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Basket, parte il “Final 8 Contest”: a scuola di integrazione


Studenti creativi. In occasione delle Final Eight di Coppa Italia di basket, che si svolgeranno a Pesaro dal 16 al 20 febbraio, parte il contest rivolto agli studenti, che dovranno ideare dei video dedicati allo sport. Il concorso vuole promuovere un confronto e uno scambio tra le scuole sulle tematiche dello sport e dell’integrazione.

Il Comune di Pesaro, in collaborazione con Lega Basket ed avvalendosi del supporto del Liceo Scientifico Sportivo “G. Marconi” di Pesaro promuove il “Final 8 Contest”. Scopo dell’iniziativa è promuovere lo sport e avvicinare studenti e studentesse al mondo del basket in vista della manifestazione nazionale che si terrà nella nostra città di Pesaro.

Finalità̀ del concorso è anche quella di promuovere un incontro tra le scuole sulle tematiche dello sport e dell’integrazione. Il Contest è aperto a tutti gli studenti di tutte le scuole di ogni ordine e grado della città di Pesaro che dovranno creare degli spot legati al valore dello sport e del basket.

Saranno premiati i migliori video per ogni ordine e grado di istruzione (scuola primaria -scuola secondaria di primo grado – scuola secondaria di secondo grado). Possono partecipare al contest singoli studenti, classi o gruppi di studenti di classi diverse. È possibile partecipare anche informalmente con gruppi di amici, con la propria squadra sportiva o con il proprio gruppo di riferimento.

«Sarà un bel modo per valorizzare la creatività dei ragazzi, coinvolgerli in un grande evento e diffondere la “filosofia sociale” legata a un mondo che appassiona sia i praticanti delle discipline, sia coloro che seguono lo sport come sostenitori» spiega Mila Della Dora, Assessora alla Rapidità.

I lacci arcobaleno del tennista Liam Broady: agli Australian Open un ace per i diritti


Un ace per i diritti. Il tennista inglese Liam Broady, è sceso in campo agli Australian Open con i lacci arcobaleno per sensibilizzare il pubblico sul tema dell’omofobia nello sport. “Volevo solo inviare il mio supporto alla comunità – ha detto Broady – siamo nel 21° secolo ed è assurdo che le persone non possano sentirsi apertamente gay”.

Il 28enne tennista inglese, Liam Broady ha perso malamente e in 3 set al primo turno degli Australian Open contro il ‘cavallo pazzo’ Nick Kyrgios. Ma Brody ha comunque lasciato il segno. Liam, attualmente numero 128 al mondo, è infatti sceso in campo sfoggiando dei lacci arcobaleno.

Broady ha spiegato di aver voluto indossare quei lacci per mostrare solidarietà alla comunità LGBTQ e per aumentare la consapevolezza nei confronti dell’omosessualità all’interno del circuito professionistico maschile ATP, ufficialmente “inesistente”.

“Volevo solo inviare il mio supporto alla comunità. Non penso che sia davvero un tabù nel tennis maschile, ma ho già sentito domande sul perché non ci siano tennisti apertamente gay e volevo solo esprimere il mio sostegno. Molti ragazzi della comunità LGBT mi hanno dato supporto nel corso della mia carriera, ci sono sempre stati, dal primo giorno, quindi volevo ringraziarli”. Alla domanda se esista una “cultura omofoba” all’interno del tennis maschile che impedisca ai giocatori gay di fare coming out pubblicamente, Broady ha risposto: “Non credo. Voglio dire, immagino che nella società in cui viviamo ci sia una cultura del genere, giusto? Soprattutto nello sport. Ho visto che il primo calciatore apertamente gay [Josh Cavallo] è appena uscito in Australia un paio di mesi fa. Ed è difficile, giusto? Voglio dire, è una grande cosa da fare, siamo nel 21° secolo ed è assurdo che le persone non possano sentirsi apertamente gay. È piuttosto triste, davvero”.

Broady ha aggiunto: “Ma sai, si spera che io possa contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica, ma non è che voglia costringere nessuno a fare coming out. Non voglio. È una loro scelta. Quindi puoi solo cercare di dare supporto nel modo in cui puoi e far loro sapere che va tutto bene”.

