erano appunto vestiti da fantini, con casacche in seta, stivali e cappellini ippici (in seguito rimpiazzati da abiti più pratici che lasciano scoperte gambe e braccia).
E se questo riguarda gli uomini, per le donne la bicicletta finì per divenire uno degli strumenti simbolo nella strada verso l’emancipazione: il nuovo mezzo di trasporto rende necessario l’abbandono delle gonne ottocentesche a favore di gonne-pantalone, galosce e stivaletti, per muoversi agevolmente senza rinunciare all’eleganza. Diventano famosi i “bloomers”, i pantaloni a sbuffo legati sotto al ginocchio divenuti simbolo della emancipazione grazie all’attivista americana che li lanciò, Amalia Bloomer. E pensare che – anche solo da un punto di vista tecnico – la versione femminile dei primi velocipedi aveva due pedali su un solo lato della grande ruota anteriore, per cui le signore erano costrette “pedalare all’amazzone”. Quasi impossibile.
Ma, rotto l’argine, a cavallo del Novecento la bici vince, diventa di moda oltre ad avere una diffusione di massa, ed i tanti detrattori cedono il passo. Invade le strade d’Europa e d’America in decine di milioni di esemplari, ed invade insieme l’immaginario collettivo divenendo il simbolo da associare a quasi tutto: moda, pubblicità di ogni genere, eroi dello sport. E qualche anno dopo anche guerra, purtroppo.
A testimoniare tutta questa storia, le figurine. Il grande veicolo di immagine di quegli anni. Tra fine Ottocento e inizio Novecento le scopriamo ironizzare sulle difficoltà dei primi ciclisti e sul contrasto tra vecchi e nuovi mezzi, raffigurando cani che azzannano ruote, scontri con pedoni e cavalieri, ingorghi stradali, capitomboli vari. Alcune serie dedicate al mondo del futuro prefigurano soluzioni innovative come i fanali per le auto, per evitare le collisioni con ciclisti e pedoni al buio. E’ un vero quadro dai colori tenui quella figurina creata per fare pubblicità, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, ai grandi magazzini di Parigi. Come l’altra (stesso periodo) per una marca di cioccolata. Si affollano figurine caricaturali, ironiche. E poi l’amore, l’Amore in bicicletta, sul quale si ironizza ma nemmeno poi tanto. Per arrivare ai concorsi a premio associati alle figurine, che conobbero un vero e proprio boom nell’Italia degli anni trenta: tra i vari regali da scegliere o premi da vincere, la bicicletta non manca quasi mai.
Infine il mito, le immagini più diffuse dello sport popolare per eccellenza: la mostra si conclude con le sezioni dedicate alle corse e ai ciclisti, attraverso figurine di campioni, all’epoca considerati veri e propri eroi, e imprese che nel dopoguerra restituirono agli italiani l’entusiasmo e la voglia di sognare, dando loro nuovi simboli nei quali riconoscersi. E anche ai nostri giorni di interconnessione globale e immagini immateriali, l’album delle figurine del Giro d’Italia 2019 ha ancora una volta attratto appassionati e collezionisti: la storia non è finita.
Tutti per uno
Palazzo San Giacomo, a Napoli, ha ospitato il convegno dedicato ai primi dieci anni dell’Afro-Napoli United: la seconda squadra partenopea è una cooperativa dilettantistica nata per la promozione dell’integrazione sociale attraverso lo sport. In occasione dell’anniversario il Comune ha promesso la disponibilità di nuovi campi in città e del San Paolo in caso di playoff.
”È stato un viaggio di dieci anni nelle culture e nelle vite delle centinaia di persone che sono state con noi – ha detto il presidente dell’Afro-Napoli United, Antonio Gargiulo – Il nostro sogno resta quello di giocare a Napoli ed io mi auguro che il prima possibile si possa avere un campo in città, perché se dobbiamo essere la seconda squadra di Napoli è giusto che si giochi in città”. Immediata la risposta dell’assessore Ciro Borriello: “Era giusto essere qui per festeggiare i primi dieci anni di questa bellissima storia. Una storia che sembra un film che ha già un lieto fine, perché l’Afro-Napoli è diventata un esempio per tutti. Credo che noi come amministrazione vi dobbiamo molto. Continueremo a starvi vicino. I campi ci sono e da novembre ne avremo molti in periferia a disposizione. Poi giocheremo anche al San Paolo, l’ho detto più volte. Nel caso di playoff, lo stadio è a disposizione”. Dall’assessore Laura Marmorale una riflessione più ampia sull’impatto che il progetto Afro-Napoli ha avuto sulla società “Io credo che questa esperienza sia uno specchio, perché questa esperienza di sport, di vita e d’aggregazione riesce a riflettere tutto quello che la società intera, in questo paese, non è in grado di fare. Non riesce a far fare sport a livello agonistico a chiunque ne abbia capacità, non è in grado di consentire un permesso di regolarizzazione normale per le persone, ma si danna l’anima perché ci sono troppi clandestini. Se noi creassimo un gioco da tavola con il percorso legale stabilito dal governo di regolarizzare in questo paese non riusciremmo mai ad arrivare alla fine del gioco”.