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Pallavolo, la nazionale femminile oggi in campo con i colori arcobaleno


Schiacciare le discriminazioni. La nazionale femminile di pallavolo oggi sarà in campo in Turchia con i colori arcobaleno sulla maglia: il volley è il primo fra gli sport italiani a scegliere di lanciare questo messaggio. Gli uomini la indosseranno il 20 luglio contro l’Olanda.

“Un’occasione unica per lanciare un importante messaggio d’inclusione, che la federazione e lo sponsor vogliono trasmettere in modo forte e deciso, per un mondo senza barriere, né fisiche, né mentali, per andare oltre ogni diversità”: le parole del numero 1 della Fipav, Giuseppe Manfredi .
Le ragazze di Mazzanti lo faranno ad Ankara in Turchia, alle ore 14.00 del 14 luglio nei quarti di Volleyball Nations League contro la Cina, i ragazzi di Ferdinando De Giorgi a Bologna, in occasione delle Finali di Volleyball Nations League Maschili il 20 luglio alle ore 21.00 contro l’Olanda. L’iniziativa si ripeterà in occasione dei Tornei Internazionali che si disputeranno in Italia (torneo maschile a Cuneo dal 18 al 20 agosto), torneo femminile a Napoli dal 12 al 15 settembre.

La Ministra Elena Bonetti ha invece commentato la scelta dell’ItalVolley: “Sono molto colpita da quest’iniziativa, che certifica quanto il mondo dello sport sia particolarmente capace di costruire una coscienza di paese, di costruire opportunità per i più piccoli e di incarnare i valori fondamentali della nostra Costituzione e della nostra democrazia. Lo sport è il contesto dove le pari opportunità possono trovarsi più e meglio rappresentate, perché è il luogo dove le diversità giocano in squadra, e le diversità che giocano in squadra sono diversità che sanno incontrarsi e riconoscersi reciprocamente. Il Governo è fortemente impegnato a riconoscere il valore dello sport e a sostenerne l’azione educativa. Il fatto che giocatrici e giocatori si mettano in campo come interpreti di questa sfida per la collettività dimostra un senso civico grande”.

“Il messaggio che vogliamo lanciare è quello che lo sport può essere un prezioso strumento per sensibilizzare le persone sul tema dell’inclusione. Ormai è sempre più importante promuovere la cultura del rispetto, della diversità e del superamento di ogni forma di discriminazione. La speranza delle nazionali azzurre è quella di poter dare il proprio contributo in questa grande partita, nella quale tutte le persone sono chiamate a fare squadra” invece le parole del capitano della nazionale maschile Simone Giannelli.

La maglia con l’arcobaleno debutterà giovedì 14 Luglio con la partita delle ragazze del ct Mazzanti mentre qualche giorno più tardi toccherà ai ragazzi del ct De Giorgi.

 

Igor Benevenuto è il primo arbitro internazionale Fifa in attività a fare coming-out


Cartellino arcobaleno. Ha deciso di diventare arbitro durante il Mondiale di calcio USA 1994, affascinato dalla figura del direttore di gara, ed ora Igor Benevenuto, brasiliano di 41 anni, è il primo fischietto internazionale FIFA in attività a dichiarare la propria omosessualità. “Sono cresciuto con il calcio, ma l’ho anche odiato profondamente, perché è pieno di machismo e preconcetti”, racconta.

Un’adolescenza trascorsa allo stadio, a guardare partite di calcio, immerso in una versione mascherata di se stesso. Poi la scintilla nei confronti del ruolo dell’arbitro, scoccata in occasione dei Mondiali di USA 1994. E oggi, Igor Benevenuto, direttore di gara brasiliano di 41 anni, è il primo fischietto internazionale FIFA in attività a dichiarare la propria omosessualità. Il coming-out è arrivato all’interno di un podcast per la rete Globo, in cui Benevenuto ha raccontato la sua storia e gli inganni con cui ha dovuto convivere per moltissimo tempo all’interno di un ambiente dominato dal maschilismo.

“Sono gay, sono finalmente me stesso – le parole di Benevenuto, riportate anche da Repubblica -. Ma sono anche una persona normale, e voi non siete migliori di me solo perché vi piacciono le donne. Sono cresciuto con il calcio, ma è uno sport che ho anche odiato profondamente, perché è un ambiente pieno di machismo e di preconcetti. Per questo motivo ho dovuto inventare una versione falsa di me stesso“.

