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“Uruguay, no vayas”: le organizzazioni sociali contro l’arrivo in Israele della Nazionale pre-Mondiali

di Redazione GRS


“¡No vayas!”: molte organizzazioni sociali uruguaiane chiedono alla nazionale di calcio maschile di non accettare l’invito dello Stato di Israele a svolgere nel Paese la fase finale di preparazione per i prossimi Mondiali. L’iniziativa mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violazioni dei diritti umani ai danni dei palestinesi.

Secondo un comunicato, i “gruppi di solidarietà e organizzazioni sociali” che fanno parte dell’iniziativa chiedono “all’AUF e alla nostra squadra di calcio maschile di NON accettare l’invito dello Stato di Israele a svolgere la fase finale di preparazione in quel Paese per i Mondiali, in viaggio per il Qatar”.

Venerdì scorso, il membro del Comitato Esecutivo dell’AUF Jorge Casales ha informato il settimanale Brecha che la proposta di fare uno scalo precedente in Israele proveniva da “uomini d’affari o intermediari”, e oltre a fornire un luogo di concentrazione e formazione, potrebbe comportare la disputa di un’amichevole, più una cifra che non è stata ancora comunicata. “Israele è uno stato di apartheid. Le principali organizzazioni israeliane e internazionali per i diritti umani hanno concordato su questo nell’ultimo anno. Le organizzazioni palestinesi denunciano l’apartheid israeliano da due decenni”.

“Quando il Sudafrica viveva sotto un regime di apartheid, ci fu una potente campagna internazionale per sanzionare e isolare quel paese; e lo sport ha giocato un ruolo chiave in quella campagna. Per questo non vogliamo che la nostra nazionale macchi l’amata maglia azzurra diventando complice dell’apartheid”, hanno aggiunto.

Secondo il comunicato delle organizzazioni sociali, “gli inviti che Israele rivolge a giocare amichevoli o ad allenarsi nel suo territorio fanno parte di una campagna per imbiancare la sua immagine internazionale – sempre più deteriorata – e nascondere i crimini che commette quotidianamente contro i palestinesi persone, contro i loro calciatori e atleti”. In questo senso, affermano che “i giocatori palestinesi sono costantemente attaccati, uccisi, feriti, mutilati, repressi, imprigionati dall’occupazione coloniale israeliana”. A loro volta, fanno notare che queste popolazioni “non possono radunare la squadra nazionale (distribuita tra Gaza e la Cisgiordania), né allenarsi, né andare all’estero per partecipare a competizioni internazionali”. Nell’ultimo anno, ricordano i promotori dell’iniziativa, “le forze israeliane hanno assassinato tre giovani calciatori in Cisgiordania: Mohammad Ghneim (19), Saeed Odeh (16) e Thaer Yazouri (18)”.

“Per tutte queste ragioni -e altre che svilupperemo durante questa campagna-, oggi diciamo all’AUF e alla squadra uruguaiana: ascoltate la chiamata dei vostri colleghi palestinesi, del popolo palestinese e dei suoi atleti, e dell’intera comunità internazionale che li supporta. Non gettare a mare il prestigio della nostra nazionale e non appannare il cielo collaborando per insabbiare i crimini dell’apartheid israeliano”, affermano le organizzazioni.

I firmatari sono 22 organizzazioni: Coordination for Palestine, Mothers and Relatives of Disappeared Deteinees, Human Rights Secretariat of the PIT-CNT, Uruguayan Federation of Housing Cooperatives for Mutual Aid, Federation of University Students of Uruguay, Peace and Justice Service, Palestine Club of Uruguay, Obiettivo dell’impunità, Ribellione organizzata, La Garganta Poderosa Uruguay, Collettivo contro l’impunità, Comitato Palestina libera, Plenaria di memoria e giustizia, Associazione federale dei funzionari dell’Università della Repubblica, La Izquierda Diario Uruguay, El Galpón de Corrales, Commissione di Sostegno al popolo palestinese, gonfio di memoria, Coordinamento della solidarietà con il popolo haitiano, Comunità indigena Danan Vedetá, Comunità Charrúa Basquadé Inchalá e Memoria in libertà.

Come hanno riferito al quotidiano , oltre a una lettera firmata da tutte le organizzazioni, è stata consegnata all’AUF anche una lettera del club palestinese Al Jader, “alla quale sono stati recentemente uccisi due calciatori”. La campagna “Uruguay, non andare!” invita “gruppi e istituzioni sociali, sportive, culturali e per i diritti umani ad unirsi per esprimere pubblicamente la propria adesione” alla richiesta rivolta all’AUF. Per seguire la campagna sono stati creati gli account Twitter @NovayasUy e Uruguay NOvayas su Instagram.

Presentato l'”Atlante Fidaldo”: la mappa dei sostegni del lavoro domestico

di Redazione GRS


 

 

Welfare territoriale e lavoro domestico: la mappa dei sostegni. Il servizio è di Anna Monterubbianesi.

