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Mosca, Jacopo Tissi lascia il Bolshoi: “Non lasciamo che l’odio si diffonda”


Contro l’odio. Jacopo Tissi, nominato primo ballerino del Bolshoi a dicembre, ha lasciato il teatro di Mosca. “Sono scioccato da questa situazione – ha detto – e mi ritrovo impossibilitato a continuare la mia carriera a Mosca. Non possiamo lasciare che l’odio si diffonda”.

Le parole di Tissi arrivano all’indomani di quelle del direttore del Bolshoi, Tugan Sokhiev, che ha annunciato le proprie dimissioni sia dall’incarico nel teatro di Mosca che dalla carica di direttore musicale dell’Orchestre National du Capitole de Toulouse. “Dopo aver affrontato una scelta impossibile tra i miei musicisti preferiti russi e francesi – ha detto Sokhiev – ho deciso di dimettermi da direttore del Teatro Bolshoi di Mosca e da direttore musicale dell’Orchestre National du Capitole de Tolosa”.

“È difficile trovare le parole in questi giorni – scrive Tissi – tutti i momenti che ho vissuto fino ad ora e i tanti pensieri che mi girano per la testa. Sono scioccato da questa situazione che ci ha colpito da un giorno all’altro e, onestamente, per il momento, mi ritrovo impossibilitato a continuare la mia carriera a Mosca”. “Non riesco a descrivere quanto sia stato triste per me lasciare i miei insegnanti, i miei colleghi e amici; persone speciali che mi hanno fatto crescere come artista e come persona a cui sono e sarò sempre grato. Come essere umano provo empatia verso tutte le persone e le loro famiglie che stanno soffrendo. Nessuna guerra può essere giustificata. Mai. e io sarò sempre contro ogni tipo di violenza. Non possiamo lasciare che l’odio si diffonda, anzi, il nostro mondo dovrebbe essere pieno di armonia, pace, comprensione e rispetto. Spero davvero e prego che tutte le guerre e sofferenze cessino al più presto”.

Salute mentale, la Nazionale “Crazy for football” arriva anche in Campania


Sogno mondiale. Anche i pazienti di strutture sanitarie campane potranno entrare nella squadra di ‘Crazy for football’, la nazionale italiana di calcio a 5 per persone con problemi di salute mentale, detentrice del titolo mondiale. Oltre 20 atleti hanno partecipato a Napoli alle selezioni ufficiali per arricchire la rosa della squadra che parteciperà alla prossima Dream world cup.

“Per queste persone indossare la maglia della nazionale significa un po’ nascondere lo stigma della malattia mentale, cioè quello ‘stemma’ di cattiva qualità che spesso porta le persone a nascondersi e non accedere alle cure migliori. La grande motivazione di vestire la maglia azzurra farà in modo che i nostri giocatori trovino lo stimolo ad alzarsi dal letto per allenarsi”, ha spiegato alla Dire lo psichiatra Santo Rullo, ideatore del progetto. “Le persone con problemi di salute mentale – ha aggiunto – devono prendere farmaci che rendono sedentari anche per tutta la vita. Più tempo riescono a trascorrere praticando esercizio fisico e facendo sport, minori sono le possibilità di sviluppare malattie cardiovascolari, obesità e malattie dismetaboliche che per le persone con patologie psichiatriche tendono a ridurre del 20% l’aspettativa di vita media. Questo sembra un gioco, ma in realtà è a tutti gli effetti un intervento sanitario”.

Tutto è cambiato con la legge Basaglia e la decisione di chiudere i manicomi. “All’interno del manicomio – ha detto lo psichiatra – il campo di calcio, il teatro e il bar erano luoghi dove vivere momenti non di inclusione, ma di esclusione: le persone giocano esclusivamente per passare il tempo. Invece, adesso l’idea è quella di portare sempre più le attività a non essere esclusivamente intrattenimento, ma parte di un progetto di vita”. Enrico Zanchini è il ct della nazionale italiana ‘Crazy for football’ e ha diretto le sedute di allenamento insieme al suo vice Riccardo Budoni. “Non posso più rinunciare a questo progetto, per me ormai – ha detto Zanchini – questa maglia è una seconda pelle. Questo ruolo mi dà grandissime soddisfazioni, sul piano sportivo oltre che umano: incontro persone che mi arricchiscono”.