Se nel tennis femminile abbiamo assistito a più di un coming out, basti pensare alle leggendarie Martina Navratilova e Billie Jean King, gli unici tennisti di alto livello ad aver mai fatto coming out sono stati Brian Vahaly, nel 2017, 10 anni dopo essersi ritirato dalle scene, e Jan-Michael Gambill, ritiratosi nel 2010 e da anni felicemente fidanzato con Malek Alqadi.

“Almeno due gay in ogni squadra di calcio”: la rivelazione di Patrice Evra


Un mondo chiuso. Patrice Evra, ex terzino della Juventus, in occasione della presentazione della sua autobiografia ha affrontato il tema dell’omosessualità tra i calciatori, descrivendolo come un tabù ancora intoccabile. Secondo l’atleta in ogni squadra ci sono almeno due gay, ma rivelarlo significherebbe mettere fine alla carriera calcistica.

Quello degli abusi sessuali è un capitolo che Evra aveva già ampiamente raccontato in varie interviste in Inghilterra, dove ha vissuto gran parte della sua carriera, anche da capitano dei Red Devils. Ma Evra fa un passo in più e punta dritto verso un altro territorio oscuro del mondo del calcio professionistico: “Nel calcio tutto è chiuso. Se da calciatore dici che sei gay, sei morto. Ricordo una volta venne una persona a parlare di omosessualità alla squadra. Certi colleghi dissero che l’omosessualità era contro la loro religione e che se c’era un gay in spogliatoio bisognava cacciarlo dal club. Io ho giocato con gay, ne hanno parlato con me, da soli, perché hanno paura di aprirsi pubblicamente. Ci sono almeno due gay per squadra. Ma nel calcio se lo dici sei finito”.

Una testimonianza importante, nonostante Evra in passato si sia illustrato in dichiarazioni non proprio rispettose, dando del “frocetto” a chi lo criticava, o anche ai giocatori del Psg dopo l’eliminazione dalla Champions, per mano del Manchester United nel 2019. In ogni caso, Evra, molto seguito anche sui social si esprime pure sulla necessità di non rimanere nel silenzio, quando si subiscono abusi sessuali da ragazzini: “L’ho raccontato non tanto per me, ma per chiunque si trovi nella mia stessa situazione di quando fui stuprato da 13enne. Ho tenuto dentro tutto per anni fino a quando, guardando una trasmissione televisiva sul tema, non scoppiai in lacrime e confessai tutto a mia moglie. Bisogna sempre parlare e denunciare chi commette tali atti, anche se i colpevoli sono dei familiari, per non vivere nel trauma”.

Libere di giocare: le detenute-calciatrici dell’Atletico Diritti


Libere di giocare. Alla prima convocazione si sono presentate in più di sessanta e non saltano un allenamento. Sono le detenute-giocatrici dell’Atletico Diritti, la squadra femminile di calcio a cinque del carcere romano di Rebibbia, nata su iniziativa dell’associazione Antigone. Ogni sabato alle tre del pomeriggio in campo per svago e per sognare una vita nuova.

“Avevamo già all’attivo una squadra di calcio, una di cricket e una di basket tutte maschili” racconta Susanna Marietti, presidente di Atletico Diritti e coordinatrice nazionale di Antigone. “Abbiamo introdotto il calcio in un istituto penitenziario femminile per dare un segnale di rottura e abbattere lo stereotipo per cui le donne in carcere siano destinate solo al cucito, alla sartoria o al teatro. Oggi possiamo dire che uno sport tipicamente maschile è diventato l’attività caratterizzante di Rebibbia”. La formazione non guarda al tipo di reato, perché si è voluto offrire a tutte l’opportunità di usare il calcio per recuperare valori spesso disattesi: rispetto dell’avversario, senso del gruppo, sana voglia di vincere. L’avere pescato le giocatrici dal circuito di media sicurezza (da cui sono esclusi i reati associativi), ha comportato un campionato solo interno, ma ha dato una possibilità a tutte.

