Archivi

Nemmeno i droni intelligenti a quanto pare esistono

Lo Porto - Pakistan 1 - CopiaAvevamo bisogno di avere notizie e che venisse rotto un silenzio troppo lungo. Ma di certo questo non lo volevamo sentire.

Così il Portavoce del Forum nazionale del Terzo Settore.

“Apprendiamo con estremo dolore che Giovanni Lo Porto è stato ucciso in Pakistan, vittima civile e inconsapevole di una operazione militare contro al-Quaida condotta da un drone USA . Esprimiamo tutto il nostro cordoglio e la vicinanza alla madre, alla famiglia e a tutte le persone che in questi tre lunghi anni di prigionia si sono mobilitate per la sua liberazione e perché si rompesse un silenzio troppo lungo e troppo assordante.

Pare che la morte di Giovanni sia avvenuta a Gennaio e, pur in questo momento di sgomento e dolore, non possiamo non notare che evidentemente gli sforzi del Governo Italiano per la sua liberazione, al di là delle dichiarazioni ufficiali, erano ben lungi dall’aver conseguito il benché minimo risultato.

Giovanni era un cooperante italiano, di grande esperienza e sensibilità, aveva dedicato la sua vita alla cooperazione internazionale e umanitaria, teso a portare aiuto a persone in difficoltà: era stato in diversi paesi del mondo ed il suo silenzioso impegno era stato unanimemente apprezzato ovunque si fosse recato.

Giovanni non era uno sprovveduto ed era ben consapevole dei rischi che si possono correre nel lavoro che aveva scelto e che amava: crediamo però che non poteva certo immaginare di perdere la vita in questo modo.”

 

Le bombe intelligenti non esistono

migranti_A.M.

Il Forum Nazionale del Terzo Settore rifiuta la proposta italiana di intervenire militarmente in Libia con azioni mirate (bombardamenti) per la distruzione dell’imbarcazioni degli scafisti.

“Droni, attacchi, bombardamenti mirati: le possibili soluzioni ipotizzate per ‘risolvere’ il problema delle migrazioni e della tratta sono inconcepibili e portano con sé rischi enormi. A cominciare dal fatto che ci troveremmo davanti ad un intervento anticostituzionale perché bombardare è di per sé un atto di guerra, e il nostro Paese ripudia la  guerra. Inoltre, la proposta di andare a bombardare i barconi degli scafisti, quando sono fermi nei porti africani, significherebbe affrontare il grande pericolo di andare a colpire anche quelle barche, mezzi, persone se non addirittura territori adiacenti che non devono essere bombardati. Dopo tutto quello che è accaduto in questi giorni, dopo aver visto migliaia di vite cadere sotto ai nostri occhi, nelle acque del mediterraneo, sappiamo bene che la soluzione a questa emergenza non è affatto semplice, ma come abbiamo già detto, la priorità sta nell’individuare adeguate  politiche di accoglienza. E’ un segnale positivo che l’Europa, finalmente, rompa gli indugi e scenda in campo con l’apertura di canali umanitari. Crediamo però che la proposta avanzata dal nostro Paese non solo non sia la soluzione acciocché lo scempio degli scorsi giorni non si ripeta di nuovo, ma soprattutto che generi un escalation della guerra in Libia.”

Sport e 70° della Liberazione: manifestazioni Uisp per il 25 aprile

Uisp_SettantennaleLo sport sociale e per tutti Uisp darà vita in questi giorni ad una serie di iniziative in tutta Italia per ricordare il 70° anniversario della Liberazione. “La storia dell’Uisp incrocia la memoria del nostro Paese – dice Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp – Libertà, antifascismo, democrazia sono i nostri principi che noi interpretiamo attraverso lo sport che è un linguaggio diretto e popolare”.

Molte sono le iniziative di ciclismo dedicate al ricordo della Liberazione: venerdì 24 aprile a Ferrara “Pedalando, pedalando…nei luoghi della memoria”, organizzata con UDI (Unione donne d’Italia) e ANPI (Associazione nazionale partigiani italiani); il 25 aprile l’Uisp Parma organizza il Giro della resistenza, escursione in mountain bike; l’Uisp Rieti organizza per il 25 aprile la Ciclopasseggiata della memoria; la Lega ciclismo Uisp di Bologna ricorderà l’anniversario della Liberazione con la gara amatoriale del 25 aprile: il 18° Gran premio ciclistico Uisp Ciclismo Bologna.

