I diritti della montagna. Quattro ventenni hanno imparato ad amare l’alta quota praticando attività sportiva e hanno ideato un viaggio per percorrere da est a ovest le Alpi fino ai Pirenei promuovendo il progetto “United Mountains of Europe”. L’obiettivo delle quattro alpiniste è arrivare a stilare una Carta dei diritti delle montagne, per tutelarne l’ambiente e permetterne la conoscenza
Questa è la storia di quattro ventenni (più una) che hanno la montagna nel sangue. Praticando attività sportiva, hanno imparato ad amare l’alta quota, fatta di paesaggi a volte amichevoli, a volte ostili, che mettono alla prova chi vuole viverli con alte dosi di adrenalina, ma anche di soddisfazione.
Sara Segantin, Adele Zaini e Alessia Iotti si sono conosciute a Brescia nel maggio 2021, in occasione di una manifestazione di Fridays for Future (il movimento internazionale ambientalista di protesta nato con Greta Thunberg). E hanno scoperto di essere accomunate dalla passione per le terre alte, che di questi tempi non se la passano così bene.
Anche se si tratta di ambienti lontani dalla presenza umana, ne subiscono le conseguenze. Il riscaldamento climatico sta sciogliendo i ghiacciai – sulle Alpi, due terzi di essi andranno perduti entro il 2100, secondo uno studio del Politecnico federale di Zurigo – e l’inquinamento che produciamo in pianura affligge anche le montagne.
Pesticidi e microplastiche si trovano nella neve persino in alta quota, mentre il turismo indiscriminato e il proliferare eccessivo degli impianti mettono a rischio ambienti che hanno un equilibrio fragile.
Insieme all’esperta di arrampicata francese Eline Le Menestrel, le tre ragazze hanno ideato il progetto “United Mountains of Europe” (Ume). «Volevamo fare qualcosa di impattante per affermare i diritti delle montagne» commenta Adele Zaini, 25 anni, la scienziata del gruppo che ci parla dalla Norvegia, dove è impegnata con le ricerche per la tesi della magistrale in Fisica del clima. «All’estero si sta già percorrendo questa strada» aggiunge Sara Segantin, 26 anni, scrittrice e divulgatrice, cresciuta sui monti a Cavalese, a due passi dalle Dolomiti.
«La Costituzione dell’Ecuador del 2008 afferma il diritto della natura di essere rispettata. Al fiume Whanganui in Nuova Zelanda sono stati riconosciuti diritti legali come a una persona, e lo stesso principio vale per il Gange. Anche in Italia è stata approvata una legge che modifica gli art. 9 e 41 della nostra Costituzione, per la tutela del paesaggio, dell’ambiente e della biodiversità».
Quindi, con l’idea di promuovere i diritti delle terre alte, le quattro ragazze – alle quali in seguito si è aggiunta una quinta, Giorgia Garancini – hanno ideato un viaggio per percorrere da est a ovest le Alpi, con l’obiettivo di arrivare sino ai Pirenei. «Volevamo avere uno sguardo sulle montagne come punto d’incontro, e non come barriere che separano» aggiunge Zaini. «Avevamo a cuore anche un tema di gender equality: ci tenevamo ad affermare la nostra presenza come donne, attiviste e alpiniste. Ancora oggi, l’alpinismo è soprattutto maschile».
Così, a fine luglio 2021, la spedizione di “United Mountains of Europe” è partita con lo scopo di abbinare uno degli elementi della montagna (acqua, terra, ghiaccio, aria, roccia) a una criticità da approfondire e a uno sport. In Slovenia, il gruppo ha praticato la speleologia per visitare le grotte carsiche. «Le cavità naturali sono spesso state usate in Italia e in Slovenia come discariche, dove vengono buttati anche scarti edili» spiega Segantin. «Così si inquinano le falde sotterranee». A cominciare dalla tappa slovena, le ragazze di Ume hanno sempre intessuto un dialogo con associazioni e gente del posto, per capire i problemi e fare da portavoce alle loro istanze.
Seconda sosta in Austria, alla foresta di Forchet, un habitat naturale sotto attacco per l’avanzare delle attività umane. «Abbiamo fatto trekking e incontrato Marianne Goetsch, referente del Wwf Austria, con cui abbiamo discusso dell’importanza della tutela della biodiversità, anche per contrastare la crisi climatica» aggiunge Segantin.