“Sapevo fin dall’adolescenza di essere gay. Ho trascorso la vita sacrificando me stesso per proteggermi dalla violenza fisica ed emotiva. Sono finito in un ambiente, quello del calcio, tra i più ostili verso gli omosessuali. Ma per avere degli amici dovevo mostrare di essere etero. E allora recitavo la mia parte. Familiari e amici mi portavano allo stadio, ma per me era una tortura”.

“Nel calcio ci sono molti omosessuali. Ma il 99.99% resta nascosto. Parlo di arbitri, giocatori, allenatori sposati, con figli, separati, che vivono una doppia vita. Ma noi esistiamo, e meritiamo di avere il diritto di parlarne, e di vivere normalmente”.
“Ho provato ad avere relazioni con delle ragazze, ma mi stavo ingannando. La mia famiglia è molto religiosa, e nella Bibbia c’è scritto che un uomo che giace con un altro uomo è un peccatore. Ho pensato per tanto tempo che in me ci fosse qualcosa di sbagliato. Ero triste”.
“La scelta di diventare arbitro risale al Mondiale di USA 1994. Sono rimasto affascinato dalla figura del direttore di gara guardando le partite in televisione. In quell’anno la FIFA aveva cambiato il colore delle divise, abbandonando il nero per colori accesi. Fu stregato da quei colori e da quella figura che controllava tutto il gioco”.

Montagna, la “salute in cammino” con US Acli Marche


Salute in cammino. Iscrizioni aperte per l’iniziativa promossa ad Arquata del Tronto da US Acli Marche per riscoprire il valore delle escursioni in montagna. Tre gli appuntamenti previsti, da sabato prossimo fino al 23 luglio.

In vacanza in bicicletta: alla scoperta di un percorso circolare lungo la costa pugliese


In vacanza in bicicletta. Ecco una proposta da vivere pedalando lentamente lungo la costa pugliese in un percorso circolare di 220 chilometri, alla portata di tutti: turismo lento e sostenibile che permette di scoprire la pietra bianca, gli ulivi secolari, gli odori selvatici, il vento.

Difficile trovare un mezzo migliore della bicicletta per esplorare il territorio. A pedalata lenta, senza fretta, magari schivando gli affollati weekend di luglio e agosto. Non ci sono piste ciclabili di lunga percorrenza in Salento ma non ce n’è bisogno: basta farsi trascinare dal vento e inseguire la linea costiera, dall’Adriatico allo Ionio, in un susseguirsi di colori e scenari che sorprendono e cambiano di continuo. Un viaggio semplice, che richiede un piccolo impegno alla portata di tutti – i borghi sono ravvicinati, quindi una sosta è sempre dietro l’angolo – tra calette caraibiche, canyon, grotte, torri di guardia, piscine naturali e insenature selvagge. Qualcosa di molto simile a un paradiso, insomma. Uno degli itinerari consigliati fa un percorso circolare in 4 tappe, per un totale di 220 chilometri.

Lasciando Lecce si percorrono stradine rurali in direzione Otranto, inoltrandosi in una campagna urbanizzata. La comparsa dei primi muretti a secco, appena superato un cavalcavia, indica che si è già fuori città. Dopo pochi, silenziosi chilometri tra gli ulivi resi fragili dal batterio Xylella, ci si trova davanti al borgo fortificato di Acaya, con le sue mura cinquecentesche. Subito dopo si entra nell’oasi del Wwf Le Cesine: è una riserva naturale di 350 ettari e un piccolo paradiso vietato alle macchine. Da lì si arriva direttamente al mare, nella zona delle marine di Melendugno, dove ci sono alcune delle più belle insenature di tutto il Salento, dalla Grotta della Poesia all’arco degli innamorati. Rinunciare a un bagno da queste parti sarebbe da pazzi. Siamo nella zona tra San Foca e Torre dell’Orso, da cui partì la cosiddetta rinascita salentina: esattamente trent’anni fa, infatti, alcuni ragazzi occuparono una masseria vicino San Foca, La Mantagnata, attirando studenti da tutta Italia e trasformando quel luogo in una sorta di Woodstock nostrana, tra mare, musica raggae, rime improvvisate e concerti. La Giamaica d’Italia stava prendendo forma.

Si prosegue lungo la costa, alternando litoranea, stradine secondarie e sterrati a strapiombo sul mare, fino a quando la vista dell’imponente castello aragonese indica che si è arrivati nei pressi di Otranto, il punto più a est d’Italia. Fino al 2 novembre la città ospita Altre Americhe, un’imperdibile mostra di Sebastião Salgado, inedita in Italia, che racconta il suo primo grande progetto fotografico in America Latina tra il 1977 e il 1984.