L’obiettivo di mister Zanchini è bissare il successo del 2018, quando la ‘Crazy for football’ ha vinto il mondiale di calcio a 5 per atleti con problemi psichiatrici. “Queste selezioni – ha aggiunto il ct – ci consentono di perseguire il nostro obiettivo: diventare sempre più forti e vincere anche la prossima edizione della Dream world cup. Per questo stiamo selezionando atleti in tutta Italia. In questa giornata abbiamo individuato un paio di elementi interessanti, ma poi saremo in Lombardia e vogliamo svolgere selezioni anche in Sicilia e in Sardegna. L’importante è che i ragazzi oggi si siano divertiti e abbiano vissuto una mattinata di calcio a cinque vero, con un allenamento di alto livello. È stata una giornata di vero sport agonistico”.
I successi della Crazy for football non sono solo sportivi perché il primo mondiale disputato dalla squadra è diventato la trama di un documentario, intitolato proprio Crazy for football, vincitore di un David di Donatello e menzione speciale ai Nastri d’Argento, che racconta l’esperienza vissuta dalla squadra.

Tra i partner del progetto, per la tappa campana delle selezioni, l’educatore in servizio all’Asl Luciano Evangelista e fondatore di ‘Calcio Insieme’, che da 28 anni consente ad atleti con malattie psichiatriche di sfidarsi in un vero campionato di calcio. Alcuni suoi pazienti hanno preso parte alle selezioni di oggi. “Per noi – ha detto Evangelista – questo momento rappresenta il massimo della gratificazione. Finalmente abbiamo l’opportunità di far capire, a quanti ancora oggi hanno dei dubbi, che la salute mentale ha bisogno necessariamente dell’aspetto sociale, di inclusione. Non bastano operatori o psichiatri coraggiosi per consentire ai nostri pazienti di vivere una vita dignitosa. Crazy for football trasmette un elemento: l’entusiasmo. Altrimenti, i nostri pazienti continueranno a schivare l’umanità come sono abituati a fare”.
Massimiliano Cresci lavora in Emme Due, struttura di Sessa Aurunca (Caserta) e oggi ha accompagnato quattro pazienti ad affrontare le selezioni. “Il loro pensiero fisso era entrare a far parte della nazionale. Per loro – ha raccontato – giocare a calcio significa sentirsi importanti, il calcio è la migliore cura mentale. Ieri sera erano molto tesi, ansiosi di incontrare l’allenatore. Qualcuno non ha dormito pensando all’irripetibile occasione di stamattina”.

#SportAgainstWar: la campagna promossa da sport sociale e non profit


 

 

#SportAgainstWar. Uisp, Amnesty International, Assist, Sport4Society e Usigrai insieme contro la guerra. Tiziano Pesce, presidente nazionale Uisp, presenta la campagna ai nostri microfoni.

Oggi le organizzazioni lanciano una iniziativa, per il momento attraverso i social network, invitando sportivi e sportive di tutto il continente a pubblicare sui social contenuti con l’hashtag #SportAgainstWar. Su Facebook è possibile unirsi al gruppo #SportAgainstWar in cui condividere contenuti contraddistinti dall’hashtag della campagna.

Lo sport è un veicolo potente di valori e di mobilitazione delle coscienze, fondato su valori universali e di fratellanza, primo tra tutti il ripudio della guerra e della violenza.
Ci appelliamo inoltre ai principi fondamentali della Carta Olimpica, in particolare l’articolo 3 e 6 che richiamano all’impegno “per favorire l’avvento di una società pacifica”, a mettere in campo “azioni volte a favorire la pace”, allo “scopo di contribuire alla costruzione di un mondo migliore e più pacifico”. La stessa Agenda 2030 delle Nazioni Unite riconosce tra i propri target lo sport come costruttore di pace e tolleranza.

Lanciamo un appello anche a CONI, agli organismi sportivi, alle Federazioni italiane ed europee di unirsi in questa mobilitazione dello #SportAgainstWar.

Nuoto, il circuito a impatto zero ideato da Gregorio Paltrinieri


Dominate the water: è il circuito open di nuoto in acque libere ideato da Gregorio Paltrinieri che pone particolare attenzione nell’organizzazione delle manifestazioni a ecosostenibilità, valorizzazione dei territori e sicurezza. Con un decalogo di comportamenti da tenere in mare si punta a gare a impatto zero, per promuovere uno sport incredibile e a stretto contatto con la natura.