Diversi gli appuntamenti con corse e camminate: il 25 aprile si terrà il tradizionale Trofeo della Liberazione organizzato dalla Lega atletica Uisp, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e altre associazioni, le città toccate dalla manifestazione saranno: Nova Milanese (MB); Trapani; Roma; Siena; Modena; Bologna; Rivoli (TO); Catanzaro; Genova; Cinisi. A Senigallia (An) il 26 aprile si corre la maratona del Partigiano, che terminerà ad Arcevia punto centrale della lotta per la Liberazione di quest’area. Per scaricare il programma clicca qui; la Lega atletica leggera dell’Uisp Sicilia propone il “Trofeo podistico Le due Torri Cinisi-Gran premio nazionale della Liberazione”; l’Uisp Potenza organizza sabato 25 aprile la 1° marcia della Resistenza. La marcia sarà seguita da un convegno dal titolo “70° anniversario della Liberazione. La Resistenza continua”; il Comitato Uisp di Grosseto organizza la “Passeggiata della memoria”, mentre l’Uisp Catanzaro celebra l’anniversario il 25 aprile con le “Camminate di libertà”, una mattutina nella marina di Catanzaro e una pomeridiana nell’alveo del fiume Mesofalo.

Un programma particolarmente intenso è previsto in Piemonte, grazie alla collaborazione tra Uisp e Anpi. Camminate ed escursioni nei sentieri della Resistenza in provincia di Torino dal 24 al 26 aprile, nelle località Alpette, Forno, Bricherasio, Luserna San Giovanni. Il 26 aprile staffetta della Resistenza di 50km. con le società sportive dell’alessandrini da Piancastagno alla Benedicta, luogo simbolo della Resistenza.
Il 23 aprile a Milano, al Teatro Dal Verme, i Mondiali Antirazzisti Uisp riceveranno il Premio Ponti di Memoria per il 70esimo della Liberazione, premio speciale legato alle Nuove resistenze che viene assegnato dal MEI (Meeting delle etichette indipendenti).
Per il calendario completo delle iniziative clicca qui

Iniziativa speciale per celebrare il 70 anniversario della Liberazione è il documentario realizzato da Uisp e Udi (Unione donne d’Italia), “Le ragazze del ’43 e la bicicletta”, con interviste inedite alle partigiane Lidia Menapace, Tina Costa, Marisa Rodano e Luciana Romoli.
Questo è il link del video: https://www.youtube.com/watch?v=yeL0NtPNCMQ.
Se avete bisogno della versione HD vi forniremo un link specifico.

“CORI SOLIDALI” – LA RASSEGNA MUSICALE DELLE BIBLIOTECHE DI ROMA

Locandina in JPEG (2)Il 23 Aprile 2015 ritorna la rassegna musicale “Cori Solidali”, organizzata dall’Istituzione Biblioteche di Roma per raccogliere fondi a favore della “Campagna Biblioteche Solidali”, finalizzata alla creazione di numerose biblioteche nei Paesi più poveri del mondo che favoriscano l’accesso libero e gratuito alla lettura e all’istruzione.
L’evento si terrà giovedì 23 aprile a partire dalle ore 18.30, a Roma, nella splendida cornice liberty della Chiesa Valdese, in piazza Cavour.
Durante la serata si esibiranno nove Cori di fama nazionale ed internazionale (Coro ACTP, Coro ConCorde, Coro Franco Potenza, Coroincanto, Coro Koob, O’ Cor Vesuvian, Schola Cantorum, The Plotter, Voci dal Mondo), con un vasto repertorio che va dal popolare al sacro, dallo swing alla bossa nova. A metà spettacolo sarà servito un ricco e gustoso buffet il cui ricavato sarà devoluto interamente per il finanziamento della campagna.
Dal 2006 ad oggi, la Campagna Biblioteche Solidali ha raccolto oltre 80.000 euro, soprattutto grazie alla partecipazione dei cittadini romani agli eventi di solidarietà come questo.

Sanitansamble: nuovi strumenti per l’orchestra dei bimbi di Napoli

Sanitansamble_DSC8361Venerdì 10 aprile alle ore 16,30 nella Basilica di San Severo alla Sanità, in piazza San Severo a Capodimonte si terrà la cerimonia di consegna dei nuovi strumenti della formazione dell’orchestra Sanitansamble.

