Archivio Giuseppe Manzo

Je so’ pazzo: ex Opg occupato nel cuore di Napoli

di Giuseppe Manzo


Ex Opg Sant'Eframo occupato

Ex Opg Sant’Eframo occupato

Non poteva esserci nome migliore come il titolo della canzone di Pino Daniele. “Je so’ pazzo” è l’occupazione dell’ex Opg di Sant’Eframo, quartiere Materdei, nel cuore del centro di Napoli.

 

Lunedì 2 Marzo decine di studenti, lavoratori, cittadini hanno occupato l’Ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario  “per restituirlo al quartiere e alla città. Si tratta infatti di un complesso enorme, abbandonato ormai da sette anni, la cui parte immediatamente utilizzabile ha stanze, cortili, terrazzi, un orto, un teatro, un campo di calcetto, insomma: tanti spazi che potrebbero essere utilizzati per attività culturali, sociali, aggregative per bambini, famiglie e per tutti quelli che in questi anni sono stati colpiti dalla crisi”.

 

A promuovere l’iniziativa sono gli studenti del Collettivo Autorganizzato Universitario. I ragazzi si sono trovati subito di fronte agli agenti della Polizia Penitenziaria e il direttore Carlo Brunetti che sono giunti sul posto e fatto irruzione nel complesso minacciando gli occupanti di uno sgombero imminente. E così è partita la campagna a sostegno della struttura con le adesioni di associazioni, movimenti e singole personalità come, tra gli altri, Peppe Lanzetta, Bebo Storti, 99 Posse e Sandro Ruotolo.

“Je so pazzo” è il nome scelto, “perché in un mondo dove la normalità è fatta da disoccupazione, precarietà, discriminazioni razziali e di genere e chi più ne ha più ne metta, vogliamo dichiararci pazzi anche noi come Pino, e osare organizzarci per riprendere parola insieme a chiunque voglia farlo con noi per costruire dal basso un’alternativa al mondo grigio e disperato che vediamo quotidianamente. Chiediamo che la polizia penitenziaria la smetta con le sue minacce e che non ci sia nessun intervento della forza pubblica, ma l’apertura di tavoli di confronto. Chiediamo che l’Ex-OPG occupato non venga sgomberato, ma che anzi possa essere riaperto e affidato ai cittadini per attività sociali”.

 

Questo è il tentativo di riaprire alla comunità uno dei luoghi più bui dell’internamento di sofferenti psichici. L’ex Opg fu chiuso nel 2008 e i reclusi trasferiti in un’ala del carcere di Secondigliano, scatenando non poche polemiche. Ma Sant’Eframo è anche incrocio di storie come quella di Vito, internato per 50 anni e graziato dal presidente Carlo Azeglio Ciampi dopo una campagna lanciata da Francesco Maranta, autore anche del testo “Vito, il recluso” diventato poi un cortometraggio.

 

E mentre mancano poche settimane alla chiusura degli Opg, a Napoli un’ex luogo di sofferenza e prigionia vuole diventare luogo di comunità, socialità e incontro. “Je so’ pazzo” e tu?

 

Ttip, lettera di 375 organizzazioni contro accordo Usa-Ue

di Giuseppe Manzo


ttipNo Ttip, l’accordo sul libero scambio transatlantico. Lo gridano 375 organizzazioni tra cui Friends of the Earth, la rete ambientalista più vasta al mondo: “Il Ttip è un tentativo di colpo di stato aziendale – ha detto Pia Eberhardt di Corporate Europe Observatory, organizzazione che monitora le attività delle lobby – in cui le grandi imprese da entrambi i lati dell’Atlantico stanno cercando di realizzare, tramite negoziati segreti, ciò che non poteva entrare in processi aperti e democratici, dall’annacquamento delle norme per la sicurezza alimentare al far tornare al passato la regolamentazione nel settore finanziario”.