Dopo Rio 2016 hai iniziato a cimentarti nel nuoto in mare: questo quanto ha cambiato il tuo approccio con l’acqua e anche il tuo rapporto con l’ambiente?
Mi sono reso conto che nuotare in mare è molto più bello che nuotare in piscina. Ho iniziato a fare molte gare e a godermi la sensazione di libertà, a differenza della piscina che è racchiusa tra quattro mura. Per allenarmi ho passato tanti mesi all’anno in spiagge, anche all’estero, sono entrato in contatto con il mare: è un approccio davvero diverso, quasi non diventa più sport ma un’avventura.

Anche perché cambia ogni giorno …
Sì esatto. Sei tu che in qualche modo devi adattarti. Quando arrivo in piscina so cosa fare al 100% e faccio quasi in modo che la piscina si adatti a me. Invece col mare non è così, mi devo per forza adattare alla situazione. Soprattutto nelle gare occorre saper “leggere” la gara, l’ambiente in cui si è, le traiettorie, le correnti. In tutto questo processo mi sono avvicinato sempre di più al mare e ho iniziato ad amarlo. Da lì è nato un progetto, assieme ad uno amico, per organizzare gare e far conoscere questo sport che offre possibilità incredibili, dal nuotare all’aperto fino alla scoperta di spiagge e posti magnifici.

Da circa due anni c’è una nuova avventura, Dominate The Water, anche con questa iniziativa è possibile fare qualcosa di concreto per essere più green in gara, quando si è in acqua?
Ci sono diverse componenti alle quali fare attenzione. Per fare uno sport professionistico abbiamo bisogno di tante cose e quindi c’è il rischio di inquinare lo spazio d’acqua ma anche la spiaggia. Magari arrivano 500 persone sul lido e una volta finito tutto ci sono plastiche lasciate sulla sabbia. Quasi mi sento in colpa per aver rovinato un posto anche solo per due giorni perché poi non so come tornerà.
Un altro esempio è la 10km della gara olimpica che si compete in mare. Dobbiamo per forza fare rifornimenti. Parliamo di gel da mangiare o qualcosa da bere: sono rifornimenti volanti perché non si può aspettare 30 secondi per ridare la bottiglietta. Cerchiamo poi di tirarla verso il ponte dove sono gli allenatori ma non sempre finisce lì. In una maratona, dove le “bottigliette volanti” si buttano per strada, sono più semplici da recuperare; qui finiscono in acqua dove però ci sono le correnti. Quindi qualcuno, anche un sub, le va a raccogliere anche sul fondo. E poi le barche a motore: ci deve essere assistenza, un pronto intervento, perciò lungo tutto il corso della gara diverse imbarcazioni che controllano la zona. Da un certo punto di vista l’impatto ambientale è alto quindi noi vogliamo organizzare gare a impatto zero. O quasi a zero.

Avete una sorta di decalogo della buona prassi della gara?
Sì, perché si può fare! Non è fantascienza. Facendo rifornimenti in bicchieri di carta biodegradabile più facili da recuperare perché restano a galla. Oppure invece delle barche a motore si usano sup e kajak. È sostenibile e si può fare. Allo stesso tempo si partecipa a una competizione incredibile adatta sia a noi agonisti che gareggiamo alle Olimpiadi o ai mondiali che agli amatori, ai master, a tutte le persone che vogliono provare le gare in mare con un impatto meno dannoso per l’ambiente.

Anche il nuoto può “inquinare”? Sembra quasi che nessuno fino a oggi se ne sia accorto.
Forse perché si pensa che per nuotare basti un costume, una cuffia, un occhialino. Però quando una gara diventa importante va organizzata con accortezza. Come una maratona, che sporca una città, allo stesso modo noi facciamo delle maratone in acqua: sono stupende da vedere, è uno sport incredibile, sei veramente a contatto con la natura, semplicemente dovremmo cercare di non inquinare così tanto.

Ti è mai capitato di trovare rifiuti e plastiche durante le gare in acque aperte?
Sì … mi è capitato ed è davvero brutto, dispiace nuotare in una condizione di questo genere. C’è una gara storica italiana che è la CapriNapoli, io non l’ho disputata perché è una super maratona di 36 km a nuoto, al massimo ho fatto la 10 km. L’ho vista da una barca e osservare come cambia il mare con i rifiuti è veramente un peccato. Ma questo accade in molti posti, anche all’estero.