Saranno presenti Padre Antonio Loffredo Parroco della Parrocchia Santa Maria della Sanità, Antonio Lucidi Presidente di Sanitansamble, Alessia Bulgari Presidente della Fondazione Pianoterra Onlus. Ospite d’eccezione dell’evento sarà Sal da Vinci che darà il via alla nuova orchestra lanciando un messaggio chiaro al quartiere e ai piccoli artisti di Sanitansamble: aprire le porte del progetto ad altri generi musicali, alla musica popolare senza però allentare l’attenzione sulla musica orchestrale e sul repertorio classico.

 

Gli strumenti, ordinati all’inizio del 2015 saranno dunque assegnati ai 44 bambini coinvolti e ai 14 maestri. I ragazzi “grandi” cederanno il passo ai più piccoli consegnando i nuovi strumenti ad ognuno di loro e affiancandoli nell’esecuzione di brani del loro repertorio, diretti dal maestro Paolo Acunzo. Per l’occasione, l’orchestra affronterà diversi generi in un raffinato programma che condurrà il pubblico in un viaggio musicale a trecentosessanta gradi: dalla maestosità trionfale di “An die Freude” (Inno alla gioia) dalla IX sinfonia di Ludwig van Beethoven alla celebre “Danza Ungherese n. 5” di Johannes Brahms fino alle note contemporanee de “La Vita è Bella” di Nicola Piovani. Il programma chiuderà con l’armonia della tradizione napoletana di “Funiculì Funiculà”.

 

Così riparte il progetto di Sanitansamble, dopo un anno di grandi cambiamenti: l’Associazione Sanitansamble, nata a marzo 2014 e formata da L’Altra Napoli Onlus, dalla Parrocchia di Santa Maria alla Sanità e dai maestri coinvolti nel progetto, a settembre scorso ha visto l’ingresso della Fondazione Pianoterra Onlus, in intesa con L’Altra Napoli Onlus, con la proposta di un piano di finanziamento triennale per una nuova leva di piccoli musicisti e il rilancio dell’intero programma. La direzione artistica è affidata a Padre Vincenzo De Gregorio e il coordinamento didattico al maestro Gabriele Bernardo. Il progetto è inoltre inserito nei piani di finanziamento della Fondazione di Comunità San Gennaro sostenuta da Fondazione con il Sud.

 

I risultati registrati in questi anni indicano una straordinaria costanza e partecipazione dei ragazzi alle lezioni: in un quartiere che registra elevati tassi di abbandono scolastico (tra i più alti in Europa), l’assenteismo alle lezioni musicali è inferiore al 5% e più della metà dei ragazzi coinvolti nell’esperienza, vuole proseguire gli studi musicali una volta concluso il progetto. Il nuovo piano prevede l’accompagnamento in un percorso di costruzione di un futuro di crescita professionale in base alle capacità, competenze e desideri di ciascuno.

Oltre la creazione di gruppi musicali che utilizzeranno linguaggi diversi, il progetto prevederà l’istituzione di 5 borse di studio per i ragazzi che si sono distinti per la loro applicazione e dedizione allo studio musicale, ma che non sono nelle condizioni economiche per continuare nell’esperienza formativa offerta da Sanitansamble.

Nei prossimi mesi, inoltre, si darà spazio ad un programma di formazione di nuove professionalità legate al mondo della musica, degli strumenti e degli eventi musicali.

L’obiettivo sarà guidare i ragazzi oltre il percorso scolastico, attraverso il coinvolgimento di pedagogisti, educatori e psicologi, per offrire loro una strada per costruire un futuro di autonomia e sviluppo. Una nuova linfa dunque per i bambini coinvolti e i giovani che vorranno continuare a vivere l’esperienza della musica alla ricerca della loro vocazione.

 

Il progetto Orchestra Giovanile “Sanitansamble”, il laboratorio musicale dedicato ai bambini/adolescenti tra gli 6 e i 16 anni, nasce dalla convinzione che la pratica musicale, in un ambito particolare come quello del Rione Sanità, possa rappresentare una reale opportunità di allontanamento dal disagio affettivo giovanile e dalla devianza sociale. Nei percorsi di apprendimento musicale e nella pratica orchestrale collettiva è possibile vivere momenti insostituibili di aggregazione: fare musica insieme crea così le condizioni per la conoscenza dei valori fondamentali del vivere civile offrendo reali opportunità per un successivo percorso professionale. Il progetto nasce dall’esperienza dell’Orchestra Giovanile “Simon Bolivar” di Caracas, voluta più di trent’anni fa dal Maestro Josè Antonio Abreu, un modello di educazione musicale con accesso gratuito per i bambini, che si è diffuso in tutto il mondo e che ha avuto il merito di allontanare tanti giovani dai rischi della vita da strada con l’obiettivo di aiutarli “a diventare delle persone migliori”.