Poi è stata la volta della Svizzera, dove le ragazze sono salite sul ghiacciaio del Morterasch, un gigante che si sta liquefacendo. «Non dimentichiamo che quel che succede in quota ha conseguenze a valle» puntualizza Sara. In gioco, ci sono le nostre riserve di acqua.
Infine, in Val di Mello, si è affrontato un tema delicato: fino a che punto la montagna deve essere accessibile a tutti? Qui c’è in costruzione un sentiero per consentire l’accesso ai disabili, contestato a livello locale per i danni ambientali che sta provocando e perché, secondo alcuni, il percorso preesistente sarebbe già sufficiente.
Il gruppo avrebbe dovuto arrivare in Spagna per affrontare il tema dell’inquinamento acustico dovuto, per esempio, all’uso non regolamentato dei droni, ma il viaggio si è concluso prima per il maltempo, un ostacolo serio in alta montagna. Inoltre, Eline ha dovuto limitare la sua partecipazione per un problema di salute. «Il viaggio era solo una parte del progetto» sottolinea Adele.
È stata scelta la data dell’11 dicembre, giornata internazionale della montagna, per organizzare un evento nella capitale belga, coinvolgendo politici, esperti, atleti e associazioni, con una discussione al mattino, un concerto al pomeriggio e poi una marcia verso la Commissione, dove le richieste di “United Mountains of Europe”, sono state consegnate a Marco Onida, direttore generale Ambiente della Commissione Europea. Aggiunge Zaini: «L’alta montagna va vissuta in modo sostenibile e rispettoso. È maestra di vita, ti insegna la solidarietà. La affronti con le tue forze, liberandoti del superfluo. Ti costringe a pensare ai tuoi limiti fisici e mentali come essere umano, e ti offre una lezione di umiltà che ti porti dietro nella tua vita quotidiana».
Tra le tante persone incontrate, chi ricorderete di questo viaggio? «La climber austriaca Lena Müller, che insegna a raggiungere le montagne in bicicletta e non in auto, per non inquinare» concordano Sara e Adele. «Mi ha colpita una ragazza italiana che lavora con gli immigrati che attraversano i boschi fra Slovenia e Italia» conclude Alessia. «Noi ci siamo occupate del flusso idrico sotterraneo, lei del flusso umano in superficie. Per noi camminare è stato uno sport, per quella gente i boschi sono la via per la salvezza».
Milano, la squadra di basket Lgbt: “Inclusivi e aperti a tutti”
Arcobaleno in campo. A Milano la squadra di basket Lgbt, nata per combattere stereotipi ed aiutare tutti coloro che ancora non hanno il coraggio di vivere liberamente la propria sessualità. Un progetto aperto a tutti, oltre le differenze: senza ghettizzare e marginalizzare coloro che hanno il coraggio di dichiararsi e condannando atti spiacevoli e discriminatori.
L’idea è di Joseph Naklè, 35 anni, gay, nato a Beirut. “Sono fiero di me”, ha detto al Corriere della Sera. “Sono venuto in Italia e ho creato qualcosa che non c’era, un valore aggiunto. Per tutti”.Una squadra, dunque, aperta a tutti e vogliosa di ribadire che non ci sono differenze e che anche il mondo dello sport deve abbracciare e sostenere queste cause: in primis non deve ghettizzare e marginalizzare coloro che hanno il coraggio di dichiararsi, ma anche condannare atti spiacevoli e discriminatori che, ancora oggi, si susseguono in alcuni ambiti sportivi.
