Prima Giornata della Memoria delle vittime dell’immigrazione. Il 3 ottobre di tre anni fa, 368 persone morirono annegate al largo di Lampedusa. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Una speranza disattesa: quella dell’ottobre 2013 doveva essere l’ultima strage nel Mediterraneo, invece dopo i circa 370 migranti morti mentre tentavano di raggiungere l’Italia, le vittime sono aumentate. Secondo l’Unicef, quasi 11.500 persone fino ad oggi. Il mondo associativo continua a chiedere la costruzione di corridoi umanitari per mettere in sicurezza i migranti e la fine dell’innalzamento di muri in Europa che violano i diritti umani. In occasione del terzo anniversario di quel tragico tre ottobre, sono tante le iniziative nel nostro Paese che celebrano il ricordo del naufragio e chiedono giustizia. Tra le altre, si conclude oggi quella a Lampedusa organizzata insieme al Comitato 3 ottobre all’insegna dello slogan: proteggere le persone, non i confini.
Infanzia sotto assedio
“I bambini di Aleppo sono intrappolati in un incubo”: è l’allarme lanciato dall’Unicef secondo cui da venerdì scorso, sono stati uccisi almeno 96 minori e 230 sono stati feriti. Il sistema sanitario è al collasso e ieri si è registrato il bombardamento di due ospedali, costato la vita a sei persone.
Sono 250.000 i civili assediati nel settore orientale di Aleppo, dove dalla scorsa settimana gli intensi bombardamenti da parte delle forze governative hanno ucciso circa 400 persone e ferito altre 1700.
Nella stessa zona sono rimasti sul campo soltanto 30 medici: secondo l’Unicef i bambini con poche possibilità di sopravvivenza vengono spesso lasciati morire perché le scorte sono poche e limitate.
Per l’organizzazione umanitaria “Niente può giustificare un tale violenza sui bambini e una tale non curanza del valore della vita umana. La sofferenza, e il suo impatto sui bambini, è sicuramente la cosa peggiore che abbiamo visto”.
A secco
Lo Yemen, dilaniato dai bombardamenti sauditi e le offensive dei ribelli si trova a dover affrontare una grave emergenza idrica. Secondo la Banca Mondiale, il 70% della popolazione non ha accesso ad acqua potabile sicura: milioni di persone sono sull’orlo della carestia.
Un tempo lo Yemen, uno dei paesi più aridi sulla terra, era noto per le sue sofisticate tecniche di conservazione dell’acqua. Oggi le riserve sono stanno finendo: in nessun altro paese del mondo il tasso di esaurimento delle falde acquifere procede così rapidamente.
La carenza di acqua e di cibo, è aggravata dalla distruzione delle infrastrutture da vari gruppi in conflitto e il blocco imposto dalla coalizione saudita.
Corsa alla terra
Aumentano nel mondo i casi di compravendita forzata di milioni di ettari di foreste, coste e terreni coltivati. La maggior parte avviene nei Paesi poveri e senza tenere conto dei diritti delle comunità che vi risiedono. La denuncia di Giorgia Ceccarelli della ong Oxfam, che ha realizzato il rapporto sul land grabbing. (sonoro)
In ginocchio
Quasi due milioni di persone ad Aleppo sono di nuovo senza acqua corrente, dopo che una stazione di pompaggio è stata danneggiata dagli attacchi e un’altra è stata disattivata. La denuncia arriva da Unicef, che fa sapere che aumenterà il trasporto idrico di emergenza in tutta la città, ma anche che questa soluzione non è sostenibile nel lungo periodo.
“Privare i bambini dell’ acqua li mette a rischio di terribili epidemie di malattie trasmesse dall’acqua e si aggiunge alla sofferenza, alla paura e all’orrore che i bambini di Aleppo vivono a ogni giorno”, si legge nella nota di Unicef. “Nella parte orientale di Aleppo, la popolazione dovrà ricorrere ad acqua di pozzo altamente contaminata. Nella parte occidentale, i già esistenti pozzi d’acqua profondi saranno una fonte d’acqua alternativa sicura”. “Per la sopravvivenza dei bambini è fondamentale che tutte le parti in conflitto fermino gli attacchi contro le infrastrutture idriche, diano accesso per valutare e riparare i danni alla stazione di Bab-al- Nayrab, e facciano di nuovo passare l’acqua alla stazione di Suleiman al-Halabi”.
