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Ruote libere in Liguria: arriva il servizio di noleggio per biciclette per persone con disabilità


Ruote libere

In Liguria arriva il progetto che apre la ciclabile tra i Bagni San Nazaro e Boccadasse alle persone con problemi motori. Il servizio di Elena Fiorani.

La Liguria punta all’inclusione anche in tema di mobilità sostenibile con Ruote libere, il progetto frutto della collaborazione tra la cooperativa sociale Il Rastrello, i Bagni San Nazaro e il Comune di Genova. Si tratta di un servizio di noleggio per biciclette per persone con disabilità o con difficoltà motorie, che permetterà, alle persone in carrozzina, di percorrere tutta la pista ciclabile insieme a un accompagnatore, con un punto ristoro e servizi dedicati.

Il servizio sarà disponibile dal lunedì al venerdì dalle 16 alle 20, e il sabato e la domenica dalle 10 alle 20. Il progetto prevede anche l’inclusione di lavoratori fragili nella cura del percorso e per piccole manutenzioni al noleggio bici.

Heba Saadieh, la prima arbitra palestinese (e con l’hijab) ai Mondiali di calcio femminile


La prima volta

Heba Saadieh è la prima palestinese e prima donna con l’hijab a far parte delle direzioni di gara ai Mondiali di calcio femminile in Australia e Nuova Zelanda. Nata e cresciuta in Siria Heba ha potuto vivere pienamente la sua passione solo in Svezia, giunta per fuggire dalla guerra.

Come si misura l’orgoglio di una partecipazione? Le parole, solitamente, sembrano non riuscire a descrivere la pienezza di un sogno che si avvera. Ma non è il caso di Heba Saadieh arbitra professionista, prima palestinese e prima donna con hijab a far parte delle direzioni di gara ai Mondiali di calcio femminile in Australia e Nuova Zelanda. “Sono così orgogliosa di essere il primo arbitro palestinese, maschio o femmina, ai Mondiali. Questo mi fa sentire la responsabilità di mostrare un’ottima prestazione durante il torneo” ha raccontato Saadieh ad AlJazeera, che l’ha intervistata in merito al suo peculiare primato. Un traguardo che aggiunge un timbro importante al suo passaporto di cittadina del mondo, che certifica gli ampi giri sostenuti per proseguire una carriera irta di difficoltà. E non solo per le sue origini: nata nel 1979 e cresciuta in Siria da genitori palestinesi, Heba Saadieh si è laureata in Educazione Fisica all’Università di Damasco ed è nel paese mediorientale, prima dello scoppio della guerra, che si innamora del calcio dal lato più complesso, quello dell’arbitraggio. Un ruolo delicato, che richiede prontezza nelle decisioni, nervi saldi, capacità di riflettere in un flash di nanosecondi. Per il quale, nota con stupore, non lavora nessuna donna che conosce. “Stavo guardando un gruppo di arbitri allenarsi e ho notato che non c’erano donne. Quando ho chiesto informazioni, mi hanno suggerito di unirmi a loro. Così l’ho fatto” riassunse in un’intervista a Palestina TV Sports and Youth: comincia a studiare da arbitra, entra a far parte del comitato e presto la chiamano a fare la quarta ufficiale in campionato.

