29 agosto – Continua in questi giorni la campagna #NoProfitNoIva, che Corriere della Sera e Tg La7 hanno lanciato nei giorni scorsi dopo il caso di Cavezzo, e lo scandalo dell’Iva pagata sulla ricostruzione della scuola distrutta dal terremoto. Tante le organizzazioni che hanno aderito alla campagna sul web, con l’obiettivo di chiedere una detassazione dell’Iva e facilitazioni fiscali per le organizzazioni non profit. No alla tassa sulla solidarietà quando i soldi servono al finanziamento di un’opera pubblica di utilità collettiva, un bene comune.
Con il lavoro non si scherza: gli spot inediti creati da diciottenni
Affrontare il tema del lavoro in tutte le sue sfaccettature con le nuove generazioni. Era l’obiettivo del progetto “Lavoro, fadiga, work…”, che nello scorso anno scolastico ha coinvolto gli studenti di varie scuole della provincia di Pesaro-Urbino (dalle primarie alle superiori) attraverso un percorso teorico-pratico che desse luogo, tra l’altro, a contributi video originali e innovativi. Uno dei prodotti migliori di questa esperienza sono stati cinque spot su lavoro, legalità, diritti e sicurezza, ideati e realizzati dal liceo artistico “Scuola del libro” di Urbino, istituto d’eccellenza e fucina di alcuni tra i più grandi autori al mondo di cinema di animazione (tra tutti Roberto Catani, Simone Massi, Gianluigi Toccafondo), e sede tra l’altro del Centro territoriale permanente per la formazione e l’istruzione degli adulti.
I video, ideati sullo stile delle campagne di “Pubblicità progresso” e finora praticamente inediti, si riferiscono con crudezza o ironia amara ai temi della disoccupazione, della sicurezza sul lavoro, della precarietà: il lavoro vissuto come una lotteria, in cui troppo spesso si pesca il biglietto perdente (mobbing, maternità…); la situazione occupazionale futura come instabile e a rischio, simboleggiata da una trottola che senza la giusta spinta finirà inevitabilmente per arenarsi; uomini e donne immobili distesi su un lenzuolo testimoniano muti il dramma delle morti bianche; una busta paga bruciata in un piatto vuoto; infine una mano in guanti da lavoro schiacciata inesorabilmente, per ricordare che il lavoro può uccidere e che non si può tollerarlo.
Il progetto è stato portato avanti da dieci scuole aventi come capofila l’istituto comprensivo “Faà di Bruno” di Fano-Marotta, ed è stato coordinato dal regista Daniele Segre. Partner del progetto sono stati l’Inail e i ministeri del Lavoro e dell’Istruzione.
Guarda gli spot creati dai ragazzi
ALLARME USURA AL SUD
27 agosto – A lanciare il grido di allarme è l’Associazione Artigiani Piccole Imprese di Mestre che recentemente ha manifestato grande preoccupazione per la Campania, Calabria e Abruzzo. Negli ultimi due anni la situazione è peggiorata soprattutto in virtù del fatto che le banche hanno erogato a famiglie e imprese 100 miliardi di euro in meno in concomitanza con l’aumento della disoccupazione.
La situazione più critica si presenta in Campania: l’indice del rischio usura è pari a 164,3 (pari al 64,3% in più della media Italia), in Calabria a 146,6 (46,6% in più rispetto alla media nazionale), in Abruzzo si ferma a 144,6 (44,6% in più della media Italia). Seguono la Puglia a 139,4 (39,4% in più della media nazionale) e la Sicilia il livello raggiunge quota 136,2 (36,2% in più della media Italia). Mentre la realtà meno “esposta” a questo fenomeno è il Trentino Alto Adige, con un indice del rischio usura pari a 51,8 (48,2 punti in meno della media nazionale).
TEMPO DI SALDI ANCHE NELLA P.A.
Dal primo settembre avranno attuazione i tagli ai distacchi e permessi sindacali indetti dal Ministro per la Semplificazione e Pubblica Amministrazione Marianna Madia. Entro una settimana le prerogative sindacali verranno dimezzate, grazie ai tagli del 50% su distacchi e permessi.
La motivazione – come afferma afferma il sito del ministero – risiede nella razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica. Sempre dalla pagina del sito si legge che l’operazione avverrà nel pieno rispetto «del contratto collettivo nazionale quadro sulle prerogative sindacali, nonché delle altre disposizioni di tutela».
Nella circolare del ministero, giunta due giorni dopo la pubblicazione della legge in Gazzetta Ufficiale, stabilisce inoltre che “la decurtazione del 50 per cento non trova applicazione qualora l’associazione sindacale sia titolare di un solo distacco”. Vi è poi un’ulteriore eccezione riguardante il personale sia direttivo e dirigente che non delle Forze di polizia ad ordinamento civile e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco dove “in sostituzione della riduzione del 50% si prevede che alle riunioni sindacali indette dall’amministrazione possa partecipare un solo rappresentante per associazione sindacale”.
Dura la reazione dal mondo sindacale, che, pur accettando le scelte normative, non potrà fare altro che rispettarne l’applicazione.
