“Fit For Life”
L’Unesco ha lanciato un concorso di design rivolto alle menti più creative per dare un’identità visiva all’iniziativa “Fit for Life”. L’obiettivo è sostenere investimenti intelligenti nel settore sportivo e ottenere un impatto positivo in termini di istruzione, uguaglianza e benessere.
Il Settore per le scienze sociali e umane dell’UNESCO ha lanciato un concorso di design rivolto alle menti più creative per dare un’identità visiva all’iniziativa “Fit for Life”. I partecipanti avranno la possibilità di collaborare e competere con artisti di tutto il mondo e di vincere elementi promozionali in materiali a marchio UNESCO e un contratto fino a 6.000 USD.
“Fit For Life” è un’iniziativa globale progettata per sostenere investimenti intelligenti nel settore sportivo e ottenere un impatto positivo in termini di istruzione, uguaglianza e benessere. Si propone di aumentare la partecipazione delle persone nel settore sportivo e di misurare l’impatto che ne deriva all’interno della società. Attraverso lo sport, “Fit for Life” intende anche combattere l’inattività, i problemi di salute mentale e le disuguaglianze che sono state create con l’arrivo della pandemia da COVID-19.
Il concorso si svolgerà dal 6 aprile al 24 giugno 2023 e il vincitore sarà annunciato durante la Settima Conferenza Internazionale dei Ministri e degli Alti funzionari responsabili dell’educazione fisica e dello sport (MINEPS VII), che si svolgerà a Baku, Azerbaigian, dal 26 al 29 giugno 2023.
I partecipanti devono inviare le loro proposte progettuali entro il 7 maggio 2023 alle ore 23:59 CET al seguente indirizzo mail: F4L@unesco.org e sono pregati di allegare alla e-mail la proposta progettuale e una sintesi degli intenti.
Sport e parità di genere: svolta nella F1? Arriva la scuderia “Formula Equal”
Formula Equal
Dal 2026 la Formula Uno potrebbe aprire a una scuderia che promuove la parità tra uomini e donne. L’idea è di Craig Pollock, noto per essere stato il manager di Jacques Villeneuve, e mira a costruire opportunità e percorsi affinché le donne raggiungano il massimo livello nei motori.
Lega Pro e Unhcr lanciano la “Integration League”, un torneo misto di calcio che unisce rifugiati e comunità locali
Integration League
E’ la nuova iniziativa della Lega Pro sostenuta dall’UNHCR che unisce rifugiati e comunità locali di tutta Italia, in un torneo misto di calcio. Hanno aderito al progetto 8 club che daranno vita ad un mini-campionato con squadre con 16 giocatori, italiani e rifugiati.
Il calcio sbarca nel campo dell’inclusione con la Integration League, nuova iniziativa promossa da Lega Pro con il supporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e Project School e cofinanziata dall’Unione Europea, che unisce, pallone tra i piedi, rifugiati e comunità locali di tutta Italia con un torneo misto.
Integration League coinvolgerà, mixandoli, cittadini italiani e rifugiati, richiedenti asilo, titolari di protezione sussidiaria e temporanea, hanno aderito 8 club della Lega Pro, dalla Lombardia alla Puglia: Ancona, Fidelis Andria, Cesena, Feralpisalò, Virtus Francavilla, Monopoli, Potenza, Reggiana. Con questo mini-campionato sale alla ribalta una progettualità che, ancora una volta, fa emergere la straordinaria capacità dei club di Serie C di essere vicini ai territori e di dare risposte concrete alle comunità, dando rilevanza pratica ad una capacità di inclusione finora inespressa e sfruttando il gioco del calcio come nuovo modello di integrazione per dare un senso di normalità. Farlo mettendo al centro le persone, soprattutto chi vive in condizioni di difficoltà, rappresenta una formidabile opportunità per sviluppare nuove amicizie, sentendosi sicuri e, soprattutto, accolti.
All’interno di una perfetta azione di integrazione a livello di sistema, la Integration League vedrà quindi la formazione di 8 squadre, composte da 16 giocatori (8 cittadini italiani e 8 rifugiati), richiedenti asilo, titolari di protezione sussidiaria e temporanea, di sesso maschile residenti o domiciliati nelle città dei club di Lega Pro aderenti. Le squadre si alleneranno per 5 mesi nelle strutture messe a disposizione dai club per poi competere tra loro in un vero e proprio torneo di 15 partite, giocandosi il titolo nella finale decisiva da disputare in un importante stadio italiano.
