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Mediterraneo, dieci anni di salvataggi: la voce delle Ong al Senato

di Redazione GRS


Dieci anni per salvare vite – Ieri a Roma le Ong Sar operanti nel mediterraneo centrale si sono confrontate al Senato per raccontare questo decennio di vite salvate e di rinascite, ma anche di enormi sofferenze e tragedie: da quel 3 ottobre 2013 è partita la mobilitazione per pattugliare le acque da parte della società civile.

Dopo due anni da quel 3 ottobre, un altro tragico naufragio ha riportato gli occhi del mondo sul mediterraneo centrale: il 18 aprile del 2015, a largo di Malta, più di 700 persone hanno perso la vita in mare. Da quel giorno, la società civile ha deciso che di fronte a questo scenario il silenzio sarebbe stato peggio dell’indifferenza della politica: nascono così le Ong Sar, che pattugliano il mare e soccorrono persone da ormai 10 anni, per colmare quel vuoto assordante lasciato dagli Stati europei.

L’OSTRUZIONISMO DELLA POLITICA

Nonostante l’intento umanitario, il tema dei salvataggi in mare diventa presto oggetto di discussione e divisione politica e terreno di scontro ideologico, come se il problema non fossero le persone da salvare ma la propria idea politica da difendere: dal 2017 inizia a prendere forma una narrazione costante volta a criminalizzare le Ong del soccorso in mare, e vengono varati una serie di provvedimenti pensati ad hoc per danneggiare le navi del soccorso civile. Nel 2018 con la stagione dei “porti chiusi” le navi le navi civili hanno dovuto affrontare stand-off lunghissimi, con ritardi nello sbarco che hanno messo a rischio persone già vulnerabili; la prassi dei porti lontani, tutt’ora in vigore, ha tenuto e tiene le navi lontane dalle zone critiche per giorni e giorni, costringendo equipaggio e naufraghi ad allungare inutilmente la propria permanenza (e la propria sofferenza) in mare. L’entrata in vigore del decreto Piantedosi nel 2023 ha poi tenuto le navi ferme per ispezioni o fermi amministrativi ingiustificati per intere settimane, ponendo nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra questi, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso.

Con l’esternalizzazione delle frontiere, con accordi come quello Italia–Libia dal 2017, l’Europa ha delegato i controlli a Paesi non sicuri, moltiplicando intercettazioni e respingimenti illegali, e finanziando e proteggendo attori illegittimi come la Guardia Costiera Libica, che con le motovedette regalate dall’Italia opera contro il diritto marittimo internazionale, riportando le persone nei campi di detenzione libici, e attaccando violentemente le navi del soccorso civile come accaduto a noi lo scorso 24 agosto.

La Ocean Viking è ancora ferma in attesa di ultimare le riparazioni necessarie per il rientro in mare, nel frattempo le persone continuano a morire e chi dovrebbe intervenire continua a latitare: oggi come mai, a 10 anni di distanza dall’inizio delle nostre missioni, quando non sapevamo ancora a cosa stessimo andando incontro, siamo consapevoli che essere lì a salvare donne, uomini e bambini, nel rispetto di ogni logica umanitaria e del diritto marittimo internazionale sia fondamentale, oltreché giusto e necessario, al di là di ogni speculazione politica.

Sicurezza sul lavoro, continua la mobilitazione degli ispettori: servono riforme

di Redazione GRS


Cosa serve per la sicurezza – Continua la protesta degli ispettori del lavoro di fronte alle tante criticità. Il servizio è di Federica Bartoloni.

Continua la protesta a livello nazionale di Ispettori e Ispettrici del lavoro per la mancata presa in carico, confermata anche dai contenuti del nuovo Dl Sicurezza in corso di conversione in legge in questi giorni, delle molte criticità che affliggono da tempo l’ente. Le rivendicazioni portate in piazza continuano a chiedere una riorganizzazione strutturale dei servizi che sopperisca alla mancanza di organico, esacerbata da innumerevoli dimissioni e rinunce all’incarico a seguito dei mega concorsi in ragione del profondo divario tra competenze e retribuzione offerta, nonché alla frammentazione dei diversi organi ispettivi che si chiede vengano riuniti sotto uno stesso ente capace di coordinare le attività attualmente carenti nel loro compito volto alla prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

Fondazione Con il Sud: 13 progetti per sull’economia circolare nel meridione

di Redazione GRS


Mezzogiorno circolare – Fondazione Con il sud ha selezionato 13 progetti attraverso un bando dedicato al tema dell’economia circolare e saranno finanziati con oltre 4,3 milioni di euro. I progetti saranno realizzati in Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia.