IL DECRETO ART-BONUS SU TURISMO E ACCESSIBILITA’
7 agosto – Il decreto Art-bonus guarda lontano.
Il fatturato di un’impresa turistico – culturale può aumentare dal 18,3% al 19.7% se si punta sul mercato del Turismo e della Cultura accessibili. È quanto dimostrano diversi studi effettuati dalla Commissione Europea.
Di conseguenza, rendere accogliente a tutti la ricettività del Turismo e della Cultura è sì una responsabilità sociale, ma anche un valido strumento per promuovere la competitività dei servizi turistici (alberghi, B&B, ristoranti, pub, discoteche ecc.) e dei luoghi d’interesse artistico, storico e culturale (chiese, musei, pinacoteche, parchi archeologici, parchi ambientali ecc.).
«Siamo lieti di constatare – afferma la Presidente della onlus Diritti Diretti, la giornalista Simona Petaccia – che, al fine di migliorare la qualità dell’offerta ricettiva e accrescere la competitività delle destinazioni turistiche, il nuovo Decreto Art-Bonus miri a incentivare questo tipo di imprenditorialità riservando misure urgenti a supporto dell’accessibilità nel settore culturale e turistico attraverso: un credito d’imposta del 30% delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia ed eliminazione delle barriere architettoniche; un credito d’imposta del 30% dei costi sostenuti per la progettazione, la realizzazione e la promozione digitale di proposte di offerta innovativa in tema di inclusione e di ospitalità per persone con disabilità».
POVERO SUD SENZA NIDI D’INFANZIA
5 agosto – Il dibattito sui Pac, con il primo riparto dei fondi per l’infanzia e le nuove strategie per i prossimi 500 milioni di euro, si inquadra in un contesto di divario estremo tra Sud e Nord per quanto riguarda i servizi per l’infanzia.
Sud più povero del Nord. A far emergere il divario, questa volta non relativo al Pil o al benessere economico, è la fotografia scattata dall’Istat sulla disponibilità di servizi alla prima infanzia e, in particolare, di asili nido. Secondo l’istituto nazionale di statistica, infatti, nel corso dell’anno scolastico 2012/2013 i bambini tra i 0 e 2 anni che hanno frequentato asili comunali o finanziati dai Comuni sono soltanto il 3,6% nelle regioni meridionali. Un dato che cozza inesorabilmente con il 17,5% del Centro Italia. Ma non basta. Le disparità territoriali riguardano anche la percentuale dei Comuni che garantisce questo servizio: solo il 22,5% al Sud, il 76,3% al Nord-Est.
Risultati che fanno riflettere, se si pensa che l’offerta di asili nido da parte dei comuni italiani – sotto forma di strutture o di trasferimenti alle famiglie per l’utilizzo di servizi privati – è passata dal 32,8% del 2003/04 al 50,7% del 2012/13 e che fra il 2004 e il 2012, al netto della compartecipazione pagata dalle famiglie, si è registrato un incremento del 48% della spesa corrente per gli asili nido (pari, nel 2012, a circa 1 miliardo e 559 milioni di euro).
Lo studio Istat conferma dunque la carenza di strutture nelle regioni meridionali e delinea un quadro molto difficile per il nostro Mezzogiorno, con un incremento della distanza tra le regioni in cui il sistema di servizi per la prima infanzia è più consolidato e quelle in cui l’offerta pubblica è tradizionalmente più carente.Nella distribuzione regionale dell’indicatore di presa in carico degli utenti per l’anno 2012/2013, ai due estremi vi sono la Calabria, con il 2,1% (in calo dal 2,5% dell’anno precedente) e l’Emilia-Romagna, con il 27,3% (in lieve aumento dal 27,2% dell’anno precedente).
Eppure 2011 e 2012 sono stati anni non felici per gli asili nido. Per la prima volta dal 2004 è diminuito il numero di bambini che frequenta asili comunali (-0,04% nel 2011, -1,4% nel 2012), con 2600 iscrizioni in meno a cui vanno ad aggiungersi minori contributi dei Comuni alle strutture private e alle famiglie (circa 300 bambini in meno).
Nell’anno scolastico 2012/13 sono stati 152.849 i bambini di età tra 0 e 2 anni iscritti agli asili nido comunali; altri 45.856 usufruiscono di asili nido privati convenzionati o con contributi da parte dei Comuni. Ammontano così a 198.705 i bambini che beneficiano dell’offerta pubblica complessiva. Sommando quelli degli asili nido e dei “servizi integrativi”, sono in totale 218.412 i minori che si avvalgono di un servizio socio-educativo pubblico o finanziato dai Comuni, il 4,8% in meno rispetto all’anno scolastico precedente.
Il calo è più accentuato per i servizi integrativi per la prima infanzia(oltre 8mila bambini in meno rispetto al 2011/12), più contenuta la diminuzione dei bambini degli asili nido (circa 2900 in meno).
