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Il Parlamento europeo contro la Fifa: corruzione “dilagante, sistemica e profondamente radicata”


Ferma condanna

Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che definisce la corruzione all’interno della Fifa “dilagante, sistemica e profondamente radicata” e con cui chiede alla Federazione internazionale e al Qatar di risarcire tutte le vittime dei preparativi per i mondiali di calcio.

Secondo le stime, in Qatar vi sono più di due milioni di cittadini stranieri che costituiscono circa il 94% della forza lavoro del Paese. Gli eurodeputati hanno accolto con favore il fatto che, secondo l’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro) il governo del Qatar abbia rimborsato 320 milioni di dollari alle vittime di abusi salariali attraverso il Fondo di sostegno e assicurazione ai lavoratori.

Tuttavia, nel testo si deplora l’esclusione di milioni di lavoratori e delle loro famiglie dalla sua applicazione e si chiede di ampliare il fondo in modo da includere tutte le vittime dall’inizio dei lavori correlati alla Coppa del mondo Fifa del 2022, compresi tutti i casi di morte e le altre violazioni dei diritti umani.

Nel testo, approvato per alzata di mano, gli eurodeputati hanno inoltre sottolineato che il Qatar ha vinto la procedura di gara della Coppa del mondo Fifa in un contesto di accuse credibili di corruzione e concussione, e hanno deplorato la morte e gli infortuni di migliaia di lavoratori migranti, principalmente nel settore delle costruzioni, che hanno aiutato il Paese a prepararsi per il torneo.

Il Parlamento ha dunque esortato i Paesi Ue, in particolare quelli con grandi leghe nazionali di calcio, come la Germania, la Francia, l’Italia e la Spagna, a esercitare pressioni sulla Uefa e sulla Fifa affinché quest’ultima si impegni a realizzare riforme fondamentali.

Tra queste, l’introduzione di procedure democratiche e trasparenti per l’assegnazione dei mondiali di calcio e la rigorosa applicazione dei diritti umani e dei criteri di sostenibilità per i Paesi ospitanti. Per proteggere atleti e tifosi e porre fine alla pratica del cosiddetto “sportswashing”, gli eventi sportivi internazionali non dovrebbero essere assegnati ai Paesi che violano i diritti fondamentali e umani e dove la violenza di genere è sistematica, hanno affermato i parlamentari europei.

I deputati hanno condannato anche gli abusi perpetrati dalle autorità del Paese nei confronti della comunità Lgbtq+, incluso l’uso di leggi nazionali che consentono la custodia cautelare delle persone Lgbtq+ senza capi d’imputazione o processo fino a sei mesi. Nella risoluzione, si esorta il Qatar a rafforzare le misure volte a garantire la parità di genere, anche abolendo quel che resta del sistema di tutela delle donne, e a intensificare gli sforzi per conseguire un’equa rappresentanza delle donne nel mercato del lavoro formale.

Sport contro la violenza: domani “Parete di genere”, l’incontro-flash mob di padel


In campo per la parità

Domani incontro-flash mob di padel “Parete di genere” in 11 città, contemporaneamente in 15 circoli sportivi. Il servizio è di Elena Fiorani.

Uniti, sul campo, contro la violenza di genere e contro il gender gap in ambito sportivo. Nel week end doppio appuntamento sportivo nazionale promosso da AiCS – Associazione italiana cultura sport per dire no a discriminazioni e violenze sulle donne. Domani dalle 11, contemporaneamente in 15 circoli sportivi di 11 città da nord a sud Italia, un incontro di padel gigante, al quale parteciperanno coppie miste, per un vero e proprio flash mob sportivo contro la violenza di genere.

A Roma, invece, arriva il campionato nazionale di Mamanet: oltre 200 tra mamme e donne adulte, accompagnate dalle famiglie, per un gioco a metà tra pallavolo e palla rilanciata, uno sport sociale nato in Israele che in Italia coinvolge ad oggi già circa 2mila donne. La sua caratteristica è di mettere al centro la donna adulta e di promuovere la rete tra mamme e donne in generale.

Qatar 2022, la Germania si imbavaglia per i diritti: “Negarci la fascia al braccio è come spegnere la nostra voce”


Imbavagliati

Mani sulla bocca per protestare contro la decisione della Fifa di vietare ai capitani la fascia arcobaleno e la scritta ‘One Love’, durante i Mondiali in Qatar. È il gesto scelto dalla Germania per la foto di rito prima della partita con il Giappone.