 

Le commissioni del Parlamento europeo stanno discutendo proprio in questi giorni un progetto di risoluzione sui negoziati Ttip, da votare a maggio, che non sarà giuridicamente vincolante per i negoziatori, ma rappresenterà un segnale politico significativo.
“Il Ttip è come un cavallo di Troia – ha indicato Paul de Clerk, di Friends of the Earth Europe, ripetendo uno slogan caro ai detrattori dell’accordo. Alla fine scopriamo che tutto si riduce a un abbassamento degli standard di qualità degli alimenti, di indebolimento delle norme sul lavoro e il sacrificio dei diritti democratici in nome degli interessi corporativi. Gli eurodeputati devono respingere con forza i pericoli contenuti nel Ttip, come dare alle aziende nuovi e ampi poteri per citare in giudizio i governi portandoli in tribunali di parte”.
La prima richiesta delle associazioni è la trasparenza: Tutti i documenti relativi ai negoziati Ttip, incluse le bozze dei testi consolidati, devono essere resi pubblici per permettere un dibattito pubblico aperto e un esame critico sul Ttip”. Le organizzazioni denunciano, infatti, che “i negoziati si svolgono a porte chiuse, senza una completa ed effettiva consultazione pubblica. Ai gruppi lobbistici del mondo degli affari è concesso un accesso privilegiato alle informazioni e l’opportunità di influenzare i negoziati”. La settimana scorsa è trapelata una bozza dell’accordo definita “l’offerta iniziale dell’Unione europea nel contesto delle negoziazioni”, in cui gli osservatori della società civile non hanno ancora visto sufficienti garanzie sull’esclusione dall’accordo della privatizzazione dei sistemi sanitari

 

Come spiegare Pino Daniele se “nun sann ‘a verità”

di Giuseppe Manzo


terra mia“So quanto sei legato a Pino Daniele, mi dispiace tanto amico mio”. La dolcezza di Fabio mi arriva tramite un messaggio mentre la news dell’ultim’ora non ha dubbi: Pino Daniele è morto.

 

Fermo davanti al balcone di casa, vedo il Vesuvio baciato dal sole quasi per dispetto e le lacrime che scorrono sul viso a ricordarti una perdita, un’appartenenza.  In testa rimbalza una domanda: come spiegare il significato di canzoni che sono parte di te? Come spiegare quando a 6 anni ha sentito Je so’ pazz’ per la prima volta e l’hai capita dieci anni dopo come un tatuaggio. Come spiegare quando hai 15 anni, vivi in un quartiere popolare, e “voglio di più di quelli che vedi, voglio di più di questi anni amari: sai che non striscerò per farmi valere”.

 

Come spiegare  “ ‘na tazzulell ‘e cafè e mai nient ce fann sapè”. Come spiegare lui e Massimo (Troisi), canzoni e film di una Napoli lontana da sceneggiate, camorra, pizza e mandolino perché “ ‘o sai comm fa ‘o core quando s’è sbagliato”. Come spiegare i “lazzari felici” che ritrovo in un testo di storia di Vittorio Dini all’Università. Come spiegare “chill è nu buon uaglione che peccato è nu poc ricchione”. Come spiegare lui in piazza del Plebiscito con il blues dei Napoli Centrale e ancora 30 anni dopo, senza aver mai fatto il guitto di cerimonie, boss e potenti. Come spiegare “chi ten ‘o mar ‘o sai: port na croce”, “sient’ nun fa accussì, nun dà rett a nisciun: fatt’ ‘e fatt tuoie ma se è ‘a suffrì caccia a currea”, “ ‘o padrone nun dà duie sord, dice semp ‘e faticà”.

 

Come spiegare ciò che stanno provando decine di migliaia di persone, napoletani e non, sparsi per il mondo che in quelle canzoni trovano l’orgoglio di una Napoli possibile. Sono canzoni di uno di famiglia, uno zio o un fratello più grande. Testi e musica mai sguaiate, scritti con discrezione e iniziati a fine ’70, negli “anni favolosi”.

 

Come spiegare? Non lo so.  È qualcosa che ti appartiene e che sei sicuro resterà anche per chi verrà dopo. E sarà patrimonio per chi crede nella Napoli dei “mille colori”, nella città che aspetta “ ‘o vient” che “trase rint ‘e piazz, rump’ ‘e fenest’ e puort’m ‘e voci e chi vo’ alluccà”.  Che questa “terra mia”, violentata e abusata, continui a cantare a squarciagola che tanto Napoli “ ‘a sape tutto ‘o munn ma nun sann ‘a verità”.

