La polizia greca ha iniziato le operazioni di evacuazione di Idomeni, il più grande campo profughi d’Europa al confine con la Macedonia. Medici senza frontiere, pur non contraria al trasferimento delle persone, si è detta preoccupata per un possibile uso della forza e ha chiesto che volontari e ong possano continuare a fornire assistenza fino a quando l’area sarà popolata.
Semaforo verde
Il candidato ecologista Alexander Van der Bellen ha vinto di un soffio le elezioni presidenziali in Austria. Sconfitto l’ultra nazionalista Norbert Hofer che prometteva lotta dura all’immigrazione. Un risultato che spacca comunque in due il paese, come racconta ai nostri microfoni Alberto Faustini, direttore del quotidiano Alto Adige. (sonoro)
Sbarre letali
Almeno sessantamila morti all’interno delle carcere siriane negli ultimi cinque anni. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Sarebbero almeno sessantamila le persone morte nelle carceri governative della Siria durante il conflitto che dura ormai da cinque anni. Le stime sono dell’osservatorio nazionale per i diritti umani, che parla di decessi dovuti a torture fisiche o mancanza di cibo e medicine. Oltre 14mila quelli accertati dal 2011 ad oggi. L’allarme per le morti di prigionieri nelle mani dello stato siriano era già stato lanciato nel febbraio scorso, quando il consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite aveva accusato sia il governo che le forze di opposizione di sottoporre i detenuti a tortura, ma da allora nessun progresso è stato compiuto. Secondo de Mistura, inviato speciale dell’Onu in Siria, dall’inizio della guerra civile circa 400mila persone sarebbero morte, ma i numeri non sono ancora ufficiali.
Una crisi dimenticata
Secondo l’Onu sono oltre 7 milioni e mezzo le persone che nello Yemen sono a “un passo dalla fame”. A confermarlo anche Alda Cappelletti, direttore regionale di Intersos per il paese asiatico. (sonoro)
Pericoloso ritorno
C’è preoccupazione per le dichiarazioni del nuovo presidente delle Filippine Rodrigo Duterte che ha promesso la reintroduzione della pena di morte. Secondo Amnesty è necessario contrastare le violazioni dei diritti umani anziché aggravarle; presa di posizione anche da parte dei vescovi che chiedono una riforma delle carceri e dell’intero sistema della giustizia.
Nel corso della campagna elettorale Duterte ha fatto una serie di dichiarazioni che, se venissero tradotte in atti concreti, contravverrebbero agli obblighi internazionali assunti dalle Filippine: ad esempio, l’impegno a ridurre i tassi di criminalità attraverso l’esecuzione extragiudiziale di presunti malviventi. Nel novembre 2015 Amnesty International aveva pubblicato un agenda in cinque punti sui diritti umani, chiedendo a tutti i candidati di sottoscriverla e impegnarsi a realizzarla. Questi erano i cinque punti: porre fine alle esecuzioni extragiudiziali, agli arresti arbitrari, alla detenzione segreta e alla tortura; porre sotto controllo l’operato della polizia, dell’esercito e di gruppi che agiscono per conto dello stato; revocare l’ordine esecutivo 546 che autorizza la polizia ad appoggiare l’esercito nelle operazioni contro-insurrezionali, anche attraverso il ricorso a milizie e gruppi paramilitari; assicurare il ritorno volontario e incolume degli sfollati e inserire la protezione dei diritti umani all’interno dei negoziati di pace; rendere i diritti umani una priorità nell’azione degli organi di governo; ratificare i principali trattati sui diritti umani. Duterte è stato l’unico candidato a non aver risposto ad Amnesty International.
Stop Ttip, prima vittoria
A partire dal prossimo 30 maggio, i parlamentari e i funzionari governativi potranno accedere ai documenti riservati relativi all’Accordo di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti, in discussione tra Stati Uniti e Unione Europea. E’ il primo risultato dopo la grande manifestazione del 7 maggio scorso a Roma. Marco Bersani, portavoce della campagna. (sonoro)
Mai più
I bambini-soldato che vivono ancora nei campi delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia smetteranno di essere combattenti e saranno amnistiati. È questo l’accordo raggiunto tra il governo di Bogotà e le Farc per smilitarizzare i minori al di sotto dei 15 anni. L’Onu e altre agenzie umanitarie sono state invitate a sovrintendere al loro rientro nella società.
Quello della smilitarizzazione dei bambini-soldato è uno di due importanti passi in avanti verso la pace in Colombia. Durante le trattative in corso a L’Avana tra le Farc e il governo è stato raggiunto un accordo sul contesto istituzionale di gestione del post-conflitto. Inoltre, le Forze armate rivoluzionarie hanno accettato di collaborare per identificare i bambini combattenti che vivono nei loro campi e per organizzare la loro uscita. Quando possibile, i minori saranno restituiti alle loro famiglie. Grazie a questa decisione, i minori di 15 anni saranno in tutto e per tutto considerati vittime di guerra, non potranno essere giudicati da alcun tribunale ed entreranno nei programmi di reinserimento previsti dal Governo.
Titoli di coda
Il governo greco annuncia la chiusura del centro profughi di Idomeni, il più grande d’Europa. Il servizio di Fabio Piccolino.
Il governo greco ha annunciato la chiusura del campo profughi di Idomeni entro la fine di maggio. Una notizia attesa da tempo dalle oltre diecimila persone che da mesi vivono in condizioni precarie, e che aspettano di conoscere il proprio futuro. Il piano è quello di trasferire i profughi nei campi allestiti dal governo e gestiti dall’agenzia Onu per i rifugiati, ma sono ancora molti i dubbi legati alla chiusura di Idomeni, primo fra tutti le condizioni delle strutture alternative. La stessa Unhcr, auspica che le persone possano avere accesso a servizi migliori ma anche di facilitare le pre-registrazioni per le richieste di asilo in Grecia e i ricongiungimenti. Il problema più grande però continua ad essere il crescente disinteresse dell’Europa per il destino di chi fugge dalle guerre.
Parigi chiama Roma
Contro il Ttip, il segretario di Stato francese per il commercio estero, Matthias Fekl, chiede all’Italia di uscire allo scoperto e dire ufficialmente no alla firma del trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti in corso di negoziazione. “Una battaglia – dice – da portare avanti insieme”.
Black lives matter
Si chiama Delrish Moss ed è un afroamericano il nuovo capo della polizia di Ferguson, in Missouri. L’incarico arriva quasi due anni dopo le tensioni razziali scaturite dall’omicidio del diciottenne Michael Brown e i numerosi episodi di discriminazione ai danni dei neri.
Moss, 21 anni, proviene dal dipartimento di Miami ed ha alle spalle una carriera lunga 32 anni; durante il suo insediamento il nuovo commissario ha dichiarato che uno dei primi obiettivi del suo mandato sarà quello di avere più donne e afroamericani fra gli agenti. Tra le proposte, inoltre, quello di ricostruire la fiducia nella comunità e un migliore rapporto con le forze dell’ordine, attraverso un programma di “tutoraggio” e una lega atletica della polizia. Il nuovo commissario sostituisce Tom Jackson, dimessosi lo scorso anno dopo che un rapporto del Dipartimento di Giustizia ha citato pregiudizi razziali nel sistema di giustizia penale di Ferguson.