Pochi istanti dopo il fischio d’inizio è arrivata la nota della Federcalcio tedesca, diffusa sui social, che spiega il motivo del gesto dei calciatori: “Negarci la fascia al braccio è come spegnere la nostra voce. Sosteniamo la nostra posizione”. Nella nota la federazione scrive che l’idea era quella di “usare la fascia del nostro capitano per prendere posizione sui valori che abbiamo nella nazionale tedesca” ovvero “diversità e rispetto reciproco“. Nella nota si legge che la stessa Germania “con altre nazioni” avrebbero voluto “che la nostra voce fosse ascoltata. Volevamo usare la fascia del nostro capitano per prendere posizione sui valori che abbiamo nella nazionale tedesca: diversità e rispetto reciproco. Insieme ad altre nazioni, volevamo che la nostra voce fosse ascoltata. Non si trattava di fare una dichiarazione politica: i diritti umani non sono negoziabili. Dovrebbe essere dato per scontato, ma non è ancora così. Ecco perché questo messaggio è così importante per noi”.

La Germania ha preso molto seriamente il divieto della FIFA di indossare la fascia arcobaleno, reagendo in campo e con una decisa presa di posizione sui social. Non potendo essere indossata da Neuer in campo la fascia è stata portata dal ministro dell’interno tedesco, presente sugli spalti.

Invece, in una conferenza stampa improvvisata, il presidente della Federazione calcistica danese, Jesper Moller, ha lanciato il suo atto d’accusa nei confronti della Federazione internazionale, che in Qatar ha vietato la fascia arcobaleno per i diritti Lgbtqi+.

La Federazione della Danimarca non sostiene più il presidente della Fifa, Gianni Infantino. In una conferenza stampa improvvisata, Jesper Moller, numero uno del calcio a Copenaghen, ha lanciato il suo atto d’accusa nei confronti della Federazione internazionale e minacciato anche azioni legali. Il casus belli è il divieto della Fifa a indossare la fascia arcobaleno con la scritta “One Love” per i diritti Lgbtqi+ durante i Mondiali in Qatar. La Danimarca è tra le federazione che già durante l’estate aveva chiesto il via libera all’iniziativa per manifestare il sostegno alla comunità. La Fifa e il suo presidente Infantino però a Mondiali già iniziato hanno risposto no, annunciando l’ammonizione (con rischio squalifica) – oltre alla normale multa – per i capitani delle squadre che non avessero indossato una fascia autorizzata.

Le Federazioni europee – Inghilterra, Germania, Belgio, Francia, Galles, Svizzera e Danimarca – hanno dovuto piegarsi alla volontà di Infantino e alle regole in vigore in Qatar. Non senza polemiche: durante la foto di squadra prima della partita d’esordio ai Mondiali, i giocatori della Germania hanno messo la mano alla bocca per simulare il “bavaglio” della Fifa. La Danimarca invece ha deciso per una presa di posizione più netta, che ora potrebbe scatenare un terremoto ai vertici del pallone. Il presidente della Federazione Moller ha annunciato che non sosterrà più Infantino e che quindi non voterà a suo favore alle elezioni previste per il prossimo anno. Poi ha aggiunto: “Siamo in una situazione straordinaria. Non sono solo deluso, sono anche arrabbiato. Cercheremo chiarimenti legali a seguito di queste pressioni“, ha dichiarato Moller.

Le sue parole sono durissime: “Ci sono le elezioni presidenziali della Fifa. Ci sono 211 paesi e l’attuale presidente ha dichiarazioni di sostegno da 207 paesi. La Danimarca non è tra quei paesi”. Moller ha anche svelato che la Danimarca, insieme ad altre Federazioni europee, sta pensando anche a un atto di forza contro la Federazione internazionale: “Ne stiamo discutendo da agosto. Devo pensare a come ripristinare la fiducia nella Fifa. Dobbiamo valutare cosa è successo e poi dobbiamo creare una strategia, anche con i nostri colleghi”. Il caos provocato dai Mondiali in Qatar e dalla decisioni di Infantino è destinato a durare oltre il 18 dicembre.

Calcio, la battaglia della Campagna Abiti Puliti: operai aspettano da Adidas milioni di dollari in indennità e salari non pagati


Abiti Puliti

È la campagna che chiede ad Adidas di pagare gli operai e le operaie che producono scarpini e palloni da calcio e aspettano milioni di dollari in indennità e salari non pagati a fronte degli 800 milioni utilizzati per essere sponsor Fifa.

