Nei primi sei mesi del 2016, ventiseimila minori non accompagnati sono stati fermati al confine tra America centrale e Stati Uniti, in fuga da povertà e violenza. Circa trentamila, invece, le persone che hanno viaggiato come nuclei familiari, soprattutto madri e bambini. Di immigrazione si parla prevalentemente con riferimento all’Europa, ma oltreoceano il fenomeno è vissuto con simile drammaticità.
Secondo il nuovo rapporto Unicef “Sogni spezzati. Il pericoloso viaggio dei bambini dall’America Centrale agli Stati Uniti”, ogni mese migliaia di bambini dall’America Centrale rischiano di essere rapiti, venduti, violentati o uccisi per cercare di raggiungere gli Stati Uniti per chiedere protezione da bande criminali e dalla povertà. La maggior parte proviene da Paesi come Honduras, El Salvador e Guatemala, dove ci sono alcuni dei tassi più alti al mondo di omicidi.
“È straziante pensare a questi bambini, la maggior parte dei quali adolescenti, ma alcuni anche più giovani, che devono affrontare un viaggio estenuante ed estremamente pericoloso in cerca di sicurezza e di una vita migliore”, ha dichiarato il vice direttore Unice Justin Forsyth. “Questo flusso di giovani rifugiati e migranti sottolinea l’importanza di affrontare la questione della violenza e delle condizioni socio-economici nei loro Paesi di origine”.
I minori non accompagnati fermati negli Stati Uniti hanno diritto ad essere ascoltati da un Tribunale per l’immigrazione, ma non hanno diritto ad un avvocato nominato dal Tribunale. I bambini che viaggiano con un genitore rischiano una rapida espulsione o mesi di detenzione.
Secondo i dati, i bambini non accompagnati che non hanno un rappresentante legale nelle udienze presso il Tribunale dell’immigrazione degli Stati Uniti (il 40%) hanno maggiori probabilità di essere rimpatriati rispetto a quelli rappresentati. In casi recenti, al 40% dei bambini senza rappresentanza è stato disposto il rimpatrio rispetto al 3% per i bambini rappresentati.
(Fonte: Redattore Sociale)
Filippine, le ONG contro la repressione di Duterte
Più di 300 ONG hanno chiesto alle Nazioni unite di fermare la repressione del governo filippino di Rodrigo Duterte contro la criminalità e lo spaccio di droga.
Da quando lo scorso maggio è stato eletto il nuovo presidente, si calcola che circa 700 persone siano state uccise dalla polizia; alla viglia della sua elezione Duterte aveva dichiarato che, utilizzando le maniere forti, avrebbe sradicato il crimine in sei mesi, incitando i cittadini ad uccidere gli spacciatori .
Secondo le organizzazioni umanitarie nelle Filippine c’è una sistematica violazione dei diritti umani e la maggior parte delle persone assassinate non aveva nulla a che fare con il traffico di stupefacenti: il governo sta utilizzando la campagna contro la droga come pretesto per altri fini.
In una lettera indirizzata all’ Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, si chiede che l’Onu condanni pubblicamente le atrocità nelle Filippine, chiedendo al governo di adempiere agli obblighi internazionali sui diritti umani, come il diritto alla vita, alla salute, giusto processo e un processo equo.
Giochi pericolosi
A pochi giorni dalle Olimpiadi di Rio, arrivano diverse denunce da parte delle ong internazionali per violazione dei diritti umani in Brasile. “I buoni poliziotti hanno paura”, tuona Human Rights Watch. “Il Paese è sul punto di compiere gli errori mortali che ha commesso per decenni”, sottolinea Amnesty International.
Memoria viva
Sono passati tre anni dalla scomparsa di Padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito a Raqqa da alcuni estremisti e sulla cui sorte è calato un preoccupante silenzio. Il religioso, molto legato alla Siria, era profondamente impegnato nel dialogo interreligioso con il mondo islamico e nella lotta ai totalitarismi.
Una strage silenziosa
Le vittime civili in Afghanistan, tra gennaio e giugno di quest’anno, sono state 5.230, un terzo sono bambini. In 155mila hanno dovuto abbandonare le proprie case nei primi sei mesi del 2016. Sono le nuove drammatiche cifre pubblicate nell’ultimo Rapporto della Missione delle Nazioni Unite nel Paese asiatico.
Più hai meno dai
I sei paesi più ricchi del mondo – Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito – ospitano solo il 9% dei rifugiati. A dirlo il rapporto Oxfam. Altre sei nazioni, ben più povere, si stanno facendo carico del 50% di coloro che sono in fuga dalla propria terra.
Senza verità e giustizia
Oggi sono sei mesi dalla morte di Giulio Regeni in Egitto. Un omicidio rimasto ancora impunito. Il servizio di Fabio Piccolino.
A sei mesi dalla scomparsa di Giulio Regeni la verità è ancora lontana. Uno stallo dal quale sembra sempre più difficile uscire. Come ci spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia. (sonoro)
Sos Nigeria
Secondo l’Unicef ci sono 250mila bambini malnutriti nello Stato africano: se non verranno approntate le cure necessarie, 1 su 5 rischia di morire. All’allarme per l’assenza di acqua, cibo e strutture igienico sanitarie adeguate, si unisce quello per il supporto psicologico, in un Paese martoriato dalle violenze di Boko Haram.
Si calcola che in sette anni di conflitto Boko Haram abbia causato la morte di oltre 12 mila persone, mentre due milioni e mezzo sono state costrette a cercare riparo nel sud del paese o in altre nazioni. La crisi alimentare sta colpendo in particolare la regione del Borno, a nordest del paese, al confine con il Ciad.
La strada è ancora lunga
Alla Conferenza internazionale sull’Aids in corso a Durban, Medici senza frontiere chiede ai leader globali di implementare un piano d’azione per affrontare la grave mancanza di accesso al trattamento nei paesi dell’Africa occidentale e centrale, dove meno del 30% delle persone ha accesso alle cure. Vittoria Gherardi di Msf.
#NoBavaglioTurco
Oggi a Roma il flash mob sotto l’ambasciata della Turchia per richiamare l’attenzione sulle violazioni dei diritti civili e la demolizione dello stato di diritto ad Ankara, dopo il tentativo di colpo di stato fallito nei giorni scorsi. L’iniziativa è organizzata da Articolo 21, Usigrai e Federazione nazionale della stampa.
L’iniziativa ha l’obiettivo di chiedere la scarcerazione dei giudici e dei cronisti arrestati, per sollecitare le istituzioni comunitarie a fare la loro parte.
Ma vuole anche essere un segnale verso i media, affinchè non si spengano i riflettori e si continui a dare voce e sostegno a chi continua ogni giorno a battersi per la tutela dei diritti umani e per il ripristino dell’ordinamento democratico,
Gli arresti arbitrari, le foto dei prigionieri denudati, la chiusura dei siti, la ripresa delle minacce verso gli ultimi media indipendenti, il ventilato ripristino della pena di morte non sono compatibili con la democrazia.
L’appuntamento è alle 14.30, in via Palestro, davanti alla sede dell’ambasciata turca.