La guerra in Siria iniziata nel 2012 costringe Heba Saadieh a rimandare il suo sogno di essere prima direttrice di gara: sfolla in Malesia, ma le cose vanno meno bene di quanto immagini. Nelle partite dei campionati maschili malesi subisce un lieve ostruzionismo e qualche pettegolezzo dalle panchine: che ci fa una donna in divisa da arbitro? Lei non demorde, ma la sfiducia è ai massimi livelli: riesce a tornare in Europa, in Svezia, grazie ad un programma di reinsediamento dei profughi nelle Nazioni Unite, e la carriera di Heba Saadieh, finalmente, può decollare al sicuro. Si mette a lavoro anche sulla forma fisica e la resistenza, indispensabili per i lunghi chilometri da percorrere durante le partite, e compensa la scarsa conoscenza dello svedese con la lingua comune del calcio, i gesti universali dei cartellini o del fischietto. Nel 2016 arriva finalmente alla licenza da arbitra internazionale per la FIFA e può partecipare alle competizioni più importanti: comincia con le partite di Coppa d’Asia femminile e alcune match di qualificazioni alla Coppa del Mondo femminile in programma alle Olimpiadi di Tokyo, tenutesi nel 2021. Tra le gare maschili scende in campo in un torneo under 23 in Francia, la nazione che ha dato i natali alla più celebre arbitra contemporanea, Stephanie Frappart, cui Heba Saadieh si ispira. Oggi ha lasciato definitivamente l’insegnamento dell’educazione fisica per concentrarsi solo sull’arbitraggio. I suoi sogni si stanno avverando uno via l’altro, e il più dolce è quello della condivisione: far nascere il desiderio del suo stesso mestiere nelle giovani ragazze, palestinesi e non. “Spero di poter aprire questa porta ad altre, alle donne arbitro palestinesi – e anche agli uomini – da selezionare in futuro” raccontava in un’intervista. Così che nel rispetto delle regole più umane su un campo di calcio, possano intravedere il domani.

“Messina chiama Ucraina”: 35 ragazzi rifugiati giocheranno a rugby e conosceranno la città siciliana


Messina chiama Ucraina

Fino al 2 agosto, rugbisti messinesi e 35 ragazzi ucraini, rifugiati a Bratislava di età compresa tra i 10 e i 16 anni che giocano a livello agonistico, parteciperanno a partite e allenamenti di rugby e beach rugby e avranno l’occasione di conoscere la storia e le tradizioni della città siciliana.

L’iniziativa è organizzata e promossa dalle associazioni Messina Rugby, Old Rugby Messina 1980 e Cambiamenti Aps. Parteciperanno a partite e allenamenti di rugby e beach rugby presso lo stadio “Arturo Sciavicco” di Sperone e in spiaggia a Rometta Marea e conosceranno da vicino le bellezze, la storia e le tradizioni di Messina.
I giovani atleti ucraini sono ospitati da famiglie che vivono tra Faro Superiore e Sperone. Sarà un’occasione unica per dimostrare l‘accoglienza della comunità a chi attraversa momenti di difficoltà e per sensibilizzare la cittadinanza alla solidarietà, in particolare rispetto a coloro che sono affetti da malattie neuromuscolari rare, quali SLA, distrofia, atrofia muscolare.

L’evento, patrocinato dal Comune di Messina, è stato presentato nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca, hanno fatto gli “onori di casa” il sindaco Federico Basile e gli assessori comunali con deleghe allo Sport e alle Politiche Sociali Massimo Finocchiaro e Alessandra Calafiore. “Sport e solidarietà – ha dichiarato il Primo cittadino – è un binomio vincente e noi rappresentanti delle Istituzioni condividiamo con piacere questo progetto fortemente voluto dalle associazioni e dalle società sportive coinvolte, che ringrazio per la sensibilità mostrata, promuovendo azioni di inclusione e integrazione sociale. Messina è una città accogliente e solidale e lo dimostra pure in questa occasione, attraverso un’intensa attività di sostegno e partecipazione”.
Sono intervenuti, inoltre, all’incontro con i giornalisti, illustrando tutti i particolari di “Messina Chiama Ucraina – lo sport a servizio della Solidarietà”: Giuseppe Caristi, presidente associazione Cambiamenti Aps, Giuseppe Grillo, presidente della Old Rugby Messina, Riccardo Solano, responsabile progetti sociali del Messina Rugby, Guglielmo Labruto e Benedetta Arena.