Come possono contribuire lo sport e i suoi campioni a diffondere messaggi di cambiamento nei gesti quotidiani per salvare l’ambiente?
Tanto. Noi siamo i protagonisti di ciò che facciamo, dobbiamo rispettare l’ambiente in cui troviamo. Intendo sia gli atleti che l’amatore che gareggia in mare e non si deve sentire autorizzato a fare quello che vuole. Se lo facciamo noi allora diamo l’input a tutti. Io vorrei dare il buon esempio perché sono fatto così, perché credo sia importante rispettare l’ambiente in cui ci troviamo, le persone … sento di doverlo fare. Magari chi mi guarda si ispira a me per tante ragioni: io rispetto l’ambiente e magati cominceranno a farlo anche gli altri.

Il surf che riabilita: quando il mare diventa accessibile a tutti


Mare accessibile. Anche in Italia è arrivato il surf adattato, grazie alla passione di Massimiliano Mattei, che è entrato in contatto con questa pratica dopo un incidente che gli ha tolto l’uso delle gambe. Da qui nasce Surf4all, che permette di tornare a surfare a dopo un incidente, e di fare questa esperienza insieme e in autonomia, sfruttandone le potenzialità riabilitative.

Questa storia comincia a Manila, nelle Filippine. Massimiliano Mattei, livornese del 1976, dopo diversi viaggi si era trasferito a fare il cuoco dall’altra parte del mondo. «Ho cominciato a fare surf a 15 anni, nel mare di Livorno. Poi la fortuna e il lavoro mi hanno portato in giro per il mondo. Dai 20 ai 27 anni sono stato nelle Filippine e ho continuato ha coltivare le mie passioni per lo sport. Ho fatto pugilato, basket, surf. Nell’oceano Indiano ci sono quasi 3500 isole e le onde non mancano».
In una mattina del 2005, rientrando da un allenamento di boxe, a bordo della sua motocicletta, Mattei correva per rientrare quando perse il controllo e finì giù da un cavalcavia. Fece un volo di 7 metri e già i primi soccorritori capirono che la sua situazione era grave. Uscito dall’ospedale Mattei aveva tra le sue prime preoccupazioni come tornare a fare surf: non era facile, senza riuscire più a muovere le gambe.

Mattei non poteva resistere lontano dalle onde: «l’acqua è magia totale». Ha cercato di capire quali esperienze c’erano in giro per il mondo che gli potessero consentire di surfare nelle sue condizioni. Si rese conto che in particolare negli Stati Uniti c’erano molte cose da imparare. «In America ci sono tanti militari che rientrano dai teatri di guerra con delle lesioni importanti ed è evidente che hanno più esperienze di qualsiasi altro paese del mondo». Mattei capì che l’esempio da seguire era il modello della fondazione Life Rolls On, creata dal surfista tetraplegico californiano Jesse Billauer, due volte campione del mondo.

Il passaggio dalla teoria alla pratica fu veloce. «Sono andato a comprare una tavola da Decathlon, ho applicato due idee che ho trovato su internet e così ho realizzato un primo prototipo di tavola da surf adattata alla mia tecnica e alle possibilità di movimento che avevo io dopo l’incidente. Sono entrato in acqua e ho fatto la mia prima nuova esperienza da surfista». Da quella rudimentale attrezzatura c’è stata una continua crescita di conoscenze, di relazioni con professionisti per sviluppare tavole sempre migliori che lo hanno portato ad avvicinarsi alle competizioni e, un po’ alla volta, a fare gare in tutto il mondo.

«Gli amici che vivevano la mia stessa condizione, il mare e il surf sono stati la mia vera clinica. L’ambiente che mi ha permesso di recuperare la forma fisica, la forza e soprattutto la fiducia in me stesso». Dopo avere fatto diverse esperienze, nel 2015 è nata l’Associazione Happy Wheels – Asd che ha come finalità l’integrazione e il miglioramento della qualità della vita per le persone con ridotta capacità motoria. Il progetto su cui Mattei si è più impegnato è Surf4all: un percorso cominciato con altri due ragazzi nella sua stessa condizione che aveva l’obiettivo di rendere concreto il sogno di tornare a surfare dopo un incidente, e di fare questa esperienza insieme, in autonomia e sfruttando le potenzialità riabilitative di questa attività.

Il progetto Surf4all
Surf4all si basa su un’attività formativa. L’obiettivo è fornire a chi partecipa i principi fondamentali del surf e gli strumenti per condurre, controllare e utilizzare nel migliore dei modi la tavola da surf. Si tratta di un percorso di formazione all’adapting surfing. La base di questa scuola di surf e sup (stand up paddle, cioè stare su una tavola in acqua e spostarsi utilizzando una pagaia) era a Tirrenia, presso il Bagno degli americani.