 

Afghanistan: per i diritti delle donne non si fa abbastanza

afghan_womenAmnesty International accusa il governo dell’Afghanistan e la comunità internazionale di non fare abbastanza per proteggere le donne che difendono i diritti umani.
Nel Rapporto “Le loro vite in gioco”, infatti, l’organizzazione umanitaria spiega che chi sostiene i diritti delle bambine e delle donne, come dottoresse, insegnanti, avvocate, poliziotte e giornaliste, vengono prese di mira non solo dai talebani ma anche dai signori della guerra e da rappresentanti del governo, subendo costantemente minacce, aggressioni e violenze.
Le leggi vigenti non vengono applicate e le autorità ignorano o rifiutano di prendere sul serio le minacce contro le donne; poche le indagini, pochissime le condanne.
Anche la comunità internazionale sta facendo poco per contrastare questa situazione. Secondo Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International, “col ritiro delle truppe quasi completato, in troppi nella comunità internazionale sembrano felici di nascondere l’Afghanistan sotto il tappeto. Non possiamo abbandonare questo paese e coloro che mettono in gioco le loro vite per difendere i diritti umani, compresi i diritti delle donne”.
Il rapporto di Amnesty si conclude con una serie di richieste: garanzia di protezione senza discriminazioni, specialmente per le donne che vivono nelle zone rurali; procedimenti giudiziari, usando le leggi a disposizione; stroncare  la cultura delle molestie nelle istituzioni pubbliche e le abitudini che favoriscono gli abusi.

Una rete sociale antidoping per liberare lo sport

donati«Sandro Donati che allena Alex Schwazer? Una bella notizia! È un progetto di cui Libera è felice di farsi garante anche per la sua forza simbolica, una forza che speriamo induca altri atleti a uscire dall’ombra, denunciare, riconquistare la propria dignità e libertà», è questo il messaggio lanciato da don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, in occasione della conferenza stampa tenutasi mercoledì 1 aprile a Roma nella quale il marciatore altoatesino Alex Schwazer ha annunciato il ritorno all’attività agonistica sotto la guida di Sandro Donati.

“Il gesto di Alex è un’idea che rompe gli schemi – ha affermato Sandro Donati, da molti anni impegnato nella lotta al doping – Voglio essere partecipe di un processo di rinnovamento. Allenerò un atleta che viene dal doping, ma che mi ha scelto. Questo significa che Schwazer si è voluto mettere in gioco e mostrare realmente quali sono le sue forze”.
Un progetto che scompagina gli equilibri e che può essere una rinascita per Alex Schwazer. Una testimonianza di come sia possibile vivere un’esperienza sportiva vera e autentica, lontana da ogni forma di illegalità e di contrasto al doping: “Ora mi sento nuovamente me stesso, proprio per questo posso tornare a gareggiare. – le parole di Schwazer – Sono pronto per cominciare questo nuovo percorso per dimostrare che facendo le cose bene si può andare forte”.
Nella lotta al doping non si può agire da soli, ed è una responsabilità di tutti. Per questo Libera, Acsi, Csi, Uisp e Us Acli rilanciano con forza il documento “Libera lo sport – contro il doping un nuovo modello sportivo”, una chiamata a raccolta di chi ama e crede in uno sport “pulito” che possa trasmettere i valori più alti alle giovani generazioni.
Nel documento – realizzato nell’ambito di “Contromafie – Stati generali dell’antimafia” (Roma 23-26 ottobre 2014) promossi da Libera – si sottolinea come il doping vada a minare la credibilità di tutto lo sport e ne vanifichi la valenza educativa e formativa, soprattutto rispetto ai giovani. “Una rete sociale antidoping – si legge nel documento – per offrire più libertà agli sportivi e nello sport, per aprire ad un possibile nuovo modello di pratica sportiva”. Acsi, Csi, Uisp e Us Acli concordano su alcune proposte di contrasto al doping che vengono evidenziate nel documento “Libera lo sport”, a partire dal “trasferimento di tutte le competenze antidoping ad agenzia istituita ad hoc. Un’entità capace di disegnare progetti di prevenzione condivisi, in cui ci sia corresponsabilità fra soggetti pubblici e privati, fra il mondo della scuola e il mondo dello sport, tra enti di promozione sportiva e federazioni”. Una rete che si impegni a investire maggiormente sulla cultura sportiva e sulla conoscenza degli sport per “sperimentare metodologie e discipline innovative, a far conoscere prima che a far competere, a mettere in gioco il corpo per farlo crescere e non solo per farlo vincere”. E ancora iniziative di sensibilizzazione che possano favorire la “costituzione di un osservatorio inter-associativo per la raccolta e la valorizzazione di buone pratiche di contrasto al doping”. Infine, prosegue il documento, una seconda occasione per gli atleti perché possano “divenire testimoni attivi di azioni di contrasto al doping, soprattutto a tutela degli atleti più giovani e di quelli più promettenti, affinché siano salvaguardati i veri talenti”.