Alla realizzazione del progetto hanno contribuito: l’Università degli Studi di Messina; l’Arcidiocesi di Messina; studio Cresci in rete; Club Alpino Italiano; villa Labruto; Comitato Regionale Sicilia Rugby; Explorer Informatica; Gruppo Lem; La contadina Messina; Francesco Arena-Mastro Fornaio; Radio Taxi Jolly; Cesv Messina ETS; Gruppo Scout Messina 2; Amici del Museo di Messina; “Franz Riccobono”; ritrovo Catalano; e Comunità di Torre Faro e di Sperone; soggetti pubblici e privati e attività commerciali del territorio. I singoli cittadini potranno sostenere l’iniziativa partecipando alla cena di beneficenza che si terrà giovedì 27, alle 19.30 allo stadio “Sciavicco” (per maggiori info, è possibile scrivere via email a info@cambiamentiaps.it , messinarugbyasd@gmail.com e oldrugbymessina1980@gmail.com oppure visitare i siti istituzionali www.cambiamentiaps.it , www.messinarugby.it e www.oldrugbymessina.it ).

Da spazio inutilizzato a scuola calcio multiculturale: la rinascita della “zona 167” di Lecce


Un pallone per rinascere

Da spazio inutilizzato a luogo dove bambini, ragazzi e ragazze possono praticare lo sport insieme. E’ la zona 167, nella periferia di Lecce, dove un terreno è stato riqualificato grazie al progetto sostenuto dalla Fondazione Con il Sud che ha dato vita ad una scuola calcio multiculturale.

Il progetto, realizzato da una rete di associazioni, scuole e istituzioni locali, ha l’obiettivo di sviluppare un modello di sport ‘solidale urbano’, dando la possibilità agli abitanti della zona di partecipare a un programma variegato di corsi sportivi per tutti.

Il campetto, inaugurato alla presenza dell’ex calciatore del Lecce e della nazionale argentina Beto Barbas, diventa così un importante punto di aggregazione di un quartiere popolare. Sono 120 le ragazze e i ragazzi coinvolti, con diverso background migratorio, che hanno la possibilità di giocare insieme, divertirsi e imparare i valori più importanti dello sport, come la capacità di fare squadra e il rispetto delle regole e degli avversari. Una scuola calcio multiculturale, che diventa una palestra di vita e di educazione ai valori positivi dello sport, dell’amicizia e della condivisione.

Si è conclusa la “Uefa Unity Euro Cup 2023”: 16 nazionali dei rifugiati sono scese in campo a Francoforte


Campioni di inclusione

Si è conclusa la “Uefa Unity Euro Cup 2023”, manifestazione calcistica promossa da Uefa e Unhcr che ha visto fronteggiarsi a Francoforte 16 nazionali composte da calciatori rifugiati. Quella italiana, composta per la grande maggioranza da titolari di protezione internazionale, si è classificata quarta.

Nella squadra azzurra 10 giocatori su 13 sono titolare di protezione internazionale. La maggioranza dei calciatori provengono da vari progetti di accoglienza presenti in Toscana, gestiti anche dalla Fondazione Caritas di Firenze.

Il progetto è stato reso possibile anche grazie all’impegno profuso dagli operatori e dai coordinatori delle strutture di accoglienza Sai della Fondazione Solidarietà Caritas di Firenze, che ha contribuito a mettere insieme un team corrispondente ai requisiti richiesti per prendere parte all’evento. Molti dei calciatori provenivano da strutture toscane.