Mattei spiega che «il progetto prevedeva delle lezioni teoriche, ma soprattutto delle sessioni dimostrative pratiche, l’organizzazione di eventi dedicati a chi voleva vivere senza barriere il mare e lo sport. Ma soprattutto per insegnare il surf tra le persone con disabilità per dare a tutti la possibilità di fruire dei vantaggi psicofisici che la pratica di questo sport regala ai suoi praticanti. Tra l’altro, una volta, è venuta a trovarci per vedere che cosa stavamo facendo anche Bebe Vio».
Mattei è molto orgoglioso quando sottolinea che quella è stata la prima attività didattica che ha fatto del surf un’attività inclusiva. «È stato un successo perché gli operatori, i volontari, tutti quanti avevano a che fare con il progetto hanno dimostrato una grande apertura e una piena condivisione dei principi dell’inclusione applicati al surf e a tutte le discipline che si possono fare nel mare».

Il sogno olimpico
Oggi Massimiliano Mattei abita in Andalusia: anche se da quelle parti ci sono poche onde, lui continua a fare surf. «Non è un buon periodo. Non pensavo di farmi male anche alle braccia. Sono reduce da due infortuni ad entrambe. Nonostante tutto continuo, anche se quest’anno ho dovuto rinunciare al campionato mondiale». Nei tre mondiali di Adaptive Surf a cui ha partecipato, Mattei ha ottenuto risultati sempre migliori, tanto che nel 2018 in California si è classificato terzo nella categoria AS4, vale a dire “prono non assistito”. L’anno successivo ai campionati europei in Portogallo ha vinto la medaglia d’oro di categoria.

Guerra in Ucraina: le sanzioni olimpiche ai danni di russi e bielorussi


Sanzioni olimpiche. Il Comitato Olimpico Internazionale ha adottato nuove misure in merito al conflitto in corso in Europa, chiedendo a tutte le federazioni internazionali di non invitare o consentire la partecipazione di atleti russi o bielorussi in nessuna competizione internazionale, riaffermando così la propria totale solidarietà con la comunità olimpica ucraina.

Il Board esecutivo del Comitato Olimpico Internazionale (Ioc) ha adottato nuove misure in merito ai tragici fatti di guerra che stanno interessando l’estremo est dell’Europa. I massimi vertici dello sport planetario hanno oggi dibattuto sul dilemma che anche il movimento olimpico si trova a dover affrontare in conseguenza al conflitto in Ucraina. Portatori di pace, i Cinque Cerchi si trovano nella posizione, dopo la violazione della tregua olimpica perpetrata dalla Russia con il supporto della Bielorussia, a prendere ferma posizione.

Riportiamo, qui a seguire, la traduzione integrale del comunicato odierno

“Il Movimento Olimpico è unito nella propria missione fondante di contribuire alla pace attraverso lo sport. E a unire il mondo attraverso competizioni pacifiche al di là di qualsiasi disputa politica. I Giochi Olimpici, Paralimpici, i Campionati del Mondo e le Coppe del Mondo e molti altri eventi sportivi uniscono gli atleti di paesi che si oppongono, alcune volte anche in guerre.

Allo stesso tempo, il Movimento Olimpico è unito nel senso di equità per non punire gli atleti per le decisioni dei loro governi laddove non ne siano parte attiva. Il nostro scopo è volto verso competizioni per tutti senza discriminazioni.

Detto ciò, l’attuale guerra in Ucraina mette il Movimento Olimpico davanti a un dilemma. Mentre gli atleti russi e bielorussi potrebbero continuare a competere, molti atleti ucraini non possono fare altrettanto a causa dell’attacco del loro paese.

Questo è un dilemma che non trova soluzione. Quindi l’Executive Board dell’Ioc, considerata la situazione con grande attenzione e con un enorme peso sul cuore ha dovuto prendere le seguenti risoluzioni.