Sud, in arrivo 500 milioni
4 agosto – Esaurito il primo riparto dei Piani di azione e coesione (Pac) da 250 milioni, voluti dal ministro Barca durante il Governo Monti, circa 77 milioni di euro sono stati assegnati a 86 ambiti/distretti delle quattro regioni obiettivo convergenza per i servizi di cura all’infanzia e agli anziani non autosufficienti: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Lo scorso 31 luglio sono stati illustrati i dati al Viminale dall’autorità di gestione prefetto Silvana Riccio in una riunione del Comitato di indirizzo strategico (Cis). “L’organismo, di indirizzo e controllo dell’attuazione del Programma, – spiega il ministero dell’Interno – è chiamato a compiere una riflessione strategica di orientamento sulle attività del Programma, anche in ordine al secondo riparto che ammonterà a circa 500 milioni di euro”.
Nel corso della riunione sono state concordate modalità operative di collaborazione, anche con le quattro regioni interessate, “per far sì che gli altri progetti presentati dagli ambiti possano essere velocemente approvati e finanziati e consentire l’erogazione dei servizi di nido e assistenza domiciliare agli anziani”. Tutti i componenti del Cis fa sapere il ministero dell’Interno, hanno “condiviso la necessità di procedere, nel secondo riparto, a una semplificazione delle procedure e delle informazioni per attenuare e riequilibrare le differenze tra gli analoghi servizi erogati dalle altre regioni e conseguire così l’obiettivo prioritario del Programma. Si procederà, pertanto, a una ‘prototipazione’ degli interventi da progettare, per cercare modalità di sostegno della domanda, soprattutto per l’infanzia e in favore delle categorie particolarmente disagiate”.
Alla riunione, presieduta dall’autorità di gestione, hanno preso parte, oltre ai rappresentanti delle quattro regioni interessate, il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Uval, il dipartimento delle Politiche della Famiglia, l’Anci, Confindustria, Confcommercio, Confcooperative, le organizzazioni sindacali, il Forum del Terzo Settore.
(aggiornato 4 agosto)
CRISI, LE AZIENDE NON PAGANO: BOOM DEL RECUPERO CREDITI
Recupero crediti e stipendi non pagati: la crisi la pagano ancora i lavoratori. Dallo studio sui dati dell’Ufficio vertenze del lavoro della Cgil di Milano emergono i numeri di questa situazione. Nel primo semestre del 2014 sono state aperte 670 pratiche per il recupero credito: sono la voce più importante delle 2.394 vertenze partite tra gennaio e giugno. Il dato 2013 era di 1.817 casi di recupero credito su un totale di 5.239 vertenze. Il record storico registrato dallo sportello della Camera del Lavoro è stato nel 2010: 2.289 casi di recupero crediti su un totale di 5.838 vertenze. “I lavoratori sono diventati una forma di ammortizzatore sociale non riconosciuta”, commenta Graziano Gorla, segretario della Camera del Lavoro di Milano.
Nella categoria rientrano i licenziati che non hanno ottenuto il Tfr, quelli a cui non sono state versate della mensilità, lavoratori a cui l’azienda deve versare degli arretrati, ma ne paga solo una parte. A queste si aggiunge anche una categoria che è molto più difficile da tracciare. Sono sempre più numerose, infatti, le aziende con meno di 15 dipendenti che non licenziano ma non pagano gli stipendi. “Molti hanno paura a rivolgersi a noi perché non vogliono perdere il posto di lavoro”, aggiunge Gorla.
Per il sindacato, dall’introduzione della Legge Fornero con la possibilità di licenziare più facilmente anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti, la difesa del lavoratore è diventata sempre più difficile. Secondo Marco Locati, responsabile dell’Ufficio vertenze, “il legislatore di tutti i colori politici in questi anni si è accanito per deregolamentare il mercato del lavoro”. E ci ha rimesso anche il diritto del lavoro, sulla base di due falsi miti: la necessità di ridurre le lungaggini burocratiche dei processi e una maggiore richiesta di flessibilità come antidoto alla crisi. “Il Tribunale di Milano è sempre stato virtuoso: al massimo in un anno si arrivava a primo grado. Non era necessario cambiare il sistema”, spiega Locati. Falso anche il mito della flessibilità: “Più di così non è possibile e comunque non siamo ancora fuori dalla crisi”, continua.
(Fonte: Redattore Sociale)
Altra selva burocratica tutta la normativa per il recupero crediti nel caso di aziende che hanno avuto un appalto, normata dai decreti datati 22 maggio 2012. “È molto complesso risalire la filiera e chiedere conto alle stazioni appaltanti”, è il commento di Cgil. E quando a dare l’appalto è un’ente pubblico “il credito del lavoratore è perso e l’unico modo per ottenere almeno qualcosa è rivolgersi al Fondo di garanzia del’Inps”, aggiunge Locati.
A due velocità
Il divario del Pil pro capite tra Nord e Sud è tornato ai livelli di dieci anni fa. Nel Mezzogiorno, dall’inizio della crisi i consumi delle famiglie sono diminuiti del 13% e gli investimenti nell’industria sono calati addirittura di 53 punti. Come uscirne? Lo abbiamo chiesto al direttore di Svimez, Riccardo Padovani.