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Torna il Galà dello sport a Bastia Umbra (Pg)


Galà dello sport. Questa sera a Bastia Umbra l’evento di promozione e riconoscimento degli atleti e delle associazioni del territorio con l’obiettivo di presentare lo sport solo come agonismo, ma anche e soprattutto coesione sociale e fonte educativa.

La Sampdoria dona 5 abbonamenti annuali a persone senza fissa dimora


Genova Solidale. La Sampdoria ha donato ai Volontari per l’Auxilium cinque abbonamenti annuali a persone senza fissa dimora per le partite casalinghe della squadra blucerchiata. Secondo l’associazione, “poter andare allo stadio non è solo un semplice momento di svago ma è un’opportunità per rafforzare le relazioni, il senso di inclusione, la fiducia in sé stessi”.

Videogames accessibili: la sfida di una startup italiana contro l’esclusione sociale


 

 

 

Videogames accessibili. Questa è la sfida di una startup italiana. Il servizio è di Giovanna Carnevale.

Anche giocare ai videogiochi può essere causa di esclusione sociale per le persone cieche e ipovedenti. E così Arianna Ortelli, Marco Andriano e Moreno Gregori della Novis Game hanno deciso di sviluppare un software che, grazie all’Intelligenza artificiale, consentirà di giocare in modalità accessibile a qualsiasi videogioco.

Saranno i suoni, infatti, a guidare l’utente. Diverse le associazioni che collaborano con il progetto della start up, tra cui l’Unione italiana ciechi e ipovedenti. Il primo videogioco è già in fase di completamento.

Proseguono i Campionati nazionali CSI: “Our passion for sport never stops”


La passione non si ferma. Proseguono con successo i Campionati nazionali CSI. Lo slogan è “Our passion for sport never stops” che significa speranza per la ripartenza dello sport di base. Domenica 7 agosto si terranno a Giovinazzo in provincia di Bari i Campionati Nazionali Csi di Canottaggio Sedile Fisso.

Gli Enti di Promozione sportiva al Governo: “Ennesima disparità con Federazioni, Vezzali ci spieghi”


Basta disparità. Gli Enti di Promozione sportiva, in un comunicato unitario, chiedono spiegazioni alla sottosegretaria allo sport Vezzali e al Governo: il contributo straordinario per asd e società sportive per gestione impianti, discriminerebbe quelle affiliate alla promozione sportiva. E’ un controsenso difficile da motivare, visto che il valore sociale dello sport viene spesso sottolineato da istituzioni e politica.

Ecco il comunicato integrale

Passano i mesi, cambiano le legislature, ma gli Enti di Promozione Sportiva sono costretti, ancora una volta, a denunciare l’ennesima disparità di trattamento riservata dal Governo alle nostre affiliate ASD e SSD. Il Dipartimento per lo Sport ieri ha pubblicato le modalità e i termini, definiti con il DPCM del 30 giugno 2022, per la presentazione delle istanze per il contributo a fondo perduto in favore delle Associazioni e Società Sportive che abbiano per oggetto sociale la gestione di impianti sportivi, per l’importo complessivo di euro 53.000.000,00.

Un aiuto concreto e apprezzato se non fosse per l’ormai abituale differenza di trattamento riservata agli Eps rispetto alle Federazioni, che peraltro accedono anche ai contributi per la promozione sportiva pur, molte di loro, rifiutando le convenzioni con gli EPS. Come leggiamo dall’articolo 3, lettera b del DPCM in questione, tra i presupposti oggettivi per aver accesso al contributo è necessario “avere un numero di tesserati, presso gli enti di cui all’articolo 2, comma 1, alla data di pubblicazione del presente decreto, pari ad almeno 200 unità se tesserati con EPS o 30 unità se tesserati con FSN”.

Una disparità di trattamento evidente della quale chiediamo spiegazione alla Sottosegretaria Valentina Vezzali e che ci rammarica perché è solo l’ultima di una già lunga lista di ingiustizie da noi subite. A marzo 2021 venivamo colpiti attraverso il divieto di poter organizzare le proprie attività nelle zone rosse d’Italia, mentre le FSN potevano, poi un anno dopo è stata la volta dell’esclusione degli enti di promozione sportiva dal PNRR per le infrastrutture e ora questo. Non da ultimo, la considerazione che le associazioni e società sportive dovrebbero, in pieno agosto, reperire asseverazioni e dichiarazioni da professionisti qualificati e attivare le procedure con gli Organismi Sportivi.

