Mentre l’Europa discute, senza trovare accordi, di politiche di accoglienza un’altra strage di migranti si compie davanti al nostro Paese. Il servizio di Giovanna Carnevale.
Sarebbero oltre 400 i migranti annegati nel Mediterraneo nella giornata di ieri mentre cercavano di raggiungere l’Italia dall’Egitto su un barcone. Una “tragedia annunciata”, così l’ha definita Migrantes, mentre Arci parla di “morti a causa dei muri e del cinismo europeo”. Associazioni e ong hanno subito chiesto l’avvio di canali umanitari, sottolineando come il fenomeno migratorio vada gestito, fornendo un’alternativa legale al traffico di esseri umani, e non contrastato. Esattamente un anno fa un’altra strage in mare costava la vita a circa 800 persone.
E proprio ieri uno studio di ricercatori inglesi ha dimostrato i risultati disastrosi prodotti dalla sostituzione dell’operazione Mare Nostrum con Triton: 1600 morti nei primi quattro mesi del 2015 contro i 17 dello stesso periodo nel 2014.
“Un gesto di grande valore simbolico”
Così la portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati Carlotta Sami commenta la visita, lo scorso sabato, di Papa Francesco a Lesbo tra i migranti. Un messaggio a tutta l’Europa, dice. Ascoltiamola. (sonoro)
Pugno duro
Nella sua lotta al terrorismo, la Turchia sta calpestando la dignità dei cittadini e attaccando la libertà di stampa. A denunciarlo è il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, che parla di “danni irreparabili al pluralismo” e di ingiustificate restrizioni imposte alla popolazione.
Citando le operazioni antiterroristiche degli ultimi mesi, Nils Muiznieks ha detto che in Turchia “il rispetto per i diritti umani si è deteriorato a una velocità allarmante”. Sono sempre di più le città a maggioranza curda dove viene imposto il coprifuoco e l’esercito esegue raid contro i militanti del Pkk. Nelle operazioni, come denunciano molte ong, non vengono colpiti soltanto i combattenti per l’indipendenza, ma anche civili. Secondo Strasburgo, “le autorità turche hanno il dovere di condurre inchieste effettive” sull’accaduto, “e risarcire senza indugio la popolazione locale che chiaramente ha sofferto enormi danni”.
Disuguaglianze tra minori, i dati Unicef. Italia agli ultimi posti tra i Paesi ricchi
Maglia nera per l’Italia per quanto riguarda le disuguaglianze tra i bambini. In base alla classifica stilata dall’Unicef, il nostro Paese si posiziona trentacinquesimo sui quarantuno dell’Unione europea e dell’Ocse per quanto riguarda le disparità di reddito.
Il rapporto dell’Unicef analizza il divario tra i minori in termini di reddito, istruzione, salute e soddisfazione nei confronti della vita, rilevando che la Danimarca è lo Stato (tra quelli Ue ed Ocse) dove le disuguaglianze tra i bambini che si trovano nella fascia più bassa della distribuzione del benessere e quelli nella fascia media sono più lievi, mentre Israele è all’ultimo posto.
Se in media l’Italia si posiziona trentacinquesima su quarantuno Paesi, risultati non molto diversi li ottiene per quanto riguarda i singoli parametri utilizzati nella classifica Unicef: nel divario sui risultati scolastici è ventiduesima su trentasette, ventottesima su trentacinque nell’ambito della salute e ventiduesima su trentacinque in termini di soddisfazione nei confronti della vita.
I dati del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, riferiti al 2013, evidenziano poi un netto peggioramento nel nostro Paese (di circa otto punti percentuali) rispetto al 2008, soprattutto per quanto attiene la salute: il 30,5% degli adolescenti italiani ha riferito di soffrire quotidianamente di uno o più disturbi.
Estonia, Lettonia, Irlanda e Polonia riportano un trend positivo sul rendimento scolastico, essendo riusciti a ridurre nel tempo il numero di bambini privi di competenze.
Il rapporto dell’Unicef dimostra come essere cittadini di un Paese “ricco” rispetto a quelli sottosviluppati o in via di sviluppo, non vuol dire automaticamente vivere in una società dove il benessere è ugualmente distribuito. Gli Stati Uniti e il Giappone, ad esempio, che rappresentano due degli Stati più ricchi del mondo, si posizionano in basso nella classifica per distribuzione di reddito. Rispetto al 2002, però, gli Stati Uniti sono gli unici, insieme alla Spagna, ad essere migliorati in tutti e quattro gli indicatori.
In chiaroscuro
Trend positivi per gli aiuti allo sviluppo negli ultimi dati Ocse, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. In Italia spesi 982 milioni di euro per i rifugiati. “Ma – denunciano le ong internazionali – non sempre i soldi arrivano davvero alle popolazioni più povere”.