Oltre agli allenamenti dei vari team, all’interno del progetto saranno organizzate anche altre attività collaterali con obiettivi formativi e di sensibilizzazione sui temi dell’inclusione e della diversità che coinvolgeranno le istituzioni locali, i centri sportivi giovanili e le scuole.
Integration League “fa scopa” con l’attività che fin dal 2005 la FIGC – Federazione Italiana Giuoco Calcio svolge con il “Progetto Rete!”, con cui oltre 3.000 minori stranieri non accompagnati accolti nei Progetti SPRAR/SIPROIMI (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) di tutta Italia compiono un passo decisivo verso l’inclusione nel nostro Paese attraverso il calcio, dimostrando che a far vincere la partita della convivenza e valorizzazione reciproca nella società non sono il razzismo e la denigrazione del nuovo, dello straniero e del diverso, bensì – anche attraverso lo sport più seguito del Paese – la sua integrazione ed inclusione.
Cricket, l’esperto Simone Gambino torna in libreria con il secondo volume della sua trilogia
Lo sport più praticato al mondo
Simone Gambino, il più grande esperto italiano di cricket, torna in libreria con il secondo volume della trilogia dedicata a questo sport. Sentiamolo ai nostri microfoni.
Oggi a Scampia (Na) la prima tappa delle “Ecolimpiadi”: la campagna Legambiente-Ecopneus
“Ecolimpiadi”
Ecopneus e Legambiente promuovono lo sport sostenibile come strumento di inclusione sociale e rigenerazione urbana. In programma giornate tematiche dedicate alla pratica sportiva in spazi urbani riqualificati con materiali e tecnologie sostenibili.
La campagna prevede quattro tappe (Napoli, Bari, Milano, Roma) dove saranno organizzati eventi dedicati alla pratica sportiva in chiave green ed incontri con le istituzioni e altri stakeholder del territorio per promuovere buone pratiche e percorsi condivisi e partecipati di
riqualificazione e rigenerazione urbana. La prima tappa si svolge oggi 13 aprile a Scampia (NA) presso il campo di calcio dello “Stadio Antonio Landieri”, luogo simbolo della rigenerazione urbana realizzato con la gomma riciclata da Pneumatici Fuori Uso della filiera Ecopneus.
Ecopneus, società senza scopo di lucro principale operatore della gestione dei PFU-Pneumatici Fuori Uso in Italia, è tra i principali partner dell’iniziativa: un viaggio in quattro tappe (Napoli, Bari, Milano e Roma) dove saranno realizzate giornate tematiche dedicate alla pratica sportiva sostenibile in spazi urbani riqualificati grazie all’utilizzo di materiali e tecnologie sostenibile, con attività di animazione aperte ai giovani e a tutti i cittadini, a cui prenderanno parte anche atleti e testimonial, ma anche incontri e conferenze stampa con le istituzioni e le amministrazioni locali per promuovere un dialogo e favorire percorsi condivisi e partecipati di riqualificazione e rigenerazione urbana.
“Siamo orgogliosi di essere al fianco di Legambiente in questa nuova ed importante iniziativa che ci permette di sostenere la diffusione delle superfici sportive in gomma riciclata attraverso una bella opportunità di inclusione per i cittadini e di sviluppo per le nostre città. – ha dichiarato il Direttore Generale di Ecopneus Federico Dossena – Siamo fiduciosi che questo progetto sia percepito quale esempio concreto di come l’economia circolare della gomma riciclata da PFU possa essere un motore per lo sviluppo sostenibile delle comunità e continueremo a lavorare con determinazione per realizzare il suo pieno potenziale. Nel settore dell’impiantistica sportiva la gomma riciclata è un vero e proprio valore aggiunto che consente di realizzare superfici ai massimi livelli, apprezzate anche dagli atleti professionisti. Grazie all’ottimale risposta elastica e all’elevata capacità di assorbimento degli urti offerte dalla gomma, le pavimentazioni rispondono perfettamente alle esigenze delle varie discipline, coniugando alla perfezione sport e ambiente, per una pratica sportiva sempre più all’insegna della sostenibilità”.
La gomma riciclata grazie alle sue caratteristiche è infatti un materiale ideale per il mondo dello sport, e consente di ottenere superfici sportive di altissimo livello e attente all’ambiente. Un’innovazione tecnologica promossa e supportata da Ecopneus, per favorire un sempre maggiore impiego della gomma riciclata in quei settori quali lo sport, nei quali rappresenta un alto valore aggiunto poiché consente di migliorare le performance rispetto alle superfici sportive tradizionali e salvaguardare la salute di chi pratica attività sportiva, contribuendo inoltre all’economia circolare in Italia.