MARCIA PER LA PACE: APPELLO A MEDIA E INFORMAZIONE

di Giuseppe Manzo


untitled“La Perugia-Assisi non si censura!”

Inizia così l’appello della Tavola della pace e di Articolo 21 ai media italiani in vista della Marcia di domenica 19 ottobre.  “Dicono che la pace non fa notizia e ignorano tutto quello che si fa per la pace, dentro e fuori il nostro paese. Così sarà anche per la prossima Marcia PerugiAssisi per la pace e la fraternità se non ci impegniamo a dare voce alla pace”.
Dai pacifisti la richiesta di dare voce alle ragioni del movimento: Invitiamo tutti a scrivere articoli, realizzare riprese video, scattare foto prima, durante e dopo la Marcia e diffonderli attraverso la vostra rete di comunicazione”.

Il Giornale Radio Sociale aderisce all’appello: “Non c’è pace senza un’informazione di pace”.

 

 

IL MORTO CHE CAMMINA

di Giuseppe Manzo


CaparezzaùGoodbyeMalinconia

Logo della canzone di “Malicònia”, hit di Caparezza nel 2011

“Cervelli in fuga, capitali in fuga, migranti in fuga dal bagnasciuga/È Malincònia, terra di santi/subito e sanguisuga/Il Paese del sole, in pratica oggi Paese dei raggi UVA/ E poi se ne vanno tutti!/Da qua se ne vanno tutti!/Non te ne accorgi ma da qua se ne vanno tutti!”. Così cantava il rapper pugliese Caparezza nella sua Goodbaye Malicònia ed era il 2011.  A distanza di 3 anni i dati sull’emigrazione raccontano di un forte aumento di chi va via dal nostro Paese: “Al primo gennaio 2014 sono 4.482.115 i cittadini italiani residenti all’estero iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani all’estero), con un aumento in valore assoluto rispetto al 2013 di quasi 141 mila iscrizioni (+ 3,1 per cento nell’ultimo anno). La maggior parte delle iscrizioni sono per espatrio (2.379.977) e per nascita ( 1.747.409). E’ quanto emerge dal Rapporto italiani nel mondo 2014, realizzato dalla fondazione Migrantes”.

 

Ieri nella puntata Di Martedì condotta da Giovanni Floris su La7 un imprenditore italiano di 26 anni, Augusto Marietti, ha spiegato come a 23 anni ha visto il suo progetto “Mashape” approvato negli Usa e ora è uno degli attori della Silicon Valley: lo stesso progetto fu ignorato e bocciato da banche e finanziatori italiani. Secondo Marietti l’Italia è “un morto che cammina”.

 

Sono due istantanee di un Paese che si sta svuotando fisicamente e culturalmente. Gli italiani, nonostante la propaganda della paura, son tornati ad essere un popolo di migranti mentre quelli che arrivano sulle nostre coste non sono visti come un’opportunità. E non sono visti come opportunità tutti quegli attori di una resistenza civile chiamata cooperativa sociale, salvaguardia di un parco pubblico o recupero di un edificio abbandonato, gestione di un bene confiscato o volontariato nei luoghi della sofferenza. Tutto ciò avviene mentre da giorni si è fermi sull’articolo 18, immobili a spiegare che eliminando diritti arriverà la ripresa per questo Paese mentre sono altre le priorità. Una su tutte è accorgersi dei tanti i giovani, uomini e donne che sono rimasti e che continuano provarci: se il morto Italia cammina è soprattutto grazie a loro.

NELL’ITALIA ARRESA NON BASTA L’ECONOMIA

di Giuseppe Manzo


 

Dal rapporto Coop uno Stivale sempre più lacerato e depresso

Dal rapporto Coop uno Stivale sempre più lacerato e depresso

Dopo il “venerdì nero” del 29 agosto con i dati sulla deflazione, il Rapporto Coop ci consegna altri numeri drammatici per il nostro Paese. L’elenco della involuzione economica è lunghissimo: divario Nord-Sud, la disoccupazione generale a oltre il 12% e quella giovanile al 43, la diminuzione dei redditi degli under 35 del 17%. Eppure c’è un dato che spaventa ancora di più e non riguarda i parametri economici.