“Abbiamo portato in squadra – ricorda Marzio Mori, responsabile dell’area richiedenti asilo della Fondazione Solidarietà Caritas – ragazzi provenienti dal Gambia, dalla Siria, dall’Afghanistan, dal Mali, dalla Colombia, dal Ghana e dalla Somalia. Hanno vissuto un’esperienza di inclusione e gioia unica. Un’occasione di riscatto che solo i valori dello sport possono trasmettere”.
Così la Figc, da tempo impegnata tramite il Settore Giovanile e Scolastico con il progetto di integrazione “Rete Refugee Teams” che coinvolge circa 1800 rifugiati su tutto il territorio italiano (in autunno le fasi interregionali e la finale del Torneo), ha potuto schierare una formazione altamente competitiva.
La nazionale italiana dei rifugiati si è piazzata al quarto posto nel torneo, sconfitta di misura in semifinale (2-1) dalla Finlandia, poi vincitrice del titolo. Nel girone della competizione a 16 squadre, invece, gli azzurri avevano superato Austria e Armenia, oltre a pareggiare con l’Ucraina.

La Figc era presente al seguito della squadra con Roberto Basso, il coach Gianluca Salvatori e Cristina Blasetti, che hanno accompagnato i ragazzi curando in modo attento sia la parte umana che tecnica. Inoltre, tramite  il Settore giovanile scolastico, la Federazione ha provveduto al supporto logistico per la preparazione e la partecipazione all’evento, anche mettendo a disposizione i propri collaboratori tecnici a supporto della crescita e competitività della squadra.
“Questo torneo – conclude Mori della Fondazione Caritas di Firenze, anche lui accompagnatore della squadra  in questa tre giorni tedesca – è l’esempio più evidente di come lo sport resto uno dei principali volani a disposizione per accorciare le distanze. È giusto ringraziare la Uefa, che ha investito tanto in questo evento: senza il loro impegno questa tre giorni non sarebbe stata indimenticabile per i calciatori come invece è stata. È un grande ringraziamento a Marco Tardelli, che è stato al fianco dei ragazzi per tutte le partite e anche fuori dal campo, nei momenti in cui eravamo in gruppo”.

Sono cominciati i Mondiali femminili di calcio: sarà l’edizione della svolta?



Ragazze mondiali

Palla al centro e si riparte: l’edizione 2023 dei Mondiali sarà quella della svolta per lo sport femminile? Il servizio di Elena Fiorani.

Partita la nona edizione dei Mondiali femminili di calcio che si giocherà, fino al 20 agosto, tra Australia e Nuova Zelanda. Cresce il montepremi complessivo che arriva a 152 milioni di dollari, tre volte di più rispetto all’edizione 2019, ma sempre più basso rispetto a quello degli uomini. Crescono i Paesi che trasmetteranno gli incontri, sono 34, tra cui l’Italia dove la Rai ha siglato in zona Cesarini un accordo commerciale per la trasmissione di solo 15 partite della rassegna, comprese le gare delle azzurre, la partita inaugurale, le due semifinali e la finale.

Parità di trattamento con i colleghi uomini solo sul tema diritti: le calciatrici non potranno indossare la fascia arcobaleno a sostegno dei diritti LGBTQIA+ ma potranno scegliere tra otto alternative, approvate dalla FIFA dopo aver consultato le 32 squadre, le giocatrici e le agenzie delle Nazioni Unite.

Sport e inclusione: parte domani da Schlögen la quinta edizione della “Discesa a remi del Danubio”


Insieme sul Danubio

Parte domani da Schlögen la quinta edizione della “Discesa a remi del Danubio”, una staffetta tra equipaggi internazionali ed inclusivi, realizzata grazie all’appoggio della Fondazione Terzo Pilastro. Atleti con e senza disabilità remeranno insieme per 600 chilometri.