Questa è la tappa più insidiosa, per l’alternarsi di discese e piccole salite, anche se mai troppo impegnative. Ma è anche la più scenografica, con la strada in leggera quota che segue il profilo sinuoso e frastagliato della costa. Sono solo cinquanta chilometri ma bisogna guadagnarseli. La prima sosta arriva dopo pochi chilometri ed è una delle classiche cartoline salentine: la ex cava di bauxite chiusa nel 1976 e oggi nota per il contrasto tra le acque verdi smeraldo del laghetto di acqua dolce e il rosso dei calanchi scavati dalle piogge meteoriche. Si riprende la litoranea, si supera il faro di Punta Palascia – da cui, si dice, nelle giornate più limpide si vedono le montagne dell’Albania – e in breve si raggiunge il pittoresco centro di Porto Badisco, uno dei luoghi ipotizzati come primo rifugio di Enea in fuga dalle rovine dell’antica città. Ma prosaicamente conosciuto anche per i leggendari panini del bar Da Carlo, tra i migliori di tutta la costa adriatica. Da qui in avanti è un susseguirsi di soste quasi obbligatorie: dalla grotta carsica di Zinzulusa – difficile non fare almeno un tuffo – al borgo di Castro, con le sue terrazze e i giardini fioriti, dalla piscina naturale di Marina Serra allo stupefacente Ciolo, un piccolo canyon che si tuffa nell’Adriatico. Fino alla destinazione finale: Santa Maria di Leuca, che i romani chiamavano De finibus terrae. La quintessenza della terra salentina.

Per la prima volta dall’inizio del giro si punta verso nord. Se non si ha la sfortuna di trovare vento contrario questa tappa è poco più di una semplice passeggiata marina, con il conforto del mare sempre sulla sinistra. Ci si lascia alla spalle le eleganti ville liberty di Santa Maria di Leuca e subito ci si ritrova a pedalare sul lungomare, giusto in tempo per ammirare il paesaggio dal promontorio di Punta Ristola. Poi lo scenario cambia e la costa rocciosa lascia spazio alle lunghe e bianche spiagge caraibiche, fondali bassi, sabbia finissima, altra immagine simbolo della rinascita salentina. Ma il tratto più interessante arriva dopo Torre Mozza, quando si entra nel parco naturale regionale Litorale di Ugento, pedalando a due passi dal mare lungo il ciclopercorso dei bacini, realizzati nella prima metà del novecento per bonificare le paludi che caratterizzavano questo tratto di costa. C’è ancora tempo per un bagno in una delle più belle spiagge di tutto il Salento, Punta della Suina, all’interno di una riserva naturale, prima di percorrere gli ultimi chilometri, superare la ciclabile di Baia verde e giungere in prossimità del ponte di Gallipoli. La passeggiata al tramonto lungo le mura della città vecchia vale gran parte del viaggio.

Si oltrepassa la località di Rivabella, il Lido delle Conchiglie e si giunge al piccolo borgo di Santa Maria al Bagno, dove c’è una delle più belle spiagge urbane d’Italia. Se c’è tempo, vale la pena di fermarsi a visitare il museo della Memoria e dell’Accoglienza, dedicato agli ebrei che si rifugiarono in questa zona del Salento tra il 1943 e il 1947. Merita poi un’ultima sosta marina, poco più avanti, l’incontaminato parco naturale di Porto Selvaggio. A quel punto si abbandona la costa verso l’interno e si punta su Nardò, una piccola Lecce, con il suo centro storico di pietra bianca, le bellissime chiese e l’elegante piazza Salandra a fare da salotto urbano.

E poi è ora di chiudere il giro. Da Nardò si seguono le indicazioni per Copertino e poi si punta diritti su Lecce, facendo attenzione a non prendere la tangenziale. L’ultimo tratto di strada è più monotono dei precedenti, ma le bellezze della capitale del barocco pugliese ripagheranno di ogni chilometro di fatica.

Tutti in piazza con la Palestra Popolare Chinatown: mobilitazione contro lo sgombero a Padova


 

 

 

Tutti in piazza. Domani a Padova l’iniziativa pubblica per impedire lo sgombero di una palestra popolare. Il servizio di Elena Fiorani.