 

 

Il Paese rinuncia e non solo ai beni materiali. Si rinuncia alla vita politica, sociale e di comunità. Quasi metà della popolazione non vota, il 36% non ha un’opinione politica, 7 su 10 non hanno fiducia nelle istituzioni. E ancora si rinuncia ad avere figli, 2 su 10 decidono di non averne e ciò riguarda anche i residenti immigrati. E anche la religione non è messa bene con il 67% che non va a messa. Questa miscela esplosiva della rinuncia, della sfiducia e di un impossibile cambiamento produce una sola conseguenza: lasciare il Belpaese. Solo nell’ultimo anno ben 80mila italiani si sono trasferiti all’estero.

 

 

Questo blog nasce proprio dalla convinzione che la buona economia si basa anche su altri parametri e non solo sui soldi. Essa nasce da un benessere complessivo, da un tessuto sociale e cultura, da un impianto di idee e valori che questo Paese ha perso. In queste condizioni non è dato sapere se l’Italia potrà attendere altri mille giorni né come saremo ridotti fra 3 anni. Bisogna fare prima, occorre fare presto: tutti siamo chiamati a reagire di fronte alla resa.

 

 

 

NAPOLI NON HA UN CAMPO PER I CAMPIONI ANTIRAZZISTI

di Giuseppe Manzo


afronapoli6 agosto – Hanno vinto tutto quest’anno: campionato  federale di seconda categoria, campionato e coppa Aics. Afro Napoli United, la squadra multietnica del capoluogo campano che fa del calcio uno strumento di integrazione e di attivismo antirazzista, non ha trovato nessuna struttura cittadina ad ospitarli per le gare del prossimo campionato.

 

Infatti per la stagione calcistica 2014-2015 giocherà sul campo sportivo Alberto Vallefuoco di Mugnano di Napoli. “È inaccettabile che in una città come Napoli non ci siano strutture adeguate ad ospitare squadre che, oltre a fare calcio, fanno aggregazione e integrazione – sottolinea il presidente Antonio Gargiulo – Non siamo graditi ai gestori dei campi, che preferiscono far giocare le scuole calcio, né tantomeno a chi dovrebbe garantire l’ordine pubblico, perché abbiamo un gran numero di tifosi al seguito”.

 

In mancanza di strutture e spazi di aggregazione sociale e sportiva in città, l’Afro-Napoli trova ospitalità nella provincia. Soddisfatto dell’esito del protocollo d’intesa formalizzato ieri tra l’associazione sportiva dilettantistica e i vertici dell’impianto di Mugnano, Gargiulo annuncia anche che, con la nuova stagione calcistica, comincerà una stagione di collaborazioni con associazioni e comitati cittadini, tra qui quelli nati all’indomani della lotta agli inceneritori e alle discariche, del territorio nord-occidentale di Napoli. “Di pari passo all’antirazzismo e al sostegno di percorsi di integrazione sociale – spiega il presidente dell’Afro-Napoli United – crediamo che sia importante fare nostre altre battaglie di civiltà, ad esempio quella per la difesa del diritto alla salute e a vivere in un ambiente sano. Per questo inauguriamo la nuova stagione calcistica nel segno della partecipazione e del valore del fare rete”.

 

Sud, in arrivo 500 milioni

di Giuseppe Manzo


foto del giorno grs4 agosto – Esaurito il primo riparto dei Piani di azione e coesione (Pac) da 250 milioni, voluti dal ministro Barca durante il Governo Monti, circa 77 milioni di euro sono stati assegnati a 86 ambiti/distretti delle quattro regioni obiettivo convergenza per i servizi di cura all’infanzia e agli anziani non autosufficienti: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Lo scorso 31 luglio sono stati illustrati i dati al Viminale dall’autorità di gestione prefetto Silvana Riccio in una riunione del Comitato di indirizzo strategico (Cis). “L’organismo, di indirizzo e controllo dell’attuazione del Programma, – spiega il ministero dell’Interno – è chiamato a compiere una riflessione strategica di orientamento sulle attività del Programma, anche in ordine al secondo riparto che ammonterà a circa 500 milioni di euro”.

