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Da rosa “shocking” a rosa “stalking”

di Admin GRS


FemminicidioLuci ed ombre sulla recente normativa contro la violenza alle donne, a pochi giorni dell’entrata in vigore della convenzione di Istanbul . Ne parliamo con Titti Carrano, Presidente dell’associazione Di.Re – Donne in rete -.

Sembra ieri quando, per simboleggiare il massimo della femminilità e della stravaganza negli anni ‘60, si usava il termine  legato ad un colore, “rosa shocking”…..Ma oggi non si può più coniugare l’essere donna attraverso costumi o comportamenti adeguati al tempo che stiamo vivendo perché questo fa scattare nell’uomo, compagno, marito, fidanzato, o qualsiasi sia il rapporto tra uomo e donna, una sorta di barriera, a volte di difesa, troppe volte di attacco, con risultati davvero distruttivi dell’immagine della donna e della sua vita stessa, tanto da assumere l’appellativo infelice di “rosa stalking”.

E’ recente la notizia, passata inosservata, nel più disumano degli anonimati, oltre che di una pessima informazione, di una donna vista “volare come un angelo” dal balcone della propria abitazione a Faella (Firenze), così dicono i testimoni che hanno assistito alla tragedia: “spinta” da “che  cosa” o da “chi”, non è stato nemmeno sfiorato nel trafiletto, ma si è saputo appena che ha due figli e che era separata …… Possibile che i cittadini attivi siano così inattivi nel parlare? Nel denunciare queste situazioni ben note a tutti, “dopo” che accadono, ma mai denunciarle prima che “accadano”? Per fortuna la mamma di Faella  è sopravvissuta a quel “volo d’angelo”, ma con fratture multiple al bacino, alle costole, alle gambe, e ne avrà per parecchio tempo prima di tornare ad una vita, si spera, più tranquilla di prima! Ma quale  ferita più grande le resterà: quella di avere amato l’uomo sbagliato? O di non avere avuto nessuno con cui confidarsi?

Ma cosa si sta facendo, in termini di normativa, per arginare questo fenomeno sempre più in aumento nel nostro Paese, e soprattutto, quali prospettive di un futuro  più sereno che possa chiamarsi tale per le donne?

Lo abbiamo chiesto a  Titti Carrano, Presidente  dell’associazione Di.Re (www.direcontrolaviolenza.it/)

– Donne in rete, che ha subito individuato alcune criticità nella recente legge regionale, n. 4 dell’8 marzo 2014:

“La legge regionale, n. 4 del 2014, è una legge che sicuramente, nel sito, non fa sperare bene, cioè un “riordino delle disposizioni per contrastare la violenza contro le donne”, in quanto basata sul “genere”.

E’ importante il titolo, in quanto fa riferimento alla violenza contro le donne, solo perché donne. E’ un passaggio importante che viene sottolineato ed è fondamentale anche nella Convenzione di Istanbul, che entrerà in vigore, in Italia, e negli altri Stati che lo hanno ratificata, il primo agosto 2014. E però, poi, nell’articolato della legge, questo buon intendimento proposito, purtroppo non è stato, poi, articolato, manca una prospettiva di “genere” , un’ottica di genere, sia in riferimento alle forme di ospitalità, che sono previste dalla legge, sia proprio anche sulla identificazione di quelle che la legge definisce “strutture di accoglienza”. C’è una totale equiparazione tra strutture pubbliche e private, si fa riferimento soltanto all’elemento della presenza di personale solo femminile. Però questo elemento non basta, perché non coordinato con l’elemento fondamentale che è il problema della violenza maschile contro le donne che deve essere affrontato secondo un’ottica di genere, come è richiesto esplicitamente dalla stessa convenzione di Istanbul.

D – In concreto, seconda la normativa attuale,  una donna che si sente in stato di pericolo, cosa può fare prima che accada il peggio?