Il gruppo squadra capitanato da Naklè è ben assortito. “Siamo molto inclusivi e aperti a tutti: ci sono gay, etero, bisessuali e lesbiche. E di età diverse, dai 20 ai 45 anni. La presenza degli eterosessuali porta grande ricchezza e condivisione: stando insieme si allargano gli orizzonti di tutti”.La squadra rainbow è nata anche per combattere stereotipi e per aiutare tutti coloro che ancora non hanno il coraggio di vivere liberamente la propria sessualità e il proprio amore. “Succede che chi gioca con noi – ha continuato a raccontare al Corriere – trovi una dimensione di libertà che fuori non riesce a vivere pienamente. Ma non è sempre così, alcuni non sono riusciti a lasciarsi andare davvero. C’è una storia che voglio condividere, quella di un ragazzo che si è allenato con noi per un certo periodo. Era molto forte, giocava ad alti livelli, ma aveva paura della visibilità del nostro gruppo perché non si accettava. Gli andava bene giocare ogni tanto ma è stata più forte la paura di essere scoperto: non è più tornato”.
Giro di Boa: dieci donne con il cancro mollano gli ormeggi e si affidano alla velaterapia
Vela terapia. Dopo la diagnosi di cancro dieci donne si sono imbarcate sulla Nave Italia. Il servizio è di Elena Fiorani.
Rientreranno domani nel porto di Civitavecchia le dieci donne che hanno preso parte all’iniziativa Giro di Boa, dell’associazione Gemme Dormienti, per promuovere il benessere attraverso un’esperienza che coniuga la terapia ricreativa e la riabilitazione.
Sono partite dal porto di La Spezia insieme all’equipaggio della Marina Militare per vivere un’esperienza a bordo del brigantino Nave Italia, in un clima sicuro ed inclusivo, ed avvicinarsi al mondo della vela in uno spazio e un tempo pensati per rigenerare la propria sfera emotiva, aumentare la fiducia in se stesse, stimolare le capacità di empowerment e riassaporare il gusto della leggerezza.
La metafora di riferimento è quella di mollare gli ormeggi: la distanza fisica ed il mare aperto faciliteranno la capacità individuale di delineare la giusta distanza emotiva dalla malattia.
Sport e benessere: per il 90.8% degli italiani esercizio fisico fondamentale per la salute
Benessere sport. Il 90,8% degli italiani, anche chi non pratica esercizio fisico, ritiene la pratica sportiva fondamentale per la salute fisica e mentale e 8 su 10 sono convinti che sia uno strumento di prevenzione efficace contro le malattie. Emerge da una ricerca condotta da Human Highway per Assosalute.
Calcio e inclusione: presentata la 24esima edizione del “Mundialido”
Pallone inclusivo: è stata presentata a Roma la 24esima edizione del “Mundialido”, il torneo di calcio riservato a squadre formate interamente da migranti che ha come obiettivo il dialogo e la convivenza di diverse comunità sul territorio. Calcio d’inizio domenica alle 18.
Ceffone ad atleta 17enne: le associazioni chiedono radiazione del coach Basket Roma
Inaccettabile. Domenica, durante un incontro di pallacanestro di serie B, l’allenatore del Basket Roma, Luciano Bongiorno ha tirato un ceffone ad una sua atleta 17enne, come mostrato anche dalle immagini video. Assist-associazione nazionale atlete e Differenza Donna, chiedono la radiazione del coach, “Quello non è sport, ma violenza”, dicono.
Non ci sono altre parole se non che questo è un gesto vergognoso e inaccettabile: un grave episodio che richiede provvedimenti tempestivi ed esemplari da parte della Federbasket.
Chiediamo con decisione l’immediato intervento del presidente del CONI Giovanni Malagò e del Presidente della Federazione Pallacanestro, Giovanni Petrucci, perché l’allenatore venga immediatamente radiato e non abbia più modo di esercitare la professione.
“Quando abbiamo progettato con la Lega Volley, Fair Coaching, per formare gli allenatori e allenatrici ad un comportamento corretto; quando abbiamo presentato il servizio SAVE, in collaborazione con Differenza Donna Aps, per contro molestie ed abusi nello sport, qualcuno diceva che era esagerato, che non ce n’era bisogno. Quello che vedete nel video è accaduto ieri, su un campo di gioco italiano. Chi non comprende la gravità, chi giustifica, chi fa scivolare nel silenzio, è complice. Lo sport non è e non deve essere questo. Mai.”, dice Luisa Rizzitelli presidente di Assist.
“Per noi di Differenza Donna è evidente che questo gesto non rappresenti minimamente lo sport e ciò che esso significa per la crescita di tutti e tutte. Non è sport, ma è violenza”, dice Elisa Ercoli presidente di Differenza Donna.