4 le nazioni coinvolte, contando anche l’Italia, Oltre ad Austria, Slovacchia e Ungheria, come sede del Circolo Canottieri 3 Ponti ispiratore dell’iniziativa, 600 i chilometri complessivi da percorrere in acqua e, per ciascuna delle 2 tratte, 4 gli equipaggi da 8 con timoniere, seguiti per tutto il tragitto dagli organizzatori e dai tecnici dello Staff – per la prima parte della regata Riccardo Dezi, Giulia Benigni, Antonio Schettino e Catalin Blaj – con 2 motoscafi d’appoggio. 5a edizione per l’impresa, che può definirsi tale per la difficoltà della navigazione a remi su un fiume come il Danubio, certamente, ma anche e soprattutto per la peculiarità degli equipaggi, sempre più inclusivi ed internazionali: atleti diversamente abili sia italiani sia austriaci, accanto ad una compagine dei Master del Circolo Canottieri 3 Ponti di età media superiore ai 55 anni. Prenderanno parte alla regata, tra gli altri, alcuni atleti diversamente abili del Donauhort Ruderverein di Vienna, Nathalie Podda e Michael Supper con i loro accompagnatori, anch’essi atleti del circolo viennese, e gli atleti italiani della squadra paralimpica del C. C. Aniene Luca Agoletto, Daniele Stefanoni, Ludovica Tramontin, nonché Marco Carapacchio e Daniela De Blasis, atleti del pararowing del Circolo Canottieri 3 Ponti.

Proprio per il suo carattere di inclusività, un’inclusione attraverso la pratica sportiva di cui gli sport remieri sono da tempo capofila, l’impresa gode fin dalla prima edizione del fondamentale sostegno della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale. Il suo Presidente, Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, ex canottiere a sua volta, anche quest’anno ha scelto di appoggiare il Circolo Canottieri 3 Ponti in questa avventura, che si richiama fortemente ai valori di cui la Fondazione è promotrice: il diritto alla salute, al benessere, allo sport per tutti che la Discesa del Danubio a remi pienamente esprime. La Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale, ente non profit di diritto privato, opera lungo due direzioni di intervento: il non profit – definito dal Presidente Prof. Emanuele in un suo libro sull’argomento il “Terzo Pilastro” – e le tematiche urgenti ispirate dall’osservazione di ciò che accade anche al di fuori del mondo Occidentale. La Fondazione ha esteso progressivamente la propria operatività fino al Medio ed Estremo Oriente, mantenendo il presidio nei settori di intervento storici e prioritari, ma su più ampia scala e senza alcun vincolo territoriale, con uno sguardo che va oltre l’area mediterranea di iniziale competenza per approdare nei Paesi emergenti, veri protagonisti della nostra Storia attuale. I settori di intervento statutari in cui opera sono: la Sanità e la Ricerca scientifica ad essa applicata, l’Assistenza alle Categorie Sociali Deboli, l’Istruzione e Formazione, l’Arte e Cultura.

Pur presenti con i loro equipaggi Master e con gli atleti diversamente abili che seguono e allenano nelle competizioni nazionali e internazionali durante tutto l’anno, hanno tuttavia particolarmente a cuore questo progetto, portato a termine, grazie alla loro pluriennale esperienza tecnica oltre che alla capacità di coinvolgimento e cooptazione allo sforzo degli equipaggi, già per 4 anni consecutivi in diversi tratti del corso del fiume:  nel 2019 da Vienna a Budapest (circa 300 km), nel 2020 tra Linz e Vienna (200 km), nel 2021 il tratto Passau – Durnstein e infine nella seconda metà di luglio 2022 la Grande Discesa, 600 km da Passau a Budapest. Quest’anno si replica sul percorso lungo, i vogatori che vi prenderanno parte si daranno appuntamento a Schlögen, punto di partenza della Discesa del Danubio, che partirà venerdì 21 luglio dipanandosi su molteplici tappe, toccando le città di Linz, Grein, Melk, Durnstein e Tulln. Il 26 luglio il gruppo raggiungerà Vienna, le barche verranno ricoverate presso il Donauhort Ruderverein, circolo degli amici e atleti austriaci che prenderanno anch’essi parte alla regata, pronte per ripartire il giorno successivo alla volta di Bad Deutsch – Altenburg. Seguiranno le tappe di Bratislava, Gonyu, Komarno, Ezstergom e finalmente il 2 agosto, dopo 2 settimane di voga e viaggio, gli equipaggi attraccheranno alla meta definitiva della Discesa a remi del Danubio: Budapest!

