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Sport e nonviolenza: il progetto “GG-Good Game”

di Redazione GRS


Allenare alla gentilezza. Il progetto GG-Good Game propone laboratori e seminari in 7 società sportive del territorio di Asti e Alessandria, puntando sullo sport per veicolare i valori della nonviolenza. Il percorso di formazione sul linguaggio e sulle discriminazioni di genere ha coinvolto giovani atleti, allenatori e famiglie.

Puntare sullo sport per veicolare i valori della non violenza. È l’idea alla base di «GG-Good Game», un progetto della associazione «me.dea» con il Csv di Asti Alessandria (www.csvastialessandria.it), che ha coinvolto 7 realtà del territorio – società di calcio, arti marziali, boxe; un mondo che dovrebbe già essere palestra del fair play – in un percorso di formazione sulla violenza di genere e sul linguaggio discriminante.

Laboratori con i giovani atleti, incontri con gli allenatori e le famiglie, che hanno portato in cattedra tra gli altri Mauro Berruto, già coach della nazionale italiana di pallavolo vincitrice della medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici di Londra 2012. «Il gesto dell’allenare è una pratica quotidiana per mettere insieme persone, trasformarle in squadre e orientarle verso l’obiettivo. La vittoria, quella vera, sta – ha spiegato Berruto in una lezione – nello sforzo necessario per compierlo. Essere allenatore significa allenare al “desiderio di”. Ci sono tanti atleti bravi quando le cose sono facili; ci sono pochi atleti, e sono i campioni, che sono capaci di fare bene una cosa, assumendosene la responsabilità, quando è difficile farlo. La volontà deve essere più forte delle abilità».

Non è stato un percorso in discesa. Come racconta la presidente di «me.dea» (www.medeacontroviolenza.it), Sarah Sclauzero: «Il progetto GG-Good Game è stata una vera scommessa, che oggi possiamo dire di aver vinto. Coinvolgere il mondo sportivo nella sua interezza è stato come aprire una porta su una realtà piena di stereotipi rispetto al tema della violenza di genere, ma al tempo stesso ben disposta a lasciarsi guidare al superamento degli stessi». Si è accesa una luce su termini quali rispetto, differenze, parità di genere «che lo sport con le sue dinamiche – aggiunge – tocca solitamente con altri linguaggi e metodologie». Me.dea ogni anno offre sostegno nelle case rifugio a circa 200 donne. Le sue operatrici hanno proposto laboratori a 200 ragazzi. L’obiettivo: far emergere i concetti legati alla violenza. E poi hanno proseguito con i manager e gli allenatori e anche con i genitori, perché imparino a riconoscere i segni del disagio nei propri figli. E quando sono emerse delle criticità, per esempio alcuni ragazzi hanno raccontato la violenza di cui sono stati testimoni, sono stati offerti loro percorsi dedicati di prevenzione.

Molte le società contattate. Hanno risposto solo in sette: Alessandria Calcio, Alessandria Rugby, l’Asd Olimpia Solero-Quattordio. E ancora StarBoxing Casale, Yudanshakai Casale Asd, Judo Club Casale e Na Ka Ryu Aikido. Così Alessandro Demagistris, maestro del Judo Club Casale: «L’operatrice del Centro antiviolenza in Good Training ha fornito numerosi spunti di riflessione e importanti elementi per gestire adeguatamente determinate situazioni». Tra i partner anche Alterego, associazione che da quattro anni accompagna gli autori di violenza nei percorsi di riabilitazione: «Abbiamo offerto una prospettiva diversa del tema – spiega il presidente Carlo Picchio, che è psicologo – della violenza sulle donne. Vediamo uomini raggiunti da una ammonizione o da una condanna. Lavoriamo sulla gestione del conflitto. E dal nostro osservatorio possiamo solo confermare il valore educativo dello sport».

Rosanna Viotto, presidente del Centro Servizi Volontariato Asti e Alessandria, commenta: «Portare il tema della parità di genere, del riconoscimento delle differenze oltre che evidenziare e far vedere le discriminazioni, fino arrivare alla prevaricazione e alla violenza sulle donne, all’attenzione degli adolescenti e in questo caso dei giovani e delle giovani sportive, ci è sembrato da subito importante oltre che innovativo per il contesto in cui si è svolto il progetto».

 

Un Ministero della Pace per ridefinire il concetto di Difesa: la proposta delle associazioni in rete

di Redazione GRS


Cambio di prospettiva. Istituire un Ministero della Pace per ridefinire il concetto di Difesa come protezione e cura della convivenza pacifica e promozione dei valori costituzionali. Lo dicono le organizzazioni promotrici della Campagna; ascoltiamo Gianfranco Cattai, coordinatore di Reti in Opera.

Scuola, allarme della Fish: mancano docenti di sostegno specializzati per alunni e alunne con disabilità

di Redazione GRS


Scuola a metà. Anche quest’anno alunni e alunne con disabilità dovranno fare i conti con la mancanza di un numero adeguato di docenti di sostegno specializzati. È l’allarme della Fish che sottolinea come persistano alcuni problemi cronici e tuttora irrisolti come la carenza di continuità didattica, il sovraffollamento e la mancanza di assistenti per l’autonomia e la comunicazione.

Nuoto, Alice Dearing ha vinto la sua battaglia: la cuffia adatta alle atlete nere entra nel regolamento ufficiale

di Redazione GRS


Una cuffia per l’uguaglianza: Alice Dearing ha reso il nuoto più inclusivo vincendo la sua battaglia: d’ora in poi nel regolamento ufficiale verrà inclusa la cuffia adatta alle capigliature delle donne nere. È profondamente ingiusto, spiega, imporre alle nuotatrici nere di scegliere tra i loro capelli e lo sport.