Al fine di proteggere l’integrità delle competizioni dello sport globale e di tutti i partecipanti, l’Ioc raccomanda a tutte le federazioni internazionali di tutti gli sport e agli organizzatori di non invitare o consentire la partecipazione di atleti russi o bielorussi o official in nessuna competizione internazionale.
Nel caso ciò non fosse possibile per il breve preavviso per questioni organizzative o legali, l’Ioc invita fortemente le federazioni sportive internazionali e gli organizzatori di tutto il mondo a fare quanto in loro potere per assicurare che nessun atleta o official russo o bielorusso possa concorrere nel nome di Russia e Bielorussia. Le nazionali russe o bielorusse, individuali o a squadre, possono essere accettati solo come atleti o team neutrali. Nessun simbolo nazionale, bandiera o inno deve essere esibito. Nel caso ciò non fosse possibile, in circostanze veramente estreme, l’Ioc lascia questo tema di estremo rilievo nelle mani degli organizzatori affinché trovino una soluzione per la soluzione specifica di questo dilemma.
Rimane l’indicazione dell’Ioc di non organizzare eventi sportivi in Russia o Bielorussia come determinato il 25 febbraio
L’Ioc, sulla base dell’eccezionale gravità della violazione della tregua olimpica e delle altre previste nella Carta Olimpica da parte della Russia, ha preso la decisione ad hoc di ritirare l’Ordine Olimpico da coloro che hanno funzioni importanti nel governo della Federazione Russa o a persone con posizioni di rilievo ad essa collegate:
Vladimir Putin, Presidente della Federazione Russa (Oro, 2001)
Dimitry Chenyshenko, Primo Ministro Deputato della Federazione Russa (Oro, 2014)
Dmitry Kozak, Capo Staff deputato dell’Ufficio esecutivo presidenziale (Oro, 2014)
Il Board esecutivo Ioc dà il benvenuto e apprezza le molte richieste di pace da parte degli atleti, official e i membri della Comunità Olimpica. L’Ioc esprime ammirazione e supporto in special modo per l’appoggio alla pace dei molti atleti russi
Il Board esecutivo Ioc riafferma la propria totale solidarietà con la comunità olimpica ucraina. Sono nel nostro cuore e nei nostri pensieri. L’Io continua a sostenere e rafforzare gli sforzi per l’assistenza umanitaria. L’Ioc ha istituito oggi un fondo di solidarietà. In questo contesto, l’Ioc esprime gratitudine ai Comitato Olimpici Nazionali e alle Federazioni sportive internazionali che stanno già sostenendo gli atleti ucraini e le loro famiglie.
L’Ioc, attraverso la propria task force, continua a monitorare da vicino la situazione. Le raccomandazioni e le misure sono soggetti a sviluppi futuri.

L’Ioc riafferma l’appello del proprio presidente Thomas Bach: «Give peace a chance»”.

Risarcimento alle calciatrici della Nazionale Usa: oltre 20 milioni per la parità salariale


Cambiare in meglio. Le giocatrici della nazionale statunitense di calcio hanno ottenuto dalla loro federazione un risarcimento di oltre 20 milioni di dollari per le mancate retribuzioni del passato, oltre all’impegno di raggiungere la parità di retribuzione con la nazionale maschile: una misura, quest’ultima, già adottata in Norvegia, Australia e Olanda.

L’accordo dovrebbe mettere fine a una disputa iniziata sei anni fa e risarcirà sia le giocatrici del presente che del passato con un terzo della cifra inizialmente richiesta. I parametri e le modalità dei risarcimenti verranno stabiliti nei prossimi mesi.

A differenza della nazionale maschile, che fatica ancora a qualificarsi ai Mondiali, quella femminile statunitense è composta dalle migliori calciatrici in attività e ha vinto quattro delle otto edizioni disputate finora dei Mondiali. Negli anni i successi della nazionale femminile hanno creato un grosso seguito e reso le calciatrici tra le sportive più popolari del paese. Secondo quanto denunciato da alcune di loro nel 2016 — in rappresentanza di tutto il movimento — durante questi successi avrebbero però ricevuto un trattamento discriminatorio, ricevendo compensi inferiori rispetto alla nazionale maschile. Cindy Parlow Cone, presidente federale da due anni, ha commentato l’accordo dicendo: «Non è stato facile arrivarci, ma la cosa più importante è che stiamo andando avanti e stiamo andando avanti insieme».

Le giocatrici della Nazionale americana di calcio femminile prenderanno lo stesso stipendio della rappresentativa maschile. E’ l’impegno assunto dalla federazione calcistica Usa attraverso un accordo con un gruppo di giocatrici che aveva citato in giudizio la stessa federazione.