Foto: Huffington Post
Corpi europei di solidarietà
Oltre centomila giovani, entro il 2020, potranno scegliere tra progetti sociali in associazioni o in imprese. Le novità nel servizio di Fabio Piccolino.
Centomila giovani entro il 2020: è il piano per i “Corpi Europei di solidarietà”, annunciati dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker nei giorni scorsi. Ragazzi sotto i trent’anni con qualsiasi curriculum e situazione scolastica o lavorativa in corso, pronti a dare una mano in ong, associazioni, imprese sociali o enti locali nel loro paese o all’estero, per una durata che va dai due ai dodici mesi. Un’esperienza importante che metterà i giovani europei di fronte a situazioni complesse, come la tutela dei minori o la salvaguardia dell’ambiente, l’accoglienza dei rifugiati o l’inclusione sociale. A breve verrà creato un sito web dedicato a chi intende misurarsi con questa nuova avventura.
Frontiera Europa
A Calais, dove è iniziata la costruzione del muro finanziato dalla Gran Bretagna, la situazione peggiora a vista d’occhio. A denunciarlo diverse ong e associazioni in visita nella cittadina francese. Il commento di Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes. (sonoro)
Foto: La Stampa
Fine di un tabù
Il Parlamento di San Marino ha approvato alcune istanze per la depenalizzazione dell’aborto. Si tratta del primo passo per la modifica della normativa che punisce con il carcere l’interruzione di gravidanza, che in Europa non è consentita solo in Lussemburgo, Irlanda, Malta e Città del Vaticano.
Sono state accolte tre delle cinque proposte presentate: quella relativa alla depenalizzazione dell’aborto in caso di gravi rischi di salute per la donna, quella per le donne vittima di violenza sessuale e in caso di rischi di gravi patologie e malformazioni per il feto. Non sono state approvate le istanze sulle minorenni e sulle donne che si trovano in condizioni di emarginazione e disagio sociale.
Stop agli aiuti
Le Nazioni Unite hanno annunciato la sospensione del trasporto di cibo e medicine in Siria dopo che un attacco aereo ha colpito un convoglio causando venti vittime. Per i Caschi Bianchi, volontari nella zona di guerra dove da ieri si è ufficialmente conclusa la breve tregua, chi pagherà il prezzo della scelta dell’Onu saranno i civili.
“Al momento non abbiamo una visione completa di quello che è successo, ma abbiamo preso la decisione di sospendere tutte le operazioni umanitarie dei convogli sul terreno”, ha spiegato un portavoce dell’Ufficio di coordinamento degli affari umanitari dell’Onu in una nota.
E intanto si riaccende lo scontro tra Stati Uniti e Russia. I primi hanno accusato l’aviazione siriana dell’attacco al convoglio e sostenuto anche le responsabilità della Russia nell’accaduto, mentre quest’ultima ha prontamente negato: i jet russi e siriani “non hanno effettuato alcun raid sul convoglio umanitario delle Nazioni Unite nel sud-ovest di Aleppo, in Siria”, ha detto il portavoce del ministero della Difesa russo Igor Konashenkov. Il cessate-il-fuoco tanto difficilmente raggiunto nei giorni scorsi è già un ricordo: il 18 settembre una coalizione a guida statunitense ha bombardato la base di un esercito siriano causando oltre sessanta morti e centinaia di feriti tra i soldati di Damasco che resistevano da mesi all’avanzata dell’Isis. Gli Stati Uniti si sono scusati e hanno definito un errore quanto accaduto. Ieri il governo siriano ha annunciato la conclusione della tregua.