La Palestra Popolare Chinatown porta lo sport in piazza come antidoto allo sgombero e risponde alla minaccia con le attività realizzate da anni con e per la gente del quartiere. La storia di questa realtà inizia quattro anni fa con il recupero di un magazzino abbandonato dell’Inps: da allora al suo interno vive una palestra popolare che garantisce a centinaia di persone sport e attività fisica senza discriminazioni economiche, etniche o di genere.

Ma ora l’Inps ha deciso di mettere all’asta anche questo stabile. I gestori dello spazio hanno scelto di mobilitare le persone per difendere un’idea di sport per tutti che si è concretizzata nel quartiere. Per questo l’appuntamento è domani in Piazza Caduti della Resistenza, per una giornata di sport popolare e socialità.

Nasce la Carta sulla sostenibilità ambientale del calcio


Calcio più verde. La FIGC, in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna promuove la “Carta sulla sostenibilità ambientale del calcio”. Lo strumento si propone di definire linee guida funzionali ad una applicazione pratica dei principi di sostenibilità ambientale in termini di governance, gestione delle infrastrutture e degli eventi, partnership e coinvolgimento di stakeholders e tifosi.

La Carta è stata elaborata a beneficio della famiglia del calcio italiano e scaturisce dall’esperienza compiuta da FIGC nell’ambito del progetto LifeTackle. In un’ottica di continuità, si propone di definire le linee guida funzionali ad una applicazione pratica dei principi di sostenibilità ambientale in termini di governance, gestione delle infrastrutture, gestione degli eventi, partnership e coinvolgimento di stakeholders e tifosi.

L’adesione alla ‘Carta sulla sostenibilità ambientale del calcio italiano’ (consultabile qui) è libera e aperta a tutti i club italiani, sia professionistici che dilettantistici, e viene concessa mediante la compilazione di un modulo fornito dalle rispettive leghe di appartenenza, attraverso il quale il club fornisce una manifestazione di interesse nei confronti delle tematiche proposte. I club aderenti verranno inseriti in un elenco apposito e successivamente coinvolti da FIGC nell’ambito della gestione delle iniziative che verranno intraprese.

È noto come nel corso degli anni federazioni europee, leghe, club e associazioni afferenti alla famiglia del calcio abbiano maturato una sempre maggiore consapevolezza sulla necessità di adottare misure volte a ridurre l’impatto ambientale nell’ambito dell’attività calcistica, sia in fase progettuale che operativa, e come tale orientamento possa generare valore sotto il profilo della responsabilità sociale.

A tale proposito va ricordato che nell’ambito della ‘Sustainability Strategy’ lanciata lo scorso dicembre, la UEFA ha individuato ben 4 indirizzi di intervento in materia di sostenibilità ambientale – economia circolare, contrasto al cambiamento climatico, sostenibilità degli eventi, sostenibilità delle infrastrutture. Una impostazione programmatica che condivide gli obiettivi stabiliti dall’Agenda 2030 dell’ONU (Sustainable Development Goals), volti a sollecitare un consumo responsabile delle risorse, nonché a favorire lo sviluppo di interventi in favore del clima e dell’adeguamento dei centri abitati.

Sport e sostenibilità: gli spazi riqualificati all’interno del carcere di Bollate


Sport e sostenibilità. Grazie al progetto A Chance Through Sports all’interno del carcere di Bollate, sono state riqualificate delle aree sportive con il contributo di Ecopneus, dando vita ad un campo da basket 3×3 in gomma riciclata nel settore maschile e ad un campo polivalente nel settore femminile.

Un progetto ambizioso dedicato allo sport e alla socialità in carcere per costruire spazi di benessere e condivisione che Ecopneus ha voluto sostenere nel suo costante impegno a favore di una tutela ambientale e continua promozione dell’impiego delle superfici sportive in gomma riciclata. Le condizioni di vita nelle carceri italiane costituiscono una nota emergenza sociale. Ciò dipende da carenze di qualità degli spazi, oltre che delle occasioni relazionali.