 

MSF: servono più aiuti in Yemen

yemenLa situazione nello Yemen è molto critica dopo gli scontri delle scorse settimane ed i bombardamenti aerei iniziati il 26 marzo. A denunciarlo è Medici Senza Frontiere, che riferisce delle proprie difficoltà nel fornire soccorso alla popolazione civile a causa della chiusura degli  aeroporti internazionali, delle restrizioni ai porti e della pericolosità degli spostamenti all’interno del paese. Per far fronte all’intensificarsi delle violenze infatti, sono necessarie più forniture mediche e personale sanitario.
Gli operatori di Medici Senza Frontiere raccontano le difficoltà nell’assistere la popolazione: “Sono rimasti pochissimi attori umanitari nel paese, mentre i bisogni diventano sempre più pesanti.” “Abbiamo dovuto usare il nostro ufficio per accogliere i feriti, mettendo dei materassi nelle nostre stanze.” “Con il proseguimento del conflitto, il rischio di una carenza di forniture mediche è reale. Dobbiamo avere la possibilità di portare assistenza nel paese per via aerea, marittima o terrestre.”
Secondo il dottor Greg Elder, direttore delle operazioni di MSF “Dobbiamo al più presto trovare il modo di far arrivare aiuti umanitari e personale all’interno del paese.”
Per questo motivo l’organizzazione umanitaria chiede a tutte le parti del conflitto di rispettare la neutralità delle strutture e del personale medico, e di consentire ai feriti l’accesso incondizionato all’assistenza medica.

Mass-media e disabilità (visiva e non solo)

 disabilità e mediaArticolo di Stefania Leone*
Fonte: Superando.it

I messaggi sulla disabilità che arrivano da giornali, televisione, radio e internet, i passi avanti che ancora restano da fare per una corretta informazione, riguardante in particolare le persone con disabilità visiva, e alcune riflessioni sui cosiddetti “falsi invalidi”: c’è tutto questo e altro ancora nell’ampia analisi di Stefania Leone, a margine di un recente rapporto su disabilità e media presentato a Roma dalla Fondazione Matteotti.

L’analisi condotta recentemente dalla Fondazione Giacomo Matteotti di Roma, sul rapporto tra media e disabilità[Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, N.d.R.], ha scelto come esempi alcuni articoli che riportano storie pubblicate sui quotidiani più diffusi e specializzati, anche quelli on line, in cui sono trattati approfonditamente alcuni tra i temi più significativi ed emblematici raccontati direttamente dalle persone con disabilità, in maniera corretta e senza pietismi o sensazionalismi.

 