La Fondazione con il Sud conferma il suo impegno per la tutela dell’ambiente e per il contrasto al cambiamento climatico”, ha dichiarato Stefano Consiglio, Presidente della Fondazione con il Sud. “Dopo i bandi precedenti dedicati alla promozione della mobilità sostenibile, della riduzione dei rifiuti e al sostegno alla nascita di comunità energetiche e sociali – che hanno permesso di finanziare oltre 40 progetti per la transizione ecologica al Sud –  crediamo che sia importante intervenire per promuovere e sensibilizzare sull’importanza cruciale dell’economia circolare. Si tratta di un processo fondamentale anche dal punto di vista sociale, traducendosi infatti in opportunità di lavoro per chi è in difficoltà, redistribuzione della ricchezza, possibilità di accedere a beni e sevizi a costi ridotti e recupero e valorizzazione di tradizioni, pratiche e saperi tradizionali”.

I progetti, promossi da partenariati pubblico-privati guidati da Enti di terzo settore, saranno impegnati nell’avvio di strategie di economia circolare che tengano conto dell’intero ciclo di vita di un prodotto, con l’obiettivo di chiudere la filiera trasformando i processi da ‘lineari’ a ‘circolari’.

 

In particolare, le iniziative che prevedono strategie di economia circolare da applicare alle fase di utilizzo del prodotto e a quella successiva metteranno in campo diverse soluzioni: dalla rete di sartorie sociali che adotteranno un modello comune per lo sviluppo di una collezione di moda sostenibile e per la riduzione al minimo degli scarti tessili, alla loro trasformazione in prodotti di sartoria circense e teatrale, attrezzi di giocoleria per circhi sociali e cuscini, cucce, pettorine per animali domestici; dal  riuso alla riparazione di giocattoli, anche elettronici, rendendoli accessibili a persone non vedenti e ipovedenti; alla valorizzazione degli scarti organici e delle biomasse (es. arance di scarto, fanghi e sansa di olive) o del compost per la produzione di fertilizzante organico; alla trasformazione degli scarti della filiera olivicola in pellet, tinture madri, oleoliti o l’estrazione dei polifenoli per l’industria cosmetica e nutraceutica; al recupero delle eccedenze alimentari di mercati, supermercati e aziende del territorio per trasformarli in pasti caldi per persone in difficoltà o prodotti confezionati (sughi pronti, zuppe) per la vendita. Ci sarà anche uno dei primi casi in Italia in cui si sperimenterà  la produzione di detersivi solidi e liquidi dal recupero dell’olio alimentare esausto, attraverso l’avvio di un saponificio sociale di comunità.

 

Per ciò che riguarda la fase che precede l’utilizzo del prodotto stesso, dunque la sua progettazione, grazie al coinvolgimento degli studenti nascerà uno spin-off universitario per l’ottimizzazione delle pratiche di riuso degli scarti tessili non riutilizzabili dalle sartorie (ad esempio, per realizzare packaging e gadgets circolari) oppure sarà possibile ripensare cosa fare del materiale legnoso proveniente da alberi morti o bruciati che verrà trasformato in oggetti di ecodesign e di land art valorizzando la tradizione artigiana e riducendo il rischio di incendi boschivi. I progetti prevedono di creare concrete opportunità di formazione e inserimento lavorativo, per oltre 50 persone che si trovano in situazioni difficili, in particolare immigrati in uscita da percorsi SAI – sistema di accoglienza, donne in difficoltà (tra cui vittime di violenza), neet e disoccupati, persone con disabilità o senza fissa dimora.  Inoltre, si prevede che oltre 800 cittadini partecipino ad attività socio-educative sul tema della sostenibilità ambientale.

Salute mentale, a Scampia si mobilita il terzo settore

di Redazione GRS


Salute mentale è politica – A Scampia la comunità e il terzo settore si mobilita con il libro dello psichiatra Piero Cipriano. Ascoltiamo la psicologa Bruna Di Dio.