Calcio e sostenibilità ambientale: a Friburgo lo stadio più green di Germania
Gradinate sostenibili
Tutto a Friburgo è green, anche lo stadio, considerato il più verde di Germania e uno dei più sostenibili al mondo. Quando venne inaugurato, nell’ottobre del 2021, il Friburgo gli attribuì titolo di “stadio più ecologico del mondo”, ma poi venne rintuzzato dai turchi del Galatasaray, che fecero notare come il record spettasse al loro Nef Ali Sami Yen Stadium.
“Si distingue in tutte le specialità: è come se fosse medaglia d’oro nel decathlon”, osserva Andrea Burzacchini, modenese che da oltre vent’anni vive a Friburgo dove gestisce Aiforia, un’agenzia di progetti ambientali internazionali che collabora anche con la municipalità. “Possiamo rappresentare il Comune di Friburgo in quelle che sono chiamate visite tecniche e che spesso sono effettuate da amministratori di altre città. Abbiamo accolto, per esempio, il sindaco di Fukushima”.
Allo stadio si può arrivare in piedi, in bici (ci sono 3700 stalli per ospitarle, mentre i posti auto sono solo 2500, comunque contestati dagli ambientalisti) o in tram: chi ha il biglietto della partita non paga la corsa, ma a Friburgo lo stesso succede a chi va al teatro o in Fiera, perché una piccola percentuale del tagliando viene infatti girata all’azienda dei trasporti, che così può fare viaggiare gratuitamente spettatori e visitatori. “È un sistema che ho cercato di introdurre in Italia quando ho guidato l’agenzia per la mobilità della provincia di Modena”, dice Burzacchini, “ma non sono riuscito a mettere tutti d’accordo”.
Ristoranti, negozi, spogliatoi, uffici e anche il terreno di gioco vengono invece riscaldati con il calore in eccesso prodotto da un’azienda della vicina zona industriale. Non si butta via niente: all’Europa-Park la birra viene servita in bicchieri di plastica riciclabili che non vengono gettati ma restituiti, e rimborsati, come dei vuoti a rendere: è un altro esempio della filosofia ambientalista dei friburghesi che si estende al club calcistico, il quale ha una coscienza ecologista antica, visto che già nel vecchio stadio, lo Schwarzwald-Stadion, fin dagli anni Novanta tre tribune vennero ricoperte di pannelli fotovoltaici e la quarta di pannelli solari: i lavori vennero finanziati dai tifosi stessi che, “adottando” un pannello, ricevevano in cambio la priorità nella lista d’attesa per comprare l’abbonamento per le gare di Bundesliga.
Lasciare lo Schwarzwald-Stadion (significa Stadio della Foresta Nera) non fu facile, perché molti friburghesi temevano che un nuovo impianto, costruito e gestito da una società mista pubblico-privato, avrebbe tradito lo spirito ecologico del vecchio: dopo anni di discussioni, il consiglio comunale diede il via libera soltanto a condizione che alla popolazione venisse sottoposto un referendum confermativo. I sì vinsero con il 65%, anche perché molti temettero che un qualunque comune della cintura si offrisse si ospitare il nuovo impianto senza rispettare i vincoli ambientalisti che invece Friburgo non tradisce.
Riparte la campagna “Odiare non è uno sport”: coinvolti 600 docenti e 2200 studenti
Odiare non è uno sport
Riparte la campagna per dire no all’hate speech nello sport. Il progetto darà vita al secondo Barometro dell’odio e coinvolgerà in percorsi formativi interattivi e multimediali 600 docenti di scuole secondarie e 2200 studenti, oltre a 900 giovani sportivi.
Veicolo di crescita e confronto, palestra di vita, lo sport coinvolge milioni di ragazzi e ragazze nel nostro Paese ed è un importante terreno di inclusione e aggregazione sociale. Allo stesso tempo però lo sport è divenuto anche, e sempre più, terreno di scontri, discorsi e gesti d’odio, che nella dimensione digitale si potenziano e diffondono in maniera esponenziale.
È così che, anche grazie all’aiuto di diversi campioni azzurri, in occasione della Giornata Mondiale dello Sport, riprende nuovo slancio la campagna #Odiarenoneunosport, sostenuta dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e promossa dal Centro Volontari Cooperazione allo Sviluppo (CVCS), con una fitta rete di partner su tutto il territorio nazionale.
