Notizie

Donne e violenza: la protesta degli schermidori del team Usa con una mascherina rosa

di Redazione GRS


Neanche con un fiore. Una mascherina rosa per protestare contro la presenza in squadra di un atleta sotto accusa per molestie sessuali e mostrare solidarietà con le vittime. I tre spadisti titolari del team Usa hanno voluto prendere così le distanze dal compagno che era stato escluso dalla squadra a giugno rientrato vincendo il ricorso in tribunale.

Arriva anche a Tokyo, alle Olimpiadi, la protesta in solidarietà delle donne vittime di abusi. E’ il caso dei tre atleti statunitensi Jake Hoyle, Curtis McDowald e Yeisser Ramirez che si sono presentati in pedana, in occasione della sfida degli ottavi di finale del torneo di spada a squadre, indossando una mascherina di colore rosa per protestare per la presenza della riserva del loro stesso team, Alen Hadzic, che invece ne portava una nera. Alan Hadzic, lo scorso 2 giugno, venne sospeso da tutte le attività sportive dall’US Center for Safe Sport, l’agenzia indipendente che indaga sugli abusi sessuali negli sport olimpici, a seguito di tre denunce sporte da tre donne per fatti risalenti ai tempi in cui lo schermidore, ora 29enne, era studente alla Columbia University, tra il 2013 e il 2015.

Accuse di abusi sessuali completamente rigettate dall’atleta. Tuttavia, lo spadista statunitense ha presentato ricorso e ha vinto, “perché le indagini sono ancora in corso e non si è ancora arrivati a una sentenza definitiva”, come dichiarato dal suo avvocato, Michael Palma. E così Alan Hadzic è stato reintegrato nel Team Usa come riserva. A quel punto, però, sono insorti i compagni e soprattutto le compagne di squadra di Hadzic, che avevano detto di “sentirsi in pericolo” e scritto al Cio per far sapere di sentirsi “offese e umiliate” per la presenza del collega. Così allo spadista, arrivato in Giappone su un volo diverso da quello degli altri, era stata imposta una “zona di contenimento” e quindi imposto di non alloggiare al villaggio olimpico, in quanto presenza non gradita.

Ma nulla gli ha impedito di andare in pedana, seppure da riserva, nella sfida contro il Giappone, poi persa dai compagni che non lo volevano con loro e che, in ogni caso, hanno voluto prendere le distanze. Il comitato olimpico statunitense e la federazione scherma dello stesso Paese non hanno ancora voluto fare commenti su quanto successo.

Afghanistan, scontri sempre più violenti tra esercito e Talebani

di Redazione GRS


Afghanistan senza pace. Scontri sempre più violenti tra l’esercito afghano e i Talebani che hanno raggiunto aree urbane come la città di Lashkar Gah nella provincia di Helmand. L’ospedale di Boost, supportato da Medici senza frontiere in città, rimane operativo nonostante le difficoltà e nell’ultima settimana ha registrato un netto aumento dei feriti.

Crisi Covid, il Sud sarà più indietro anche a fine 2022: lo rivela la Svimez

di Redazione GRS


 

 

Indietro tutta. La Svimez pubblica un rapporto che rileva come il Sud continuerà ad essere più indietro con la crisi Covid. Il servizio è di Pierluigi Lantieri.

La crisi economia dovuta al Covid ha unito Nord e Sud ma per il Mezzogiorno la situazione si aggrava. Lo rileva il Rapporto Svimez ‘L’economia e la società nel mezzogiorno’, secondo il quale il Centro-Nord, con la ripresa 2021-22, recupererà integralmente il pil perso nel 2020, mentre le regioni meridionali a fine 2022 avranno da recuperare ancora i 10 punti persi nella precedente crisi del 2008.

Libera con gli scacchi: la storia della campionessa iraniana Mitra Hejazipour

di Redazione GRS


Libera grazie agli scacchi. La campionessa di scacchi iraniana Mitra Hejazipour è stata accolta dalla Federazione francese per la quale potrà gareggiare, dopo essere stata cacciata da quella del suo Paese per aver scelto di non indossare il velo durante i Campionati del mondo di Mosca 2019.