“La salute mentale è politica” dello psichiatra basagliano Piero Cipriano con il suo Marco Cavallo approda in un quartiere simbolo della città partenopea: dove da anni  le associazioni, le cooperative, gruppi di abitanti attivi mettono in campo le energie e le risorse umane in una prospettiva di cura collettiva e reciproca che includa anche la salute mentale, grazie a realtà come il Gatta Blu ed il Gruppo Zoone.

Infatti per questo che i protagonisti della presentazione del libro di Cipriano saranno coloro che vivono il territorio e subiscono le contraddizioni istituzionali e politiche in una fase dove alla salute mentale sono date risposte soprattutto di chiusura e reclusione e non di inclusione. Nel libro di Cipriano c’è poi anche molto altro: emerge una critica radicale alla società capitalista che si ammala e produce patologia per profitto con la cronicizzazione e la produzione di malattie causate da interventi farmacologici e alla rinuncia a percorsi di cura alternativi.

Cooperative romagnole nel dopoguerra, arriva il nuovo libro di Menzani

di Redazione GRS


Storia di libertà – Domani a Forlì sarà presentato il libro “Quarantacinque, la rinascita della Lega delle Cooperative nella Romagna del secondo Dopoguerra”, opera dello storico Tito Menzani, pubblicato per i tipi di Franco Angeli editore.  Il volume indaga gli anni successivi al conflitto, dal punto di vista di coloro che fecero ripartire le imprese cooperative, dopo la drammatica parentesi del ventennio.

Dopo un anno di eventi – che ha visto sfilare protagonisti indiscussi come Antonio Scurati Dario Fabbri, ma ha anche vissuto momenti indimenticabili come l’incontro tra Re Carlo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e le cooperative di braccianti – giungono al termine le iniziative per l’ottantesimo anniversario di Legacoop Romagna.

Venerdì 5 dicembre a Palazzo Sidera di Forlì, sono attesi più di duecento cooperatori e invitati da tutta la Romagna, in occasione dell’ultimo appuntamento del programma di manifestazioni che per tutto il 2025 ha celebrato la rinascita delle libertà democratiche e del movimento cooperativo.

Nell’occasione sarà presentato il libro “Quarantacinque, la rinascita della Lega delle Cooperative nella Romagna del secondo Dopoguerra”, opera dello storico Tito Menzani, pubblicato per i tipi di Franco Angeli editore.

Il volume indaga, attraverso fonti inedite e un ampio corredo fotografico, gli anni successivi al conflitto, dal punto di vista di coloro che fecero ripartire le imprese cooperative, dopo la drammatica parentesi del ventennio e la tragedia della Seconda Guerra Mondiale.

Sarà lo stesso Menzani a presentare la propria ricerca al pubblico, mentre lo scrittore e attore Roberto Mercadini avrà il compito di contestualizzare con il suo intervento come la cooperazione abbia rappresentato un pilastro fondamentale per la ricostruzione sociale ed economica della Romagna.

I lavori si apriranno alle 9, presieduti da Romina Maresi, vicepresidente vicaria di Legacoop Romagna.  Interverranno quindi Simone Gamberini, presidente di Legacoop Nazionale, e Paolo Lucchi, presidente di Legacoop Romagna.

La giornata si concluderà con un momento simbolico: la consegna ufficiale delle prime copie del libro ai Sindaci dei Comuni della Romagna.

SINOSSI DEL LIBRO

«Quarantacinque» non è solo un anno: è un simbolo. Rimanda alla Liberazione dal nazifascismo, alla rinascita democratica dell’Italia e alla rifioritura del movimento cooperativo. A ottant’anni da quelle vicende, si è scelto di indagare un periodo storico fondamentale per le organizzazioni mutualistiche. Infatti, «Quarantacinque» è anche un articolo della Costituzione, scritta e approvata nel secondo dopoguerra, che riconosce la cooperazione quale pilastro della vita economica e sociale del paese. Lo Stato si dava il compito di promuovere questa forma di impresa, foriera di utilità civile.

In questo libro, si ricostruisce la rinascita della Lega delle cooperative in Romagna nei difficili anni immediatamente successivi alla fine del fascismo.