“Io, Alfonsina”: la miniserie podcast sulla prima donna al Giro d’Italia
“Io, Alfonsina”: si intitola così la miniserie podcast in cinque puntate realizzata da Silvia Gottardi e Linda Ronzoni, promotrici di Cicliste per caso, progetto che mette insieme sostenibilità e empowerment femminile. Il primo episodio della serie racconta la prima e unica donna ad aver preso parte al Giro.
Siamo nel 1924, in anni di un ciclismo eroico, nei quali la giovane originaria di una famiglia di contadini riuscì a farsi strada, divenendo famosa, tappa dopo tappa. Ma non vogliamo spoilerarvi nulla. A trasmetterle questa passione fu il marito, Luigi Strada, il quale come regalo di nozze le fece trovare una bicicletta. «Da quando ci siamo imbattute nella sua storia, parecchi anni fa ormai, Alfonsina è diventata la nostra musa ispiratrice e ha guidato tutti i nostri viaggi – hanno spiegato le Cicliste per caso, presentando Io, Alfonsina -. Ci ha sempre spronate con il suo esempio di donna caparbia e libera, indicandoci la strada, è proprio il caso di dirlo».
Silvia e Linda sono le Cicliste per caso, nome sbocciato durante un viaggio in bici sulla Carretera Austral, la leggendaria strada sterrata di 1.200 km che corre contro vento lungo la Patagonia cilena. Da quella volta, Silvia e Linda non hanno più smesso di pedalare. Cicliste per caso è un progetto che parla di sostenibilità e women-empowerment, partendo dalla bicicletta. L’obiettivo di Linda e Silvia è incoraggiare le donne a viaggiare, essere autonome e intraprendenti. Il loro libro “Cicliste per caso, l’Italia in bici sulle tracce di Alfonsina Strada” è in tutte le librerie.
Festa dello Sport: il porto antico di Genova diventa una palestra a cielo aperto
Festa dello Sport. Fino a domenica il porto antico di Genova sarà una palestra a cielo aperto con 90 discipline per tutte le età. Il servizio di Elena Fiorani.
Saranno tre giorni intensi quelli che aspettano i genovesi: infatti la 18° edizione della Festa dello Sport proporrà una non stop di sport e spettacolo con decine di migliaia di partecipanti, tra studenti, famiglie, appassionati di fitness e sportivi di ogni età e abilità.
L’evento è organizzato da Porto Antico di Genova e Stelle nello Sport con la collaborazione dei partner storici Uisp Genova e Consorzio Sociale Agorà. Su una superficie di oltre 130.000 metri quadrati i partecipanti avranno l’opportunità di cimentarsi in oltre 90 discipline e attività sportive, come sempre in maniera completamente gratuita e con la costante assistenza di qualificati istruttori. Alle pratiche più tradizionali e conosciute si aggiungono quelle innovative e meno note, ma ampio spazio sarà dato agli sport acquatici.
Calcio e parità salariale: storico accordo collettivo negli Stati Uniti
Qui si fa la storia. Firmato uno storico accordo collettivo nel calcio statunitense, che garantisce pari retribuzione agli uomini e alle donne, compresi i premi per i Mondiali e il meccanismo di ripartizione dei ricavi commerciali per le due nazionali.
Il calcio americano mette la freccia e fa un salto in avanti nell’equiparazione salariale fra calciatori e calciatrici. La Federcalcio statunitense ha annunciato la firma degli accordi collettivi, con scadenza 2028, che garantiscono pari retribuzione sia agli uomini che alle donne, compresi i premi per i Mondiali e il meccanismo di ripartizione dei ricavi commerciali per le due nazionali.
La US Soccer, forte anche di una popolarità sempre crescente del calcio femminile (gli Usa sono detentori della Coppa del Mondo dopo Francia 2019) diventa così la prima federazione al mondo a garantire la stessa cifra sia alla selezione maschile che a quella femminile per la partecipazione ai Mondiali. L’accordo riguarda anche aspetti non economici come privacy, sicurezza e salute. «È un momento storico: questi accordi cambiano per sempre il calcio negli Usa e hanno il potenziale per cambiare il calcio nel mondo», sottolinea Parlow Cone, presidente della US Soccer.