Ancora cinque anni fa la campionessa di scacchi iraniana Mitra Hejazipour ubbidiva alle richieste del regime degli ayatollah e ripeteva il copione già scritto. «Il velo non è oppressione, ci siamo abituate e lo accettiamo», diceva in tv — indossando l’hijab — per difendere davanti ai media occidentali i campionati del mondo femminili in programma a Teheran nel febbraio 2016 e minacciati da un boicottaggio. Da allora le cose sono molto cambiate. Mitra Hejazipour ha trovato la forza di ribellarsi, ha lasciato l’Iran e ora è stata accolta dalla Federazione francese. In attesa di chiedere la cittadinanza, potrà già gareggiare per i colori della Francia.

«Ogni volta che ci incontravamo le chiedevo di venire da noi», dice il maestro iraniano di scacchi Reza Salami che da decenni vive a Brest. Nel 2019 Salami è riuscito a convincerla, e Mitra Hejazipour si è trasferita — in teoria per una sola stagione — all’Usam, il club della città bretone. A Brest la ragazza iraniana, campionessa d’Asia nel 2015, ha potuto apprezzare libertà negate in patria, come andare allo stadio ad assistere a una partita di calcio dello Stade Brestois, la squadra della città. La svolta il 25 dicembre 2019 a Mosca, ai Campionato del mondo di scacchi blitz (tempo minore a disposizione per ogni mossa, ndr), quando Mitra, che all’epoca fa ancora parte della squadra nazionale iraniana, decide di giocare senza velo. L’immagine del capo scoperto e dei capelli raccolti nella coda di cavallo suscita scalpore in Iran e pochi giorni dopo Mehrdad Pahlevanzadeh, presidente della federazione iraniana, la caccia: «Mitra non ha più posto nella nostra squadra».

Lei fa del suo gesto una rivendicazione politica, e lo spiega su Instagram: «La mia vita sotto il giogo del velo forzato è cominciata a sei anni, con la frase di uno zio: “Cara nipote, non sarebbe meglio portare l’hijab?”. Da quel momento ho dovuto portarlo sempre, anche in famiglia, per fare contenti i parenti. Mi ricordo del mio primo viaggio all’estero, in Germania (ai campionati mondiali under 10, nel 2003, ndr): avevo nove anni, ero stupita da quelle tedesche dai capelli biondi che ci guardavano come se fossimo arrivate da un altro pianeta e si tenevano a distanza dalle guardiane della nostra squadra, vestite con il chador. L’hijab forzato è il simbolo di una ideologia che considera le donne come un sesso inferiore, e io non voglio più fare finta di accettarlo».

Mitra Hejazipour, oggi 26 enne, d’ora in poi giocherà nella squadra francese e non potrà più tornare in Iran, dove restano i suoi genitori e una sorella più piccola. Il suo gesto dà forza alle donne che in Iran combattono contro l’obbligo del velo istituito dalla rivoluzione islamica del 1979, e mette in imbarazzo quanti in Francia sostengono il carattere totalmente libero della scelta di tante donne musulmane francesi di portare il velo. «I migliori momenti sono quelli che passi con il vento che fa volare i capelli — ha scritto Mitra —. Quanto è doloroso imprigionare i capelli danzanti in una stoffa… L’anima muore quando è messa in prigione dopo avere provato il gusto della libertà».

“Farsi comunità educanti”: un documentario in contrasto alla povertà educativa

di Redazione GRS


Un racconto corale. È il documentario “Farsi comunità educanti” a Napoli, Palermo, Reggio Emilia e Teramo su strategie e azioni di contrasto alla povertà educativa, realizzato da Fondazione Reggio Children e Agenzia di stampa Dire, al termine del progetto Fa.C.E. – nell’ambito del fondo Con i bambini. Ascoltiamo Marco Rossi Doria.