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Bavaglio alla messicana: uccisi due giornalisti in pochi giorni

di Redazione GRS


 

 

Nel mirino. L’uccisione del secondo giornalista in pochi giorni in Messico riaccende i riflettori sulla libertà di espressione nel Paese. Il servizio è di Pierluigi Lantieri

Il fotoreporter Margarito Martinez, più volte minacciato per la sua attività giornalistica , è stato ucciso lunedì a Tijuana; la stessa sorte toccata il 10 gennaio a un altro cronista, Josè Luis Gamboa. Il Messico è considerato uno dei paesi più pericolosi al mondo per gli operatori dell’informazione, specie per chi racconta le attività delle organizzazioni criminali.

Secondo la Commissione per i diritti umani, dal 2000 sono state almeno un centinaio le persone uccise. La Ong YoSiSoyPeriodista ha chiesto alle autorità maggiori misure di protezione per i giornalisti.

di Pierluigi Lantieri

“Almeno due gay in ogni squadra di calcio”: la rivelazione di Patrice Evra

di Redazione GRS


Un mondo chiuso. Patrice Evra, ex terzino della Juventus, in occasione della presentazione della sua autobiografia ha affrontato il tema dell’omosessualità tra i calciatori, descrivendolo come un tabù ancora intoccabile. Secondo l’atleta in ogni squadra ci sono almeno due gay, ma rivelarlo significherebbe mettere fine alla carriera calcistica.

Quello degli abusi sessuali è un capitolo che Evra aveva già ampiamente raccontato in varie interviste in Inghilterra, dove ha vissuto gran parte della sua carriera, anche da capitano dei Red Devils. Ma Evra fa un passo in più e punta dritto verso un altro territorio oscuro del mondo del calcio professionistico: “Nel calcio tutto è chiuso. Se da calciatore dici che sei gay, sei morto. Ricordo una volta venne una persona a parlare di omosessualità alla squadra. Certi colleghi dissero che l’omosessualità era contro la loro religione e che se c’era un gay in spogliatoio bisognava cacciarlo dal club. Io ho giocato con gay, ne hanno parlato con me, da soli, perché hanno paura di aprirsi pubblicamente. Ci sono almeno due gay per squadra. Ma nel calcio se lo dici sei finito”.

Una testimonianza importante, nonostante Evra in passato si sia illustrato in dichiarazioni non proprio rispettose, dando del “frocetto” a chi lo criticava, o anche ai giocatori del Psg dopo l’eliminazione dalla Champions, per mano del Manchester United nel 2019. In ogni caso, Evra, molto seguito anche sui social si esprime pure sulla necessità di non rimanere nel silenzio, quando si subiscono abusi sessuali da ragazzini: “L’ho raccontato non tanto per me, ma per chiunque si trovi nella mia stessa situazione di quando fui stuprato da 13enne. Ho tenuto dentro tutto per anni fino a quando, guardando una trasmissione televisiva sul tema, non scoppiai in lacrime e confessai tutto a mia moglie. Bisogna sempre parlare e denunciare chi commette tali atti, anche se i colpevoli sono dei familiari, per non vivere nel trauma”.

Le disuguaglianze virali: super ricchi e super poveri aumentati con il Covid

di Redazione GRS


 

 

Disuguaglianza globale: i 10 uomini più ricchi del mondo raddoppiano i propri patrimoni, mentre ci sono oltre 160 milioni di persone in più cadute in povertà. I dati e l’analisi di Oxfam nel servizio di Anna Monterubbianesi.

Le conseguenze del Covid-19 a due anni dalla sua diffusione non sono solo di ordine sanitario, ma sempre più di tipo economico e sociale. E’ la fotografia dell’ultimo rapporto di Oxfam presentato al World Economic Forum di Davos.

Una situazione che si rispecchia nel nostro Paese, dove la pandemia ha aggravato le condizioni economiche delle famiglie. L’associazione parla di “Disuguitalia”: i super ricchi sono aumentati a discapito dei più poveri, cresciuti a loro volta. Oltre 1 milione di individui e 400mila famiglie in povertà. L’instabilità del mercato del lavoro e le scelte di governo non hanno aiutato a riequilibrare questo processo.

Pandemia e salute mentale: appello degli psicologi della Toscana

di Redazione GRS


Pandemia e salute mentale. L’appello dell’Ordine degli psicologi della Toscana: occorre investire nella salute psicologica dei cittadini. L’emergenza Covid infatti ha accentuato il disagio mentale di molte persone. Un problema , spiegano, che non può risolversi con l’utilizzo massiccio di psicofarmaci, ma con un approccio integrato che coniughi l’aspetto sociale e quello sanitario.

 

Asgi: “Rifugiati, visti umanitari da rilasciare entro 10 giorni”

di Redazione GRS


Dovere costituzionale. “I visti umanitari a chi si trova in una situazione di pericolo vanno rilasciati entro 10 giorni”: lo chiede l’Asgi dopo che il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso di due cittadini afghani respinti dal Ministero degli Esteri. L’organizzazione chiede che le procedure per il rilascio dei permessi siano chiare, trasparenti e non discriminatorie.

Donne, divario continuo: occupazione maschile più favorita dalla ripresa economica

di Redazione GRS


 

 

 

 

Divario continuo. La ripresa non permette alle donne di avere lo stesso accesso al lavoro. Il servizio è di Giuseppe Manzo.

Non si sono ancora riassorbiti i divari di genere alimentati dalla pandemia. E’ quanto emerge dalla nota di gennaio redatta congiuntamente dal ministero del Lavoro, dalla Banca d’Italia e dall’Anpal. La ripresa del 2021 ha favorito l’occupazione maschile, tornata sul sentiero di crescita del 2018-19.