R – Le donne hanno diritto a rivolgersi ad un centro antiviolenza che non è soltanto semplice servizio, ma è un luogo da cui partono politiche e pratiche della prevenzione e contrasto del fenomeno, quindi sarebbe stato opportuno inserire, nel testo della legge, appunto, che gli interventi devono essere espletati e fatti con un’ottima visione d’insieme e un approccio di genere. Così come la nascita, anche di sportelli di ascolto e di consulenza, di sostegno alle donne e ai loro figli minori, anche qui, era necessario fare una sottolineatura sull’ottica e l’approccio di genere, oltre, chiaramente, al fatto che il personale dovesse essere solo ed esclusivamente femminile.

D – Quello che lei afferma è, senza dubbio,  di notevole rilievo, ma coincide con i principi della Convenzione di Istanbul che entrerà in vigore dal 1° agosto?

R – Volendo rispondere a quella che dal primo agosto 2014 sarà una legge di Stato, è questa una carenza fondamentale. Nell’articolato della legge si parla anche, per esempio, di raccolta dati per la nascita di un Osservatorio. Sicuramente la raccolta dei dati è un elemento importante e fondamentale, perché ci sia l’analisi del fenomeno sia da un punto di vista quantitativo, che qualitativo, però, anche qui, bisogna  precisare che la raccolta dei dati deve essere disaggregata per genere, ce lo chiede la convenzione di Istanbul, ce lo chiede anche la relatrice speciale delle N.U., Rashida Manjoo, che ha redatto un rapporto molto compiuto sulla sua visita nel nostro Paese, rivolgendo anche delle particolari raccomandazioni all’Italia.

Quindi, diciamo che è una legge che sicuramente può essere vista, appunto, come una legge che non risponde all’emergenza, quindi un tentativo di affrontare il fenomeno della violenza maschile contro le donne, in un’ottica di interventi strutturati e integrati. Vedremo quella che sarà l’applicazione della legge, ma partiamo, chiaramente, da una carenza fondamentale che poi dà proprio il senso a tutta le legge, cioè manca una definizione di violenza maschile contro le donne, manca un’ottima di genere in tutti gli interventi che sono previsti dalla legge regionale, quindi parlo di informazione e sensibilizzazione, prevenzione, interventi nelle scuole, con le forze dell’ordine, tutto ciò che l’articolato della legge prevede.

D – Non pensa, allora, che questa legge soffra un po’ di solitudine? Mi spiego, non dovranno essere chiamati a sostenere nel percorso le donne colpite più o meno da violenze fisiche o psichiche soltanto i centri di ascolto o gli assessorati alle politiche sociali, ma  anche gli altri assessorati, dalla casa alla scuola, debbano essere coinvolti in questo percorso?

R – Assolutamente sì, gli interventi devono essere coordinati ed integrati altrimenti è chiaro che si rischia che all’interno della compagine regionale possano essere posti in essere degli interventi che non si integrano tra loro, ma che invece devono essere assolutamente coordinati. Lei faceva riferimento, giustamente, al problema della casa, un problema fondamentale, questo, molte donne restano e continuano a vivere con il partner violento perché non hanno la possibilità di poter trovare alloggi a prezzi accessibili. Nella legge regionale c’è un passaggio, c’è un riferimento, appunto, all’impegno della Regione di stabilire dei criteri proprio per l’assegnazione di edilizia pubblica, che possono essere, però, destinati a centri antiviolenza.

Su questo, devo dire, c’è ancora molto da fare, perché è importante che le donne vengano sostenute in tutte le fasi, in una fase, appunto, che può essere quella di prevenzione e di sensibilizzazione, di una fase in cui è necessario un intervento di protezione, e, soprattutto, una fase in cui le donne devono essere accompagnate ad una vita libera dalla violenza, perché il passaggio al centro antiviolenza, al centro rifugio, è un passaggio temporaneo, è un passaggio di un momento in cui la donna ha una difficoltà e viene accompagnata da operatrici specializzate, ad una vita libera. Quindi per rendere davvero le donne libere dalla violenza, occorrono delle politiche assolutamente integrate e coordinate e adeguatamente finanziate.

D – Si può legiferare molto su questo fenomeno, poi alla fine del percorso, come ha fatto notare lei, la donna torna ad essere sola e più fragile, se vogliamo, perché non avendo le strutture, non avendo una propria casa, la possibilità di ricostruirsi una vita, sicuramente è più esposta di prima.

