Due secoli di bici e di storia del costume e della società al Museo della Figurina di Modena. Un lungo viaggio dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri. I primi ciclisti, gli amori a due ruote e i campioni raccontano una delle più grandi rivoluzioni dei tempi moderni.
Sfidando una accusa di blasfemia, potremmo dire che la prima “figurina” di bicicletta ci arriva dalla fine del 1400. Nel Codice Atlantico (foglio 133v) di Leonardo da Vinci si trova un disegno di un prototipo eseguito con matita a carboncino e databile intorno al 1493: ideato in legno, con un sostegno fisso per appoggiare le mani, una forcella anteriore e posteriore, un telaio orizzontale che collega due ruote di uguale dimensione dotate di mozzi e di raggi, un asse con una guarnitura (corona, pedivelle e pedali) posta al centro del telaio, la quale a sua volta è provvista di una catena di trasmissione che la collega a un pignone sul mozzo della ruota posteriore motrice, di una sella… Sulla attribuzione diretta al Genio del Rinascimento la discussione non si è mai chiusa, ma insomma la prima bicicletta è lì.
La mostra, prodotta da Fondazione Modena Arti Visive, fino al 13 aprile prossimo è ospitata al Museo della Figurina di Modena. Più di due secoli ormai, per quella che da molti storici è considerata una delle più grande rivoluzioni tecniche, industriali, culturali di massa e di costume dell’epoca moderna. La sua evoluzione, nella mostra, è testimoniata da oggetti, modelli antichi, abiti. A partire dalla Draisina del 1817 – la prima vera bici spinta dalla sola forza delle gambe – fino alle rivoluzionarie e leggerissime biciclette in carbonio dei nostri giorni. Evoluzione della tecnica, ma anche del costume. Agli esordi la bicicletta era definita “cavallo d’acciaio” e i ciclisti “cavalieri”. E loro, i ciclisti, erano appunto vestiti da fantini, con casacche in seta, stivali e cappellini ippici (in seguito rimpiazzati da abiti più pratici che lasciano scoperte gambe e braccia).
E se questo riguarda gli uomini, per le donne la bicicletta finì per divenire uno degli strumenti simbolo nella strada verso l’emancipazione: il nuovo mezzo di trasporto rende necessario l’abbandono delle gonne ottocentesche a favore di gonne-pantalone, galosce e stivaletti, per muoversi agevolmente senza rinunciare all’eleganza. Diventano famosi i “bloomers”, i pantaloni a sbuffo legati sotto al ginocchio divenuti simbolo della emancipazione grazie all’attivista americana che li lanciò, Amalia Bloomer. E pensare che – anche solo da un punto di vista tecnico – la versione femminile dei primi velocipedi aveva due pedali su un solo lato della grande ruota anteriore, per cui le signore erano costrette “pedalare all’amazzone”. Quasi impossibile.
Ma, rotto l’argine, a cavallo del Novecento la bici vince, diventa di moda oltre ad avere una diffusione di massa, ed i tanti detrattori cedono il passo. Invade le strade d’Europa e d’America in decine di milioni di esemplari, ed invade insieme l’immaginario collettivo divenendo il simbolo da associare a quasi tutto: moda, pubblicità di ogni genere, eroi dello sport. E qualche anno dopo anche guerra, purtroppo.
A testimoniare tutta questa storia, le figurine. Il grande veicolo di immagine di quegli anni. Tra fine Ottocento e inizio Novecento le scopriamo ironizzare sulle difficoltà dei primi ciclisti e sul contrasto tra vecchi e nuovi mezzi, raffigurando cani che azzannano ruote, scontri con pedoni e cavalieri, ingorghi stradali, capitomboli vari. Alcune serie dedicate al mondo del futuro prefigurano soluzioni innovative come i fanali per le auto, per evitare le collisioni con ciclisti e pedoni al buio. E’ un vero quadro dai colori tenui quella figurina creata per fare pubblicità, nell’ultimo decennio dell’Ottocento, ai grandi magazzini di Parigi. Come l’altra (stesso periodo) per una marca di cioccolata. Si affollano figurine caricaturali, ironiche. E poi l’amore, l’Amore in bicicletta, sul quale si ironizza ma nemmeno poi tanto. Per arrivare ai concorsi a premio associati alle figurine, che conobbero un vero e proprio boom nell’Italia degli anni trenta: tra i vari regali da scegliere o premi da vincere, la bicicletta non manca quasi mai.
Infine il mito, le immagini più diffuse dello sport popolare per eccellenza: la mostra si conclude con le sezioni dedicate alle corse e ai ciclisti, attraverso figurine di campioni, all’epoca considerati veri e propri eroi, e imprese che nel dopoguerra restituirono agli italiani l’entusiasmo e la voglia di sognare, dando loro nuovi simboli nei quali riconoscersi. E anche ai nostri giorni di interconnessione globale e immagini immateriali, l’album delle figurine del Giro d’Italia 2019 ha ancora una volta attratto appassionati e collezionisti: la storia non è finita.