Le lavoratrici continuano inoltre ad essere penalizzate da una minore domanda di lavoro di tipo permanente: nonostante rappresentino circa il 42 per cento della forza lavoro, incidono solo per un terzo sul saldo delle posizioni a tempo indeterminato.

Libere di giocare: le detenute-calciatrici dell’Atletico Diritti

di Redazione GRS


Libere di giocare. Alla prima convocazione si sono presentate in più di sessanta e non saltano un allenamento. Sono le detenute-giocatrici dell’Atletico Diritti, la squadra femminile di calcio a cinque del carcere romano di Rebibbia, nata su iniziativa dell’associazione Antigone. Ogni sabato alle tre del pomeriggio in campo per svago e per sognare una vita nuova.

“Avevamo già all’attivo una squadra di calcio, una di cricket e una di basket tutte maschili” racconta Susanna Marietti, presidente di Atletico Diritti e coordinatrice nazionale di Antigone. “Abbiamo introdotto il calcio in un istituto penitenziario femminile per dare un segnale di rottura e abbattere lo stereotipo per cui le donne in carcere siano destinate solo al cucito, alla sartoria o al teatro. Oggi possiamo dire che uno sport tipicamente maschile è diventato l’attività caratterizzante di Rebibbia”. La formazione non guarda al tipo di reato, perché si è voluto offrire a tutte l’opportunità di usare il calcio per recuperare valori spesso disattesi: rispetto dell’avversario, senso del gruppo, sana voglia di vincere. L’avere pescato le giocatrici dal circuito di media sicurezza (da cui sono esclusi i reati associativi), ha comportato un campionato solo interno, ma ha dato una possibilità a tutte.

“Il primo giorno abbiamo diviso le ragazze per squadra, in campo, dicendo solo: “Questa è la palla, giocate”. Erano totalmente spiazzate, continuavano a chiedere quali fossero le regole da rispettare” ricorda Alessia Giuliani, funzionaria giuridico-pedagogica ed educatrice di Rebibbia. La questione delle regole è sempre molto dibattuta: per le detenute è un’imposizione meramente burocratica, per gli agenti del carcere l’unico modo per far funzionare un istituto con 320 donne, il più grande d’Europa. “È difficile spiegare a una persona che viene da abbandoni scolastici, che vive in assenza di modelli familiari sani, il rispetto delle norme. Perché le confondono con la punizione” continua Giuliani. “Lo sport ti aiuta a capire che la regola è funzionale alla vittoria, e una volta abituata a rispettarla su un campo da calcio, riportarla all’esterno diventa semplice”. I risultati si vedono: le ragazze della squadra sono quelle che non hanno rapporti disciplinari interni alla sezione e non saltano neanche un allenamento senza giustificazione.

Per Bianca, 26 anni e in carcere da tre, giocare nell’Atletico Diritti significa liberarsi dai dolori. Ha i capelli biondi, un inconfondibile accento del Brasile e per lei la squadra è “una famiglia, con tutte le sue stranezze”. La formazione è eterogenea: italiane, rom, tunisine, ognuna con il suo personale approccio allo sport.

Carolina Antonucci, l’appassionata allenatrice della squadra, non nega le difficoltà che la detenzione comporta anche in campo. “Le ragazze che sono qui hanno spesso problemi legati alle dipendenze e le terapie per contrastarle influiscono sul loro umore e comportamento” racconta. “Ci sono giorni in cui ci alleniamo dopo colloqui tra detenute e familiari che non sono andati bene, in cui l’enorme sofferenza di chi è rinchiusa qui si fa sentire. E non posso aspettarmi che sul campo diano il meglio di sé. Accettare problemi e mancanze è quello che un allenatore qui deve imparare a fare”.

Sul piccolo campo di Rebibbia i problemi personali diventano di squadra, così come vittorie e sconfitte. “Quante volte abbiamo gioito e sofferto insieme. Vedere le ragazze piangere per una sconfitta mi ha dato la dimensione di quello che stiamo facendo, di come l’Atletico Diritti per loro sia sinonimo di libertà” conclude Antonucci.

Durante il lockdown dello scorso anno la capitana della squadra ha incontrato papa Francesco e a breve la formazione verrà ricevuta dal presidente della Camera, Roberto Fico. Le partite, al momento, sono sospese per poter rifare il campo in modo da renderlo idoneo per l’iscrizione della squadra a un torneo federale. L’idea è quella di riprendere al più presto con un triangolare in cui parteciperà la rappresentativa delle giornaliste.

Che l’Atletico Diritti sia un progetto riuscito lo dimostrano anche le decine di detenute che, a pochi giorni dal termine della pena, chiedono di poter restare nel gruppo. Proprio in questi giorni due di loro usciranno, ma da settimane bussano alla porta dell’educatrice di Rebibbia con la stessa domanda: “Dottore’, lo troviamo un modo per poter restare in squadra?”.

Etiopia al collasso: oltre nove milioni di persone hanno bisogno di assistenza

di Redazione GRS


 

 

 

Disastro umanitario. A più di un anno dall’inizio del conflitto nel Tigray, oltre nove milioni di persone hanno bisogno di assistenza. Il servizio è di Fabio Piccolino.

Dall’inizio dell’anno in Etiopia sono stati uccisi almeno 108 civili a altri 75 sono stati feriti a causa di attacchi aerei nella regione del Tigray. A più di un anno dall’inizio del conflitto si stima che siano quasi nove milioni e mezzo le persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria e la situazione peggiora, perché gli intensi combattimenti stanno bloccando anche gli aiuti alla popolazione.

Secondo il World Food Programme “sono necessarie garanzie immediate da tutte le parti coinvolte nel conflitto per corridoi umanitari sicuri, perché siamo a un passo dal disastro umanitario”.