“I Mondiali Fifa sono costruiti sullo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici. Ora tocca ad Adidas, alla Fifa e ad altri pagare il prezzo del loro sfruttamento”. La Campagna Abiti Puliti fa sentire la sua voce a proposito del Mondiali di calcio in Qatar, appena iniziati.

Per la Campagna, “gli operai e le operaie che producono kit, scarpini e palloni da calcio per Adidas aspettano milioni di dollari in indennità e salari non pagati. Se Adidas è disposta a spendere 800 milioni di dollari per sponsorizzare la Fifa, perché non può spendere 10 centesimi in più per ciascun prodotto per porre fine al furto salariale nella sua catena di fornitura?”.

La Campagna Abiti Puliti ricorda che il 18 agosto, giorno del compleanno di Adidas, lavoratori, lavoratrici, attivisti e attiviste di tutto il mondo, in oltre 10 paesi, hanno contattato i dirigenti di Adidas, chiedendo loro di rispondere alle richieste della coalizione Pay Your Workers, coordinata in Italia dalla Campagna Abiti Puliti, e di firmare un accordo vincolante per: pagare alle lavoratrici il salario intero spettante per tutta la durata della pandemia; assicurarsi che le lavoratrici non restino mai più senza un soldo se la loro fabbrica fallisce, sottoscrivendo un fondo di garanzia che copra il trattamento di fine rapporto; tutelare il diritto delle lavoratrici ad organizzarsi e a negoziare collettivamente. Adidas si è rifiutata di negoziare – sottolinea la Campagna – e ora è il momento di aumentare la pressione. In tutto il mondo, ci saranno manifestazioni in solidarietà con i sindacati contro Adidas”.

Dal 24 al 30 ottobre 2022 migliaia di persone sono scese in piazza in tutto il mondo per chiedere ad Adidas di assumersi le sue responsabilità. “Adidas sta lasciando i lavoratori e le lavoratrici della sua catena di fornitura senza i pagamenti dovuti nel bel mezzo di una pandemia – ricordano i promotori della Campagna -. Adidas sostiene che tutto va bene, ma le lavoratrici non sono per niente d’accordo. Solo per otto fabbriche fornitrici in Cambogia, il marchio deve alle sue lavoratrici 11,7 milioni di dollari di salari per i primi 14 mesi della pandemia, pari a 387 dollari ciascuno”.

Non solo: “Anche le lavoratrici che non producono più abiti per Adidas aspettano i loro soldi. Per esempio le operaie della fabbrica Hulu Garment in Cambogia, licenziate all’inizio della pandemia, aspettano ancora 3,6 milioni di dollari. Nel maggio del 2022, 5600 lavoratori di un altro fornitore Adidas in Cambogia hanno scioperato per i salari non pagati e la fabbrica ha reagito facendo arrestare i leader sindacali. Questo furto salariale e delle indennità di licenziamento si estende ben oltre la Cambogia, lungo tutta la catena di fornitura globale di Adidas. Eppure Adidas sa bene di avere la responsabilità di garantire che i lavoratori della sua catena di fornitura ricevano quanto dovuto. Nel 2013, ad esempio, ha pagato le lavoratrici della PT Kizone in Indonesia, che hanno lottato per due anni per ottenere 1,8 milioni di dollari di liquidazione che gli spettava dopo aver perso il lavoro”.

“È ora che Adidas firmi un accordo vincolante su salari arretrati, liquidazioni e libertà di organizzazione per garantire che i lavoratori della sua catena di fornitura non vengano mai più derubati del denaro che si sono guadagnati – conclude la Campagna Abiti Puliti -. Il mancato pagamento della liquidazione è endemico nell’industria dell’abbigliamento globale. È giunto il momento di fare pressione sui marchi per portarli una volta per tutte al tavolo delle trattative e firmare”.

Iran, la foto senza hijab della squadra di basket femminile Canco: in posa a sostegno delle proteste


In posa

Sedici donne senza l’hijab: la battaglia delle giocatrici di basket e dello staff tecnico è racchiusa in una foto  senza velo che è un gesto di vicinanza alle proteste per i diritti delle donne. E’ quello che ha scelto di fare la squadra di pallacanestro femminile Canco, del campionato iraniano. Un atto di coraggio che sta raccogliendo solidarietà e vicinanza sui social network.

A volte un’immagine è più forte di cento gesti. E di mille parole. La squadra di basket femminile Canco, del campionato dell’Iran, si è fotografata senza l’hijab, il velo tradizionale. Al completo, 16 donne, giocatrici e staff tecnico. Una protesta contro il regime di Raisi e le proteste per i diritti delle donne represse nel sangue. Secondo Human Rights sono circa 350 le persone uccise dalla polizia di Teheran dall’inizio delle manifestazioni.