“Il primo giorno abbiamo diviso le ragazze per squadra, in campo, dicendo solo: “Questa è la palla, giocate”. Erano totalmente spiazzate, continuavano a chiedere quali fossero le regole da rispettare” ricorda Alessia Giuliani, funzionaria giuridico-pedagogica ed educatrice di Rebibbia. La questione delle regole è sempre molto dibattuta: per le detenute è un’imposizione meramente burocratica, per gli agenti del carcere l’unico modo per far funzionare un istituto con 320 donne, il più grande d’Europa. “È difficile spiegare a una persona che viene da abbandoni scolastici, che vive in assenza di modelli familiari sani, il rispetto delle norme. Perché le confondono con la punizione” continua Giuliani. “Lo sport ti aiuta a capire che la regola è funzionale alla vittoria, e una volta abituata a rispettarla su un campo da calcio, riportarla all’esterno diventa semplice”. I risultati si vedono: le ragazze della squadra sono quelle che non hanno rapporti disciplinari interni alla sezione e non saltano neanche un allenamento senza giustificazione.

Per Bianca, 26 anni e in carcere da tre, giocare nell’Atletico Diritti significa liberarsi dai dolori. Ha i capelli biondi, un inconfondibile accento del Brasile e per lei la squadra è “una famiglia, con tutte le sue stranezze”. La formazione è eterogenea: italiane, rom, tunisine, ognuna con il suo personale approccio allo sport.

Carolina Antonucci, l’appassionata allenatrice della squadra, non nega le difficoltà che la detenzione comporta anche in campo. “Le ragazze che sono qui hanno spesso problemi legati alle dipendenze e le terapie per contrastarle influiscono sul loro umore e comportamento” racconta. “Ci sono giorni in cui ci alleniamo dopo colloqui tra detenute e familiari che non sono andati bene, in cui l’enorme sofferenza di chi è rinchiusa qui si fa sentire. E non posso aspettarmi che sul campo diano il meglio di sé. Accettare problemi e mancanze è quello che un allenatore qui deve imparare a fare”.

Sul piccolo campo di Rebibbia i problemi personali diventano di squadra, così come vittorie e sconfitte. “Quante volte abbiamo gioito e sofferto insieme. Vedere le ragazze piangere per una sconfitta mi ha dato la dimensione di quello che stiamo facendo, di come l’Atletico Diritti per loro sia sinonimo di libertà” conclude Antonucci.

Durante il lockdown dello scorso anno la capitana della squadra ha incontrato papa Francesco e a breve la formazione verrà ricevuta dal presidente della Camera, Roberto Fico. Le partite, al momento, sono sospese per poter rifare il campo in modo da renderlo idoneo per l’iscrizione della squadra a un torneo federale. L’idea è quella di riprendere al più presto con un triangolare in cui parteciperà la rappresentativa delle giornaliste.

Che l’Atletico Diritti sia un progetto riuscito lo dimostrano anche le decine di detenute che, a pochi giorni dal termine della pena, chiedono di poter restare nel gruppo. Proprio in questi giorni due di loro usciranno, ma da settimane bussano alla porta dell’educatrice di Rebibbia con la stessa domanda: “Dottore’, lo troviamo un modo per poter restare in squadra?”.

Navigazione sostenibile: la coop sarda che insegna a rispettare l’ambiente


Navigazione sostenibile. La cooperativa Nel Sinis realizza progetti di educazione ambientale, tra cui il “Kit del navigante sostenibile”, rivolto ai diportisti, che invita a sperimentare una fruizione del mare, e delle sue risorse, sostenibile e il meno possibile impattante. Per il futuro l’obiettivo è dotarsi di un’imbarcazione a vela con motore ausiliario elettrico, per azzerare le emissioni.

«La prossimità con il contesto marino e costiero ci ha ispirato a porre un focus particolare sui progetti di educazione ambientale e alla sostenibilità», spiega Antonio Ricciu, il presidente. «Realizziamo questi progetti tramite la gestione del Ceas (Centro per l’Educazione Ambientale e alla Sostenibilità) del Comune di Oristano. Interessante è il fatto che all’interno della nostra cooperativa c’è anche un centro di aggregazione giovanile. Ceas e centro di aggregazione giovanile sono strettamente connessi e questo significa sensibilizzare ogni giorno le nuove generazioni al rispetto dell’ambiente».