Attraverso fonti d’archivio, in buona parte inedite, si racconta come le comunità locali, con sacrifici e con sincero entusiasmo, ridettero slancio al movimento dopo le devastazioni della dittatura e del conflitto. Ne emerge un affresco corale, fatto di uomini e di donne, di scelte valoriali e di impegno sociale, che fa luce su una pagina importante della storia romagnola, ma anche sulle rinnovate radici di un modello economico che oggi è solido e quanto mai attuale. La ricerca analizza le origini di Legacoop Romagna, restituendone il ruolo nella costruzione della democrazia, delle istituzioni repubblicane e di un’economia più florida ed equa nelle allora province di Ravenna e di Forlì. Un robusto corredo fotografico di immagini d’epoca impreziosisce il volume.

Calcio nel mirino, antimafia: criminalità organizzata dietro affari e stadi importanti

di Redazione GRS


Allarme dell’Antimafia – “La criminalità organizzata nel calcio è ovunque, anche nei grandi club”, lo ha detto il sostituto procuratore nazionale Antonio Ardituro. Tra le società di calcio e la tifoseria organizzata esiste un rapporto che molto spesso diventa malato, nel mirino stadi importanti intorno a cui girano grandi affari.

“C’è un tema complesso che interessa la serie A e la serie B di calcio, e che oggi rappresenta un grande problema per cui il mio ufficio segue queste vicende, quello delle infiltrazioni delle organizzazioni criminali camorristiche nelle tifoserie organizzate e del rapporto tra le tifoserie organizzate e le società, perché è un doppio livello che bisogna intercettare, che bisogna identificare e che rappresenta veramente il cuore del problema”. Lo ha detto Antonio Ardituro, sostituto procuratore nazionale presso la Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo, intervenuto a Roma all’Università Lumsa in occasione del seminario ‘Le mafie nello sport. Lo sport contro le mafie’ organizzato dalla cattedra di Diritto processuale penale per riflettere appunto sulle mafie nello sport e sul ruolo dello sport contro le mafie.

“Abbiamo esempi clamorosi- ha spiegato- perché se io vi parlo di Juventus, di Inter, di Milan, di Roma, di Lazio, di Napoli, vi sto parlando del calcio che ci piace quello che vediamo alla domenica sportiva. E’ proprio questo nostro calcio, però, ci ha presentato le infiltrazioni di ‘ndrangheta nelle tifoserie organizzate della Juventus; un processo di appena un anno fa, ha individuato infiltrazioni radicate ai livelli più alti della tifoseria organizzata del Milan e dell’Inter, che sono sfociate in regolamenti di conti con omicidi; le vicende di Diabolik della Lazio. Fenomeni che in passato hanno interessato anche la tifoseria organizzata del Napoli, di cui mi sono occupato direttamente. Potremmo dire che tutto questo non c’entra con il calcio e le società, purtroppo non è così perché c’è un rapporto tra le società di calcio e la tifoseria organizzata che molto spesso diventa malato e che consente – in questo c’entrano le società e anche le istituzioni sportive, i regolamenti, le norme che noi utilizziamo – di considerare le curve come un luogo extraterritoriale, dove non c’è la giurisdizione e non c’è il controllo da parte delle organizzazioni dello Stato, sportive, del calcio, delle società”.

Davanti a questa situazione, “in curva tutto può accadere- ha detto ancora il sostituto procuratore nazionale – le organizzazioni criminali possono controllare fenomeni grossi, perché parliamo di stadi importanti intorno a cui girano affari: le aree parcheggio, la gestione degli steward, la concessione dei biglietti e degli abbonamenti ai gruppi organizzati, cioè si crea un filo tra società e tifoserie organizzate che però non sono fatte di tifosi appassionati che cantano i cori e portano le bandiere, ma sono organizzazioni criminali che hanno delle infiltrazioni di carattere mafioso”.

Non solo le infiltrazioni mafiose, nelle curve d’Italia c’è sempre piu’ eversione. “Vi do un altro input di riflessione- ha spiegato- che attiene non al tema delle mafie, ma delle organizzazioni criminali di matrice eversiva o terroristica, perché noi registriamo sempre più spesso che molte curve sono il luogo della crescita, del proliferare del proselitismo, dell’utilizzazione di alcuni pezzi dei gruppi ultrà per far crescere soprattutto ideologie suprematiste che legano le curve e i movimenti ultrà italiani a movimenti ultrà sovranazionali. La stragrande maggioranza delle curve si esprimono con simbolismi neofascisti e neonazisti, è facilissimo vedere riferimenti alle svastiche”.