E ’il momento di dire basta, esigiamo rispetto e pari trattamento in quanto dall’inizio della pandemia siamo stati il collante tra le società sportive e le istituzioni. Siamo stati e siamo tutt’oggi il “primo soccorso” al quale si rivolgono le società e gli operatori sportivi in generale. E come Vezzali, anche gli Enti di Promozione Sportiva e le ASD e SSD a loro affiliate, sono da sempre animati da spirito di servizio, dedizione e amore per la pratica sportiva. Quella che ad oggi, con decisioni prese a nostro discapito in maniera impari e discriminatoria rispetto ad altri organismi sportivi nazionali, ci stanno mortificando. La Sottosegretaria metta la parola fine a tutto questo.

Antonino Viti – ACSI
Francesco Proietti – CSEN
Bruno Molea – AICS
Vittorio Bosio – CSI
Luca Stevanato – ASC
Andrea Pantano – CSN Libertas
Claudio Barbaro – ASI
Paolo Serapiglia – ENDAS
Luigi Fortuna – CSAIN
Gian Francesco Lupattelli – MSP
Yuri Morico – OPES
Ciro Bisogno – PGS
Tiziano Pesce – UISP
Damiano Lembo – US Acli

La Premier League pronta a dire basta scommesse: la proposta dei club, l’impegno del governo inglese


Stop scommesse. La Premier League è pronta a innestare la retromarcia: i club infatti hanno deciso di autoimporsi il divieto di stringere accordi commerciali con i colossi del betting. La proposta dovrebbe essere ratificata a breve in un’assemblea di azionisti della Premier: serve l’approvazione di 14 squadre su 20.

Non si tratta di un ravvedimento, bensì la volontà di anticipare la decisione del governo inglese e di salvare parte dei profitti generati dagli accordi di sponsorizzazione con le agenzie del betting, mantenendo la possibilità di mostrare i loghi sulle maniche delle magliette di gioco. L’amministrazione di Boris Johnson infatti da tempo ha dichiarato guerra al legame tra i club di Premier con il gioco d’azzardo. Qualche mese fa il ministero della Cultura, dei Media, del Digitale e dello Sport del Regno Unito ha annunciato il riesame dell’attuale legislazione in materia.

Secondo Downing Street l’intreccio tra il calcio e in generale lo sport con il gioco d’azzardo ha prodotto danni devastanti e lo confermano alcuni dati: il Times ha pubblicato un’indagine citando uno studio della Public Health England su 409 suicidi provocati dalla dipendenza dal gioco d’azzardo ogni anno nel Regno Unito. Insomma, una spirale da fermare. C’è anche un rapporto, di tre anni fa, della Gambling Commission e dell’ente benefico Gamble Aware, secondo cui il 5% dei dipendenti dalle scommesse aveva tentato il suicidio nell’anno precedente.

Sulla lotta davvero senza quartiere del governo inglese al gioco d’azzardo dovrebbe rientrare – ma questo era un obiettivo prima del ciclone politico e mediatico che ha avvolto il premier Johnson – un libro bianco del Governo, tra le norme previste anche una tassazione più alta per i colossi del betting per scardinare questo tipo di industria che è parecchio radicata, non solo in Premier League. Secondo uno studio realizzato lo scorso anno da ResearchAndMarkets.com, il calcio europeo ha incassato nel corso di un anno 1,2 miliardi di euro dal betting e il 20% dei club dei primi 15 campionati nazionali europei aveva uno sponsor di scommesse sportive sulla maglia. Nonostante gli incassi, il Regno Unito cerca di invertire la tendenza mentre dall’alto lato dell’Atlantico, con l’apertura alle scommesse legalizzate in buona parte degli stati americani dopo 30 anni o poco meno di divieto, la Nba e la Nfl stanno stringendo accordi milionari con i casinò di Las Vegas, del Nevada, con macchinette da gioco piazzate all’interno dei palazzetti dello sport e degli stadi.

Con il balzo in avanti dei club di Premier sul bando a nuovi contratti con le agenzie di scommesse c’è anche il tentativo di apertura di un tavolo negoziale con la Federcalcio inglese e con la dirigenza della Premier League affinché il divieto volontario vada a impattare solo sugli accordi di sponsorizzazione sul fronte della maglia e non per quanto riguarda le maniche, che è diventata un’importante fonte d’entrata per le società del campionato inglese.