Un atto di coraggio, dunque, che sta raccogliendo solidarietà e vicinanza sui social network. “Insegna a tua figlia – ha scritto su Instagram l’allenatrice, Farzaneh Jamami – che cose come i ruoli di genere non sono altro che sciocchezze. Insegna che sei una persona preziosa e insostituibile. Se ti dicono il contrario, non crederci. Dì loro: “Non nasconderti. Alzati, tieni la testa alta e mostra loro cosa sai fare!” Digli che sei potente e capace. Che sei una donna libera”.

Qatar 2022, Uisp e Arci commentano in apertura dei mondiali: “Senza diritti non chiamatelo gioco. E neppure sport”


Palla avvelenata

“Senza diritti non chiamatelo gioco. E neppure sport”. E’ il commento di Uisp e Arci sui Mondiali in Qatar, iniziati ieri. “Dove non c’è garanzia di diritti umani e civili, di attenzione alla salute del pianeta, di libertà di informazione – spiegano – non può esserci spazio per lo sport messaggero di pace, libertà e convivenza tra i popoli”.

#Facciamosquadra: l’iniziativa di Libera che ha fatto incontrare campioni dello sport e studenti


#Facciamosquadra


In
corso a Roma l’iniziativa di Libera che ha fatto incontrare campioni dello sport e studenti. Una mattinata di dialogo aperto sui tanti aspetti che lo sport sta vivendo, dalla lotta al doping a quella contro ogni forma di violenza e razzismo. 

Un’occasione d’incontro e di dialogo aperto sui tanti aspetti che lo sport sta vivendo, dalla lotta al doping a quella contro ogni forma di violenza e razzismo. Nella consapevolezza che proprio la difesa dei valori fondamentali dello sport sia un modo per crescere una gioventù più attenta e responsabile.

Saranno presenti per le Fiamme Gialle, Domenico Montrone, medaglia olimpica di canottaggio, Oxana Corso, campionessa olimpionica paraolimpica, Max Mandusic, campione italiano salto con l’asta; per le Fiamme Azzurre: Clemente Russo,vicecampione olimpico pugilato Pechino 2008 e Londra 2012, Oney Tapia, atletica leggera paraolimpica; per il Centro sportivo Carabinieri: Flavio Bizzarri, nuotatore, Enrica Rinaldi, medaglia di bronzo campionati europei di lotta; per le Fiamme Oro Maria Centracchio, judoka,bronzo olimpiadi di Tokio;Vincenza Petrilli, campionessa Arciere paraolompica, oro Tokio. Coordinerà Lucilla Andreucci, ex maratoneta azzurra e referente Sport per Libera. Sarà presente per il Dipartimento di Pubblica Sicurezza, il dott. Montini. Chiuderà la mattinata la testimonianza di Susy Cimminiello, familiare di vittima innocente delle mafie.

L’iniziativa rientra tra le attività previste dal protocollo tra Dipartimento Pubblica Sicurezza e Libera per la promozione di attività culturali ed educative aventi ad oggetto la diffusione della cultura della legalità e della responsabilità in favore di studenti e cittadini.

Sport e divario di genere: solo due donne su dieci praticano sport in Italia (tra gli uomini l’incidenza è doppia)


Divario di genere

Solo due donne su dieci praticano sport in Italia, mentre tra gli uomini l’incidenza è doppia. I motivi alla base della scarsa partecipazione femminile sono diversi: incidono in modo significativo le disuguaglianze di genere e le maggiori difficoltà che una ragazza incontra in questo ambito, rispetto a un coetaneo maschio.

Secondo il report dell’Osservatorio sullo Sport System Italiano in Italia le donne sono solo il 37% delle persone maggiorenni che praticano sport. Si tratta di 5,8 milioni, equivalenti a 2 su 10.

Nella stessa fascia d’età sulla popolazione maschile l’incidenza è doppia, visto che sono 4 su 10 gli uomini maggiorenni che praticano almeno uno sport. Tra le donne la pratica sportiva cala drasticamente sopra i 34 anni mentre negli uomini l’abbandono avviene mediamente 20 anni più tardi (dopo i 54 anni).

I motivi alla base della scarsa partecipazione sportiva femminile sono diversi ma a incidere in modo significativo sono, come spesso accade, le disuguaglianze di genere e le maggiori difficoltà che una ragazza incontra in questo ambito, rispetto a un coetaneo maschio.