“Che cosa possono fare le società? Io credo- ha risposto- che ci siano delle cose che possono fare di più le società, delle cose che possono fare di più le istituzioni sportive, delle cose che possono fare di più le istituzioni nazionali. Le società innanzitutto devono dotarsi di meccanismi organizzativi che tengano lontani i tifosi ultrà dal rapporto con le società, con i calciatori, eccetera. È una cosa che si può fare. Per esempio, il meccanismo per cui si riservano abbonamenti ai gruppi ultrà fuori dai meccanismi di vendita ordinaria, oppure per cui si riservano un tot di biglietti per la finale di Champions a determinate categorie di soggetti che fanno parte della curva, eccetera, eccetera, è un meccanismo criminogeno che aiuta un rapporto distorto tra queste organizzazioni e la società. Oppure meccanismi, come nell’indagine sull’Inter, dove se i biglietti non vengono dati, il capo ultrà alza il telefono, perché ne ha il numero, e chiama l’allenatore dell’Inter per chiedergli di intercedere con la società”.

“È un meccanismo che non va bene, non si crea quel muro, quella barriera di distanza che ci deve essere tra la società. Se tu fai l’abbonamento in curva e il posto che ti hanno assegnato è quello dove stanno i gruppi organizzati degli ultrà, tu la non ti puoi sedere. Questa roba qui nel codice penale, si chiama articolo 610: violenza privata. Io ho il biglietto, questo è il mio posto e non mi posso sedere perché tu mi dici che mi devo allontanare in un’altra parte della curva perché questo è il posto dove stanno gli ultrà. Come vedete c’è da fare molto, non è facile perché poi ci sono le reazioni, ma le società possono fare di più, le istituzioni sportive possono fare molto di più perché i regolamenti, perché le sanzioni quando accadono delle cose devono essere effettive e non devono essere perdoniste. Il calcio non deve essere trattato dalle istituzioni nazionali solo come un problema di ordine pubblico. Noi siamo abituati a trattare lo stadio e l’evento sportivo solo come un problema di ordine pubblico, perché se io tratto l’evento sportivo come un problema di ordine pubblico e non come un problema innanzitutto di legalità, sono due cose diverse la legalità e l’ordine pubblico, affronto la questione soltanto con un obiettivo che non accadano scontri, che non accadano problemi, ma se per non far accadere problemi devo cedere la sovranità dello Stato ai gruppi ultrà sto facendo crescere la cultura del gruppo ultrà che controlla la curva, il territorio e che naturalmente se controlla un luogo così importante diventa obiettivo delle organizzazioni criminali che hanno interesse a mettere i loro avamposti in tutti questi punti”.

“Molti dei ragionamenti che io ho fatto sui gruppi ultrà e sulle infiltrazioni nel calcio, soprattutto quelli, per esempio, collegati ai movimenti più estremisti, oggi iniziamo a rivederli nel basket- ha concluso Ardituro- un altro sport che ormai ha una sua tradizione in Italia, ha una sua diffusione, un suo radicamento. Anche nel basket il tempo, purtroppo già lo so, ci porterà su situazioni analoghe a quelle del calcio”.

Giornata della disabilità: a Roma presentato il nuovo Piano d’azione nazionale

di Redazione GRS


Tappa fondamentale – A Roma la presentazione del nuovo Piano d’azione nazionale per la promozione dei diritti delle persone con disabilità, con il coinvolgimento di associazioni attive sui temi dello sport e del lavoro, nell’ambito della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità che si celebra oggi.

Frutto di oltre un anno di lavoro da parte dei gruppi tematici dell’Osservatorio, il Piano è stato elaborato grazie al contributo di figure di comprovata esperienza nel settore. Tra i coordinatori dei gruppi di lavoro figurano Paolo Bandiera, direttore Affari generali di AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla); Angelo Cerracchio, dirigente medico e coordinatore dell’area riabilitativa dell’ASL Napoli 1; Raffaele Ciambrone, dirigente del Ministero dell’Istruzione e del Merito, esperto di inclusione scolastica; e Domenico Sabia, funzionario del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con lunga esperienza nelle politiche di integrazione lavorativa. Il coordinamento complessivo dei lavori è stato affidato al professor Serafino Corti, docente universitario ed esperto di politiche sociali, nonché coordinatore del Comitato tecnico scientifico dell’Osservatorio.

La Ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, ha evidenziato il ruolo centrale svolto dalle federazioni FISH e FAND, espressione del movimento delle persone con disabilità, che hanno contribuito attivamente alla redazione del documento. Il Piano si presenta dunque come il risultato di un dialogo strutturato tra istituzioni e rappresentanza delle persone con disabilità.

Il documento si articola in 66 linee d’azione suddivise in sette ambiti strategici: accessibilità universale; progetto di vita; benessere e salute; sicurezza inclusiva e cooperazione internazionale; inclusione lavorativa; sistemi di monitoraggio; istruzione, università e formazione. Questi interventi non si limitano a dichiarazioni di principio, ma rappresentano linee guida operative che dovranno orientare le politiche pubbliche nei prossimi anni.

Tra i temi trasversali spiccano l’accessibilità intesa in senso ampio – non solo architettonica, ma anche digitale, informativa e comunicativa – e il progetto di vita personalizzato, quale cardine per una presa in carico integrata e individualizzata, in linea con le più recenti normative sul budget di progetto. Il benessere è declinato come accesso equo alle cure, ai servizi di salute mentale e alla medicina di prossimità. Particolare attenzione viene dedicata anche alla protezione delle persone con disabilità in contesti di emergenza e alla partecipazione dell’Italia nei programmi internazionali.

L’inclusione lavorativa è riconosciuta come strumento essenziale per l’autonomia economica e sociale, con misure orientate sia al settore pubblico che a quello privato. L’ambito dell’istruzione, dell’università e della formazione guarda invece alla piena inclusione scolastica e all’accesso agli studi superiori. Centrale è anche il tema del monitoraggio, per garantire che le azioni intraprese siano misurabili e verificabili.

Tra le azioni simbolicamente più forti vi è l’introduzione di una linea di finanziamento dedicata al contrasto della violenza contro le donne con disabilità, un segnale politico importante che riconosce l’intreccio tra genere e disabilità come questione prioritaria di diritti umani.
ECONOMIA

Minaccia di prescrizione –  Lunedì si è volta l’udienza nell’ambito del processo d’appello bis sulla tragedia dell’hotel Rigopiano. Il servizio di Federica Bartoloni

Davanti alla sempre più concreta minaccia di prescrizione, si è svolta il 1 dicembre l’udienza nell’ambito del processo d’appello bis sulla tragedia dell’hotel Rigopiano di Farindola che, il 18 gennaio del 2017, fu travolto da una valanga che causò la morte di 29 persone tra ospiti e dipendenti della struttura. La difesa ha chiesto la piena assoluzione per i tre dirigenti regionali accusati di gravi omissioni e carenze nell’esercizio del loro ruolo ai tempi dei fatti. Le associazioni dei familiari delle vittime urlano nuovamente il loro sdegno davanti al tentativo di ribaltamento della sentenza di Cassazione dello scorso anno che aveva stabilito l’esistenza di responsabilità di fronte ad un disastro concretamente valutato prevedibile e, di conseguenza, evitabile.

ActionAid denuncia sprechi nei CPR in Albania: esposto alla Corte dei Conti

di Redazione GRS


Costi inaccettabili – ActionAid ha depositato alla Corte dei Conti un esposto di 60 pagine per denunciare lo spreco di risorse per la costruzione dei CPR in Albania. Secondo l’associazione si tratta di una distorsione nell’uso di soldi pubblici ancora più grave, vista l’illegittimità di questa operazione.