I dati del 2015 sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) – pubblicati oggi dall’OCSE – mostrano che nel 2015 le risorse destinate all’APS ammontano a 131,6 miliardi di dollari, impegnati da paesi donatori prevalentemente europei: un incremento complessivo del 6,9% che si riduce ad un piccolo 1,7% al netto dei costi per l’accoglienza dei rifugiati contabilizzati da molti Paesi donatori, soprattutto in Europa, in quota APS. L’Italia ha innalzato il suo contributo di APS in rapporto al PIL dallo 0,19% del 2014 allo 0,21% del 2015. Un aumento che, al netto dell’inflazione e dei tassi di cambio, ammonta in termini assoluti a +568 milioni di dollari, pari a +14,2%.
“Un’inversione di tendenza che non basta”. “Se da un lato si può essere soddisfatti dell’aumento di contributi da parte dei Paesi Donatori, Italia inclusa – ha commentato Francesco Petrelli, responsabile delle relazioni istituzionali di Oxfam Italia – dall’altro è evidente che bisogna fare di più, in un mondo dove ci sono ancora 900 milioni di persone che vivono in estrema povertà. L’aumento dell’Aiuto Pubblico italiano, conferma l’inversione di tendenza positiva del nostro Paese, sebbene vi siano ancora molti ritardi da recuperare rispetto ad altri donatori – ha aggiunto Petrelli – rimane solo da sperare e auspicare che queste risorse, nel quadro nella nuova legge sulla Cooperazione, siano sempre più concentrate per la realizzazione di programmi di sviluppo e lotta alla povertà, sia nelle aree e nei Paesi che l’Italia ha indicato come prioritari (Africa Sub Sahariana e Mediterraneo) sia nei Paesi più poveri, agli ultimi posti delle classifiche di sviluppo: i cosiddetti LDC least devloped countries”.
Il diritto si è fermato ad Idomeni
Al confine tra Macedonia e Grecia regna il caos più totale. Tra l’inerzia dell’Europa e il pugno duro della polizia locale, migliaia di sfollati resistono in condizioni al limite della dignità umana. La denuncia di Amnesty International nelle parole del portavoce Riccardo Noury. (sonoro)
I numeri della vergogna
Novecento bambini uccisi e oltre ottocento casi di reclutamento solo nel 2015. Sono questi i dati Unicef sul conflitto in Yemen, dove nell’ultimo anno si sono inasprite le violazioni dei diritti umani. La speranza è che la cessazione delle ostilità iniziata ieri possa migliorare la protezione dei minori.
In base alla dichiarazione congiunta di Leila Zerrougui, rappresentante speciale del Segretario Generale Onu per i bambini e i conflitti armati e Peter Salama, direttore regionale Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, in Yemen i bambini rappresentano un terzo di tutti i civili uccisi e quasi un quarto dei feriti. Nell’ultimo anno del conflitto i minori che hanno perso la vita sono stati sette volte di più rispetto al 2014, mentre il reclutamento è aumentato di cinque volte. Gli attacchi alle scuole e agli ospedali sono raddoppiati e hanno colpito oltre 115 strutture. “Speriamo che la cessazione delle ostilità e i colloqui di pace in programma il 18 aprile, possano portare alla fine di questo conflitto”, si legge nella nota di Zerrougui e Salama. “Chiediamo a tutte le parti coinvolte nel conflitto di rispettare i loro obblighi secondo le leggi del diritto internazionale umanitario, di impegnarsi affinchè vengano rilasciati i bambini che sono stati reclutati e utilizzati nei combattimenti e di porre fine a tutte le gravi violazioni contro i bambini e le bambine. Le parti dovrebbero prendere ogni decisione possibile per proteggere le scuole e gli ospedali e facilitare la distribuzione di aiuti umanitari ai bambini e a tutti coloro che hanno bisogno di aiuto”.
L’Europa sempre più no triv
Dopo la Croazia, anche la Francia prende iniziative per fermare le perforazioni petrolifere nel Mediterraneo. Il servizio di Giovanna Carnevale.
La Francia applicherà una moratoria immediata sulla ricerca di idrocarburi nelle sue acque territoriali e nell’area adiacente ad esse, ovvero la zona economica esclusiva. La decisione, come si legge nel comunicato governativo seguito alla Conferenza nazionale sulla transizione ecologica del mare e dell’oceano, è stata presa dal ministro degli esteri considerando “le conseguenze drammatiche che possono colpire l’insieme del Mediterraneo in caso di incidente di trivellazione petrolifera”. Intenzione della Francia, poi, è quella di chiedere l’estensione della moratoria a tutto il Mediterraneo, nell’ambito della convenzione di Barcellona del 1976 per la protezione di questo mare, e in linea con la politica energetica francese, che prevede per legge una riduzione dei consumi delle energie fossili.
Buone nuove
Nelle prossime due settimane la Birmania potrebbe rilasciare i circa novanta prigionieri politici e attivisti attualmente in carcere. Il comunicato del governo, in cui viene precisato che si “tenterà” di liberare i detenuti, reca la firma di San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e da pochi giorni ministro degli esteri del Myanmar.