Attualmente nelle carceri italiane le attività sportive hanno carattere estemporaneo e sono organizzate al di fuori di un progetto culturale capace di intendere lo sport come strumento risocializzante e riabilitativo. La ricerca mira a definire un metodo di progetto per dotare gli istituti di pena italiani degli spazi architettonici e delle attrezzature utili alla organizzazione e allo svolgimento di attività motorie e sportive. Le attività sono soprattutto intese come pratiche volte al miglioramento delle condizioni fisiche e delle relazioni tra le persone. Il progetto si basa su sperimentazioni concrete in casi studio dell’ambito milanese: Prima casa di reclusione di Milano-Opera, Seconda casa di reclusione Milano-Bollate, Istituto Penale Minorile “Beccaria”. I beneficiari diretti del progetto sono le persone che abitano quotidianamente gli spazi del carcere, per ragioni e in forme diverse: persone detenute, personale di Polizia Penitenziaria, operatori civili dell’Amministrazione penitenziaria; operatori della Associazioni del terzo settore.

Il progetto di trasformazione e riattivazione dello spazio punta a realizzare nuovi spazi e attrezzature per l’attività motoria e la sperimentazione/pratica di discipline sportive ulteriori rispetto ai pochi giochi praticati sporadicamente (calcio, pallavolo), o alla pratica solitaria del body building. Il progetto di architettura agisce nel contesto carcerario per attivare una pratica sportiva intesa sia come strumento relazionale, sia come ambito di riattivazione delle facoltà motorie per il benessere psicofisico di tutti i suoi abitanti. Il ruolo di mediatore dell’Università appare centrale nello sviluppo di questo tipo di studio, ponendo in sinergia soggetti, spazi, pratiche e risorse. La ricerca si interroga anche sul ruolo del progettista architetto, necessario ad attivare l’interazione tra diversi saperi e attori sociali, tra risorse pubbliche e private. Il progetto, momento di conoscenza e processo di adattamento alle condizioni, è dunque praticato come strumento di composizione del piano delle opportunità e delle possibilità. Il disegno dello spazio e l’attrezzatura dei luoghi per lo sport e per l’analisi e la riabilitazione motoria delle persone si muove nel campo del possibile sfruttando le opportunità presenti nelle strutture e le risorse attivate dalla responsabilità d’impresa. Il punto di partenza sugli usi specifici degli spazi è la considerazione di attività sportive già presenti, la valorizzazione e il riuso di spazi inutilizzati, la definizione delle attività più efficaci per le azioni di socializzazione e di riequilibrio psico-motorio dei partecipanti.

La narrazione ha un ruolo metodologico centrale in questo progetto, sia nella definizione e condivisione interna dei bisogni, delle risorse e delle progettualità, sia nella diffusione della ricerca all’esterno, nella società civile. L’approccio si basa su un processo di ascolto delle popolazioni che abitano i tre Istituti di pena, attraverso l’utilizzo di storie, artefatti visuali e multimediali co-prodotti con i beneficiari, che supportino il dialogo fra i detenuti e gli altri attori del sistema, compresi coloro che detengono poteri decisionali e di management. Sulla base dei risultati delle attività di ascolto e di analisi critica del contesto e di una mappatura degli stakeholder, verrà definita una vera e propria strategia di comunicazione utile, da un lato, a sensibilizzare l’opinione pubblica, i legislatori/decision maker e gli operatori degli Istituiti di pena nei confronti della necessità di introdurre programmi sportivi strutturati; dall’altro, a promuovere il progetto ACTS e a mostrare l’efficacia del programma sperimentato. Tale strategia è supportata dalla collaborazione con media partner, quali “La Gazzetta dello sport” per la comunicazione con il grande pubblico.

L’indagine mira a monitorare la quantità e qualità dell’attività fisico-sportiva svolta nelle carceri e a verificare le relazioni tra questi due aspetti, le capacità motorie e funzionali del detenuto e la sua qualità di vita. Tale valutazione si baserà su misure che traccino i periodi di attività, riposo e sonno, mediante sistemi indossabili che forniranno una fotografia del tipo e intensità delle attività attualmente svolte all’interno delle strutture. Le misure verranno poi confrontate con l’esito di test funzionali, evidenziando possibili legami tra mancanza di attività e deficit motori. Caratterizzando una popolazione finora poco nota da questo punto di vista, questa campagna di raccolta dati fornirà indicazioni evidence-based e supporteranno la stesura di un documento con una matrice multidisciplinare (architettonica, mediatica, legislativa, sportiva) relativo all’impiego e alla somministrazione dell’attività sportiva all’interno delle strutture rieducative – sull’esempio delle iniziative già messe in atto dai ministeri di diversi paesi, in particolare: Regno Unito e Francia (Meek, 2018). Le modalità di monitoraggio verranno definite nella prima fase del progetto, in accordo con la direzione delle strutture detentive, e previa disponibilità delle persone detenute. Questi ultimi, oltre ad essere informati delle finalità dello studio e dell’utilizzo che verrà fatto dei loro dati, usufruiranno di adeguata formazione riguardo i benefici derivanti da una regolare attività fisica.