Lo sport femminile con più seguito è la pallavolo e il maggiore livello di ricavi delle società si traduce in stipendi più alti. Basti pensare che quello medio di una pallavolista di serie A1 è oltre 5 volte superiore rispetto allo stipendio percepito da una calciatrice.

Soffermandoci sul calcio, è impossibile non ricordare come il riconoscimento professionistico di quello femminile sia giunto solo quest’anno. Nonostante l’enorme ritardo, si tratta comunque del primo sport femminile così definito in Italia.

La Federazione Italiana Calcio Femminile è nata nel 1968, ma solo nel 1986 è stata incorporata nella Lega Nazionale Dilettanti della Federazione Italiana Gioco Calcio. Nel 2015 la Figc ha avviato il processo di integrazione tra professionismo maschile e attività calcistica femminile istituendo nei club maschili di serie A e B una squadra femminile U12 con almeno 20 calciatrici, alla quale si sono poi aggiunte le squadre U15 e U17. Dalla stagione 2017-2018 i club maschili possono acquisire il titolo sportivo (partecipazioni di controllo) di una società di calcio femminile affiliata alla Figc nei campionati di Serie A o B, o concludere accordi di licenza con le società affiliate alla Figc partecipanti a Serie A o B con sede nella stessa provincia.

La svolta del professionismo nel calcio femminile punta sia alla tutela a medio-lungo termine delle giocatrici sia alla valorizzazione delle calciatrici stesse come asset per i club. Nel confronto internazionale tra campionati femminili, emerge come l’investimento per il personale dei club della Premier League inglese (professionistica dal 2018/2019) sia più che doppio rispetto a quello della serie A italiana.

Come sottolineato da Ludovica Mantovani, presidente del consiglio direttivo della Divisione Femminile della Figc, il riconoscimento del professionismo nel calcio femminile «è stato una grandissima conquista, un passaggio per noi importantissimo perché a oggi alcuni accordi economici prevedevano importi bassissimi se non addirittura a zero. La battaglia, che è stata vinta, era avere pari tutele e pari diritti: essere riconosciute come professioniste, per le calciatrici, voleva dire in primo luogo riconoscere il loro mestiere».

Le disuguaglianze di genere si verificano a ogni livello ma iniziano dal dilettantismo e dai primi anni in cui si inizia a praticare sport. Avere nella propria famiglia genitori che praticano sport porta a una maggiore possibilità di entrare in quel mondo; anche le ore di educazione fisica a scuola sono fondamentali per conoscere nuovi sport a cui appassionarsi. Ma in molti istituti non ci sono strutture adeguate.

Lo sport ha inoltre un costo che non tutte le famiglie possono permettersi. Un ultimo aspetto da considerare: crescendo risulta più difficile conciliare l’attività motoria con lo studio o il lavoro, ancor più per una donna, anche a causa di barriere culturali che stanno, pian piano, crollando. Ma non ancora del tutto.

Per farle davvero cadere, è necessario un cambiamento, una nuova prospettiva di parità: è prioritario smontare gli stereotipi che associano la mascolinità e la femminilità a ruoli ben precisi nella società.

Verso Qatar 2022: la speciale bandiera ideata per aggirare il divieto di sventolare i colori dell’arcobaleno ai Mondiali di calcio


I colori dei diritti

L’associazione francese Stop Homophobie e Pantone hanno cercato il modo per aggirare il divieto di sventolare bandiere arcobaleno durante i Mondiali in Qatar. A questo scopo nasce la bandiera Pantone in cui, su una bandiera bianca vengono riportati i codici dei colori. In questo modo chi vorrà potrà sventolare il drappo negli stadi senza incorrere in pene e sanzioni.

Una speciale versione bianca in cui vengono riportati i codici dei colori. Il Mondiale di calcio in Qatar, al via il 20 novembre, non passerà certo alla storia per una rassegna all’insegna della libertà di espressione. Nelle scorsa settimane è stato diffuso un documento in cui si invitano i tifosi che seguiranno le partite ad attenersi a determinate regole. Tra queste c’è quella di non sventolare bandiere arcobaleno, il simbolo del movimento LGBT.

Per aggirare il divieto l’associazione francese Stop Homophobie e Pantone hanno realizzato una versione in cui sulla bandiera bianca vengono riportati i codici dei colori. In questo modo chi vorrà potrà sventolare il drappo negli stadi senza incorrere in pene e sanzioni, dato che in Qatar l’omosessualità costituisce reato.