Resta poco approfondita, tuttavia, l’analisi di come e quanto la disabilità e le storie personali vengano trattate a livello radiotelevisivo e sui siti web istituzionali pubblici, oltreché sui social network più diffusi. La televisione e la radio, infatti risultano tuttora i canali di informazione più seguiti e diffusi capillarmente sul territorio nazionale, ciò che accade sia per ragioni propriamente tecniche, sia per il cosiddetto Digital Divide, ovvero, fondamentalmente, il profondo gap che sussiste tra le persone “tecnologicamente scolarizzate” e gli altri, tra cui molti disabili e anche gli anziani, che sono oggi una parte rilevante della popolazione, grazie al miglioramento della qualità della vita e della prevenzione sanitaria. Il tema della disabilità, purtroppo, non viene ancora trattato del tutto con competenza. Spesso, infatti, le storie proposte sono relative a “supereroi dello sport” o, al contrario, a casi di disagio sociale che suscitano pietà e compassione negli ascoltatori; inoltre, sin troppo frequentemente la modalità di conduzione delle trasmissioni televisive su argomenti delicati riguardanti il tema della disabilità, non è propriamente corretta e all’altezza delle problematiche che si vogliono presentare, cosicché accade che in genere, a causa soprattutto di superficialità, passino messaggi non condivisibili. La normalità della condizione di disabilità, con le sue sfaccettature sia positive che negative, la quotidianità che viene affrontata con forza, ma anche con spirito di ottimismo e naturalezza, sono ancora aspetti che “non fanno audience” e quindi essi vengono raramente affrontati in radio, in televisione e nello stesso web.

Partendo da un esempio pratico, cerchiamo ad esempio di riflettere sulla responsabilità che hanno i media nella comprensione delle reali capacità di una persona con disabilità. Se una persona non vedente viaggia da sola in treno o in autobus, magari con un iPad su cui legge, scrive e interagisce, chi osserva può non comprendere che le cuffie non servono a sentire la musica, ma ad ascoltare ciò che legge e scrive e che dunque non ci si trova di fronte a un “falso cieco”. Ma quanti conoscono, ad esempio, la differenza tra cecità e ipovisione? L’ipovisione è anche detta “cecità parziale” o “con residuo”, ed è tale quando si abbia un decimo di vista al massimo, compresa l’eventuale correzione con lenti; un cieco parziale può essere in grado di fare molte cose anche impensabili, ma la comunicazione ufficiale mostra poco o nulla quali siano queste semplici capacità, o piuttosto le demonizza.

 

Oltre ai contenuti, è necessario poi approfondire anche la modalità di fruizione degli stessi da parte delle persone con disabilità, essendo l’accesso all’informazione e alla comunicazione un diritto sancito sia dalla Legge 67/06 contro le discriminazioni, sia dall’articolo 30 (Partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, secondo cui «gli Stati riconoscono il diritto delle persone con disabilità a prendere parte su base di uguaglianza con gli altri alla vita culturale e adottano tutte le misure adeguate a garantire alle persone con disabilità l’accesso a programmi televisivi, film, spettacoli teatrali e altre attività culturali, in formati accessibili».

 

Ebbene, i suddetti «formati accessibili» sono relativi sia all’aspetto tecnico dei dispositivi per la fruizione – quindi televisione, radio, dispositivi mobili come smarthphone, tablet e tecnologie web – sia ai contenuti e ai servizi erogati (contenuti web, contenuti televisivi e radiofonici, cinematografici ecc). Nel caso specifico della disabilità visiva, è sottinteso che la mancanza della vista è compensata da tatto e udito, e quest’ultimo è fondamentale per l’utilizzo di strumenti visivi come la TV e i dispositivi elettronici e digitali. In sostanza, per fruire dei contenuti televisivi, è importante che ci sia un riscontro sonoro esaustivo, cosa che si risolve con le audiodescrizioni, purché siano di facile accesso. Il cosiddetto switch off, ovvero il passaggio del segnale televisivo da analogico a digitale, se da un lato ha offerto la possibilità di istituire il secondo canale audio dedicato alle audiodescrizioni, ha però aperto nuove barriere, legate alla completa ingestibilità del decoder, e in particolare dei menù a video e dei telecomandi che sono pieni di pulsanti incomprensibili da parte di chi non vede, ma anche da parte delle persone anziane e “poco tecnologiche”. Peccato, poi, che proprio nel menù per la selezione Lingua del digitale terrestre e satellitare, sia “nascosto” il secondo canale audio dedicato alle audiodescrizioni per non vedenti, difficile da scovare, dipendendo da marca e modello di televisore e telecomando. In tal senso, più volte abbiamo chiesto ai principali operatori televisivi del settore privato e pubblico, invitati in audizioni tenute presso il tavolo del CNU (Consiglio Nazionale Utenti), se tra le iniziative adottate a favore di persone cieche e ipovedenti vi fossero trasmissioni audiodescritte. A nessun operatore privato risulta che la propria emittente eroghi un tale servizio, unica prerogativa della RAI, che in quanto rete pubblica è vincolata dal Contratto di Servizio a un numero non ben definito di trasmissioni audiodescritte, che attualmente non supera le dieci a settimana (di cui sette per una sola fiction), nell’intera programmazione tra film, telefilm e fiction. Audiodescrizioni, tra l’altro, che talvolta sono anche di qualità tecnica discutibile.