Stop alle gare per le cicliste trans che hanno effettuato la transizione dopo la pubertà: le nuove regole dell’Uci


Ruote dispari

Le nuove regole dell’Unione ciclistica internazionale vietano la partecipazione agli eventi femminili dei calendari internazionali in tutte le categorie e discipline alle atlete trans, perché le attuali conoscenze scientifiche non permettono di escludere eventuali vantaggi biomeccanici per le cicliste.

Nel mondo delle due ruote, dal 17 luglio, alle cicliste che hanno effettuato la transizione dopo la pubertà (maschile) è vietato partecipare agli eventi femminili inserite nei calendari internazionale dell’Unione ciclistica internazionale (Uci) in tutte le categorie e in tutte le discipline.
Per le manifestazioni internazionali master, la categoria maschile viene rinominata “Men/Open” e qualsiasi atleta che non soddisfi le condizioni per la partecipazione alle gare femminili viene ammesso senza restrizioni.

Il comitato direttivo dell’Uci, seguendo quando già decretato dalla federazione inglese, fa sapere di aver preso atto dello stato delle conoscenze scientifiche, come la non conferma che almeno due anni di terapia ormonale di affermazione del genere con una concentrazione target di testosterone plasmatico di 2,5 nmol/litro siano sufficienti per eliminare completamente i benefici del testosterone durante pubertà maschile.
Inoltre, sempre secondo l’Uci, “allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, è anche impossibile escludere la possibilità che fattori biomeccanici come la forma e la disposizione delle ossa degli arti possano costituire un vantaggio duraturo per le cicliste che hanno fatto la transizione di genere”.
Per questo la Federazione ciclistica mondiale lascia speranze per il futuro: “Le nuove regole potrebbero cambiare in futuro con l’evolversi delle conoscenze scientifiche”.

“Come sport agonistico, attività per il tempo libero o mezzo di trasporto, il nostro è un mondo aperto a tutti, comprese le persone in transizione di genere che incoraggiamo, come tutti gli altri, a prenderne parte” dichiara il presidente dell’Uci e neoeletto presidente del Comitato olimpico francese, David Lappartient. “L’Uci rispetta e sostiene pienamente il diritto degli individui di scegliere il sesso che corrisponde alla loro identità di genere, qualunque sia il sesso loro assegnato alla nascita” aggiunge.

Ai Giochi Paralimpici di Parigi 2024 saranno i singoli sport a decidere i criteri di partecipazione delle atlete transgender agli eventi femminili. E’ quanto ha deciso il Comitato Paralimpico Internazionale. L’italiana Valentina Petrillo è diventata la prima atleta apertamente transgender a vincere una medaglia a un evento mondiale di atletica paralimpica la scorsa settimana nei 400 metri T12 femminili e si è anche qualificata per la finale dei 200 metri T12.
Petrillo, 49 anni, è nata con una disabilità visiva ed è idonea per la competizione World Para Athletics in base alla regola che consente alle donne transgender di competere purché siano legalmente riconosciute come donne.

Ma la maggior parte dei principali organi di governo dello sport ora ha linee guida specifiche per quanto riguarda i limiti di testosterone o, come avviene nell’atletica internazionale, nel nuoto e nel ciclismo, hanno scelto di bandire completamente le donne transgender se hanno superato la pubertà maschile. “Dal punto di vista del Comitato Paralimpico Internazionale abbiamo permesso agli sport individuali di stabilire le proprie regole in termini di transgender”, dichiara alla Bbc il presidente del Comitato Paralimpico Internazionale Andrew Parsons.
“Quindi queste regole possono essere diverse da sport a sport. Alcuni stanno arrivando con posizioni diverse, quindi non sono sorpreso dalle ripercussioni” prosegue.
E spiega: “Abbiamo sempre saputo che non era una questione di se, è una questione di quando. Tuttavia, stiamo monitorando ciò che sta accadendo nel mondo dello sport in generale. La scienza deve essere il principio guida”. Per Parsons “la popolazione che sta facendo o ha fatto il cambio di genere sta crescendo. Dobbiamo assicurarci di offrire loro opportunità sportive, ma anche proteggere le atlete”.