La realizzazione dei centri in Albania è partita con 39,2 milioni di euro stanziati dalla legge di ratifica del Protocollo. Appena dieci giorni dopo, con il “Decreto PNRR 2”, la competenza è passata dal Ministero dell’Interno e della Giustizia alla Difesa e le risorse sono state aumentate fino a 65 milioni. Da allora a fine marzo 2025, ActionAid è a fornire dati inediti grazie a richieste di accesso civico: la Difesa ha bandito gare per 82 milioni, firmato contratti per oltre 74 milioni – quasi tutti tramite affidamenti diretti – ed erogato più di 61 milioni per gli allestimenti. “Soldi pubblici sottratti alla salute, alla giustizia e a welfare e servizi – spiega l’avvocato Antonello Ciervo che ha coordinato il team legale di ActionAid composto da Giulia Crescini, Gennaro Santoro e Francesco Romeo -, ma anche a fondi per la gestione di emergenze. Una distorsione nell’uso di risorse pubbliche ancora più grave, vista l’illegittimità del modello dei centri albanesi”.
A seguito degli stop arrivati dalla magistratura nazionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il Governo ha reagito cercando di piegare la normativa per adattarla al protocollo Italia-Albania. Nonostante ciò, i centri sono ancora ben lontani dall’essere pienamente funzionanti (a marzo 2025 era stato attivato solo il 39% dei posti da capienza ufficiale), e costano molto più di quanto si spenda per strutture analoghe sul territorio nazionale. A Gjader gestire un posto, per soli due mesi e con il centro semideserto, costa circa 1500€; praticamente quanto si spende per l’intero 2024 a Modica, modello per la prima fase dell’esperimento albanese che prevedeva il trattenimento di soli richiedenti asilo, soccorsi in mare, provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri”.
Il trattenimento dei richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri sperimentato in Sicilia offriva già un campanello d’allarme: nel 2023 a Modica nessuna convalida per i trattenuti, nessun rimpatrio; nel 2024, tra Modica e Porto Empedocle, 5 rimpatri su 166 persone transitate (circa il 3%). Il governo ha fatto ricorso alla decreti-legge in urgenza per aggirare gli ostacoli posti dal diritto. “L’ostinazione nel tenere in vita un progetto inumano, inefficace e giuridicamente inconsistente, attraverso nuovi stanziamenti per gli allestimenti, spostamenti di competenze e continui cambi di regole, – afferma Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid – ha generato una perdita per l’erario che non può essere archiviata come mero errore tecnico”.
A marzo 2025 inizia una nuova fase: trasferimenti in Albania di persone già trattenute in un CPR italiano. Nella pratica persone straniere portate all’estero e poi riportate in Italia, in ogni caso. Il risultato è un aumento forte della spesa pubblica. A fine 2024 il prezzo giornaliero per detenuto del Cpr di Gjader è quasi tre volte quello di un Cpr su suolo italiano. Nel mentre il 20% dei posti effettivamente disponibili nei Cpr italiani non erano occupati. Anche l’analisi delle spese accessorie (missioni, logistica, facchinaggi, etc) mostra che questo “passaggio aggiuntivo” della detenzione off‑shore contribuisce solo a bruciare denaro pubblico.
Nel dettaglio, la Difesa, oltre agli allestimenti iniziali dei centri, ha speso oltre 2,6 milioni per un intervento di manutenzione e forniture per la nave Libra – inizialmente usata nei trasferimenti e poi ceduta a Tirana -, ma soprattutto per viaggi e indennità di missione per Carabinieri e militari della Marina. Il Ministero dell’Interno ha speso 630mila euro tra trasferimenti e acquisti di tecnologie per il controllo. Una somma esorbitante riguarda il vitto e l’alloggio delle forze dell’ordine: se nel 2024 per il Cpr di Macomer (NU) è costato € 5.884,80 al giorno, in Albania, per 120 ore di concreta operatività tra ottobre e dicembre, si è speso quasi 18 volte in più, € 105.616 al giorno. Oltre 28 volte l’ammontare di un giorno a Palazzo San Gervasio (PZ). Il Ministero della Giustizia ha stipulato contratti per quasi 2 milioni ed effettuato pagamenti (a maggio 2025) per € 1,2 mln per il penitenziario di Gjader, mai utilizzato e consegnato al 70%. Il Ministero della Salute ha autorizzato spese per quasi 4,8 milioni e speso già 1,2 milioni. Ciononostante, gli uffici dell’Usmaf Albania, ufficio sanitario di frontiera appositamente creato, sono deserti dal marzo 2025, e la “commissione vulnerabilità” si riunisce esclusivamente “da remoto”, solo in caso di “evidenze oggettive (referti e consulenze mediche specialistiche)” da parte del medico dell’ente gestore. La sanità pubblica non garantisce, nei fatti, il diritto alla salute. La richiesta di un controllo alla Corte dei Conti e ad ANAC diventa quindi cruciale nel caso di persone formalmente in custodia dello Stato, ma concretamente in mano a società private e cooperative.