 

Per quanto poi riguarda i sottotitoli, la cosa sembra essere più sentita, sebbene risultino sicuramente pochi e scarsi per i diretti interessati, ovvero le persone sorde.
Vale la pena a questo punto ricordare che – sempre da Contratto di Servizio – la RAI avrebbe dovuto garantire l’accessibilità dei decoder, fin dal momento della progettazione, ciò che invece non è mai stato fatto. A tal proposito, comunichiamo con soddisfazione che siamo stati ricevuti nel gennaio scorso dai direttori responsabili per le tecnologie della RAI e del Centro di Ricerche RAI, ai quali abbiamo sottoposto il problema, richiedendo una soluzione tecnica, ovvero un decoder supportato da un sistema di TtS (Text to Speech), cherisolverebbe il silenzio tra la digitazione dei tasti del telecomando e ciò che appare a video. Il protocollo del TtS fu proposto nel 2009 dal Forum Europeo della Disabilità (EDF) e ci risulta che sia il Regno Unito che la Spagna si siano attivati per la progettazione e realizzazione di decoder parlanti. Non si tratta, del resto, di una soluzione fantascientifica: sia i computer che i dispositivi mobili come smartphone e tablet (o per lo meno alcune marche) sono forniti infatti di tecnologie assistive vocalizzanti, che permettono alle persone non vedenti e ipovedenti di utilizzarli. Ma l’accessibilità e l’usabilità di questi strumenti non è sempre garantita, pur essendo operative sia le sopracitate Leggi che la Legge 4/04, meglio nota come “Legge Stanca”, che definisce regole tecniche per la corretta interazione di tali strumenti con le tecnologie assistive e i contenuti del web.

 

Il percorso è lungo e c’è, purtroppo, ancora tanto da fare. È tanto importante diffondere informazioni corrette e sensibilizzare tutti i cittadini, e io non finisco di stupirmi di quanti vedenti non sappiano nemmeno che noi, persone con disabilità visiva, siamo in grado di usare un PC, uno smartphone,un tablet ecc. La corretta comunicazione di tali argomenti a livello istituzionale è certamente fondamentale, ma molto efficace è la pubblicazione ampia delle problematiche sui media più diffusi. Ho avuto prova diretta che quando si porta un documento a un tavolo tecnico, esso viene letto dai membri del gruppo di lavoro e da pochi altri, e le cose restano ferme per molto tempo. Mentre invece quando una notizia viene data in televisione, in radio o esce su un quotidiano molto diffuso, allora può accadere che qualcuno si senta punto nel vivo delle proprie competenze e il problema venga affrontato a livello generale una volta per tutte.

Un’ultima riflessione riguarda la responsabilità dei media rispetto alle informazioni concernenti le persone con disabilità, e più esattamente quale sia il messaggio che passa nelle case degli italiani. Mi riferisco in particolare al modo in cui vengono trattate le notizie riguardanti i cosiddetti “falsi invalidi”, tramite vere e proprie “campagne” che, se condotte malamente, rischiano di danneggiare proprio gli invalidi veri, accusati spesso di essere “falsi”, semplicemente perché hanno raggiunto un livello di autonomia tale da riuscire ad attraversare la strada, inserire la chiave nella serratura, mandare e-mail, avere un account Facebook, vivere da soli, prepararsi da mangiare o riuscire a innaffiare il piccolo giardino di casa. Spesso si tratta di persone cieche con residuo visivo, anche minimo o laterale, che comunque permette loro di svolgere delle piccole attività con tanta fatica e coraggio, e che si trovano costrette ad andare in tribunale a dimostrare la loro innocenza. La notizia dell’eventuale loro assoluzione “perché il fatto non sussiste” non viene però mai resa pubblica nei TG e neppure sui giornali né tanto meno con gli stessi titoli ad effetto con cui erano stati sbattuti in prima pagina.
E concludo con un’ultima provocazione: i “veri falsi invalidi” hanno ottenuto certificati fasulli e benefìci economici grazie all’appoggio di Commissioni Medico-Legali corrotte presso le ASL e l’INPS: perché allora non vengono mai menzionati i nomi dei medici e dei funzionariche hanno firmato e sono stati complici di malefatte?