I progetti realizzati negli ultimi anni hanno toccato diversi temi: dagli sprechi alimentari alla protezione e tutela del territorio e della biodiversità; dalla lotta al fenomeno dell’inquinamento marino e costiero alla corretta raccolta differenziata dei rifiuti. Un altro interessante progetto è rivolto a coloro che si dedicano alla nautica da diporto, alla pesca e alla navigazione sportiva, al fine di incoraggiarli a sperimentare modalità di fruizione del mare e delle sue risorse in modo sostenibile e il meno possibile impattante. Da tale impegno nasce il “Kit del Navigante sostenibile”.

«Per il futuro» conclude Ricciu «abbiamo intenzione di potenziare le attività educative in favore del contesto marino e costiero. Ci doteremo infatti di un’imbarcazione a vela con motore ausiliario elettrico, per azzerare le emissioni, da destinarsi a laboratorio galleggiante: potremo così svolgere le nostre attività educative direttamente in mare».

Atleti paralimpici nelle Fiamme Gialle, Pancalli (Cip): “Svolta epocale”


Svolta epocale: così Luca Pancalli, presidente del Cip, definisce l’ingresso degli atleti paralimpici nei Corpi Militari e dello Stato, perché rappresenta uno degli obiettivi più importanti per il movimento. Infatti, è stato pubblicato un bando di partecipazione alla selezione degli atleti con disabilità fisiche e sensoriali, che saranno inseriti nella Sezione Paralimpica delle Fiamme Gialle.

La prima volta non si scorda mai. Ed è quella che segna poi il futuro. Ecco perché Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico, la definisce “una svolta epocale”. E Giusy Versace, grande campionessa paralimpica e oggi parlamentare, gioisce per questa “notizia meravigliosa, un primo importante segnale”. Si tratta della pubblicazione del bando di partecipazione alla procedura di selezione degli atleti con disabilità fisiche e sensoriali, che saranno inseriti nella Sezione Paralimpica delle Fiamme Gialle. E’ il primo per dei corpi militari dello Stato e in questa maniera viene data piena attuazione al Decreto Legislativo n. 36 del 28 febbraio 2021 con il quale è stata introdotta la normativa riguardante l’accesso di persone con disabilità ai gruppi sportivi militari ed ai corpi civili dello Stato.

Non a caso le reazioni più sentite sono giunte da Pancalli e Versace. Luca Pancalli con tutto il Cip da anni si è battuto per arrivare a questo traguardo, che equipara anche in questo settore gli atleti olimpici e paralimpici. E Giusy Versace, una delle atlete simbolo del movimento paralimpico, è stata prima firmataria della Proposta di Legge sulle pari opportunità degli atleti con disabilità fisiche e sensoriali nei Gruppi Sportivi Militari e Corpi dello Stato, presentata nel 2019 e divenuta il Decreto Legislativo citato. A questo bando ne seguiranno altri, che riguarderanno gli altri Corpi militari e civili, ma va dato merito alla Guardia di Finanza di essere stata la prima a segnare la strada.

Secondo Pancalli questa è davvero “una svolta epocale per lo sport paralimpico italiano e per la nostra società, resa possibile. Una conquista che rappresenta un importante salto in avanti dal punto di vista sociale e culturale e che pone il nostro Paese all’avanguardia nel mondo sul fronte dei diritti civili. Per circa venti anni abbiamo rincorso questo sogno e lavorato per trasformarlo in realtà. L’ingresso degli atleti paralimpici nei Corpi Militari e dello Stato ha sempre rappresentato uno degli obiettivi più importanti per il nostro movimento. Per il raggiungimento di questo traguardo hanno lavorato per lungo tempo tantissimi rappresentanti delle istituzioni ai quali voglio esprimere il mio più sentito ringraziamento. Un ringraziamento che nello specifico va anche al Comandante Generale della Guardia di Finanza e a tutti coloro che si sono adoperati per la stesura di questo importante provvedimento”. Sarà utile a tutta la società, sottolinea Pancalli: “A beneficiarne non saranno solo tante ragazze e tanti ragazzi con disabilità del nostro Paese, che potranno investire nei propri sogni e nella propria passione per lo sport, ma anche l’intera società che in questo modo investe nei principi di inclusione e di pari opportunità”.