Avviata nel 2020 con un primo studio del fenomeno affidato all’Università di Torino (Centro Coder), che ha elaborato il primo Barometro dell’Odio nello sport monitorando i principali social media e le testate giornalistiche sportive, la campagna ha raccolto le testimonianze di campioni dello sport azzurro, come Igor Cassina, Paola Egonu, Stefano Oppo, Alessia Maurelli, Frank Chamizo, Valeria Straneo, Angela Carini e tanti altri. Al loro fianco le straordinarie storie di inclusione sociale avvenute attraverso lo sport sul territorio italiano e l’adesione spontanea di decine di sportivi, professionisti e dilettanti, associazioni, scuole o semplici cittadini che sostengono la campagna ritraendosi con la scritta “Odiare non è uno sport”.
Riparte oggi con nuovo slancio non solo la campagna di sensibilizzazione, che si svolgerà contestualmente alla delicata fase della preparazione olimpica degli Azzurri verso Parigi 2024, ma anche un importante progetto di prevenzione e contrasto all’hate speech. Il progetto porterà alla realizzazione del secondo Barometro dell’Odio nello sport e al coinvolgimento in percorsi formativi interattivi e multimediali sulle dinamiche dell’odio nello sport 600 docenti di scuole secondarie, 540 allenatori sportivi del target giovanile, 300 dirigenti di società/ASD, 2200 studenti di scuole secondarie di I e II grado e 900 giovani sportivi della fascia 11-18.
Saranno costituite anche 9 squadre territoriali di attivisti digitali anti-odio, composte da studenti e giovani coinvolti nelle attività di formazione, che condurranno azioni di contrasto all’hate speech sportivo in chat e social frequentati dai giovani, attivando reazioni e risposte di valenza dissuasiva ed educativa.
“Premio Mondonico”: assegnato il riconoscimento a 20 campioni dello sport sociale
“Premio Mondonico”
Assegnato a 20 campioni dello sport sociale il riconoscimento per chi ha saputo interpretare lo sport come strumento di inclusione e di integrazione. Il servizio di Elena Fiorani.
Il Premio intitolato alla figura di Emiliano Mondonico, calciatore, allenatore e interprete della dimensione partecipativa dello sport, ogni anno premia tecnici, dirigenti e associazioni che promuovono lo sport come strumento di inclusione, puntando ad un’azione educativa e valoriale.
Tra i premiati anche Hassane Niang mister dell’ASD Rinascita Refugees, impegnata nella promozione dei diritti umani, in particolare dei migranti e soprattutto dei minori stranieri non accompagnati. “Lo sport è uno strumento di inclusione sociale potentissimo”, ha dichiarato Hassane che allena la squadra di calcio composta da ragazzi provenienti da varie parti del mondo in cui i diritti umani sono negati, e che qui hanno trovato una possibilità di inserimento sociale nelle comunità di riferimento.
In mountain bike contro il cancro: 460 km percorsi da tre donne dalla Sardegna al Marocco
In mountain bike contro il cancro
Dalla Sardegna al Marocco, per dimostrare a se stesse e al mondo che l’impossibile non esiste. Tre donne, insieme, hanno percorso 460 km su due ruote, seguite da medici, nutrizionisti e tecnici specializzati.
La “Marocco Expedition Women Challenge” è un messaggio di speranza per circa 377mila persone che ogni anno, in Italia, vengono iscritte alle liste delle nuove diagnosi di tumore.
Tre donne, insieme, sono capaci di tutto. Se poi hanno affrontato a muso duro un tumore, hanno una forza che è inimmaginabile persino per loro. La sfida denominata “Marocco Expedition Women Challenge” non era roba da supereroi, ma neppure per gente che si piange addosso: si trattava di un raid in mountain bike, in sentieri impervi tra i deserti e le montagne del Marocco, dalla catena montuosa dell’Alto Atlante al massiccio vulcanico del Jebel Saghro, sino alla famosa Draa Valley. In tutto, 460 km. Per dimostrare, a se stesse prima che al mondo, che spesso l’impossibile è possibile.