Presentato l’ “Atlante Fidaldo”, una mappa interattiva nazionale e regionale dei sostegni oggi a disposizione delle famiglie che assumono lavoratrici e lavoratori domestici nei singoli territori, realizzata da Fidaldo e istituto di ricerca sociale.

Ne emerge un panorama molto variegato degli interventi messi in campo: nella maggior parte dei casi misure a sostegno del lavoro di cura svolto dalle badanti, mentre pochissimo è previsto per baby-sitter, e il mercato delle colf – per sua natura privato – non rientra nelle misure di welfare territoriale.

In assenza di una cornice legislativa nazionale di riferimento, le buone pratiche e gli sforzi condotti dalle regioni per qualificare e far emergere il lavoro di cura sommerso faticano a tradursi in interventi di effettivo impatto.

Esclusa pattinatrice Sabrina Samson: fuori dagli Europei perché senza cittadinanza

di Redazione GRS


Esclusa. Sabrina Samson, pattinatrice di 17 anni, non potrà essere in pista agli Europei di Forlì perché otterrà la cittadinanza solo l’anno prossimo: è stata esclusa dalla competizione e non potrà rappresentare l’Italia. In Veneto sono almeno una decina i casi come il suo.

Sabrina Samson ci teneva tantissimo a gareggiare con le compagne di squadra a Forlì, ai campionati europei di pattinaggio a rotelle. Ma non potrà essere sulla pista perché non ha ancora la cittadinanza italiana pur essendo nata qui e abitando da sempre nel Veneziano. Ha 17 anni, deve aspettarne ancora uno, e non c’è deroga che tenga. Si è allenata quanto le altre atlete, ci ha messo lo stesso impegno, ha fatto gli stessi sacrifici, indossano stessa divisa, quella della Division di Portogruaro. L’unica differenza è la carta d’identità: su quella di Sabrina, di origine moldava, c’è scritto «cittadinanza romena».

La giovane, che vive con la famiglia a Cinto Caomaggiore, si è sfogata, tre giorni fa, dopo la vittoria dei campionati italiani: «Sono l’unica esclusa, sono nata qui, vado a scuola qui, e non posso rappresentare l’Italia». Il presidente del Coni Veneto Dino Ponchio, conosce bene l’argomento perché, a livello regionale, c’è almeno una decina di casi di questo tipo: ragazzi che hanno messo anima e corpo nello sport, che sono diventati dei campioni, che hanno lottato per arrivare sul gradino più alto del podio italiano. Ma che, senza cittadinanza, non possono aspirare a quello internazionale. «Esprimo la mia solidarietà all’atleta veneziana, anche se mi rendo conto che può servire a poco – commenta Ponchio -. Dobbiamo però rispettare la legislazione delle federazioni. È brutale, e mi dispiace per i ragazzi, ma a livello internazionale ci sono delle regole, non le facciamo noi».

Nemmeno la società sportiva può fare alcunché: «Eravamo a conoscenza di questo problema sin dall’inizio, noi, la nostra atleta, i suoi genitori – fanno sapere dalla Division -. Ci dispiace molto, ma Sabrina verrà con noi a Forlì per sostenere la squadra e l’anno prossimo parteciperà a tutte le gare». In Italia, sottolinea Ponchio, «abbiamo una legislazione all’avanguardia in tutte le federazioni, i titoli di campione italiano vengono assegnati anche a ragazzi che non hanno la cittadinanza, i tesserati sono trattati tutti allo stesso modo». In attesa dello ius soli, gli atleti che non hanno ancora la cittadinanza sono bloccati: devono aspettare la maggiore età per le competizioni internazionali, e non è lo sport a decidere quando viene concessa. La questione è solo politica: il Coni ha già portato all’attenzione delle istituzioni la difficoltà che i giovani atleti incontrano quando devono accedere alle gare europee, la delusione di ragazzi convinti di poter eccellere, a cui viene impedito anche solo di provarci. «Sono sicuro che questa ragazza ha un luminoso futuro davanti – chiude Ponchio -. Ancora un anno e potrà cimentarsi nelle gare internazionali e vincere».

Esodo Ucraina: i dati sui cittadini che hanno lasciato il Paese da inizio guerra

di Redazione GRS


 

 

 

Fuga dalla guerra. I numeri di Eurostat e Unhcr sui cittadini ucraini che hanno lasciato il Paese dall’inizio del conflitto. Il servizio è di Fabio Piccolino.

La Polonia è il Paese europeo che ha concesso più protezioni temporanee agli ucraini fuggiti dall’inizio della guerra: secondo Eurostat sarebbero infatti 675 mila. Al secondo posto la Repubblica Ceca, che ne ha concesse 244 mila. I dati dell’ufficio europeo di statistica raccontano di come siano in maggioranza donne e di come i maschi siano principalmente minori di 18 anni.

In tutto, secondo i dati di Unhcr, i rifugiati che hanno lasciato l’Ucraina sono quasi sette milioni, mentre altre 8 milioni di persone sono sfollate all’interno del Paese.