Obiettivo fondamentale di una progettualità partecipata e condivisa è quello di attivare o incrementare dinamiche relazionali positive tra i diversi gruppi di individui cha abitano il carcere. Il metodo partecipativo supporta l’espressione corale delle risorse disponibili e da valorizzare, facilita l’osservazione e la comprensione del disagio, attiva le potenzialità progettuali presenti. Il ruolo degli abitanti del carcere può concretizzarsi attraverso: la ricognizione e la selezione di alcuni “luoghi preferiti”, dove sia utile intervenire prioritariamente; l’ideazione o il potenziamento di attività virtuose legate alla pratica sportiva, tendendo all’organizzazione di eventi e manifestazioni negli gli spazi riqualificati. Infatti, vengono utilizzati diversi metodi qualitativi, tipici delle pratiche di co-design: probes, interviste, focus group, costruzione di scenari, integrati con tecniche e strumenti di storytelling e di visualizzazione.

Maria Sole Ferrieri Caputi sarà la prima donna ad arbitrare in Serie A: l’annuncio ufficiale


Fischi al femminile. L’Associazione Italiana Arbitri ha annunciato che Maria Sole Ferrieri Caputi sarà la prima donna ad arbitrare nel campionato di calcio di Serie A maschile, a partire dalla prossima stagione. Ha già guidato una partita di Serie B ed è stata la prima in assoluto a dirigere una squadra di Serie A in un incontro di Coppa Italia.

La promozione di Ferrieri Caputi, anticipata alcune settimane fa dalla pubblicazione delle nuove graduatorie arbitrali, è stata annunciata venerdì dall’AIA. Il presidente Alfredo Trentalange ha detto: «È un momento storico. Maria Sole è stata promossa perché se lo merita. Sarà il designatore poi a decidere il suo percorso, non vogliamo dare privilegi a nessuno. Ci piacerebbe però che lei, come gli altri arbitri, non venissero giudicati solo per eventuali errori».

Ferrieri Caputi ha 32 anni ed è laureata in Sociologia e ricerca sociale. Si è formata nella sezione AIA di Livorno e arbitra tra i professionisti dalla stagione 2020/2021. Da allora è stata la seconda donna ad arbitrare una partita di Serie B (dopo Maria Marotta) e la prima in assoluto a dirigere una squadra di Serie A — il Cagliari — in un incontro di Coppa Italia. Era stata inoltre nominata arbitro internazionale e lo scorso ottobre aveva diretto Scozia-Ungheria a Glasgow, partita valida per le qualificazioni ai Mondiali femminili del 2023.

di Pierluigi Lantieri

“Storie di biciclette”: la mostra che racconta la grande epopea delle due ruote


Ruota a ruota. Il museo nazionale Collezione Salce e Cicli Pinarello racconta la grande epopea della bicicletta attraverso la mostra “Storie di biciclette. Manifesti e campioni”, con le opere di artisti come Villa, Dudovich, Codognato ed altri tra i maggiori protagonisti della storia dell’illustrazione e dell’arte italiana del secolo passato.

Il Museo nazionale Collezione Salce e Cicli Pinarello propongono la grande epopea della bicicletta attraverso il racconto dei preziosi manifesti patrimonio della Collezione Salce. A firmare le affiches selezionate per questa esposizione sono artisti come Villa, Ballerio, Alberto Martini, Dudovich, Codognato, Mazza, Malerba, Boccasile molti tra i maggiori protagonisti della storia dell’illustrazione e dell’arte italiana del secolo passato. Dalle bici illustrate a quelle che hanno scritto la storia recente del ciclismo. In mostra, infatti, ci sono anche 14 biciclette della collezione Pinarello che hanno portato alla vittoria campioni in tutte le grandi classiche del ciclismo mondiale.

La storia della bicicletta è trasversale a molte dimensioni della vita sociale. Sulle biciclette sfrecciano atleti di cui si esalta la forza e il valore, la passione e il coraggio: campioni come Girardengo, Coppi e Bartali. Le grandi corse a tappe, prima tra tutte il Giro d’Italia si rivelano un collante che unisce il Paese. L’Italia si scopre ben presto un paese di campioni sulle due ruote, ma anche un Paese leader nella produzione di biciclette di eccellenza. La mostra racconta tutto questo e molto altro.