Se andasse a segno l’iniziativa dei club di Premier, l’introduzione di questo auto-divieto sulla maglia dovrebbe avvenire gradualmente, nell’arco in tre stagioni. Una rivoluzione dolce, in modo che quei club che hanno già accordi in atto con le agenzie di betting non siano direttamente colpiti.

Poi ci sono i conti, il peso delle sponsorizzazioni del betting in Premier League. Al momento ci sono sette club – nessuna del sestetto delle big, ovvero Arsenal, Chelsea, Manchester City, Manchester United, Liverpool, Tottenham – con il logo di un’agenzia di betting sulla maglia da gioco. Secondo i dati di SportsProMedia, nella stagione 2020-21 i club di Premier League hanno incassato 122 milioni di dollari dai marchi del gioco d’azzardo. Mentre il mercato del gioco d’azzardo nel Regno Unito è valso 17,3 miliardi di dollari nel 2020. Il giro d’affari è dunque enorme, radicato e l’obiettivo del Governo non è così semplice da raggiungere.

La soluzione del caso è ancora lontana. Come riferisce il Times, ci sono club che hanno già metabolizzato l’addio ai soldi delle società di betting, come il Newcastle United del Fondo Sovrano Saudita (PIF), così discusso in Inghilterra, che avrebbe in programma di abbandonare Fun88 come sponsor di maglia al termine della stagione di Premier che inizia il 4 agosto, senza più stringere accordi con aziende del gioco d’azzardo.

L’Everton invece da poco ha sottoscritto un ricco accordo da 12 milioni di euro annui con Stake.com e difficilmente ci rinuncerà, sebbene ci sia stata una petizione da almeno 20mila firme tra i tifosi del club di Liverpool.

E anche il Fulham stringe accordi con un’agenzia di betting, W88, nonostante il parere contrario di una buona fetta della sua tifoseria: sarebbe il decimo club del torneo a mostrare un logo di un’agenzia di scommesse, attualmente sotto contratto ci sono Burnley, Crystal Palace, Leeds, Newcastle, Southampton, West Ham, Wolverhampton, Brentford, Watford.

Staccare la spina è però complesso perché, andando un attimo oltre i conti della ricca Premier, il flusso di euro dal betting è fonte di ossigeno per le serie minori inglesi. SkyBet sponsorizza la seconda divisione (la Championship) e, se passasse la linea dura governativa, verrebbero meno 48 milioni di euro da questo accordo. Mentre due anni fa, in piena pandemia, sono stati gli accordi con le agenzie di betting a tenere in vita la English Premier League, la terza serie inglese.

Ci sarebbe poi il caso di difficile risoluzione dello Stoke City, che oscilla quasi ogni anno tra la Premier e la seconda divisione, che è di proprietà di Bet365, uno dei bookmakers più famosi nel Regno Unito e non solo. Il gigante del betting ha dato il nome anche allo stadio dello Stoke, che da oltre un anno rischia il default, nonostante la presenza di un brand delle scommesse così conosciuto. In questo caso, che tra l’altro non naviga nell’oro, il club andrebbe venduto.

Se il Regno Unito riuscisse a scardinare le resistenze del calcio e dei bookmakers, andrebbe a far compagnia all’Italia, che con il Decreto Dignità del 2018 ha posto fine al laccio tra sport e sponsorizzazioni di betting.

Una decisione, ha scritto Tuttosport qualche settimana fa, che è costata parecchio, in una forbice tra 150-200 milioni di euro in accordi commerciali, con il fintech e soprattutto il crypto che ha preso il posto dei bookies. Nella stima delle perdite sono compresi i mancati investimenti pubblicitari sui diversi mezzi (tv, stampa, radio e web), oltre che a bordo campo, e soprattutto sulle maglie da gioco, lo spazio più ambito per questioni di visibilità.

Oltre all’Italia, che resta il Paese con le maglie più strette per i colossi del betting, ci sono stati cambiamenti lo scorso anno in Spagna che con l’accordo tra Real Madrid e Bwin nel 2007 ha inaugurato la saga dei rapporti commerciali tra calcio e scommesse. Mentre in Francia c’è il divieto di sponsorizzazione solo per gli operatori stranieri.