“La Us Soccer si impegna a fornire la parità di retribuzione d’ora in poi per le squadre nazionali femminili e maschili in tutte le amichevoli e i tornei, compresa la Coppa del Mondo”.

Oltre a un impegno sul futuro, nell’accordo viene pattuito anche un risarcimento per le differenze salariali fino ad ora non percepite. Le calciatrici, infatti, riceveranno un pagamento forfettario di oltre 24 milioni di dollari. Tale importo sarà distribuito secondo le modalità proposte dalle giocatrici dell’Uswnt, l’assocalciatori femminile, e approvato dal tribunale distrettuale.

Ventotto calciatrici della nazionale femminile degli Stati Uniti, campione del mondo in Francia nel 2019, avevano intentato una class action contro la politica discriminatoria della federcalcio americana. L’applicazione dei termini dell’accordo sarà subordinata alla ratifica di un contratto collettivo tra i calciatori delle Nazionali e la Federazione.

Un’analoga azione era stata intrapresa con successo, prima che lo facessero le americane, dalle calciatrici della nazionale della Norvegia. Molto soddisfatta la campionessa e stella del calcio statunitense Megan Rapinoe che ha commentato con quello che è diventato lo slogan della lotta per la parità: “Quando noi vinciamo, tutti vincono”.

“E’ davvero un giorno fantastico. Penso che, quando guarderemo indietro a questo giorno, noi diremo che questo è il momento in cui il calcio statunitense è cambiato in meglio. Qualcosa come questa non capiterà mai più, e noi possiamo andare avanti nel rendere il calcio il miglior sport possibile” negli Stati Uniti. Il prossimo passo sarà cercare di cambiare le cose anche a livello di club, dove però tutto appare più difficile. Basti pensare che a Miami l’ex Napoli e Juve Gonzalo Higuain guadagna 4,7 milioni di dollari all’anno mentre la calciatrice più pagata della lega professionistica (Nwsl), l’attaccante Trinity Rodman(figlia dell’ex superstar dei Chicago Bulls) a Washington prende 285mila dollari all’anno.

“No war”: la spinta pacifista dello sport mondiale


 

 

Trasferte pericolose. Segnali di dissenso verso la guerra arrivano anche dal mondo dello sport. Ci racconta tutto Elena Fiorani,

“Non posso parlare a nome dell’associazione dei piloti di Formula 1, ma personalmente non voglio correre in Russia e la F1 non dovrebbe correrci. Tante persone stanno morendo per ragioni stupide”. Sono le parole del pilota Sebastian Vettel, che si uniscono all’appello delle Federazioni calcistiche di Polonia, Svezia e Repubblica Ceca perché le partite di qualificazione ai Mondiali 2022, in programma il mese prossimo, non si giochino in Russia.

Lo Schalke 04 ha deciso di rimuovere il logo del main sponsor GAZPROM dalle maglie del club. Un forte “No alla guerra” è giunto da Fedor Smolov, primo giocatore della nazionale russa a schierarsi apertamente contro l’attacco armato all’Ucraina.

Parigi ferma i motori: centro storico a traffico limitato entro il 2024


Fermiamo i motori. Entro il 2024 il centro di Parigi diventerà zona a traffico limitato per favorire pedoni, ciclisti, mezzi pubblici e per impedire che ci passino le auto se sono dirette altrove. L’obiettivo è ridurre l’inquinamento atmosferico e acustico legato al traffico, facilitare la circolazione dei residenti e dei commercianti e offrire strade più accoglienti.

Questa novità, inizialmente prevista per il 2022, è in linea con le politiche favore della ciclabilità portate avanti dalla sindaca socialista Anne Hidalgo fin dal suo primo mandato. L’area interessata dalla zona a traffico limitato sarà quella dei primi quattro arrondissement di Parigi e parti del V, VI e VII arrondissement, tra Boulevard Saint-Germain e la Senna. La zona sarà delimitata a ovest da Place de la Concorde, a nord dai Grands Boulevards, a est da Place de la Bastille e dal Boulevard Saint Germain a sud. Con questa trasformazione si mira a ridurre il volume e la velocità dei veicoli a motore presenti nell’area per facilitare e rendere sicuri gli spostamenti a piedi e in bicicletta, nonché facilitare la circolazione dei residenti locali, dei commercianti e dei servizi pubblici.

