Entro il 2050 gli anziani rappresenteranno il 17% degli abitanti del globo, oltre il doppio della quota attuale. A prevederlo è un rapporto dell’Istituto statistico degli Stati Uniti, secondo il quale l’Europa rimarrà la regione più “over” del mondo, mentre invecchieranno progressivamente Asia e America Latina.
In base a quanto riportato dal report “An Aging World: 2015”, la popolazione anziana globale sta crescendo ad una velocità senza precedenti: nel 2015, l’8,5% degli abitanti della Terra (617 milioni) aveva sessantacinque anni o più, ma entro i prossimi trentacinque anni questa popolazione raggiungerà il 17% degli abitanti del globo, pari a 1,6 miliardi di persone.
L’aspettativa di vita, nello stesso arco di tempo, aumenterà a livello mondiale di circa otto anni, passando da sessantotto a settantadue, e gli ultraottantenni triplicheranno (dai 126,5 milioni di oggi ai 446,6 milioni nel 2050); in Asia e in America Latina questa popolazione dei “grandi vecchi” è destinata addirittura a quadruplicare.
Se l’Europa rimarrà il continente più vecchio del mondo, l’Africa continuerà ad essere giovanissimo; gli Stati Uniti si confermeranno uno dei Paesi più giovani tra quelli sviluppati.
Solo la guerra
È quanto hanno vissuto oltre 86 milioni di bambini nati in zone di conflitto. L’ultimo rapporto dell’Unicef nel servizio di Giovanna Carnevale.
Secondo ilFondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, a livello globale un bambino su dieci con meno di sei anni cresce in situazioni di conflitto, che si ripercuotono negativamente sul suo sviluppo cognitivo, sociale e fisico. Vivere in zone di guerra, infatti, influenza il benessere emotivo e le abilità di apprendimento. Un bambino viene al mondo con in media duecentocinquantatre milioni di neuroni funzionanti. Una volta adulto, il cervello ha normalmente circa un miliardo di queste cellule, ma tale capacità dipende fortemente dalle esperienze fatte durante la prima infanzia, tra cui l’allattamento al seno, la nutrizione e la possibilità di giocare in ambienti sani e sicuri.
Fuga da Lesbo
Dopo Unhcr e Medici senza frontiere anche Oxfam lascia l’isola. Si allarga così il fronte delle organizzazioni umanitarie che stanno abbandonando il più grande hotspot greco, in cui transita la maggior parte dei migranti e rifugiati. E che dopo l’accordo Ue-Turchia somiglia sempre di più a un centro di detenzione.
Dopo la decisione di Medici senza Frontiere e dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) di non supportare più le attività all’interno degli hotspot della Grecia, anche Save the Children ha fatto sapere che sta valutando l’opzione di abbandonare i centri di Lesbo. Oxfam ha annunciato ieri di aver sospeso le attività nel campo di Moria.
Si tratta di un gesto di protesta contro l’accordo entrato in vigore domenica scorsa tra l’Unione europea e la Turchia riguardo la gestione del flusso dei migranti che prevede, tra i vari punti, che tutti quelli “che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche a decorrere saranno rimpatriati in Turchia”. Spetta alla Grecia registrare gli arrivi e verificare se i migranti sono in possesso di una regolare richiesta d’asilo.
Le organizzazioni umanitarie denunciano la restrizione della libertà di movimento delle persone all’interno dei centri, sempre più simili a luoghi di detenzione, oltre che la presenza di un sistema che non tiene conto dei bisogni umanitari e di protezione dei richiedenti asilo e dei migranti in generale.
Celle vuote
Il governo olandese chiuderà presto cinque carceri per mancanza di detenuti. Negli ultimi anni il tasso di criminalità è sceso costantemente, e si sono sviluppate sempre di più pene alternative. Per cercare di ottimizzare le strutture, nei mesi scorsi sono stati trasferiti in Olanda 240 detenuti norvegesi.
La misura è tuttavia al centro di alcune polemiche: secondo il quotidiano De Telegraaf , il taglio delle carceri metterebbe a rischio 1900 posti di lavoro. La proposta iniziale prevedeva tagli più drastici con la chiusura di 19 strutture; secondo il partito socialista, il governo dovrebbe impegnarsi di più nella cattura dei criminali per scongiurare il problema delle celle vuote e salvaguardare i lavoratori.