Lo studio che analizza il divario di genere nel calcio: esiste l’influenza del sesso sulle valutazioni tecniche


Strabismo di genere

Il modo in cui si guarda il calcio femminile è falsato dagli stereotipi. Lo conferma uno studio dell’Università di Zurigo, che ha mostrato a oltre 600 persone i video dei migliori gol di uomini e donne del 2019, confermando che le valutazioni tecniche sono influenzate dal sesso dei giocatori.

Insieme a colleghi americani e norvegesi, Carlos Gómez González dell’Università di Zurigo ha cercato di quantificare i pregiudizi legati al genere nel calcio. Gli scienziati hanno reclutato 613 partecipanti – 337 uomini e 276 donne con un’età media di 34 anni – che hanno suddiviso in due gruppi, si legge nel lavoro, pubblicato sulla rivista «Sport Management Review».

A questo campione di popolazione sono stati fatti vedere dieci video di calcio maschile e femminile di livello mondiale, di 5-14 secondi di durata. Si trattava dei gol del 2019 più visti in televisione o sui social media. A uno dei due gruppi i filmati sono stati come detto mostrati sfocati.
I risultati indicano che per quanto riguarda i video normali la valutazione della performance sportiva degli uomini è stata superiore a quella delle donne: 4.0 contro 3.8, su una scala fino al 5. Per i filmati non messi a fuoco invece, non sono state riscontrate differenze (entrambi 3.5).

Stando agli autori, tale nota globalmente inferiore è dovuta alla qualità più bassa del video. Lo studio mostra anche che gli uomini danno una valutazione meno alta quando sanno di star guardando una partita di calcio femminile. Secondo i ricercatori, i risultati confermano che nelle attività a predominanza maschile gli stereotipi influenzano in maniera negativa la percezione del gesto tecnico. E ciò indipendentemente dalla performance atletica.
Tutto questo, concludono gli esperti, ha conseguenze per il calcio femminile. Esso ne risente infatti in termini di copertura mediatica, investimenti e potenziale economico.

Firmato l’accordo Unhcr-Fifa: favorire l’accesso dei rifugiati al mondo del calcio


Entrate in campo

Fifa e Unhcr hanno firmato un accordo per favorire l’accesso dei rifugiati al mondo del calcio. Entrambe le organizzazioni lavoreranno a stretto contatto con le persone costrette a fuggire dal proprio Paese e contribuiranno a rafforzare le comunità facilitando anche l’accesso all’istruzione per bambini e ragazzi.

La cerimonia di firma tenutasi a Ginevra, in Svizzera, è stata presieduta da Gianni Infantino, Presidente Fifa, e da Filippo Grandi, Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati, si sono entrambi impegnati a un continuativo rapporto di collaborazione che possa avere un impatto positivo sulla società a livello globale, attraverso il calcio, obiettivo chiave questo, per il Presidente della Fifa. Il mandato dell’Unhcr è quello di aiutare le persone costrette a fuggire, a causa di conflitti e persecuzioni. Attualmente, le persone in fuga sono oltre 110 milioni, una cifra mai raggiunta prima, e la gran parte è accolta da Paesi a basso o medio reddito. La cerimonia per la firma, si è tenuta ad appena otto giorni dall’inizio del Campionato mondiale di calcio femminile Fifa 2023™ che si giocherà in Australia e Nuova Zelanda, durante il quale il partenariato appena siglato sarà già attivo.