 

*Consigliera dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), con delega per le Problematiche ITC (Information and Communication Technology) per la stessa ADV e per la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), presso i tavoli del Consiglio Nazionale Utenti, AgCom, Sede Permanente del Segretariato Sociale RAI e Commissione Parlamentare di Vigilanza RAI. Il presente testo costituisce il riadattamento della relazione intitolata “I media: strumento di inclusione e di esclusione sociale per le persone con disabilità visiva” e presentata il 10 marzo 2015 a Roma, durante l’incontro dedicato al Rapporto 2012 “Disabilità e media. La rappresentazione delle persone con disabilità nel sistema italiano dell’informazione”, curato dalla Fondazione Giacomo Matteotti di Roma, con il contributo della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo.

Strage aereo, il low cost tra sicurezza e condizioni di lavoro

new-germanwings-airbus_300dpiIl disastro del volo Germanwings caduto in Provenza apre il dibattito sulla sicurezza delle compagnie low cost.

 

In aereo, si vola sempre più sicuri, sebbene le notizie delle ultime ore non siano rassicuranti: lo dicono, però, i dati della Iata (International air tran port association), pubblicati nelle scorse settimane nell’ultimo report annuale. Precisamente, nel 2014 i morti in incidenti aerei sono stati 641, a cui vanno aggiunti e però le 298 vittime dell’abbattimento dell’aereo Malaysia Airlines in Ucraina (che però non è considerato un incidente aereo e le cui vittime, di conseguenza, non entrano nel conteggio).

 

In ogni caso, meno della metà rispetto al 2013, quando i morti in aereo erano stati 2.010: numeri comunque bassi, se si pensa che, nello stesso 2013, le vittime di incidenti stradali erano state oltre 3.300. Le tecnologie sempre più raffinate garantiscono quindi una sicurezza sempre crescente ai passeggeri e ai piloti a cui si affidano. Negli ultimi cinque anni – sempre secondo la Iata – la media è stata di 517 morti l’anno. In calo anche il numero degli incidenti: 12 nel 2014, contro i 16 dell’anno precedente, con una media di 19 incidenti l’anno nell’ultimo quinquennio.

 

Ad emergere con particolare evidenza è il progressivo peggioramento delle condizioni lavorative dei piloti, sia dal punto di vista finanziario, sia dal punto di vista della sicurezza: propria e dei passeggeri. Raphael Engel e Laurent Negre, autori del servizi, riportano alcuni dati significativi: mentre negli Stati Uniti, a seguito di tragici incidenti aerei, il turno massimo lavorativo è stato fissato in nove ore e per le lunghe tratte è prevista la presenza di tre piloti, gli stessi accorgimenti non si sono ancora presi in Europa, dove il turno può arrivare regolarmente fino a 8 ore consecutive e, anche sulle tratte più lunghe, è sufficiente la presenza di due piloti. Con evidenti conseguenze sul livello di sicurezza, tanto dell’equipaggio quanto dei passeggeri a bordo.

 

Non solo: come denuncia il titolo dell’inchiesta, “Pay to fly”, i giovani piloti, ancora in formazione, spesso pagano per poter volare: affinché la loro licenza non perda validità, infatti, in attesa di esser assunti hanno l’obbligo di volare un certo numero di ore e sono disposti ad offrirsi come “copiloti volontari”, o addirittura a “comparsi un posto in cabina”. Ma sono soprattutto le condizioni di sicurezza sul lavoro che maggiormente destano preoccupazione: un pilota racconta di “un turno durato quattro giorni, in cui ho dormito complessivamente dieci ore”, mentre altri due ricordano il volo del capodanno 2013, quando hanno totalizzato complessivamente 50 ore di volo in 5 giorni. Tutto previsto, d’altra parte, dalle nuove “Flight time limitations”, approvate nell’ottobre 2013 dall’Agenzia europea sulla sicurezza aerea, sebbene la Commissione Trasporti appositamente istituita dal Parlamento Europeo abbia espresso il proprio parere tecnico sulle nuove norme, rigettandolo in quando potrebbero diminuire i livelli di sicurezza che i cittadini si aspettano. Ma “l’aviazione è un business mozzafiato – commenta uno dei piloti intervistati da Engel e Negre – E le pressioni finanziarie portano molti a volare oltre i limiti”.

 

(fonte: Redattore Sociale)