Oltre la paura
Cordoglio di ong e associazioni dopo l’atroce attacco terroristico di ieri a Bruxelles. Un episodio gravissimo, dicono, che non può fermare il processo di accoglienza: a odio non si risponde con odio. Il commento di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci. (sonoro)
Il dolore e la rabbia degli attentati di Bruxelles non possono fermare la tutela e la protezione internazionale di chi è in fuga dalla guerra e dalla persecuzione. È unanime il commento di ong e associazione dopo gli attentati terroristici di Bruxelles. Per la Fondazione Migrantes “la sicurezza oggi non è a rischio per l’arrivo di persone che hanno visto le loro case e la loro vita distrutta da bombardamenti e da violenze, ma da un terrorismo irrazionale anche nato e cresciuto dentro le nostre città europee”. Secondo il Centro Astalli “non si è mai al sicuro in una società che non garantisce giustizia” Il cordoglio per le vittime degli attentati: “Odio non generi altro odio. Forti dei valori su cui fonda la nostra civiltà e con ancora più determinazione di prima chiediamo ai governanti di costruire ponti e non muri. La pace si costruisce insieme. Altra via non è data”. La Comunità di Sant’Egidio invita a “restare uniti e lavorare per la pace”. Per l’Arci: “Una risposta basata sull’accelerazione dei preparativi della guerra in Libia non farebbe che dare respiro ad una strategia terrorista e la aiuterebbe a stringere le proprie fila.Occorre dare forza a politiche di pace, cooperazione e integrazione proprio ora è tanto più necessario, per salvare la nostra libertà, la nostra democrazia”.
Un passo avanti
Accesso al riconoscimento del genere legale attraverso una procedura veloce, accessibile e trasparente: è la proposta del ministero della salute norvegese per una legge che potrebbe cambiare la vita delle persone transgender. L’iniziativa punta al rispetto dei diritti e alla lotta contro le discriminazioni.
Secondo Patricia M. Kaatee, consigliere politica di Amnesty International Norvegia, “questa proposta di legge è una pietra miliare per tutti noi che abbiamo combattuto duramente per il diritto di essere ciò che siamo. Grazie ai nostri sforzi congiunti insieme con attivisti transgender e organizzazioni LGBT nel paese, si può guardare avanti per l’imminente adozione di una legge che darà alle persone transgender l’accesso al riconoscimento del genere legale”.
La nuova proposta di legge dovrebbe abbassare il limite di età da 18 a 16 anni per l’auto-definizione e il riconoscimento legale del proprio genere, mentre i minori possono farlo con il consenso dei genitori.
Tutti uguali
Si celebra oggi la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Cinquantasei anni da quel 21 marzo in cui a Sharpeville, in Sudafrica, sessantanove persone venivano uccise dalla polizia durante una manifestazione pacifica control’apartheid. E cinquanta anni esatti da quando le Nazioni Unite, in ricordo di quel massacro, istituirono la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, oggi celebrata in tutto il mondo. Ma il razzismo non è mai stato un fenomeno circoscritto all’Africa Meridionale e non riguarda solo il passato. Negli Stati Uniti, dove negli anni Cinquanta iniziò la lotta degli afro-americani per i diritti civili, il 49% della popolazione ritiene il razzismo ancora oggi un grosso problema della società. In Europa, il flusso di immigrati ha prodotto negli ultimi anni l’aumento dei crimini d’odio razziale e riacceso la xenophobia. Proprio oggi si conclude una settimana di eventi e manifestazioni contro il razzismo in quaranta Paesi europei, coordinati dalla rete United for intercultural Action.
Svolta storica
Il Cile depenalizza l’aborto per motivi terapeutici. Il divieto totale di interruzione di gravidanza fu introdotto da Pinochet e non era stato mai abrogato. La legge deve ancora avere l’approvazione del Senato, ma si tratta di un grande passo avanti in uno dei paesi più conservatori dell’America Latina in tema di diritti civili.
Lo stato del mondo
È la Norvegia il Paese in cui i diritti sono di casa, mentre alla Repubblica Centrafricana spetta la maglia nera. È la classifica promossa dall’ong WeWorld che analizza il concetto di progresso di una nazione attraverso i meri indicatori economici, analizzando le condizioni di vita dei soggetti più a rischio di esclusione.
Una brutta aria
L’inquinamento uccide ogni anno più di 12 milioni e mezzo di persone: è l’allarme che arriva dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La qualità dell’atmosfera, dell’acqua e del suolo, l’esposizione a sostanze chimiche, i cambiamenti climatici e le radiazioni ultraviolette sono la causa di oltre cento patologie.
Secondo l’OMS, negli ultimi dieci anni la percentuale di morti dovute a fattori ambientali non è cambiata, ma si sono modificati i tipi di disturbo: oggi i due terzi dei decessi sono dovuti a affezioni croniche, come malattie cardiovascolari, ictus, cancro o disturbi respiratori.
Nel 2012 in Europa, l’esposizione a fattori di rischio ambientale è costata la vita a 1,4 milioni di persone.
Secondo Flavia Bustreo, Vice Direttore Generale dell’OMS, “se i Paesi non intraprendono al più presto azioni volte a ridurre l’inquinamento e migliorare le condizioni dell’ambiente in cui si vive e si lavora, in milioni continueranno ad ammalarsi e a morire prematuramente”.