 

Nel corso della riunione sono state concordate modalità operative di collaborazione, anche con le quattro regioni interessate, “per far sì che gli altri progetti presentati dagli ambiti possano essere velocemente approvati e finanziati e consentire l’erogazione dei servizi di nido e assistenza domiciliare agli anziani”. Tutti i componenti del Cis fa sapere il ministero dell’Interno, hanno “condiviso la necessità di procedere, nel secondo riparto, a una semplificazione delle procedure e delle informazioni per attenuare e riequilibrare le differenze tra gli analoghi servizi erogati dalle altre regioni e conseguire così l’obiettivo prioritario del Programma. Si procederà, pertanto, a una ‘prototipazione’ degli interventi da progettare, per cercare modalità di sostegno della domanda, soprattutto per l’infanzia e in favore delle categorie particolarmente disagiate”.

 

Alla riunione, presieduta dall’autorità di gestione, hanno preso parte, oltre ai rappresentanti delle quattro regioni interessate, il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Uval, il dipartimento delle Politiche della Famiglia, l’Anci, Confindustria, Confcommercio, Confcooperative, le organizzazioni sindacali, il Forum del Terzo Settore.

(aggiornato 4 agosto)

 

CRISI, LE AZIENDE NON PAGANO: BOOM DEL RECUPERO CREDITI

di Giuseppe Manzo


giornalistiRecupero crediti e stipendi non pagati: la crisi la pagano ancora i lavoratori. Dallo studio sui dati dell’Ufficio vertenze del lavoro della Cgil di Milano emergono i numeri di questa situazione. Nel primo semestre del 2014 sono state aperte 670 pratiche per il recupero credito: sono la voce più importante delle 2.394 vertenze partite tra gennaio e giugno. Il dato 2013 era di 1.817 casi di recupero credito su un totale di 5.239 vertenze. Il record storico registrato dallo sportello della Camera del Lavoro è stato nel 2010: 2.289 casi di recupero crediti su un totale di 5.838 vertenze. “I lavoratori sono diventati una forma di ammortizzatore sociale non riconosciuta”, commenta Graziano Gorla, segretario della Camera del Lavoro di Milano.

 

Nella categoria rientrano i licenziati che non hanno ottenuto il Tfr, quelli a cui non sono state versate della mensilità, lavoratori a cui l’azienda deve versare degli arretrati, ma ne paga solo una parte. A queste si aggiunge anche una categoria che è molto più difficile da tracciare. Sono sempre più numerose, infatti, le aziende con meno di 15 dipendenti che non licenziano ma non pagano gli stipendi. “Molti hanno paura a rivolgersi a noi perché non vogliono perdere il posto di lavoro”, aggiunge Gorla.

Per il sindacato, dall’introduzione della Legge Fornero con la possibilità di licenziare più facilmente anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti, la difesa del lavoratore è diventata sempre più difficile. Secondo Marco Locati, responsabile dell’Ufficio vertenze, “il legislatore di tutti i colori politici in questi anni si è accanito per deregolamentare il mercato del lavoro”. E ci ha rimesso anche il diritto del lavoro, sulla base di due falsi miti: la necessità di ridurre le lungaggini burocratiche dei processi e una maggiore richiesta di flessibilità come antidoto alla crisi. “Il Tribunale di Milano è sempre stato virtuoso: al massimo in un anno si arrivava a primo grado. Non era necessario cambiare il sistema”, spiega Locati. Falso anche il mito della flessibilità: “Più di così non è possibile e comunque non siamo ancora fuori dalla crisi”, continua.

(Fonte: Redattore Sociale)

 

Altra selva burocratica tutta la normativa per il recupero crediti nel caso di aziende che hanno avuto un appalto, normata dai decreti datati 22 maggio 2012. “È molto complesso risalire la filiera e chiedere conto alle stazioni appaltanti”, è il commento di Cgil. E quando a dare l’appalto è un’ente pubblico “il credito del lavoratore è perso e l’unico modo per ottenere almeno qualcosa è rivolgersi al Fondo di garanzia del’Inps”, aggiunge Locati.