Un impegno che ha visto Giusy Versace in prima linea da quando ha iniziato l’attività in Parlamento: “Finalmente si dà concretamente avvio alla piena attuazione al decreto legislativo con il quale è stato regolamentato l’accesso degli atleti paralimpici nei gruppi sportivi militari ed ai corpi civili dello Stato. Una notizia meravigliosa per tutti gli atleti con disabilità, che finalmente possono iniziare a sognare una carriera sportiva a tutti gli effetti, con un regolare contratto di assunzione e l’equiparazione in termini di stipendio ai colleghi olimpici, oltre a pari opportunità a fine carriera. Nelle prossime settimane giungeranno ulteriori bandi di selezione – prosegue la Versace – così che nei prossimi mesi il lungo lavoro di ascolto e dialogo, a cui ho dedicato gli ultimi tre anni della mia esperienza parlamentare, vedrà pienamente la luce. Si tratta di un primo importante segnale di crescita ed evoluzione culturale importante per gli atleti, per i gruppi sportivi, per il Comitato Paralimpico stesso e per l’intera società”.

Vaccino “libero ed equo”: appello dei campioni dello sport mondiale


Uniti per il diritto alla salute. Un video appello indirizzato ai leader mondiali è stato realizzato da un gruppo di campioni internazionali, tra cui gli olimpionici azzurri Federica Pellegrini, Gianmarco Tamberi e Martina Caironi, per chiedere un accesso “libero ed equo” al vaccino in tutto il globo. “Siamo più forti insieme quando siamo solidali e ci prendiamo cura gli uni degli altri”, dicono gli atleti.

A poche settimane dall’inizio delle Olimpiadi invernali di Pechino, il messaggio rilanciato dal Cio è rivolto a governi, fondazioni, filantropi, organizzazioni sanitarie e le imprese sociali affinché uniscano le forze in questo impegno.

Nel video, più di venti campioni sottolineano l’importanza di rimanere uniti per continuare a combattere efficacemente la pandemia: “Come atleti, possiamo unire il mondo attraverso il potere dello sport. Ora più che mai siamo uniti per usare quel potere dello sport e del movimento olimpico e paralimpico per aiutare a vincere la battaglia contro il Covid perché andiamo più veloci, puntiamo più in alto, siamo più forti quando stiamo insieme”. “Ci è stata data una via da seguire con un vaccino sicuro ed efficace che può aiutare a salvare vite preziose e proteggere i nostri amici… e le nostre famiglie. Quindi invitiamo i governi, le fondazioni, i filantropi, le organizzazioni sanitarie e le imprese sociali a unire le mani nel dare libero ed equo accesso al vaccino a tutti in tutto il mondo per impegnare la nostra responsabilità collettiva a proteggere coloro che sono i più vulnerabili, perché tutti su questo pianeta ha il diritto di vivere una vita sana. Siamo più forti insieme quando siamo solidali e ci prendiamo cura gli uni degli altri”.

Premio “Sport e diritti umani”: candidature fino al 25 febbraio


Fino al 25 febbraio 2022 sarà possibile segnalare all’indirizzo info@sportedirittiumani.it un/un’atleta, una squadra o un gruppo sportivo che in Italia, nel corso del 2021, si siano resi protagonisti di un gesto pubblico, di una presa di posizione, di un’azione coerente coi valori positivi dello sport, contribuendo dunque alla promozione della cultura dei diritti umani nel paese.

Le candidature saranno selezionate da Amnesty International Italia e Sport4Society e proposte, per la scelta finale, alla giuria del premio presieduta da Riccardo Cucchi, scrittore e storica voce di “Tutto il calcio minuto per minuto”.

I premi delle precedenti edizioni, per atti di solidarietà e per l’impegno a contrastare il discorso d’odio e la discriminazione, sono stati conferiti nel 2019 a Pietro Aradori, giocatore di pallacanestro di fama internazionale, nel 2020 al Pescara Calcio e nel 2021 all’ex calciatore Claudio Marchisio, con menzioni alla pallavolista Lara Lugli e a Zebre Rugby Club