Alice Dearing è una nuotatrice 25enne, specializzata in Open Water, che vanta diverse medaglie, nonché un primato: è la prima atleta nera ad aver rappresentato la Gran Bretagna nel nuoto alle Olimpiadi, quelle di Tokyo del 2021. Ma oltre ai successi professionali Alice Dearing ha portato a casa un trionfo destinato a cambiare il corso della sua disciplina vincendo una battaglia in favore dell’inclusività: dopo un’iniziale rifiuto, la Fina, la federazione internazionale che regolamenta il nuoto, ha deciso di ammettere nelle competizioni ufficiali l’uso di una cuffia adatta ai capelli delle donne nere.

Il caso è scoppiato lo scorso anno, quando Dearing è stata mandata in Giappone per rappresentare il suo Paese nelle competizioni. Un mese prima dell’inizio delle gare, l’atleta è stata travolta da una controversia internazionale, perché la federazione le aveva vietato espressamente di partecipare indossando la cuffia da lei scelta.

Alice Dearing solitamente porta i capelli afro al naturale oppure li raccoglie in lunghe trecce, e per contenere il volume delle chiome ha bisogno di una cuffia specifica, quella inventata dal brand Soul Cap, che produce accessori e abbigliamento per il nuoto con un approccio inclusivo. Secondo la Fina si trattava di una cuffia inammissibile nelle competizioni ufficiali, dato che non seguiva “la naturale forma della testa”. Il divieto ha causato un’ondata di sdegno, perché palesava la miopia della federazione incapace di rendere lo sport più inclusivo e barricandosi dietro una posizione che tutelava solo gli atleti con certe specifiche caratteristiche fisiche. A distanza di un anno, durante il quale nel settore del nuoto la discussione è stata portata avanti grazie all’attivismo di una serie di atlete e atleti, di associazioni come la Black Swimming Association, e soprattutto all’esposizione mediatica di Alice Dearing che si è fatta portavoce delle istanze e ha collaborato attivamente con il brand Soul Cap, la decisione è stata ribaltata. Ora la cuffia adatta a contenere i capelli delle nuotatrici nere sarà ammessa nelle competizioni ufficiali.

“Sono sollevata ed emozionata”, ha scritto Alice Dearing in un editioriale per The Guardian. “In quanto donna nera e nuotatrice professionista che ama i suoi capelli intrecciati e nella loro forma naturale, quella afro, so quanto questo cambiamento sia epocale”. “Avere la possibilità di indossare una cuffia che si adegua alla propria capigliatura dà alle atlete maggiore sicurezza, riduce i momenti potenzialmente stressanti nello spogliatoio e in acqua”, prosegue spiegando quanto il rituale per infilare una cuffia quando si hanno i capelli lunghi e voluminosi, specialmente se afro, con dreadlocks o treccine, sia un momento critico. Occorre piegarsi in avanti, farsi aiutare da qualcuno, tirare la cuffia e sperare che non si rompa. Spesso poi, si finisce per indossarla male, in modo scomodo e non funzionale. “È cruciale avere una cuffia che si adegui ad ogni tipo di capello, è una sfida alla visione ristretta della nuotatrice standard”, prosegue l’atleta.

“I capelli possono essere una barriera logistica per alcune comunità”, afferma Dearing, sottolineando come per molte donne nere le chiome siano una parte importante della loro identità, dell’espressione di sé. È quindi profondamente ingiusto, spiega, che un regolamento realizzato sulla base di uno standard caucasico imponga alle nuotatrici nere di scegliere tra i loro capelli e lo sport. Secondo Swim England, l’ente che regola lo sport in Inghilterra, solo il 2 per cento dei nuotatori sono neri. Il 95 per cento degli adulti e l’80 per cento dei bambini neri in Inghilterra non nuota, riporta il Guardian. E saper nuotare non è solo utile al benessere fisico, ma può salvare la vita. Quando lo scorso anno la Fina ha bandito la cuffia “inclusiva”, i fondatori di Soul Cap, Toks Ahmed e Michael Chapman, hanno scritto su Instagram: “Per i giovani nuotatori sentirsi inclusi e vedersi rappresentati in uno sport è cruciale. Il divieto scoraggerà molti giovani atleti dal perseguire questo sport”. Il timore espresso era che sentissero di dover “scegliere tra lo sport e i loro capelli”.

Ora che la posizione della federazione del nuoto è cambiata e che la cuffia contenitiva è stata ammessa nelle competizioni ufficiali, si assisterà ad “un’ondata positiva per i piccoli club e i programmi locali in tutto il Paese che permetterà ai bambini e agli adulti di sentirsi a loro agio nell’acqua della piscina sapendo che la cuffia che indossano è rispettata anche ai livelli più importanti di questo sport”, conclude soddisfatta Dearing.

Anziani non autosufficienti lasciati fuori dai programmi elettorali: l’analisi di Auser

di Redazione GRS


 

 

Fuori dal dibattito. Nei programmi dei partiti c’è poco o nulla sul tema degli anziani non autosufficienti. L’analisi di Auser nel servizio di Anna Monterubbianesi.

L’Auser mette sotto lente d’ingrandimento i programmi elettorali per le elezioni del 25 settembre. Di anziani non autosufficienti c’è poca traccia. Il tema era esploso in tutta la sua drammaticità con il Covid che aveva messo in luce un problema che richiede un’attenzione pubblica complessiva sulla condizione di vita di questa fascia di popolazione.
Ci si aspettava dai programmi qualcosa in più sulla riforma della non autosufficienza. “Una scelta che, per l’associazione, resta poco chiara”.