Cuore, tenacia e spirito di rivalsa. Così tre donne sarde hanno combattuto e vinto una delle sfide più ardue che abbiano mai affrontato, a parte la malattia. All’inizio erano in quattro: Daniela Tocco, Donatella Mereu e Paola Zonza sono riuscite a partire ma, negli ultimi giorni della preparazione, Daniela Valdes ha dovuto rinunciare per motivi personali. Hanno accolto la proposta di Acentro per il sociale e, insieme, hanno deciso di iniziare un lungo, faticoso percorso fatto di visite mediche, allenamenti, diete bilanciate. Un adeguato addestramento tecnico, unito a una meticolosa preparazione atletica, ha permesso loro di ottenere il via libera dello staff medico-sanitario guidato dal dottor Marco Scorcu, responsabile di Medicina dello sport della Assl di Cagliari e responsabile sanitario del Cagliari Calcio. In Marocco invece era presente la dottoressa Rita Nonnis, chirurga senologa dell’Aou di Sassari, mentre la dottoressa Claudia Collu era la biologa-nutrizionista della spedizione alla quale hanno preso parte il coach Antonio Marino, l’esploratore estremo Maurizio Doro e Michele Marongiu: quest’ultimo, appassionato di ultracycling e amante dei viaggi-avventura in bicicletta, è stato l’ideatore dell’iniziativa. Si è ispirato alla storia di Tiziana Garau, un’altra malata di cancro, che rappresenta idealmente tutte le 182mila donne italiane a cui ogni anno viene diagnosticato un tumore (le nuove diagnosi di tumore tra gli uomini sono invece 195mila).
Paola Zonza ha 43 anni ed è sassarese. Alle spalle dieci anni di basket, prima di approdare in serie con la maglia della Torres femminile: quella, per intenderci, che vinceva gli scudetti a suon di gol realizzati da top player come Parejo, Carta, Guarino e Placchi. «Paoletta, come la chiamiamo noi, incarnava lo spirito delle sarde in gruppo con molti innesti della penisola. Era un elemento fondamentale per lo spogliatoio. Non mi meraviglia che sia riuscita in questa impresa», commenta l’ex presidente torresino Leonardo Marras.
«Quel mio trascorso agonistico mi è servito tantissimo», ammette Paola. «La Marocco Expedition è stata un’esperienza molto impegnativa, ma sono felice di avervi partecipato perché, durante la malattia, avevo dovuto abbandonare l’attività sportiva. Grazie a questa iniziativa mi sono ritrovata in un’altra squadra. Ero titubante, mi chiedevo come potessi interagire con loro: in fondo, io avevo fatto una certa esperienza negli sport di squadra, loro no. Invece mi ha stupito positivamente il loro straordinario cameratismo».
Donatella Mereu è originaria di Portoscuso ma cagliaritana d’adozione. «Non so esattamente che cosa temessi maggiormente, quando sono partita per questa straordinaria avventura», commenta. «Sicuramente lo sforzo fisico, anche se ho sempre amato lo sport all’aria aperta. La bici è arrivata in un secondo momento. Ma forse era prevalente la parte emotiva perché, a differenza delle mie compagne d’avventura, io ancora combatto contro un mieloma mentre loro, fortunatamente, sono state dichiarate clinicamente guarite. Da questa esperienza ne sono uscita più forte».
«Ha ragione Paola, tra di noi c’era un feeling speciale», è il parere di Daniela Tocco. «Ci bastava guardarci negli occhi per capirci al volo e trovare una soluzione a qualunque problema. È stata un’esperienza bellissima, il solo pensare a loro mi fa tornare il sorriso. Certo, la malattia mi ha messo a dura prova e ha lasciato il segno, però mi ha permesso di apprendere delle cose nuove. Avevo una gran voglia di vivere, ora ancora di più: la Marocco Expedition mi ha fatto crescere nell’ascolto e nell’aiuto degli altri».
La presentazione del docufilm realizzato dal videomaker Pierandrea Maxia, avvenuta martedì sera in un albergo del capoluogo sardo, ha strappato più di una lacrima ai numerosi presenti. Il giornalista cagliaritano Giorgio Porrà, uno degli uomini di punta di Sky Sport, ha prestato il suo volto per fare da filo conduttore della trama: la sua presenza è risultata particolarmente significativa e in linea con il progetto, in quanto egli stesso ha dovuto combattere contro un tumore molto aggressivo.