L’arcobaleno al Giro d’Italia: il messaggio di inclusione del ciclista Jacopo Guarnieri
L’arcobaleno al Giro. Il ciclista Jacopo Guarnieri partecipa alla Corsa rosa lanciando un messaggio di inclusione, indossando un bracciale arcobaleno. Lo ha fatto anche a Budapest per protestare contro le leggi omofobe di Victor Orban, ma evidenzia che anche in Italia c’è ancora molta strada da fare per la promozione dei diritti.
«La curiosità per il mondo l’ho sempre avuta ma il ciclismo mi ha aperto la testa». Ci sono corridori impegnati nel sociale, altri che portati fuori dal perimetro delle gare non hanno nulla da dire e poi c’è Jacopo Guarnieri da Vizzolo Predabissi, il girino numero 113, sei squadre diverse in sedici anni di professionismo e una seguitissima piattaforma social usata con intelligenza: «Mi piace pensare, nel mio piccolo, di poter cambiare le cose in meglio. E, se non ci riesco, perlomeno voglio lasciare un segno».
A Budapest, nella terra delle leggi omofobe di Victor Orban, il velocista lombardo della Groupama, gregario di Demare nelle volate di Messina e Scalea (prezioso il suo lavoro ieri nello sprint deciso al fotofinish), ha sfilato con il braccialetto arcobaleno, un chiaro endorsement ai temi Lgbt osteggiati dal governo ungherese di destra, e quegli stessi argomenti di parità di genere si porta dietro nel tascapane durante il suo terzo Giro d’Italia della carriera. Nel trolley, per la cronaca, ha infilato anche l’ultima copia di Internazionale e «Il popolo degli alberi», romanzo di Hanya Yanagihara. «Il braccialetto è la mia protesta silenziosa — racconta Guarnieri dal bus che lo porta in albergo dopo aver attraversato a pedali la Calabria —, ci pensavo da mesi poi mi sono consultato con il mio compagno ungherese Attila Valter. Ho pensato che la passerella in Piazza degli Eroi fosse una buona occasione, la Groupama era d’accordo: volevo lanciare uno spunto di riflessione, è il gesto che conta».
Ha temuto ritorsioni, Jacopo («Ho messo in conto che qualcuno potesse tirarmi un pugno nella crono del giorno dopo, ma non è successo…»), che accetta di parlare ora che il Giro è rientrato in Italia. «Ci raccontiamo che il nostro sia un Paese moderno e progressista — riflette —, soprattutto rispetto all’Ungheria dove i contenuti omosex sono vietati ai minori, ma ricordiamoci che fine ha fatto in Parlamento il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia, affossato in Senato tra gli applausi. Anche da noi il sentimento di nazionalismo sta crescendo».
A 34 anni, sfuggito al futuro alla Mario Cipollini che gli avevano pronosticato da dilettante («Era inutile incaponirsi nel tentativo di diventare quello che non ero»), non c’è rischio di una discesa in politica: «No, grazie, non ci tengo — sorride Jacopo —, preferisco sfruttare la visibilità dell’atleta per sottolineare i temi che mi sono cari». La rivoluzione copernicana della sua esistenza è stata la nascita, cinque anni fa, di Adelaide. «Grazie a lei, da padre separato, ho cominciato a interessarmi dei diritti delle donne. L’arrivo di mia figlia ha acuito la mia sensibilità, fino a quel momento ero stato troppo indulgente con me stesso. Mi sono rimesso in discussione e adesso sogno un mondo migliore per Adelaide, un futuro libero che le permetta di essere tutto ciò che lei vorrà».
Come Harry Kane e Manuel Neuer all’Europeo 2020, Kok-kinakis e Fognini nel tennis, l’hockeista Nike Lorenz ai Giochi di Tokyo 2020, il braccialetto arcobaleno è più di un messaggio. «Non ho soluzioni, dico solo quello che penso» saluta Guarnieri diretto verso il meritato riposo prima della settima tappa. Il polsino con la scritta «Pride» è pronto a tornare in azione. «Magari a Verona, magari sul podio». Un Giro aperto e inclusivo ci piace ancora di più.