Si è concluso il Tour de France Femmes: il ritorno della kermesse dopo 33 anni


Un tour in rosa. Dopo una pausa di 33 anni, le donne sono tornate a partecipare all’evento sportivo più visto al mondo: il Tour de France. Dopo 8 giorni ieri si è concluso con 24 squadre di sei cicliste si sono schierate sugli Champs-Élysées di Parigi per il Tour de France Femmes. Nei 119 anni di esistenza del tour, le donne hanno gareggiato soltanto cinque volte. Il tour femminile è durato dal 1984 al 1989 ed è stato poi annullato a causa della mancanza di sostegno finanziario.

Kate Veronneau, direttrice della strategia femminile di Zwift ed ex ciclista professionista: “Per le donne salire sul palco, essere elevate attraverso quella piattaforma è davvero la chiave per attirare molto più pubblico, investimenti e crescita nello sport a tutti i livelli”. “Per le bambine che crescono e si vedono in una varietà di sport … è potente”.

Quando la ciclista statunitense Marianne Martin vinse il primo Tour de France femminile nel 1984 aveva 26 anni e le cose sembravano molto diverse per le cicliste. In particolare, la ciclista non aveva né stipendio né radio. Durante una gara a tappe a Grenoble, in Francia, ha guidato davanti al gruppo per oltre 30 miglia. “Non sapevo dove fossero, quindi ho solo spinto avanti, pensando: ‘Mi prenderanno”, ha ricordato Martin, ora 64enne. “Ma non l’hanno mai fatto“. I 10 minuti che ha guadagnato sul gruppo durante quella cruciale gara a tappe, le hanno dato la sicurezza di vincere l’intero Tour, che allora era una gara a 18 tappe.

Quando Martin gareggiava, l’interesse diffuso per gli sport femminili era limitato. Ma quel mondo oggi sembra diverso. “Lo sport femminile è di tendenza forte perché le aziende che hanno investito nello sport stanno vedendo rendimenti favolosi”, ha aggiunto Veronneau. In effetti le atlete stanno attirando più attenzione da parte di fan e marketer, il che sta portando a credere che le donne siano uno dei migliori investimenti nel settore sportivo.

“Le atlete prendono molto sul serio la loro responsabilità di essere modelli perché devono lottare per ogni dollaro di sponsorizzazione”, ha continuato Veronneau. “Sanno che tutto ciò che fanno avrà un impatto sulle opportunità che verranno dopo di loro”. La ciclista del team Human Powered Health e medaglia di bronzo olimpica Lily Williams, 28 anni, è stata ispirata a iniziare a pedalare dopo aver visto il Tour de France maschile in TV in estate con la sua famiglia.

“Penso che certamente se ci fosse stato un Tour de France femminile, avrei iniziato a pedalare molto prima“, ha detto Williams, aggiungendo che ha iniziato a pedalare solo un paio di anni fa. “E penso che il mio arco di carriera sarebbe molto diverso”. La maggior parte delle cicliste del 2022 in sella al Tour ha meno di 35 anni e non ha mai avuto l’opportunità di guardare altre donne partecipare a questa manifestazione.

Gli organizzatori di gara si sono posti l’obiettivo di far crescere il ciclismo femminile al punto di arrivare ad una possibile parità di genere. Per ora, questo significa 8 tappe invece delle 21 tappe che gli uomini percorrono. Le squadre ciclistiche femminili sono più piccole di quelle maschili e questo fatto rende le 21 tappe eccezionalmente più difficili da portare a termine per le squadre femminili dal punto di vista finanziario, personale e fisico.

Proteste per Roma-Tottenham in Israele, gli attivisti pro Palestina: “Non ha niente di “amichevole””


 

 

 

Questa non è un’amichevole. Proteste a Roma per l’incontro ad Haifa tra la squadra di Mourinho e il Tottenham. Il servizio di Elena Fiorani.

Diversi negozi dell’AS Roma sono stati tappezzati di manifesti che ricordano quattro giovanissimi giocatori palestinesi uccisi da soldati israeliani solo nell’ultimo anno. La mobilitazione nasce per dire no all’amichevole che si giocherà domani ad Haifa contro la squadra allenata da Antonio Conte.

La Balata FC, squadra in cui militava uno dei ragazzi uccisi, insieme al team degli amputati di Gaza, composta da ragazzi che hanno perso arti a causa di assalti militari o spari dei cecchini israeliani, hanno scritto una lettera alla Roma chiedendo di annullare la partita. Gli attivisti per i diritti del popolo palestinese hanno rammentato alla Roma che giocare in Israele, dove vige un regime d’apartheid come accertato da Amnesty International, non ha niente di “amichevole”.