«Quando ti diagnosticano un tumore, dopo la sberla iniziale, pensi a reagire. Ti poni degli obiettivi, anche se non sai se riuscirai a guarire», spiega Paola. Dalla Sardegna al Marocco, per dimostrare a se stesse e al mondo che l’impossibile non esiste. Una straordinaria avventura sulle due ruote, seguite da medici, nutrizionisti e tecnici specializzati. La “Marocco Expedition Women Challenge” è un messaggio di speranza per circa 377mila persone che ogni anno, in Italia, vengono iscritte alle liste delle nuove diagnosi di tumore
Tre donne, insieme, sono capaci di tutto. Se poi hanno affrontato a muso duro un tumore, hanno una forza che è inimmaginabile persino per loro. La sfida denominata “Marocco Expedition Women Challenge” non era roba da supereroi, ma neppure per gente che si piange addosso: si trattava di un raid in mountain bike, in sentieri impervi tra i deserti e le montagne del Marocco, dalla catena montuosa dell’Alto Atlante al massiccio vulcanico del Jebel Saghro, sino alla famosa Draa Valley. In tutto, 460 km. Per dimostrare, a se stesse prima che al mondo, che spesso l’impossibile è possibile.
Lo sport entra nel carcere di San Vittore con “Liberi di giocare”: il progetto di Csi Milano
Liberi di giocare
I detenuti di San Vittore, a Milano, e di Monza, grazie alle società sportive partecipano con entusiasmo alle proposte del progetto promosso dal Csi territoriale: grazie a Liberi di giocare lo sport entra nelle carceri per garantire ai detenuti allenamenti e partite.
Tra i numerosi progetti che il Csi, il Comitato di Milano svolge sull’hinterland e, nello specifico presso le carceri, ce n’è uno che riguarda la “Casa Circondariale Francesco Di Cataldo”, conosciuta come il carcere di San Vittore: “Liberi di giocare”, all’insegna dello sport, per garantire ai detenuti allenamenti e partite di calcio, basket e pallavolo. Proprio nell’ambito del progetto calcio, nelle scorse settimane è avvenuto un episodio degno di nota: durante uno dei tanti e soliti allenamenti svolti all’interno della struttura penitenziaria, tra i detenuti che partecipano con costanza si nota subito l’assenza di chi è sempre presente, ovvero Paolo. La sua assenza non passa inosservata, ma nessuno decide di dargli troppo peso, anche perché spesso capita che al sabato i detenuti si ritrovino impegnati nei colloqui con i familiari. Dopo quasi mezz’ora dall’inizio dell’allenamento, però, accade qualcosa di inaspettato: Paolo è assente per un motivo ben preciso, perché ha ricevuto la notizia che attendeva da tempo, ovvero è libero e può finalmente uscire.
Si sente il rumore inconfondibile del giro di chiave da parte dell’agente, entra Paolo in campo – indossa jeans e un maglioncino, non la solita divisa sportiva – e scatta un applauso: in campo, dalle finestre, nei corridoi. Applaudono tutti, partono anche i cori in suo onore: “Paolino, Paolino, Paolino”. Paolo è quasi un uomo di mezza età e, dopo due anni e otto mesi, torna a rivedere la luce del sole. Tanto affetto è giustificato proprio dalla sua età e perché dentro il Carcere di San Vittore nel corso del tempo è diventato un punto di riferimento, voluto bene e rispettato. Abbracci interminabili da parte di tutti, con Paolo che si ritrova spaesato, in una situazione in cui probabilmente non è abituato a fronteggiare, non sapendo da che parte voltarsi prima, inondato da così tanta umanità dai suoi “compagni di cella” da farlo sentire quasi in imbarazzo.
Travolto dall’affetto della sua famiglia, sì perché dopo anni che condividi ogni minuto della tua vita con le stesse persone, quelle stesse persone diventano la tua famiglia, lascia – quasi come se fosse una superstar dopo l’omaggio ricevuto – il campo e si dirige verso l’uscita: lì dove sa che c’è una nuova e seconda vita che lo aspetta. Spesso, verso le carceri e i detenuti, si ha un atteggiamento pregiudiziale, bollando come “carcerato a vita” – e quindi non un essere umano al nostro pari – una persona solo perché ha varcato, meritatamente o meno, i cancelli di un carcere. Ci si dimentica che ogni persona che finisce dentro, porta con sé una storia, gioie, dolori, sofferenza, rabbia e anche – soprattutto – tanti errori. Ma la storia di Paolo ci restituisce tanta umanità e fa capire quanto noi umani siamo persone fragili. Basta un secondo per compromettere la nostra vita. Ma anche un secondo per tornare a essere umani. Al di là tutto e al netto di tutti gli errori che possiamo commettere, chiunque merita una seconda chance. E la merita anche Paolo, che è tornato a vivere e a svegliarsi con una nuova luce: quella della libertà.