L’accordo fa seguito a una collaborazione tra Fifa e Unhcr degli ultimi quattro anni. A marzo 2022, le due organizzazioni hanno lanciato un appello congiunto a livello globale per raccogliere fondi a favore delle persone costrette a fuggire dal conflitto in corso in Ucraina. In base al memorandum d’intesa, le due organizzazioni continueranno la collaborazione svolgendo attività in ambito calcistico e progetti a favore della coesione sociale, dell’istruzione e della crescita dei giovani, impegnandosi a offrire soluzioni e opportunità tramite lo sport. Fifa e Unhcr, inoltre, collaboreranno per assicurare che calciatrici e calciatori bisognosi di protezione internazionale ottengano il supporto adeguato.

Subito dopo la cerimonia di firma, Infantino ha affermato: “Ringrazio l’Alto Commissario Filippo Grandi per il ruolo svolto dall’Unhcr nel riunire le nostre due organizzazioni. Auspico che questo partenariato sarà proficuo, significativo e di forte impatto. Crediamo moltissimo in questa collaborazione e vorrei rassicurare tutti circa il mio impegno personale a garantire il nostro piccolo contributo, a regalare un sorriso ai bambini, ma anche agli adulti come noi, che, in tutto il mondo, tornano bambini quando vedono un pallone. Diciamo spesso che il calcio ha il potere di unire il mondo, e il lavoro che Fifa e Unhcr faranno insieme grazie a quest’accordo è un chiaro impegno a tal fine”.  

“Siamo pronti a lavorare insieme, collaborare in numerosi campi rifugiati e nelle differenti aree in cui ci sia esigenza”, ha continuato Infantino. “Quante più persone raggiungeremo – sicuramente un po’– soprattutto giovani, in tutto il mondo, tanto meglio sarà. Inoltre, i progetti sostenuti dalla Fondazione Fifa, hanno l’obiettivo di migliorare la condizione di tutte le persone nel mondo costrette alla fuga, trasferendo loro le competenze necessarie per ricostruire la propria vita e offrire il proprio contributo alle loro nuove comunità”.

Grandi, a sua volta, ha affermato: “Il calcio è lo sport più popolare al mondo, giocato da atlete e atleti provenienti da ogni angolo del pianeta, compresi molti rifugiati. Per le persone costrette a fuggire, il calcio può rappresentare un punto di svolta per aiutarle a superare le molte sfide che devono affrontare. Svolge un ruolo determinante, dal momento che ne promuove l’inclusione in seno alle comunità in cui le persone hanno trovato asilo”.

Grandi ha continuato: “Grazie a questo partenariato, il mondo del calcio sta mostrando vera solidarietà nei confronti sia dei milioni di persone che sono state costrette a fuggire, che delle comunità che le accolgono. Ci auguriamo di registrare risultati tangibili con quest’importante collaborazione”.

Si prevede che il Campionato mondiale di calcio femminile FIFA in Australia e Nuova Zelanda raggiunga un audience globale di 2 miliardi di persone, e che, in linea con gli impegni assunti in seno al memorandum d’intesa, le due parti chiedano ai membri della comunità del calcio, nel corso del torneo, di mostrarsi uniti per la pace (Unite for Peace). Durante le partite degli ottavi di finale, alle capitane delle Nazionali verrà chiesto di indossare le fasce che promuovono quanto sottoscritto dal memorandum, e saranno diffusi messaggi tramite i LED a bordo campo, gli schermi degli stadi e i social media, al fine di raggiungere un audience globale e assicurare la massima diffusione di questo importante messaggio.

Fifa e Unhcr, inoltre, collaboreranno per sensibilizzare il pubblico in relazione alle giornate internazionali chiave, quali la Giornata Mondiale del Rifugiato, e continueranno ad attivarsi congiuntamente per la realizzazione di campagne volte a sostenere i programmi di aiuti umanitari vitali nonché la creazione di soluzioni a lungo termine promosse dall’UNHCR a sostegno dei rifugiati.