R – Certo, ed è anche questo il rischio ed il motivo per cui tante donne non trovano la forza di lasciare l’ambiente violento in cui vivono. E’ chiaro che ci devono essere delle risposte istituzionali forti, importanti e che garantiscano alla donna, non solo il momento di passaggio in un centro antiviolenza che è il momento anche che si può considerare più di emergenza, ma un passaggio ad una vita libera. E allora è chiaro che devono ci devono essere delle politiche sociali, integrate, di politica abitativa, economica, di lavoro.

Sono veramente tanti, e tra l’altro, così noi rispondiamo non soltanto ai principi della Convenzione di Istanbul, ma anche alle raccomandazione della relatrice speciali delle N.U., Rashida Manjoo, quando ha raccomandato all’Italia proprio delle politiche integrate, davanti a quella che ormai è chiamata emergenza “femminicidio”.

D – La sua associazione, come nasce, qual è stato il motore che ha suggerito la creazione di questa associazione DiRe, donne in rete contro la violenza?

L’associazione nazionale nasce nel 2008, ma ha alle spalle oltre 20 anni di elaborazione di saperi in rete tra i centri antiviolenza, e nel 2008 54 associazioni hanno poi creato l’associazione nazionale con l’obiettivo di avere obiettivi politici importanti, comuni, condivisi, da porre all’attenzione e diventare così interlocutrici nelle politiche locali, regionali e nazionali. Questo è un percorso lungo che nasce proprio dalle attività dei centri antiviolenza, associazioni e case rifugio, molte delle  quali nascono proprio dal movimento delle donne e da associazioni e dal femminismo.

D – Lei si è identificata bene anche in questo personaggio, al di là della sua preparazione professionale, quindi si muove bene in questo ambiente conoscendo anche le normative e dando anche il suo personale contributo a questa associazione

R – Tutti i centri antiviolenza aderenti a DiRe hanno operatrici specializzate, intendo non soltanto quelle di accoglienza, ma tutte le professionalità che sono coinvolte, quindi ci sono avvocati, psicologhe, insomma sono tantissime le professionalità, però la cosa importante è che nel momento in cui tutte noi stiamo nel centro antiviolenza, ci spogliamo di quello che è il nostro ruolo, proprio perché noi  utilizziamo una pratica di relazione con le altre donne, in un rapporto di reciprocità e di relazione con la donna, ed è questo che ci contraddistingue rispetto a tante altre metodologie di altri servizi che esistono. Quindi è proprio su questo tipo di metodologia di approccio di genere in centri antiviolenza, di cui ho parlato, e possiamo noi rivendicare che se la violenza, oggi, è diventata un argomento di dibattito pubblico, è proprio grazie al lavoro che da tanti anni i centri antiviolenza hanno portato avanti con tante difficoltà, naturalmente, sono i Centri antiviolenza che hanno portato il movimento femminile che ha portato alla ribalta il tema e che ha nominato la violenza maschile sulle donne, quindi noi ci auguriamo e ci aspettiamo che parole come violenza maschile contro le donne e concetti di violenza di genere, approccio di genere, ottica di genere, siano una pratica politica anche, e quindi un’assunzione di responsabilità da parte del legislatore che possa essere regionale o nazionale”.

Insomma, ci sembra di capire che, nonostante gli sforzi fatti per arrivare ad un testo di legge universale”, ci sia sempre qualche ombra che non ne consenta la piena e corretta applicazione.

Per completezza di informazione,  riportiamo alcune notizie sulla  Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, detta “Convenzione di Istanbul”:  è una convenzione del Consiglio d’Europa contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011 a Istanbul (Turchia). Il trattato si propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l’impunità dei colpevoli. È stato firmato da 32 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione, seguito dai seguenti paesi nel 2014: Albania, Portogallo, Montenegro, Italia, Bosnia-Erzegovina, Austria, Serbia, Andorra, Danimarca, Francia, Spagna e Svezia.

Il 19 giugno 2013, dopo l’approvazione unanime del testo alla Camera, il Senato ha votato il documento con 274 voti favorevoli e un solo astenuto. Di seguito il link del testo:

( http://www.pariopportunita.gov.it/index.php/primo-piano/2470-convenzione-di-istanbul-in-vigore-dal-1d-agosto)

 

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