Dopo il blocco del traffico potranno circolare ancora Taxi e Vtc – vetture di trasporto con conducente, così come gli autobus e le vetture munite di tessere di inclusione mobilità (permesso disabili) o tessera europea per il parcheggio. L’accesso con le auto resterà consentito anche ai residenti, a chi deve fare delle consegne o andare in negozi, al museo o al cinema. Sarà invece vietato il traffico dovuto al semplice transito, al momento rappresentato principalmente da parigini e parigine che attraversano il centro per andare altrove, ad esempio per passare dal XIV al XVIII arrondissement. Secondo il comune queste persone hanno molte alternative all’uso dell’auto: da un calcolo, infatti, risulta che solo il 30 per cento di chi passa per l’area interessata abbia assolutamente bisogno della macchina per completare il proprio viaggio, mentre per il restante 70 per cento è «soprattutto una comodità».

di Pierluigi Lantieri

Invasione Donbass: cambia la sede della finale di Champions League?


In campo nemico. Alcuni membri dell’Europarlamento hanno scritto alla Uefa affermando che “dopo il riconoscimento russo del Donbass e l’invasione del territorio ucraino, è evidente che la città di San Pietroburgo non potrà ospitare la finale di Champions League prevista per il prossimo 28 maggio”. Anche il premier britannico ha definito una finale in Russia inconcepibile.

“La Uefa sta monitorando in maniera costante e da vicino la situazione. Al momento, non ci sono piani per cambiare la sede”. Con questa nota la confederazione calcistica europea replica alle illazioni, fatte in particolare dai tabloid inglesi, su un possibile cambio di località per la finale di Champions League del prossimo 28 maggio a San Pietroburgo, alla luce della crisi tra Ucraina e Russia. L’ipotesi al momento non è presa in considerazione. Tuttavia alcuni membri dell’Europarlamento hanno scritto alla Uefa una lettera: “Alla luce della grave situazione internazionale venutasi a creare dopo il riconoscimento da parte di Putin del Donbass e l’invasione delle truppe russe sul territorio ucraino, è evidente che la città di San Pietroburgo non potrà ospitare la finale di Champions League prevista per il prossimo 22 maggio. Per questa ragione ho cofirmato la lettera, promossa dall’europarlamentare tedesca dei Greens Viola von Cramon-Taubadel, al presidente dell’Uefa Aleksander Ceferin”, afferma in una nota Tiziana Beghin, capodelegazione del Movimento 5 stelle al Parlamento europeo. “La Russia dimostri a tutto il mondo che ha a cuore i valori dello sport, della fratellanza, della collaborazione e del rispetto e faccia prevalere le sole armi della diplomazia. Non è mai troppo tardi”, continua l’eurodeputata.

“È inconcepibile” che la Russia possa ospitare eventi sportivi internazionali come la finale di Champions League di calcio in calendario a San Pietroburgo dopo le azioni intraprese dal presidente Vladimir Putin in Ucraina, ha detto il premier britannico, Boris Johnson, intervenendo alla Camera dei Comuni sulla crisi ucraina. Johnson ha additato la Russia come una nazione che “invade Stati sovrani” e ha aggiunto: “Non ci sono chance che una Russia sempre più isolata, una Russia che ha ora uno status da paria possa ospitare una manifestazione calcistica” europea.

“Non prestiamo attenzione ai vari commenti dei media britannici”, replica alla Tass del capo del comitato organizzatore di San Pietroburgo, Alexey Sorokin, alla notizia apparsa sul ‘Guardian’ secondo cui alla luce della crisi tra Ucraina e la Russia l’Uefa “non potrebbe avere altra scelta” se non quella di spostare la finale di Champions League programmata per il 28 maggio a San Pietroburgo. “Ci siamo occupati di questo negli ultimi 15 anni, dal 2008, quando si supponeva che qualcosa ci sarebbe stato portato via – ha aggiunto Sorokin riferendosi a quando la Russia ha tenuto la finale di Champions League a Mosca nel 2008 – Ci stiamo preparando per la finale come previsto. Stiamo aspettando l’arrivo di oltre 50.000 tifosi stranieri”.

Secondo il dirigente russo l’Uefa è una grande organizzazione sportiva internazionale che opera al di fuori di un contesto politico. Il comitato organizzatore e la Uefa non hanno avuto discussioni su questo argomento e non possono averne. Palcoscenico della finale Champions è la Gazprom Arena, impianto da 68.000 posti, nota anche come Stadio Krestovsky, terreno di gioco dello Zenit e stadio che ha ospitato le partite della Coppa del Mondo 2018 e degli Europei 2020.